Dichiarazione di impugnazione della parte civile e del querelante (art. 576)InquadramentoNel processo penale possono trovare ingresso anche interessi diversi da quelli strettamente collegati alla pretesa punitiva. Ai sensi dell'art. 185 c.p., infatti, ogni reato obbliga l'imputato alle restituzioni nonché al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale secondo le norme civili. Sempre ai sensi dell'art. 185 c.p. dei danni possono essere chiamati a rispondere anche persone terze che, a norma delle leggi civili, però, debbono rispondere per il fatto dell'imputato. Ai sensi dell'art. 74 c.p.p. il soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero i suoi successori universali, possono esercitare nel processo penale l'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento nei confronti dell'imputato e del responsabile civile. La parte civile costituita (ed il Pubblico Ministero nel caso in cui abbia esercitato l'azione civile di urgenza ai sensi dell'art. 77, comma 4, c.p.p. nell'interesse del danneggiato per infermità di mente o per età) può chiedere la citazione nel processo penale del responsabile civile per il fatto dell'imputato ai sensi dell'art. 83 c.p.p. Anche a prescindere da una domanda della parte civile, quando vi è stato esercizio dell'azione civile nel processo penale, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo penale ai sensi dell'art. 85 c.p.p. Qualora nel processo penale si inserisca anche l'azione civile, ai sensi dell'art. 538 c.p.p. il Giudice penale, quando pronuncia sentenza di condanna decide anche sulle domande risarcitorie avanzate dalla parte civile. Le statuizioni contenute nella sentenza di condanna sugli interessi civili, danno luogo ad un autonomo capo della sentenza (principio di accessorietà) che la parte civile, qualora intenda impugnarlo, deve specificamente indicarlo, ai sensi dell'art. 581 c.p.p., con l'atto di impugnazione. Va ricordato, poi, che ai sensi dell'art. 541 c.p.p. con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il Giudice condanna altresì l'imputato ed eventualmente il responsabile civile in solido con l'imputato stesso al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (sempre che non ritenga di compensarle ricorrendo giusti motivi). Ai sensi del combinato degli artt. 573 e 576 c.p.p., la parte civile può proporre impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio. Essa, ancora, può proporre impugnazione contro la sentenza pronunciata a norma dell'art. 442, quando ha consentito alla abbreviazione del rito. Deve oggi ritenersi risolto il dubbio, manifestatosi all'indomani delle modificazioni apportate all'art. 576 c.p.p. dall'art. 6, della l. n. 46/2006, circa l'esperibilità dell'appello della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento. La giurisprudenza di legittimità (tra le tante Cass. I, n. 2133/2007) avallata da quella costituzionale (Corte cost., n. 226/2008; Corte cost., n. 154/2008; Corte cost., n. 3/2008; Corte cost., n. 32/2007) ha affermato, infatti, che dopo le modificazioni introdotte dall'art. 6 della l. n. 46/2006, all'art. 576 c.p.p., la parte civile ha facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado. In un quadro di sintesi, si può constatare che i capi della sentenza che riguardano l'azione civile sono anzitutto quelli che hanno riconosciuto la responsabilità, ai sensi dell'art. 538 c.p.p., dell'imputato alle restituzioni ed al risarcimento del danno nonché quelli che hanno disposto la refusione, ai sensi dell'art. 541, comma 1, c.p.p. delle spese processuali. Nel caso in cui, poi, vi sia stata la citazione del responsabile civile o questi sia intervenuto spontaneamente, la condanna alla restituzione, al risarcimento del danno ed alle spese può essere pronunciata anche nei confronti del responsabile civile. In linea generale qualora il Giudice abbia condannato l'imputato ed il responsabile civile non vi dovrebbe essere un interesse (che ai sensi del combinato degli artt. 568 e 591, comma 1, lett. a) c.p.p. deve sempre sussistere a pena di inammissibilità dell'atto) a proporre impugnazione. Si deve sottolineare, però, che sebbene in base all'art. 538 c.p.p., se pronuncia condanna dell'imputato al risarcimento del danno, il Giudice deve provvedere altresì alla sua liquidazione (salvo che sia prevista la competenza di altro Giudice), è purtuttavia possibile che esso, ai sensi dell'art. 539 c.p.p. si limiti ad una condanna generica, nei limiti in cui le prove acquisite ne consentano la liquidazione, del danno. Occorre poi considerare che, oltre all'an, nel processo penale, il Giudice è chiamato a svolgere anche una valutazione del quantum che può essere oggetto di una diversa valutazione della parte civile. Ai sensi dell'art. 539 c.p.p. il Giudice può disporre, a richiesta della parte civile, che il risarcimento del danno liquidato in via definitiva con la sentenza e la condanna alla restituzione siano dichiarati provvisoriamente esecutivi. Del pari, il Giudice, ai sensi dell'art. 540, può disporre, a richiesta della parte civile, che l'imputato ed il responsabile civile siano condannati al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene raggiunta la prova. Il regime di impugnazione delle statuizioni concernenti la provvisoria esecuzione hanno una disciplina particolare contenuta nell'art. 600 c.p.p. In caso di accoglimento della domanda della parte civile, il Giudice deve decidere anche sulle richieste delle spese avanzate dalla parte civile. A tale riguardo, si deve osservare che, ai sensi dell'art. 541, comma 1, c.p.p., il Giudice potrebbe ritenerle in tutto o in parte compensate con quelle sostenute dall'imputato. Si rammenta, che in caso di ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al Giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. La parte civile, poi, ha un particolare interesse ad impugnare le sentenze di proscioglimento soprattutto quando le formule terminative possano pregiudicare il successivo giudizio civile ai sensi degli artt. 652 e ss. c.p.p. In tali ipotesi, la sentenza non contiene un capo civile autonomo e l'impugnazione della parte civile avrà ad oggetto i capi ed i punti che escludono la responsabilità penale dell'imputato. Un'ipotesi particolare di impugnazione per gli interessi della parte civile è costituita dalla previsione di cui all'art. 541, comma 2, c.p.p. per effetto della quale quando rigetta la domanda di restituzione o di risarcimento del danno ovvero quando proscioglie l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, se ne viene stata fatta richiesta da parte dell'imputato, il Giudice può condannare la parte civile sia alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile (sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale), sia, sempre che vi sia stata colpa grave da parte della stessa parte civile, al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile. L'impugnazione della parte civile ha, di regola, effetti solo ai fini civili. Solo nel caso previsto dall'art. 38, d.lgs. n. 274/2000, vale a dire quello del ricorrente dinanzi al Giudice civile ai sensi dell'art. 21 del medesimo decreto, l'impugnazione proposta avverso la sentenza di proscioglimento esplica anche effetti penali negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del Pubblico Ministero. Va ricordato, che in tutti i casi l'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. Da tale principio, consegue, tra l'altro che il Giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale, anche d'ufficio (Cass. S.U., n. 27620/2016; Cass. VI, n. 52544/2016). Quanto alle forme richieste, si rammenta che siccome la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo, essa non deve essere rinnovata per il giudizio di impugnazione. Cionondimeno, si deve ricordare che siccome la parte civile, ai sensi dell'art. 100 c.p.p., sta in giudizio con il ministero del difensore munito di procura speciale e che, ove non diversamente disposto, essa si presume conferita per un determinato grado del processo, per il caso in cui la procura non sia conferita espressamente per tutti i gradi essa deve essere nuovamente conferita al difensore in caso di impugnazione. La figura del querelante che, ai sensi dell'art. 574 è legittimato ad impugnare la sentenza, è collegata alla previsione di cui all'art. 542 c.p.p. Nell'ipotesi in cui, infatti, il Giudice assolva l'imputato con formula perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso e si tratta di reato perseguibile a querela, può condannare il querelante, a prescindere dal fatto che si sia costituito parte civile, al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato nonché alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato e del responsabile civile. Presupposto per la condanna è in ogni caso che la sua iniziativa sia ascrivibile a colpa (così Corte cost., n. 180/1993 e Corte cost., n. 423/1993 che hanno dichiarato l'illegittimità dell'art. 427 c.p.p., al quale l'art. 574 fa rinvio, sia nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto, che il Giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante, sia nella parte in cui prevede nel caso di proscioglimento dell'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il Giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela). In tali casi, l'avviso del deposito della sentenza è notificato al querelante il quale può proporre impugnazione. FormulaCORTE DI APPELLO DI ... /CORTE DI CASSAZIONE IMPUGNAZIONE DELLA PARTE CIVILE PER GLI INTERESSI CIVILI *** Il sottoscritto Avv. ..., con studio in ..., via ..., difensore e procuratore speciale (in forza di procura speciale conferita per il presente grado in data ... / ... / ... ) della parte civile/querelante ... nel procedimento proc. n. ... / ... a carico dell'imputato ... propone appello/ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in data ... dal tribunale di ... /Giudice di pace di ... /Corte di appello di ... [1]. Impugnando specificamente i punti relativi ... riferiti al capo civile con il quale il Giudice [2] ... per i seguenti motivi [3]. Chiede che la Corte di appello/Corte di Cassazione voglia riformare la sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna dell'imputato al risarcimento del danno ed alle spese e per l'effetto condannarlo alla somma di ... /condannare l'imputato alla restituzione/risarcimento del danno/ riformare la sentenza eliminando la condanna del querelante [4]. Ai sensi dell'art. 600 c.p.p. chiede alla Corte di Appello di pronunciarsi sulla richiesta di provvisoria esecuzione rigettata dal/sulla quale ha omesso di pronunciarsi il Giudice primo grado [5]. Luogo e data ... Firma ... 1. In questa parte dell'atto occorre ottemperare a quanto prescrive l'art. 581 c.p.p. a mente del quale l'atto di impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo ed il Giudice che lo ha emesso e altre puntuali indicazioni su capi e punti, prove e richieste. 2. Va precisata la statuizione civile che si impugna (mancata o insufficiente condanna dell'imputato alle spese e risarcimento dei danni; mancata estensione della condanna del responsabile civile alle spese ed al risarcimento del danno) ovvero, nel caso di proscioglimento dell'imputato, i capi ed i punti dai quali dipendono le domande restitutorie e/o risarcitorie. Ai sensi dell'art. 581 c.p.p. l'impugnazione deve contenere la specifica indicazione, a pena di inammissibilità, di specifici elementi. 3. I motivi devono essere specifici secondo quanto prescrive l'art. 581 c.p.p. 4. Le conclusioni variano a seconda che l'atto sia destinato ad ottenere un maggiore risarcimento del danno; la eliminazione della condanna alle spese ed al risarcimento del danno richiesto dall'imputato o dal responsabile civile; la condanna del querelante nonché a seconda che l'atto di impugnazione sia un appello ovvero un ricorso per cassazione. 5. Solo nel caso di richiesta presentata in pendenza di ricorso per cassazione. Le ragioni per le quali la Corte di appello o la Corte di Cassazione può sospendere in pendenza di impugnazione l'esecuzione della condanna, sono differentemente disciplinate dagli artt. 605 e 613 c.p.p. Mentre nel caso di sospensione richiesta con l'atto di appello, a seguito di Corte cost., n. 353/1994, il Giudice può disporre la sospensione della provvisoria esecuzione qualora ricorrano gravi motivi, nel caso di sospensione richiesta in pendenza del ricorso, la Corte può prendere in considerazione la richiesta proposta dall'imputato (o dal responsabile civile) solo qualora possa derivare grave ed irreparabile danno. CommentoPrincipi generali Per effetto dell'introduzione della domanda civilistica nel processo penale, la sentenza penale può contenere più capi che riguardano interessi civili suscettibili di essere oggetto di autonoma impugnazione. Ai sensi dell'art. 574 c.p.p. è possibile che la parte civile proponga un'impugnazione per i soli interessi civili. Ai sensi dell'art. 573 c.p.p. l'impugnazione per gli interessi civili è proposta con il mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza ed è trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale. Sebbene, in forza di quanto statuisce l'art. 76, comma 2, c.p.p. la costituzione di parte civile produca i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (e dunque la relativa dichiarazione non debba essere rinnovata per il giudizio di impugnazione), siccome la parte civile, ai sensi dell'art. 100 c.p.p., sta in giudizio con il ministero del difensore munito di procura speciale e che, ove non diversamente disposto, essa si presume conferita per un determinato grado del processo, per il caso in cui la procura non sia conferita espressamente per tutti i gradi, essa deve essere nuovamente conferita al difensore in caso di impugnazione. In giurisprudenza è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal difensore della parte civile non munito di procura speciale (Cass. V, n. 43982/2009). Si deve rammentare che la Corte di Cassazione ha affermato che la parte civile non può impugnare l'ordinanza con la quale è stata disposta la sua estromissione ai sensi degli artt. 80 e 81 c.p.p. (Cass. S.U., n. 12/1999). Le richieste formulabili Il profilo certamene più delicato che riguarda l'atto di impugnazione della parte civile è quello delle richieste che possono essere formulate attraverso l'impugnazione. In linea di massima si può affermare che la parte civile può impugnare quando la sua richiesta non sia stata in tutto o in parte accolta. Se l'imputato è stato condannato, non si presentano particolari problematiche. La parte civile, infatti, potrebbe trovarsi al cospetto di una decisione che abbia riconosciuto l'an della pretesa civilistica ma non abbia quantificato (o lo abbia fatto in misura ritenuta non congrua dalla parte civile) l'ammontare del risarcimento e/o delle spese. Il Giudice potrebbe aver ancora affermato la penale responsabilità dell'imputato ma aver escluso sia il diritto della parte civile ad ottenere la restituzione e/o il risarcimento del danno in base all'art. 185 c.p. sia l'estensione della responsabilità al terzo responsabile civile. In tale evenienza, la parte civile ha l'onere di proporre impugnazione non potendosi giovare di un'eventuale impugnazione del Pubblico Ministero. II Pubblico Ministero, infatti, siccome estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale tra il soggetto danneggiato dal reato e l'imputato, essendo indifferente ai profili di soccombenza propri dell'azione civile risarcitoria, non è legittimato a impugnare un provvedimento all'esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, così surrogandosi all'inerzia di quest'ultima, la quale, rimanendo acquiescente alla decisione a sé pregiudizievole, ha invece consentito il formarsi del giudicato sul punto. In tale senso milita quanto contenuto nell'art. 572 del c.p.p., che prevede la facoltà della parte civile o della persona offesa di chiedere con istanza motivata al Pubblico Ministero di proporre impugnazione «a ogni effetto penale», ma non anche «per i soli interessi civili» (Cass. II, n. 40358/2003 che, movendo da tali premesse, ha dichiarato inammissibile, per difetto d'interesse, il ricorso presentato dal Pubblico Ministero nell'interesse della parte civile avverso la sentenza d'appello che, a sua volta, aveva dichiarato inammissibile, perché tardivo, l'appello proposto dalla parte civile stessa). Più problematica è la questione concernente lo spazio di manovra di cui la parte civile può disporre in sede di impugnazione avverso le sentenze di proscioglimento. Solo se siano definite e delineate esattamente le decisioni che essa può ottenere in sede di impugnazione possono essere precisati i contenuti delle richieste che possono essere avanzate e, sul punto, si deve osservare che l'impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento è inammissibile se non contiene un espresso e diretto riferimento agli effetti civili che vuol conseguire (Cass. II, n. 25525/2008; a tal riguardo, Cass. V, n. 42411/2009 ha statuito che l'atto di impugnazione, nella specie proposto dalla parte civile avverso sentenza di assoluzione, deve contenere a pena di inammissibilità anche le richieste, ai sensi dell'art. 581, lett. b) c.p.p. ma queste possono desumersi implicitamente dai motivi quando da essi emerga in modo inequivoco la richiesta formulata, in quanto l'atto di impugnazione va valutato nel suo complesso in applicazione del principio del favor impugnationis; né esso deve necessariamente contenere la specificazione della domanda restitutoria e/o risarcitoria, in quanto detta specificazione può anche essere differita al momento della formulazione delle conclusioni in dibattimento (in applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale ha ritenuto l'inammissibilità dell'appello proposto dalla parte civile - avverso la sentenza di assoluzione del Giudice di pace - in quanto "carente ... dell'esplicita richiesta di riforma della prima decisione", limitandosi, dopo l'esposizione dei fatti ed i motivi dell'impugnazione a chiedere ‘una rivisitazione della vicenda e non contenendo' espresso riferimento alla domanda civile ... in una con la richiesta risarcitoria). La tematica è strettamente collegata a quanto prevede l'art. 538 c.p.p. che stabilisce che solo quando pronuncia sentenza di condanna il Giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta a norma degli artt. 74 e ss. e, qualora vi sia stata la citazione del responsabile civile o questi sia intervenuto spontaneamente nel processo, può condannarlo in solido con l'imputato, sempre che, ovviamente, vi sia titolo per la sua responsabilità, al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Analogamente, dispone l'art. 541, comma 1, c.p.p., in forza del quale solo con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il Giudice condanna l'imputato ed il responsabile civile citato o intervenuto al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile. Poiché l'art. 538 c.p.p. per effetto di quanto prevede l'art. 598 c.p.p. si applica anche in appello, tenuto conto che l'impugnazione della parte civile esplica solo effetti civilistici, in difetto di un'impugnazione del Pubblico Ministero, il Giudice non potrebbe pronunciare sentenza di condanna nei confronti dell'imputato e, dunque, condannarlo a fini civilistici. In pratica, la parte civile, in presenza di formule che non comportino preclusioni in sede civilistica (per lo più formule diverse da quelle perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso), potrebbe non avere interesse a proporre impugnazione ed al cospetto di quelle che, invece, le producano, potrebbe semplicemente ottenere la rimozione degli effetti preclusivi. Sul tema dei poteri di impugnazione della parte civile si registrano, ancora di recente, plurimi interventi della Corte di Cassazione la quale, pur avendo affermato il diritto della parte civile ad ottenere attraverso l'appello l'eliminazione di conseguenze giuridiche negative per la propria posizione pur nell'impossibilità di una statuizione di condanna, non ha definito esattamente cosa la stessa potrebbe ottenere attraverso l'impugnazione. In base ad un primo indirizzo, si è affermato che non è inammissibile l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione (nella specie perché il fatto non sussiste) - non impugnata dal P.M. - anche se sia rilevata l'estinzione del reato per prescrizione alla data della sentenza di primo grado, in quanto la previsione di cui all'art. 576 c.p.p., che conferisce al Giudice penale dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, introdurrebbe una deroga all'art. 538 c.p.p. legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento ma anche a chiedere al Giudice dell'impugnazione, ai fini dell'accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell'imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme, rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell'imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto. Secondo tali orientamenti, non sussisterebbe un difetto di giurisdizione civile del Giudice penale dell'impugnazione perchè, diversamente dall'art. 578 c.p.p. - che presuppone la dichiarazione di responsabilità dell'imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno - l'art. 576 c.p.p. presupporrebbe una sentenza di proscioglimento (Cass. V, n. 3670/2010, in CED Cass., n. 249698; analogamente Cass. II, n. 897/2003, Catrin C. Santamessa la quale, in tema di parte civile, ha ritenuto ammissibile l'impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione (art. 576 c.p.p.) preordinata a chiedere l'affermazione della responsabilità dell'imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, con la conseguenza che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, in mancanza dell'impugnazione del P.M., ma semplicemente all'affermazione della responsabilità dell'imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. L'impugnazione della parte civile deve, in tal caso, fare riferimento specifico a pena di inammissibilità del gravame, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire e non limitarsi alla richiesta concernente l'affermazione della responsabilità dell'imputato, che esulando dalle facoltà riconosciute dalla legge alla parte civile, renderebbe inammissibile l'impugnazione. In tale ipotesi, il Giudice dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto reato, e, dunque, sulla responsabilità dell'autore dell'illecito, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto, nel qual caso la res iudicanda si sdoppia dando luogo a differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro; contrasto che può rimanere interno alla giurisdizione penale oppure manifestarsi tra giudici di giurisdizioni diverse. Secondo altro e più recente indirizzo, invece, poichè ai sensi dell'inequivocabile disposto dell'art. 538 c.p.p., comma 1 solo «quando pronuncia sentenza di condanna, il Giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno», alcuna pronuncia di condanna al risarcimento dei danni può essere adottata dal Giudice (di primo come di secondo grado), ove la pronuncia conclusiva del giudizio sia di assoluzione ovvero declaratoria di non doversi procedere per estinzione del reato causata da intervenuta prescrizione. La inderogabile tassatività delle formule del dispositivo è disciplina contenuta negli artt. 529-530 e 531 c.p.p. che individuano tutte le formule di proscioglimento e dall'art. 533 c.p.p. che per converso individua la sentenza di condanna dell'imputato; ne deriva ritenere che avendo l'art. 538 cit. fatto riferimento esplicito alla sentenza di condanna quale presupposto inderogabile per l'emissione di statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, la sentenza di assoluzione ovvero di estinzione del reato per prescrizione non può contenere alcuna statuizione analoga. Solo nel caso in cui nei confronti dell'imputato sia stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, e nelle more del giudizio di impugnazione sia sopravvenuta una causa di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, ai sensi dell'art. 578 c.p.p. (ed in deroga a quanto prevede l'art. 538 c.p.p.), il Giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel riformare la sentenza possono decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Al di fuori di questo caso, come osservato dalla Corte, poiché l'art. 538 c.p.p., comma 1, impedisce al Giudice di primo grado di deliberare sulla domanda civile al di fuori dei casi di condanna, del tutto asistematica sarebbe la previsione che un tal potere di deliberazione fosse invece riconosciuto al Giudice dell'impugnazione. In altri termini, sarebbe del tutto irrazionale e asistematica una soluzione interpretativa secondo cui la parte civile può ottenere dal Giudice dell'impugnazione una statuizione di condanna al risarcimento dei danni sulla propria domanda che la legge vieta al Giudice di primo grado (Cass. II, n. 52195/2016). La declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consente di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile, poichè si può far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall'art. 578 c.p.p., tra le quali non rientra quella di cui all'art. 131-bis c.p. (Cass. V, n. 5433/2020). In pratica, dunque, la ricostruzione sistematica delle norme in materia e, in particolare, il combinato disposto degli artt. 538,576 e 652 c.p.p. sorregge la conclusione per la quale l'appello proposto dalle parti civili avverso una pronuncia di proscioglimento possa essere finalizzato all'eventuale accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilità civile con esclusione della possibilità di una diretta condanna al risarcimento danni. È per questa ragione che la parte civile che intenda ottenere il pieno soddisfacimento delle sue richieste deve sollecitare, attraverso il rimedio di cui all'art. 572, il Pubblico Ministero ad impugnare la sentenza. In questa ipotesi, infatti, poiché per effetto dell'art. 597, comma 2, lett. b), c.p.p. il Giudice può condannare l'imputato a fini penali, può al contempo, in attuazione di quanto statuisce l'art. 538 c.p.p., pronunciare sentenza di condanna a fini civili. Non meno problematica è la questione della appellabilità delle sentenze di prescrizione. A tale riguardo, la Corte ha ritenuto ammissibile l'appello della parte civile avverso la sentenza di primo grado di assoluzione per insussistenza del fatto di un reato già prescritto al momento della pronuncia, sebbene l'oggetto del giudizio debba essere considerato limitato all'accertamento della condotta illecita ai soli effetti della responsabilità civile ed alla eliminazione degli effetti preclusivi del giudicato di insussistenza del fatto, con esclusione della possibilità di condanna al risarcimento dei danni (Cass. II, n. 52195/2016). Si deve rammentare che ai sensi dell'art. 578 c.p.p. quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il Giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Nel caso in cui il Giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato impone l'annullamento della sentenza con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 c.p.p. (Cass. S.U., n. 40109/2013). L'interesse della parte civile ad impugnare capi e punti penali della sentenza Problema non del tutto risolto è se la parte civile possa o meno impugnare punti della sentenza che risolvono questioni concernenti la responsabilità penale, come la qualificazione giuridica del fatto, ed il trattamento sanzionatorio. In linea generale, secondo la giurisprudenza deve rilevarsi che dalla qualificazione giuridica del fatto illecito possono derivare effetti sulla gravità del danno patrimoniale e morale dei danneggiati, incidenti sull'entità del risarcimento. La Corte di Cassazione ha ravvisato l'interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna che non abbia riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dal d.l. n. 152/1991, art. 7, convertito in l. n. 203/1991, potendo da quest'ultima derivare una differente quantificazione del danno morale da reato da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del paterna d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare più intensamente intimidita da una condotta posta in essere con l'utilizzo del metodo mafioso o con finalità di agevolazione mafiosa (Cass. II, n. 49038/2014; sul punto anche Cass. III, n. 15218/2016, secondo la quale sussiste l'interesse della parte civile a partecipare al giudizio di legittimità attivato dall'imputato in ordine alla ravvisabilità delle circostanze attenuanti, in quanto tale giudizio può incidere sulla liquidazione del danno da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del paterna d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare ridotto qualora il fatto sia considerato di minore gravità (nel caso esaminato, la Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso avverso la sentenza che aveva escluso la ricorrenza dell'attenuante di cui all'art. 609-quater c.p., comma 4, aveva condannato il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, cui era stata riconosciuta una provvisionale per il danno subito, da quantificarsi ad opera del Giudice civile alla luce, tra l'altro, della valutazione della gravità del fatto operata dal Giudice penale). La Corte di Cassazione ha riconosciuto che, per verificare se la parte civile vanti un concreto interesse a non essere estromessa dal giudizio riguardante un ricorso del P.G. tendente ad ottenere una diversa qualificazione giuridica, in pejus, del fatto-reato accertato, è comunque necessario verificare se la diversa qualificazione del fatto implichi una sua valutazione di maggior gravità, nel qual caso il danno morale subito può ritenersi più grave ed importare un diverso risarcimento: soltanto in questa ipotesi esiste un interesse della parte civile ad impugnare ai fini civili la sentenza di condanna in punto di definizione giuridica (Cass. V, n. 8577/2001; Cass. V, n. 54303/2002; Cass. V, n. 12139/2011; Cass. IV, n. 39898/2012). Si deve ricordare che tra gli elementi dei quali il Giudice di merito, nell'effettuare la quantificazione dei danni morali risarcibili (ovvero delle sofferenze interiori che ledono l'integrità morale della persona offesa, la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo) provocati dal reato, deve tenere conto rientra anche la gravità del reato in sé, perché suscettibile di acuire i turbamenti psichici e l'entità del paterna d'animo sofferto dalla vittima, da esso derivanti (Cass. civ. S.U., n. 5814/1985; Cass. civ. III, n. 2557/2011). L'impugnazione della parte civile della condanna alle spese In base, infine, all'art. 541, comma 2, c.p.p. quando rigetta la domanda di restituzione o di risarcimento del danno ovvero quando proscioglie l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità, se ne viene stata fatta richiesta da parte dell'imputato, il Giudice può condannare la parte civile sia alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato (e dal responsabile civile) per effetto dell'azione civile (sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale), sia al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile qualora vi sia stata colpa grave da parte della parte civile. Ciascuna delle statuizioni civilistiche contenute nella sentenza può essere oggetto di successiva impugnazione. I motivi I motivi andranno evidentemente articolati a seconda del contenuto delle statuizioni della sentenza impugnata. Se la sentenza contiene una condanna generica al risarcimento del danno, l'impugnazione potrà limitarsi a contestare la legittimazione della parte civile e, più in generale, il nesso di causalità tra la condotta costitutiva della fattispecie penale ed il danno di cui la parte civile denuncia l'esistenza. Nel caso in cui, invece, il Giudice ha liquidato, in tutto o in parte, il danno i motivi potranno anche concernere la determinazione dell'entità dello stesso. Per converso, qualora l'impugnazione concerna il mancato accoglimento della richiesta dell'imputato di condanna della parte civile al pagamento delle spese processuali o del risarcimento del danno derivante dall'esercizio dell'azione civile, i motivi potranno riguardare sia l'an che il quantum delle spese e del danno. A tal proposito, si deve osservare che mentre la refusione delle spese, nel caso di rigetto della domanda della parte civile o di assoluzione dell'imputato, è praticamente automatica ed il Giudice può ometterla solo nel caso in cui ricorrano giustificati motivi per statuirne la loro compensazione, nel caso in cui si sia richiesta la condanna della parte civile al risarcimento del danno, il presupposto è che quest'ultima sia incorsa in colpa grave. È evidente, pertanto, che l'atto di impugnazione, in omaggio al requisito di specificità dei motivi di cui all'art. 581 c.p.p., dovrà contestare le ragioni per le quali, nel caso delle spese, il Giudice ha ritenuto di compensarle ovvero, nel caso di mancato riconoscimento del danno, non ha riconosciuto la colpa grave. Nell'evenienza, poi, in cui il Giudice abbia provveduto alla liquidazione delle spese o del danno, l'imputato può impugnare anche il punto concernente la determinazione del loro ammontare. La sospensione dell'esecuzione provvisoria delle statuizioni civilistiche contenute nella sentenza di primo grado Si deve sottolineare che in base all'art. 538 c.p.p., se pronuncia condanna dell'imputato al risarcimento del danno, il Giudice provvede altresì alla sua liquidazione, salvo che sia prevista la competenza di altro Giudice. Di regola, a differenza di quanto previsto dall'art. 282 c.p.c. in forza del quale la sentenza di primo grado pronunciata dal Giudice civile è provvisoriamente esecutiva tra le parti, nel processo penale il capo civile della sentenza non è mai provvisoriamente esecutiva. Solo le pronunce del Giudice di appello sull'azione civile, in forza dell'art. 605 c.p.p. sono immediatamente esecutive. Cionondimeno, ai sensi dell'art. 540 c.p.p., se ricorrono giustificati motivi, a richiesta dalla parte civile la condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva. Qualora, le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, ai sensi dell'art. 539 c.p.p. il Giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al Giudice civile. In tale ipotesi è possibile anche che, a richiesta della parte civile, l'imputato e il responsabile civile siano condannati al pagamento di una provvisionale nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. In tutti i casi in cui il Giudice di primo grado dichiari la provvisoria esecuzione delle statuizioni civili, l'imputato (ed il responsabile civile) per contrastare tale punto del capo civile deve espressamente richiedere con l'atto di impugnazione, ai sensi dell'art. 600 c.p.p., la revoca o la sospensione spiegando, nel caso in cui la richiesta abbia ad oggetto la provvisionale di cui all'art. 539, comma 2, c.p.p., i gravi motivi che sostengono la richiesta. A tale riguardo, si rammenta che nell'originaria previsione, l'art. 600 c.p.p. prevedeva che la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale potesse essere disposta quando potesse derivare all'imputato (o al responsabile civile) un grave ed irreparabile danno. La Corte costituzionale con sentenza n. 353/1994 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 3 dell'art. 600 c.p.p. «nella parte in cui prevede che il Giudice d'appello può disporre la sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale "quando possa derivarne grave e irreparabile danno", anziché "quando ricorrono gravi motivi"». Si deve evidenziare che secondo la giurisprudenza l'istanza dell'imputato diretta ad ottenere la revoca o la sospensione della provvisoria esecutorietà della condanna al pagamento di una provvisionale deve essere formulata insieme con l'atto di appello e, a pena di inammissibilità, non può essere proposta separatamente e successivamente all'impugnazione della sentenza (così Cass. III, n. 2860/2014 che, in motivazione, ha avuto modo di precisare che l'ordinanza con la quale la Corte di appello si pronuncia su tale richiesta, a sua volta, non è autonomamente ricorribile in Cassazione, in ossequio al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione). La richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione e della provvisionale deve essere decisa con ordinanza dalla Corte di appello in un'apposita udienza assunta in camera di consiglio. In virtù del principio di tassatività, l'ordinanza con la quale il Giudice di appello, ai sensi dell'art. 600, comma 3, c.p.p., rigetta la richiesta dell'imputato di sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, disposta dal Giudice di primo grado, sia inoppugnabile (Cass. I, n. 44603/2013). La sospensione dell'esecuzione provvisoria delle statuizioni civilistiche contenute nella sentenza di secondo grado Come accennato, a differenza di quanto avviene in primo grado (ove la esecuzione provvisoria delle statuizioni civilistiche dipende da una decisione ad hoc del Giudice), la pronuncia del Giudice civile sull'azione civile sono immediatamente esecutive. In questi casi, in pendenza del ricorso per cassazione, l'imputato (ed il responsabile civile) può chiedere, ai sensi dell'art. 612 c.p.p., alla Corte la sospensione dell'esecuzione della condanna civile. In tale ipotesi, a differenza di quanto previsto dall'art. 600 c.p.p., la richiesta di sospensione delle statuizioni civili recate dalla sentenza impugnata deve contenere la prova della futura insolvenza del creditore che metta in pericolo la possibilità di recupero della somma (Cass. VI, n. 9091/2012) ovvero, quando prospetti il pericolo di un "danno grave ed irreparabile" derivante dall'esecuzione della statuizione. Secondo la Corte di Cassazione, il danno non deve necessariamente essere costituito dalla necessità di dover pagare una spropositata somma di denaro, che metta in pericolo non solo la possibilità di recupero, ma altresì elida in modo estremamente rilevante il patrimonio dell'obbligato. Grava sull'istante l'onere di dimostrare che la somma da versare in esecuzione della condanna abbia un'incidenza rilevante sul proprio patrimonio, non potendosi ritenere il "grave ed irreparabile" danno solo in base a considerazioni di carattere oggettivo (Cass. VI, n. 29617/2016; Cass. IV, n. 1813/2005). |