Ricorso per cassazione (art. 606)InquadramentoIl ricorso per cassazione costituisce lo strumento di impugnazione che, ai sensi dell'art. 111 Cost., può essere sempre proposto avverso le sentenze ed i provvedimenti in materia di libertà personale. Il ricorso per cassazione può essere considerato un mezzo di impugnazione a motivi vincolati, in quanto le doglianze che possono essere rappresentate sono solo quelle riconducibili ad uno dei cinque casi di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p. e la Corte di Cassazione ha una cognizione del procedimento limitata ai motivi proposti. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., infatti, il ricorso è inammissibile (oltre che nel caso in cui sia proposto per motivi manifestamente inammissibili o per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello) quando i motivi addotti siano diversi da quelli consentiti dalla legge. Il ricorso per cassazione può essere proposto dall'imputato (art. 607 c.p.p.), dal Pubblico Ministero (art. 608 c.p.p.) e dalla parte civile. L'atto di ricorso (come le memorie ed i motivi nuovi) deve essere sottoscritto (a pena di inammissibilità) da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di Cassazione. A seguito delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 63, l. n. 103/2017, a decorrere dal 3 agosto 2017, il ricorso non può più essere sottoscritto dalla parte personalmente. FormulaCORTE DI CASSAZIONE SEZIONI PENALI RICORSO PER CASSAZIONE *** Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., difensore di fiducia di 1....., nata a.... il....; imputato nel procedimento penale n..... /...., propone ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata in data.... dalla Corte di Appello/Tribunale [1] di....; impugnando specificamente i punti relativi.... riferiti ai capi.... per i seguenti motivi [2] : – violazione dell'art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p. per aver il Giudice esercitato una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri. – violazione dell'art. 606, comma 1 lett. b), c.p.p. per non aver la sentenza impugnata osservato e/o per aver erroneamente applicato le seguenti norme di legge penali.... ovvero le seguenti norme giuridiche.... delle quali si è tenuto conto nell'applicazione della legge penale. – violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. in relazione all'art..... per inosservanza delle norme processuali a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e/o decadenza. – violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. per mancata assunzione della seguente prova decisiva.... richiesta a norma dell'art. 495, comma 2, c.p.p. nel corso dell'istruzione dibattimentale; – violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) per aver la sentenza impugnata omesso di motivare o comunque per aver illogicamente e contraddittoriamente motivato con vizio risultante dal testo della motivazione ovvero dai seguenti atti.... [3]. Chiede l'annullamento senza/con rinvio della sentenza impugnata. Luogo e data.... Firma.... Ai sensi dell'art. 1 d.m. 4 luglio 2023 (G.U. n. 155 del 5 luglio 2023) e dell'art. 1 d.m. 18 luglio 2023 (G.U. n. 166 del 18 luglio 2023), l'atto rientra tra quelli per i quali è provvisoriamente possibile anche il deposito telematico. Tale obbligo decorrerà solo dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. [1] [1]In questa parte dell'atto occorre ottemperare a quanto prescrive l'art. 581 c.p.p. a mente del quale l'atto di impugnazione si propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo ed il Giudice che lo ha emesso. Le sentenze pronunciate in sede di appello dal tribunale sono quelle emesse sull'impugnazione delle sentenze del Giudice di pace. [2] Ai sensi dell'art. 581 c.p.p. l'impugnazione deve contenere la specifica indicazione, a pena di inammissibilità, dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione. Si ricorda che la l. n. 114 del 2024 ha abrogato l'art. 581, comma 1 ter, a mente del quale con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. E' stato, invece, interpolato, l'art. 581 comma 1 quater è stato interpolato riferendolo al solo difensore di ufficio, di talché, esso ora prevede che nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l'atto d'impugnazione del difensore d'ufficio è depositato, a pena d'inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio dell'imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. [3] [3]In forza del principio della cosiddetta autosufficienza del ricorso, la giurisprudenza richiede che siano puntualmente illustrate ed allegate le risultanze processuali ritenute rilevanti, pena altrimenti l'impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere all'esame diretto degli atti. CommentoAspetti procedimentali Disciplina transitoria Dal 23 giugno 2023, è entrato in vigore l'art. 17 del d.l. n. 75 del 22 giugno 2023, pubblicato in G.U. il giorno precedente, che è intervenuto sull'art. 94, comma 2 del decreto legislativo n. 150/2022, su cui era intervenuta la l. n. 199 del 2022, relativo alla disciplina transitoria per i giudizi di impugnazione: se quest'ultima legge estendeva il regime “pandemico” delle impugnazioni contenuto nel d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176, fino al 30 giugno 2022, il d.l. n. 75 del 2023 ne estende la vigenza sino «al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023». Fino al 31 dicembre 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo.». Dunque, sino al termine previsto per l'introduzione del processo penale telematico continuano ad applicarsi le disposizioni introdotte durante l'emergenza pandemica. Resteranno in vigore, pertanto, le disposizioni degli artt. 23 e 23-bis, per la parte già prorogata, sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, previsto per l'emanazione dei decreti del Ministero della giustizia per la definizione delle regole tecniche riguardanti il deposito, la comunicazione e la notificazione con modalità telematiche degli atti del procedimento penale ed eventuali uffici giudiziari e tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione. Così, si prescrive che, fuori dai casi di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. Entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l'udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto. Alla deliberazione la Corte di appello procede con le modalità di cui all'articolo 23, comma 9, d.l. n. 137/2020, il quale indica che: «Nei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge. Nei procedimenti penali, dopo la deliberazione, il presidente del collegio o il componente del collegio da lui delegato sottoscrive il dispositivo della sentenza o l'ordinanza e il provvedimento è depositato in cancelleria ai fini dell'inserimento nel fascicolo il prima possibile. Nei procedimenti penali le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle deliberazioni conseguenti alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto». Il dispositivo della decisione è comunicato alle parti. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2 della norma. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza. Le disposizioni di cui all'articolo 23-bis, d.l. n. 137/2020 si applicano, in quanto compatibili, anche nei procedimenti di cui agli articoli 10 e 27 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e all'art. 310 c.p.p. In quest'ultimo caso, la richiesta di discussione orale di cui al comma 4 deve essere formulata entro il termine perentorio di cinque giorni liberi prima dell'udienza. Disciplina generale Secondo la disciplina codicistica, la Corte di Cassazione decide i ricorsi secondo tre differenti modelli: l'udienza camerale partecipata (che si svolge sul modello di quella di cui all'art. 127 c.p.p.); l'udienza camerale non partecipata (che dovrebbe essere la regola, dopo la riforma Cartabia); l'udienza pubblica. Al di fuori di queste ipotesi, la Corte decide in camera di consiglio non partecipata (vale a dire sul ricorso, sulle memorie e sulle memorie di replica, che le parti possono presentare rispettivamente fino a quindici e cinque giorni prima dell'udienza). Il termine di quindici giorni entro il quale, ai sensi dell'art. 611 c.p.p., le parti possono presentare memorie, ancorché previsto relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall'obbligo di prenderle in esame (Cass. III, n. 50200/2015; Cass. I, n. 19925/2014). La ragione di tale conclusione va ricercata nel fatto che ai sensi dell'art. 585, comma 4, c.p.p. la presentazione di motivi nuovi e delle memorie deve avvenire nel numero di copie necessaria per tutte le parti (oltre che ovviamente per i componenti del collegio giudicante) e che, per effetto di quanto dispone la citata norma, le controparti, conoscendo i termini, sono in grado di poterle tempestivamente senza che il rispetto del principio del contraddittorio richieda che venga ad esse data specifica comunicazione o notificazione (Cass. II, n. 17235/2018). Il modello camerale partecipato è adottato, solo nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 611, comma 1-bis c.p.p.), su richiesta del Procuratore Generale o del difensore (v., art. 611, comma 1-bis e ss. c.p.p.). Si ricorda che le richieste sono irrevocabili e sono presentate, a pena di decadenza, nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell'avviso di fissazione dell'udienza. Quando ritiene ammissibile la richiesta proposta, la corte dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione del procuratore generale e dei difensori. La cancelleria dà avviso del provvedimento al procuratore generale e ai difensori, indicando se il ricorso sarà trattato in udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall'art. 127 c.p.p. Il procedimento dinanzi alla Corte di Cassazione prevede una fase degli atti preliminari, nella quale spiccano i poteri del presidente, il quale deve provvedere alla assegnazione dei ricorsi ad una delle sezioni tra le quali si articola l'ufficio. Attualmente, sono previste sette sezioni e la distribuzione del carico tra le stesse avviene (ai sensi dell'art. 610, comma 1-bis, c.p.p.) secondo criteri stabiliti dalle leggi sull'ordinamento giudiziario. La settima sezione, istituita con d.P.R. in data 2 aprile 2001, in attuazione dell'art. 6 della l. n. 128/2001, recante «Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini» e predeterminata con rotazione biennale dal provvedimento tabellare riguardante la Corte di Cassazione, è competente per la trattazione, in camera di consiglio, dei ricorsi per i quali il presidente della Corte di Cassazione rilevi una causa d'inammissibilità. È previsto che la Corte possa decidere anche a Sezioni Unite. Ai sensi dell'art. 610, comma 2, c.p.p. il presidente assegna il ricorso alle Sezioni Unite quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni. Nella fase degli atti preliminari, il presidente della Corte, non appena sono pervenuti i ricorsi, deve compiere il vaglio sulla ammissibilità degli stessi e, qualora rilevi una causa di inammissibilità concernente i motivi dell'atto, provvede alla assegnazione del fascicolo alla apposizione sezione (la settima) e alla fissazione della data in cui l'atto deve essere sottoposto a scrutinio. Della data di fissazione del ricorso e della causa di inammissibilità viene data comunicazione al procuratore generale e ai difensori, affinché nel termine di quindici giorni prima dell'udienza possano eventualmente ‘difendere' l'ammissibilità dell'atto. Qualora la sezione deputata al controllo sull'inammissibilità del ricorso non la dichiari, gli atti sono trasmessi al presidente della Corte per provvedere alla assegnazione dello stesso alla sezione individuata secondo i criteri stabiliti dall'ordinamento giudiziario. Nel caso in cui il presidente della Corte rilevi una causa di inammissibilità per ragioni diverse da quelle riguardanti il contenuto dei motivi di ricorso (art. 591, comma 1, lett. a), c.p.p. limitatamente al difetto di legittimazione; lett. b), lett. c) [esclusa l'inosservanza delle disposizioni dell'art. 581 c.p.p.] e lett. d), c.p.p. ovvero nel caso di ricorso proposto avverso sentenze di applicazione della pena o quelle pronunciate ai sensi dell'art. 599-bis c.p.p., l'inammissibilità è dichiarata senza formalità di procedura con provvedimento avverso il quale può essere proposto ricorso straordinario a norma dell'art. 625-bis c.p.p. Al di fuori delle ipotesi descritte, il presidente della Corte (nel caso in cui il ricorso sia trattato dalle Sezioni Unite) o quello della sezione designata (in tutti gli altri) fissa la data per la trattazione del ricorso in udienza pubblica (su richiesta o d'ufficio a norma dell'art. 611, comma 1-quater c.p.p:. per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame, dandone comunicazione alle parti mediante l'avviso di fissazione dell'udienza) o in camera di consiglio, anche d'ufficio ex art. 611, comma 1-quater c.p.p., e designa il relatore. Peraltro, con la riforma del 2022 si è previsto che la Corte, se ritiene di dare al fatto una definizione giuridica diversa, la corte dispone con ordinanza il rinvio per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, indicando la ragione del rinvio e dandone comunicazione alle parti con l'avviso di fissazione della nuova udienza. Almeno trenta giorni prima della data dell'udienza la cancelleria dà avviso della stessa alle parti (procuratore generale e difensori delle parti private), con comunicazione che contiene l'indicazione delle forme di trattazione. In casi di urgenza, ai sensi dell'art. 169 disp. att. c.p.p., i termini stabiliti per il giudizio di cassazione possono essere ridotti, con provvedimento del presidente della Corte, in misura non superiore ad un terzo. Ai sensi dell'art. 613 c.p.p., per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla Corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori, salvo quanto previsto dal comma 4. Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché sia iscritto nell'apposito albo speciale. Se l'imputato è privo del difensore di fiducia, il presidente del collegio provvede a norma dell'art. 97 c.p.p. e gli avvisi che devono essere dati al difensore sono notificati anche all'imputato. Quando il ricorso concerne gli interessi civili, il presidente, se la parte ne fa richiesta, nomina un difensore secondo le norme sul patrocinio dei non abbienti. L'udienza camerale partecipata e quella pubblica si svolgono secondo forme pressoché identiche (salvo che per quanto riguarda la pubblicità della stessa, che, evidentemente, non si applica all'udienza che si svolge secondo il modello di cui all'art. 127 c.p.p.). Non è prevista la partecipazione delle parti private, che possono comparire per mezzo dei loro difensori. Nell'udienza stabilita il presidente procede alla verifica della costituzione delle parti e della regolarità degli avvisi. Esaurita questa fase introduttiva, lo stesso presidente o un consigliere da lui delegato fa la relazione della causa alla quale segue la discussione, che prende avvio con la requisitoria del procuratore generale e prosegue con l'esposizione delle richieste da parte dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato. Una particolarità che contraddistingue la fase della discussione nel giudizio in cassazione è che non sono ammesse repliche. Solo nel caso in cui sia dedotta una questione per la prima volta nel corso della discussione il presidente, ai sensi dell'art. 171 disp. att. c.p.p., può concedere nuovamente alle parti già intervenute la parola. La decisione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 615 c.p.p., avviene in camera di consiglio che si svolge subito dopo terminata la pubblica udienza. Solo nel caso in cui vi sia una molteplicità di questioni da trattare o queste siano particolarmente complesse è possibile che la deliberazione possa essere differita ad una udienza successiva. La sentenza adottata all'esito dell'udienza pubblica è pubblicata subito dopo la deliberazione mediante lettura del dispositivo. Le decisioni della Corte possono essere di inammissibilità, di rigetto, di annullamento con o senza rinvio. Ai sensi dell'art. 622 c.p.p., fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di Cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando occorre al Giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l'annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile. Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto è sempre condannata alle spese. Tanto nel caso di inammissibilità che di rigetto, inoltre, la parte privata è condanna al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da Euro 258 ad Euro 2.065 che può essere aumentata sino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità o di rigetto. Principi generali Il ricorso per cassazione può essere considerato un atto a struttura vincolata, perché le modalità di redazione sono rigidamente delineate dall'art. 606 c.p.p. I motivi che, ai sensi dell'art. 581 c.p.p., devono essere sviluppati sono soltanto quelli che possano essere ricondotti a quelli previsti dall'art. 606 c.p.p. Salvo che per le questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, non possono essere proposte in sede di ricorso violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello. Non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione la violazione del divieto del ne bis in idem sostanziale, in quanto l'accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito (Cass. VII, n. 41572/2016). Del pari, non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3, c.p.p., la richiesta di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, se la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. non è stata fatta valere nei gradi di merito (Cass. VII, n. 43838/2016). Il motivo di ricorso certamente più frequentemente proposto è quello concernente il vizio di motivazione. A tale riguardo, deve essere anzitutto evidenziato come attraverso la prospettazione di tale vizio, con i motivi di ricorso non possa essere riproposta una rivalutazione del materiale probatorio riassunto e commentato nei motivi stessi e tradursi in una ri-sottoposizione alla Corte di legittimità di argomentazioni e questioni di fatto delle quali si è già congruamente occupata la sentenza impugnata. I motivi che possono essere posti a sostegno dell'atto di impugnazione devono, a pena di inammissibilità, poter essere ricondotti in uno dei casi previsti dall'art. 606 c.p.p. In particolare, non è possibile sollecitare la Corte ad effettuare un giudizio di merito, in quanto ad essa è demandato un controllo di mera legittimità. Al Giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli utilizzati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Come rileva la giurisprudenza, tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo Giudice del fatto, mentre essa è – e resta – Giudice della sola motivazione. Del resto alla Corte di Cassazione non spetta stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente, con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (Cass. V, n. 1004/1999; Cass. II, n. 2436/1993). Peraltro, quando il ricorso venga proposto avverso una c.d. “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per il vizio di travisamento (o comunque di malgoverno legato ad una non corretta lettura ed interpretazione) della prova, il vizio può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado (Cass. II, n. 5223/2007). Forme L'atto di ricorso per cassazione oltre a dover contenere motivi riconducibili ad uno di quelli previsti dall'art. 606 c.p.p. presenta ulteriori requisiti particolari. Anzitutto, ai sensi dell'art. 613 c.p.p., deve essere sottoscritto da Avvocato iscritto nell'apposito albo dei difensori abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori. A tale riguardo, le Sezioni Unite, movendo da quanto dispone l'art. 4, l. n. 60/2001, avente ad oggetto “Disposizioni in materia di difesa di ufficio”, che, nel rimodulare la disciplina della sostituzione difensiva, ha modificato l'originario testo dell'art. 102 c.p.p., hanno stabilito che è ammissibile il ricorso in cassazione proposto da Avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell'imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista (Cass. S.U., n. 40517/2016). Inoltre, la Cassazione ha stabilito che il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., ha l'onere – sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al Giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio. In particolare, la promiscua mescolanza dei motivi di ricorso, se cumulati e rubricati indistintamente, rende l'impugnazione assolutamente aspecifica. Il rilievo attiene in primis al profilo logico-concettuale. Peraltro, non potrebbe oggi ritenersi del tutto irrilevante l'aspetto grafico e formale dell'articolazione dell'atto di ricorso in paragrafi ed altre sottopartizioni, atteso che il Protocollo d'intesa tra Corte di Cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale”, sottoscritto il 17 dicembre 2015, prevede che “i vizi di legittimità devono essere esposti distinguendo le singole doglianze con riferimento ai casi dell'art. 606 c.p.p.”. Detto Protocollo, secondo la giurisprudenza di legittimità, va considerato quale strumento esplicativo del dato normativo di cui all'art. 606 c.p.p. (Cass. II, n. 57737/2018; Sez. 6, n. 57224/2017), e la sua violazione può confermare la valutazione d'inammissibilità per difetto di specificità del ricorso (Cass. II, n. 38676/2019). Qualunque atto (memorie e richieste) presentato alla Corte deve essere sottoscritto da avvocato iscritto nell'albo speciale. Le richieste A mente dell'art. 581 c.p.p. l'atto di impugnazione deve contenere a pena di inammissibilità le richieste. Esse, oltre a costituire una logica conseguenza di quanto sviluppato attraverso i motivi, nel caso di ricorso per cassazione hanno una struttura vincolata perché la Corte, in base agli artt. 620-623 c.p.p., può solo emettere sentenze di annullamento (con o senza rinvio) delle decisioni impugnate. A seconda delle violazioni dedotte, pertanto, le conclusioni dovranno tendere ad uno di questi due epiloghi. Eccesso di potere Il primo caso di ricorso per cassazione è costituito dal c.d. vizio di eccesso di potere, che ricorre quando il Giudice abbia esercitato una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri. Non costano molti precedenti giurisprudenziali che hanno applicato il caso di ricorso in esame. Quello di cui alla lett. a) dell'art. 606 c.p.p. si deve considerare una sorta di clausola di salvezza per il caso in cui da parte del Giudice ordinario vi sia uno straripamento di potere. Un settore nel quale ha spesso trovato applicazione la disposizione in esame è quello della disapplicazione da parte del Giudice penale degli atti amministrativi. Come noto, in forza dell'art. 4, l. n. 2248/1865 All. E quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'autorità amministrativa, i tribunali si possono limitare a conoscere degli effetti dell'atto stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio e l'atto amministrativo non può essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso. I tribunali, a loro volta, come statuisce l'art. 5, l. n. 2248/1865, devono applicare gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi. Occorre porre in evidenza come in giurisprudenza si sia anzitutto osservato che la non conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione alle disposizioni legislative statali e regionali (come ad esempio quelle in materia urbanistico edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici) possa essere rilevata non soltanto se l'atto sia illecito e, cioè, frutto di attività criminosa, ma anche nell'ipotesi in cui l'emanazione dell'atto medesimo sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere (Cass. III, n. 40425/2006 in una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto configurabile il reato di lottizzazione abusiva in relazione ad opere di spianamento e sbancamento di un terreno con la successiva edificazione di due corpi di fabbrica realizzati in relazione ad un programma costruttivo dichiarato illegittimo dal T.A.R. in quanto attivato in area diversa da quella indicata per l'intervento commissariale da parte di commissario “ad acta” la cui nomina risultava anche prorogata oltre il termine di scadenza). Un secondo aspetto che deve essere considerato è quello dell'efficacia nel processo penale del giudicato amministrativo avente ad oggetto lo stesso atto dalla cui disapplicazione possa derivare la integrazione dell'illecito. In una recente sentenza la Corte di Cassazione (Cass. III, n. 31282/2017) ha precisato (richiamando un altro precedente Cass. I, n. 11596/2011 che al Giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale nel caso in cui sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del Giudice amministrativo a meno che, nel giudizio penale non siano rilevati profili di illegittimità non dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (così, Cass. III, n. 50189/2015; Cass. III, n. 1894/2006; Cass. III, n. 39707/2003; Cass. III, n. 54/1996). Tra i casi giurisprudenziali registratisi in tema di applicazione della lett. a) dell'art. 606 ricorre quello del difetto di giurisdizione del Giudice penale (in quanto la materia appartiene alla giurisdizione civile, così Cass. S.U., n. 25/1999). Non va dimenticato che ai sensi dell'art. 65 ord. giud. la Corte di Cassazione assicura, tra l'altro, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge. Un altro esempio in cui è stato ravvisato lo straripamento di potere da parte del Giudice penale è quello nel quale, in un processo in materia di armi, oltre a disporre la confisca dell'arma in sequestro, sia stata ordinata la distruzione della stessa in quanto, ai sensi dell'art. 6, l. n. 152/1975, le armi e gli oggetti atti ad offendere di cui è disposta la confisca devono essere versati alla competente direzione dell'artiglieria (Cass. I, n. 44622/2007). Erronea applicazione di una legge sostanziale Il c.d. error in iudicando ricorre quando il Giudice non abbia osservato ovvero abbia fatto erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale. Si tratta dei casi in cui si manifesta al massimo livello la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione che, quale organo supremo della giustizia, ai sensi dell'art. 65 ord. giud., assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale. Sono due i profili presi in esame dalla disposizione in esame: il significato da attribuire alla norma di cui si è fatta applicazione nel giudizio, vale a dire la sua comprensione testuale; la sua applicazione al caso specifico. Mentre l'inosservanza si configura quando non è stata applicata una disposizione di legge, l'erronea applicazione è invece configurabile quando il Giudice sia incorso in una imperfetta applicazione della fattispecie astratta. Il vizio di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. riguarda l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza), ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta erronea), e va tenuto distinto dalla deduzione di un'erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l'aspetto del vizio di motivazione (Cass. V, n. 47575/2016). Sul punto, la giurisprudenza della Corte Suprema ha più volte avuto modo di chiarire che il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano (Cass. II, n. 3706/2009; Cass. II, n. 19696/2010; Cass. IV, n. 6243/1998). Erronea applicazione di una legge processuale I c.d. errores in procedendo sono costituiti dalla mancata osservanza di una norma processuale che, tuttavia, rileva solo se prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (Cass. VI, n. 7336/2004). Al fine di poter far operare questo caso di ricorso, occorre individuare sempre la norma di carattere processuale che espressamente contiene la previsione dell'effetto invalidante per il caso della sua violazione. Si deve ricordare, infatti, che nel processo la materia delle invalidità è governata dal principio di tassatività (artt. 173,177 e 191 c.p.p.) per cui solo la precisa individuazione della disposizione consente di individuare l'eventuale conseguenza invalidante. Solo nel caso in cui si intenda far valere un'abnormità (che ricorre quando il provvedimento impugnato esula dal sistema processuale e determina una stasi del procedimento) è possibile radicare un ricorso senza individuare una norma processuale di riferimento. Con riferimento alle violazioni a pena di nullità, la possibilità di una loro rilevabilità in sede di legittimità dipende da diversi fattori. Anzitutto quello della individuabilità della sanzione processuale. Se, infatti, molte volte la disposizione che si assume violata prevede espressamente la nullità per il caso della sua mancata osservanza, altre volte questo non avviene in maniera esplicita per cui occorre fare riferimento, alle previsioni di carattere generale di cui all'art. 178 c.p.p. Superato tale primo vaglio, occorre verificare la concreta deducibilità della violazione attraverso il ricorso. Solo le nullità assolute (di cui all'art. 179 c.p.p.) sono rilevabili in ogni stato e grado del processo. Per tutte le altre potrebbero essersi verificate decadenze (artt. 180,181, e 182 c.p.p.) o sanatorie (art. 183 c.p.p.) che ne impediscono la deducibilità in cassazione. Si rammenta che ai sensi dell'art. 180 c.p.p. le nullità diverse da quelle assolute (c.d. intermedie) non possono essere né rilevate, né dedotte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo e che le nullità diverse da quelle assolute e c.d. intermedie (le nullità relative) oltre a poter essere dichiarate solo su eccezione di parte, devono essere eccepite (quando si tratti di nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare) prima che sia pronunciato il provvedimento previsto dall'art. 424 ovvero (quando manchi l'udienza preliminare) entro il termine previsto dall'art. 491 (ed entro il medesimo termine previsto dall'art. 491, comma 1 devono essere eccepite le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti preliminari al dibattimento). Le nullità relative, poi, una volta tempestivamente eccepite, devono poi essere riproposte con l'impugnazione della sentenza. Ai sensi dell'art. 182 c.p.p., peraltro, tutte le nullità diverse da quelle assolute, non possono essere eccepite da chi vi ha dato o ha concorso a darvi causa ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata e, quando la parte assiste al compimento dell'atto, esse devono essere eccepite prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo. A norma dell'art. 183, poi, le nullità sono sanate se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell'atto ovvero se si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato. Solo nel caso in cui la nullità dell'atto derivi da un mancato avviso di una garanzia difensiva, alla cui conoscenza l'avviso stesso è preordinato, la sua deducibilità, da parte dell'indagato o dell'imputato che vi abbia assistito, non è soggetta ai limiti previsti dall'art. 182, comma 2, c.p.p. (Cass. S.U., n. 5396/2015). Nell'ambito di tale schema, deve essere ricordato che la giurisprudenza della Corte, con un orientamento antiformalistico, inaugurato in relazione alla violazione delle forme previste per le notificazioni degli atti (Cass. S.U., n. 19602/2008; Cass. S.U., n. 119/2004), ha escluso la nullità nei casi in cui risulti provato che risulti provato che la inosservanza della previsione non abbia impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto e di esercitare il diritto di difesa (Cass. III, n. 44880/2014). Recentemente, la Corte ha escluso la configurabilità di un'invalidità in presenza di una violazione di una norma processuale che, pur potendo astrattamente essere considerata prevista a pena di nullità, costituisca in realtà un abuso del processo che consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente li riconosce all'imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti (Cass. S.U., n. 155/2011 la quale ha escluso la violazione del diritto alla difesa, ravvisando un concreto pregiudizio dell'interesse obiettivo dell'ordinamento, e di ciascuna delle parti, alla celebrazione di un giudizio equo in tempi ragionevoli, in presenza di una situazione nella quale lo svolgimento e la definizione del processo di primo grado erano stati ostacolati da un numero esagerato di iniziative difensive – attraverso il reiterato avvicendamento di difensori in chiusura del dibattimento, la proposizione di eccezioni di nullità manifestamente infondate e di istanze di ricusazione inammissibili – con il solo obiettivo di ottenere una reiterazione tendenzialmente infinita delle attività processuali). Talvolta la giurisprudenza richiede che la dedotta invalidità si accompagni la prova di resistenza. Sebbene il principio possa essere in astratto applicato alla deduzione di qualunque vizio dell'atto, di esso viene fatta applicazione soprattutto nell'ipotesi in cui con il ricorso per Cassazione si deduca l'inutilizzabilità di un elemento a carico. In tali casi, la Corte esige che il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione di tale elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le risultanze residue, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Cass. II, n. 37678/2015). In tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora in sede di legittimità venga eccepita l'inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l'atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l'omissione di tali indicazioni incide sulla valutazione della concretezza dell'interesse ad impugnare (Cass. VI, n. 13213/2016). L'omessa acquisizione della prova decisiva Con il ricorso per cassazione può essere dedotta anche la mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne abbia fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale. Va anzitutto osservato come, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., la violazione di cui si tratta può essere fatta valere solo nel caso in cui si tratti di prova decisiva contraria; ciò significa dunque che l'omessa assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere eccepita solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma 2, c.p.p. (Cass. IV, n. 26660/2011). A tale riguardo, secondo la giurisprudenza, la perizia non rientra nella categoria della c.d. prova decisiva ed il relativo provvedimento di diniego non è censurabile ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione (Cass. II, n. 52517/2016). Il diritto alla controprova, riconosciuto all'imputato dall'art. 495, comma 2, c.p.p., non può avere ad oggetto l'espletamento di una perizia perché, secondo la giurisprudenza, esso costituisce mezzo di prova non classificabile né a carico, né a discarico dell'accusato e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del Giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, risulta essere insindacabile in sede di legittimità. Ne deriva che deve negarsi che l'accertamento peritale, da eseguirsi ex novo o acquisirsi da altro procedimento, possa ricondursi al concetto di prova decisiva, la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, lett. d), c.p.p. (Cass. IV, n. 26660/2011). Non va dimenticato che siccome sulle richieste di prova formulate ai sensi dell'art. 493 c.p.p. il Giudice decide con ordinanza, che può essere oggetto di autonoma impugnazione ai sensi dell'art. 586 c.p.p., eventuali vizi di motivazione delle decisioni sulle prove possono essere fatti valere come violazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. Sul punto la Corte di Cassazione ha osservato che il vizio di carenza assoluta di motivazione, ove avente ad oggetto un'ordinanza di natura istruttoria emessa in primo grado, è destinato a conservare autonomo rilievo (salvo che l'originaria mancanza non risulti colmata in sentenza perché, ove quest'ultima dia conto della scelta operata dal Giudice, nell'ambito dei più ampi confini diretti a definire l'intero merito della decisione, non residua spazio per l'esercizio di un sindacato sull'ordinanza, provvedimento strumentale ed interlocutorio; così, Cass. VI, n. 40021/2016). A mente dell'art. 606, lett. d), c.p.p., la prova di cui si eccepisce la omessa acquisizione deve essere decisiva. A tal fine, secondo la giurisprudenza, occorre che la prova di cui si denuncia la mancata assunzione sia in grado, una volta inserita nel quadro probatorio, di determinare una ricostruzione dei fatti diversa da quella emergente dagli atti in precedenza acquisiti. Ora, una simile decisività non solo non si verifica quando l'elemento che si chiede di provare è costituito da una circostanza del fatto già in atti del processo (cfr. Cass. IV, n. 14161/2005; Cass. VI, n. 35122/2003) ma anche qualora esso è contenuto in richieste probatorie meramente esplorative. Secondo la giurisprudenza, la ricognizione personale non rientra nella categoria della prova decisiva di cui all'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., perché è una prova aperta ad ogni esito e pertanto non le si può riconoscere preventivamente un'efficacia decisiva, ossia la capacità di contrastare le acquisizioni processuali contrarie, elidendone l'efficacia e provocando una decisione contraria (Cass. VI, n. 43526/2012; Cass. II, n. 38883/2006). Secondo la Corte, anche il confronto non rientra tra le “prove decisive” di cui all'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p., trattandosi di prova a carattere “neutro”, sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del Giudice (Cass. II, n. 35661/2014). Anche il rifiuto opposto dal Giudice di merito di procedere ad ispezione dei luoghi si è ritenuto insindacabile in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), c.p.p. costituendo essa mezzo di ricerca della prova che non potrebbe essere oggetto di richiesta di parte ex art. 495, comma 2, c.p.p. (Cass. VI, n. 6861/1993). Il controllo sulla motivazione In forza di quanto prevede l'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. può essere dedotta con il ricorso per cassazione la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, a condizione, tuttavia, che il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame. Attraverso tale motivo si tende a mettere in discussione la congruità del ragionamento sviluppato dal Giudice con la motivazione. Ai sensi dell'art. 111 Cost., tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati ed il ricorso per cassazione è appunto finalizzato a verificare che il Giudice di merito abbia fatto buon governo, attraverso una motivazione sufficiente, congrua e comprensibile, dell'obbligo imposto dalla Costituzione. L'omissione di cui alla lett. e) dell'art. 606 c.p.p. è diversa da quella, prevista a pena di nullità dall'art. 125 c.p.p. (e che potrebbe essere dedotta in cassazione attraverso la lett. c) dell'art. 606; cfr. Cass. III, n. 36388/2016 secondo la quale la nullità della sentenza prevista dall'art. 125 c.p.p. ricorre nel solo caso in cui essa sia del tutto priva di un apparato motivazionale, o nel caso in cui quest'ultimo sia meramente apparente; così in una fattispecie di sentenza di primo grado mancante di una pagina, nella quale la S.C. ha ritenuto che la lacuna non avesse inficiato l'apparato motivazionale, tanto da consentire la compiuta articolazione della impugnazione in grado d'appello). Mentre quest'ultima deve essere considerata come una mancanza fisica della motivazione, quella riconducibile alla lett. e) è quella di carattere logico-funzionale (cfr. Cass. III, n. 42736/2016 si configura il vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. non solo quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche quando le argomentazioni addotte dal Giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall'interessato con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività). La principale ragione di deduzione di omissione di motivazione è quella del c.d. vizio di preterizione che ricorre quando il Giudice di secondo grado non ha dato adeguata e completa risposta alle doglianze sviluppate attraverso l'atto di appello. A tale riguardo occorre puntualizzare che con riferimento alla omessa motivazione la Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. In particolare, per la validità della decisione non è necessario che il Giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del Giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass. II, n. 13901/2016; Cass. II, n. 1405/2013; Cass. II, n. 29434/2004). Il vizio di omissione di motivazione è anche configurabile in presenza di motivazioni stereotipate o apparenti, perché del tutto generiche o eccentriche rispetto ai tempi rispetto ai quali la decisione avrebbe dovuto dare risposta. Si rammenta, a tale riguardo, che ai sensi dell'art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. la sentenza deve contenere la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con l'enunciazione delle ragioni per le quali il Giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal comma 2 dell'art. 533 c.p.p., e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali. Con il ricorso per cassazione, però, oltre al vizio di omissione di motivazione è possibile censurare anche i vizi concernenti l'apparato argomentativo. Va subito evidenziato che la correttezza o meno dei ragionamenti che possono essere verificati in sede di legittimità dipende principalmente dalla loro struttura logica, la quale è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono. In linea di massima, infatti, questi ultimi non possono mai essere messi in discussione in sede di legittimità, salvo che non si possa denunciare il travisamento della prova. Si deve infatti rilevare che gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio (Cass. VI, n. 47204/2015), stante la preclusione per il Giudice di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Cass. VI, n. 25255/2012; Cass. II, n. 28843/2018). Combinando tali principi, si deduce che, al di fuori dell'ipotesi del travisamento della prova, in via generale una volta che ci si trovi in presenza di una motivazione della sentenza congrua e non apparente o contraddittoria, l'unico ulteriore motivo per il quale è astrattamente possibile procedere ad un annullamento della stessa è quello della sua “manifesta” illogicità. Ora, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del Giudice deve essere inconfutabile ed ovvia, ma – e si tratta del punto più importante da mettere in luce – essa non può rappresentare soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (in tal senso Cass. II, n. 13901/2016 e, con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. I, n. 13528/1998). Il controllo della logicità della motivazione deve essere esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, allo scopo di stabilire se i giudici di merito abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione degli elementi a loro disposizione abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. III, n. 10974/2015). ( Segue ). La violazione dei criteri di valutazione della prova La giurisprudenza, è assolutamente costante nel ritenere che con i motivi il ricorrente non possa prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa. Si deve ricordare, a tale riguardo, che, ai sensi dell'art. 192 c.p.p. il Giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati e che, salvo il caso dell'applicazione di regole di valutazione del tutto implausibili (perché contrarie al senso comune), le valutazioni del Giudice sono per lo più insindacabili in sede di legittimità. È inammissibile, infatti, il ricorso per cassazione fondato esclusivamente su doglianze relative alla valutazione della prova da parte del Giudice di merito, quando quest'ultimo abbia motivato tale valutazione in modo congruo e non manifestamente illogico (Cass. V, n. 20133/2015). Come accennato, secondo la giurisprudenza, infatti, «sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal Giudice del merito» (cfr. Cass. VI, n. 47204/2015). In applicazione di tali principi, si è affermato che costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del Giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Cass. II, n. 50701/2016, fattispecie in cui la S.C. ha rigettato la contestazione relativa alla ritenuta attendibilità del contenuto delle captazioni, osservando che l'evidente impiego di particolari attenzioni e cautele nel parlare escludeva, logicamente, l'ipotesi difensiva di affermazioni rese volutamente false dai conversanti in quanto consapevoli di essere intercettati). Si deve ricordare che l'art. 192 c.p.p. contiene due regole di valutazione della prova, l'una concernente la prova indiziaria (per effetto della quale l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti) e, l'altra, riguardante, le dichiarazioni provenienti da persone imputate e/o indagate in procedimento connesso o collegato (per effetto della quale le dichiarazioni di cui si tratta sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità). Anche la violazione di tali disposizioni può essere denunciata in sede di legittimità, ma solo allorquando la motivazione non sia congrua o contenga argomentazioni illogiche nel senso sopra definito. In caso di processi indiziari, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulla non implausibilità delle massime di esperienza adottate nella valutazione degli indizi, nonché la verifica sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute per qualificare l'elemento indiziario, ma non certo il compito di procedere a un nuovo accertamento, nel senso della ripetizione dell'esperienza conoscitiva del Giudice di merito (Cass. II, n. 21998/2005). Ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., il sindacato di legittimità sulla correttezza del procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al Giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, esercitata dall'esterno dal Giudice di legittimità, al fine di verificare se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori e se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall'art. 192, comma 2, c.p.p.: criteri in forza dei quali gli indizi a carico devono essere prima vagliati singolarmente, verificandone il grado di interferenza derivante dalla loro gravità e precisione, per poi essere esaminati in una prospettiva globale, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in una medesima direzione dimostrativa (Cass. II, n. 8027/2004). Travisamento della prova In seguito alle modificazioni apportate alla lett. e) dell'art. 606 ad opera della l. n. 46/2006, è sindacabile attraverso il ricorso per cassazione il c.d. vizio di travisamento della prova che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva. Il travisamento della prova deducibile in sede di legittimità è anzitutto quello della c.d. “contraddittorietà processuale”, consistente nella mancata corrispondenza tra il risultato probatorio utilizzato nella motivazione della sentenza e l'atto probatorio stesso. In tale evenienza, non opera il limite della rilevabilità testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo essere desunto anche da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, e a condizione che l'errore disarticoli l'intero ragionamento probatorio, rendendo, quindi, illogica la motivazione per l'evidente forza dimostrativa del dato probatorio travisato (Cass. IV, n. 6378/2017). A tale riguardo, si è avuto modo di specificare che il vizio di travisamento della prova per assumere rilievo in sede di legittimità deve, da un lato, emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il Giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il Giudice di merito (Cass. IV, n. 40036/2016). Secondo la giurisprudenza, poi, tale vizio può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cd. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, a meno che il Giudice d'appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, non abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (Cass. IV, n. 19710/2009; Cass. I, n. 24667/2007; Cass. II, n. 5223/2007). Il vizio di travisamento della prova – desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente – è ravvisabile quando l'errore sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetto “doppia conforme” e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Cass. I, n. 24667/2007). Si deve sottolineare che secondo la giurisprudenza la possibilità di dedurre il vizio di motivazione con riferimento agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” comporta, in forza del principio della cosiddetta autosufficienza del ricorso, che siano ivi puntualmente illustrate le risultanze processuali ritenute rilevanti, pena l'impossibilità per la Corte di Cassazione di procedere all'esame diretto degli atti (Cass. I, n. 16223/2006; nello stesso senso, Cass. sez. fer., n. 37638/2007 che ha espressamente affermato che dev'essere recepita ed applicata anche in sede penale la regola della cosiddetta “autosufficienza” del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c., dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al Giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso). Controllo della motivazione pronunciata in sede di rinvio Qualora la Corte annulli la sentenza impugnata con rinvio, la cancelleria della Corte trasmette senza ritardo gli atti del processo con la copia della sentenza al Giudice che deve procedere al nuovo giudizio. Ai sensi dell'art. 627 c.p.p. il Giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. L'obbligo del Giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di Cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto decisa con essa è assoluto ed inderogabile anche quando, a seguito di tale decisione, sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza (Cass. I, n. 4049/2012 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non doversi tener conto del mutamento dell'orientamento giurisprudenziale sulla indispensabilità del dolo intenzionale nel delitto di crollo di costruzioni ex art. 434 c.p., in presenza di una sentenza di annullamento che aveva rinviato al Giudice di merito per accertare l'esistenza del dolo, quantomeno nella sua forma eventuale). Viene fatta salva la diversa ipotesi in cui, nelle more, sia sopravvenuta una sentenza della Corte di Giustizia europea che abbia dichiarato l'incompatibilità con il diritto comunitario della norma nazionale da cui dipenda l'applicazione della norma incriminatrice (Cass. VI, n. 18715/2012 in una fattispecie in cui il mutamento di giurisprudenza ha investito le conseguenze processuali – nullità assoluta insanabile in luogo della nullità a regime intermedio – della mancata traduzione all'udienza dell'imputato detenuto che ne abbia fatto richiesta). La normativa emergenziale da pandemia Covid-19 Nella vigenza della normativa emergenziale Covid-19: v., Cass. VI, n. 22248/2021 in cui si afferma che il comma 8 dell'art. 23, d.l. n. 137/2020, infatti, prevede che nel giudizio di cassazione per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli artt. 127 e 614 c.p.p. «la Corte di Cassazione procede in camera di consiglio... salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale». Peraltro, secondo la Corte di Cassazione, posto che la norma emergenziale aveva previsto un doppio binario di trattazione «fissando un termine perentorio entro il quale la parte interessata può esercitare la sua scelta, ma una volta che il procedimento si è incardinato nelle forme della discussione orale, piuttosto che in quella della trattazione cartolare, non è più consentito alla parte, unilateralmente, di modificare il rito prescelto», una volta effettuata la scelta essa deve considerarsi irrevocabile anche perché quella scelta «incide direttamente sulle conseguenti facoltà processuali delle altre parti» e il «ripensamento» della parte potrebbe ledere il principio del contraddittorio. Intrattenimento amministrativo delle persone straniere
In tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere ai sensi del d.l. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, la riduzione a cinque giorni del termine per proporre, dinanzi alle Sezioni penali della Corte, ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di convalida o di proroga e la limitazione dei motivi proponibili a quelli di cui all'art. 606, comma 1, lett. a), b), e c), cod. proc. pen., costituiscono espressione di una scelta del legislatore in materia processuale che si caratterizza per la più ampia discrezionalità, non ravvisandosi profili di manifesta irragionevolezza e arbitrarietà. (Fattispecie relativa a convalida della proroga del trattenimento, in cui la Corte, in applicazione del principio, non ha accolto la deduzione con cui si era lamentata l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, richiamato dall'art. 6, comma 5-bis, d.lgs. 18 agosto 20015, n. 142, per ritenuto contrasto con gli artt. 3,13,25,111 e 117 Cost, quest'ultimo in relazione agli artt. 3, 13 e 14 CEDU) (così, (Cass. I, n. 2967/2025 - Rv.287362 – 03) In tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere ai sensi del d.l. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, ai fini del giudizio di convalida del provvedimento del questore di proroga del trattenimento, la motivazione deve contenere uno specifico riferimento alla sussistenza delle condizioni di cui all'art. 14, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e, in particolare, deve esplicitare in base a quali dati il trattenimento stesso, già ritenuto necessario, sia ancora tale e quali prospettive possono offrire, rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio, i fatti intervenuti dopo il decorso del primo termine, tenendo altresì conto delle condizioni legislativamente imposte in relazione ai rigidi limiti temporali entro cui le proroghe possono essere concesse e, conseguentemente, i rimpatri, se legittimamente disposti, dovrebbero essere eseguiti. (In motivazione, la Corte ha richiamato quanto affermato da Cass. civ., Sez. 1, n. 6064 del 2019, Rv. 653101-01). In tema di trattenimento amministrativo delle persone straniere ai sensi del d.l. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 dicembre 2024, n. 187, ai fini della ricorribilità per cassazione del provvedimento di convalida o di proroga della corte d'appello, limitato, tra l'altro, ai motivi di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., nella nozione di "violazione di legge" va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, intesa come del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l'"iter" logico seguito dal giudice.
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