Richiesta di traduzione degli atti dell'indagato appartenente a una minoranza linguistica storica riconosciuta (art. 109)

Costantino De Robbio
Alessandro Leopizzi

Inquadramento

In un'ottica di piena tutela della tradizione culturale di una minoranza riconosciuta, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni (ivi compresa l'autorità giudiziaria), il cittadino italiano appartenente a tale minoranza ha il diritto di essere interrogato o esaminato nella lingua ammessa a speciale tutela e di ricevere tradotti gli atti del procedimento.

Formula

TRIBUNALE PENALE DI ...

Ufficio del Giudice per le indagini preliminari

(ovvero)

Ufficio del Giudice dell'udienza preliminare

(ovvero)

TRIBUNALE PENALE DI ...

SEZIONE PENALE

in composizione monocratica (dott. ...)

in composizione collegiale

Richiesta di traduzione degli atti in lingua ... [1]

(minoranza linguistica storica riconosciuta)

***

Il sottoscritto Avv. ..., con studio in ..., via ..., difensore di fiducia/ufficio di

1. ..., nato a ... il ...;

2. ..., nata a ... il ...;

indagato/imputato nel procedimento penale n. ... / ... R.G.N.R.,

per il reato previsto e punito dall'art. (dagli artt.) ...,

per i reati previsti e puniti dagli artt.

a) ... c.p.

c) ..., legge ... / ...

d) ..., d.P.R. ...

e) ..., d.lgs. ...

PREMESSO

che il Sig. ..., cittadino italiano, appartiene alla minoranza linguistica storica ... [2];

che tale minoranza è ammessa alla speciale tutela linguistica e culturale di cui alla l. n. 482/1999;

che il Sig. ... è residente in via ..., frazione ..., Comune di ...;

che la suindicata residenza ricade nel territorio, come espressamente individuato dal Consiglio provinciale di ... con delibera del ... n. ..., su cui insiste la suddetta minoranza linguistica storica;

CHIEDE

che, per il prosieguo, tutti gli atti del procedimento a lui indirizzati siano tradotti nella suddetta lingua ammessa a tutela [3].

Si allegano i seguenti documenti.

1) ...;

2) ....

Luogo e data ...

Firma ...

1. Indicare una tra le lingue albanese, catalana, tedesca (o altra lingua germanica affine), slovena, croata, francese, franco-provenzale, occitana, friulana, ladina, sarda (art. 2, l. n. 482/1999).

2. Indicare una tra albanese, catalana, tedesca (o altra lingua germanica affine), slovena, croata, francese, franco-provenzale, occitana, friulana, ladina, sarda (art. 3, l. n. 482/1999).

3. In caso di interrogatorio o esame, la parte può chiedere di essere sentita nella lingua ammessa a tutela. Il relativo verbale dovrà essere redatto anche nella medesima lingua.

Commento

Il quadro costituzionale

Secondo l'art. 6 cost., la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

La norma non distingue tra le minoranze alloglotte radicate storicamente in specifiche aree del territorio nazionale (ad esempio, le comunità ladine e germanofone in Alto Adige) e quelle invece diffuse in maniera quasi puntiforme in più regioni (ad esempio, le enclaves di lingua albanese, presenti in molte zone del Meridione d'Italia). Soprattutto, non circoscrive, nell'enunciarne il valore di principio generale dell'assetto costituzionale, l'obbligo istituzionale di tutela a specifiche realtà culturali, tassativamente elencate.

L'omogeneità linguistica e culturale di alcune parti del territorio nazionale, connotate da peculiarità loro proprie rispetto alla pur frastagliata realtà peninsulare, è stata tenuta in adeguata considerazione dal successivo art. 116 (che dispone “forme e condizioni particolari di autonomia” alle cinque Regioni “a statuto speciale”, ulteriormente declinata per il Trentino-Alto Adige/Südtirol nell'istituzione delle “province autonome di Trento e di Bolzano”), nonché, più specificamente, tenuto conto della drammatica situazione di incertezza in cui versavano i territori giuliani al termine del conflitto mondiale, dall'art. X delle disposizioni transitorie e finali, che fa salva per il Friuli-Venezia Giulia l'applicazione in via provvisoria delle norme generali del Titolo V della parte seconda sulle autonomie locali, “ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l'articolo 6”.

Dunque la più ampia tutela della minoranze linguistiche per così dire “storiche e stanziali” prevista in via generale, comprensiva di tutto il retrostante patrimonio socio-culturale, discende direttamente dal riconoscimento e dalla promozione di tutte le autonomie locali coesistenti nella Repubblica, “una e indivisibile” (art. 5 cost.) e, prima ancora, dalla imprescindibile centralità dell'art. 2, laddove impone la massima tutela dei diritti inviolabili delle comunità etniche e linguistiche quali “formazioni sociali” intermedie, e dell'art. 3, che presidia l'uguaglianza di fronte alla legge e il principio di giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita comunitaria.

In questo generale contesto ordinamentale, determinato dalla difficile coesistenza di norme nazionali (anche di rango costituzionale), eurounitarie ed internazionali convenzionali (faticosamente rilette in maniera unitaria dalla dottrina e dalla giurisprudenza), si colloca la disciplina, come detto del tutto peculiare a partire dalle radici ben salde nella Carta, della tutela delle minoranze linguistiche riconosciute.

Il codice di procedura penale del 1930, prevedeva la sanzione penale per l'uso negli atti pubblici di una lingua, sia pure materna, diversa dall'italiano; l'ordinamento repubblicano si è mosso in direzione diametralmente opposta, concordemente con gli esiti in subiecta materia del diritto internazionale pattizio. In particolare, gli artt. 101 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo impongono la tutela delle minoranze interne e gli artt. 92, 26 e 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ratificato con l. n. 881/1977, riconoscono il diritto di usare la propria lingua (nell'interpretazione data da Corte cost., n. 15/1996: “la garanzia dell'uso della propria lingua nella comunicazione tra i componenti della medesima minoranza, come modo di essere e strumento della propria identità culturale” non coincide però con “la garanzia dell'uso esterno di quella lingua nei rapporti con soggetti o autorità non appartenenti alla stessa comunità”).

Secondo la Consulta, “la Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni” (Corte cost., n. 28/1982). D'altronde, la lingua propria di ciascun gruppo rappresenta un connotato essenziale della nozione costituzionale di “minoranza etnica”, così da indurre il costituente a definire quest'ultima proprio in termini di “minoranza linguistica”. In quanto elemento basilare dell'identità culturale e mezzo primario di trasmissione dei relativi valori fondanti (e quindi garanzia della continuità del proprio patrimonio spirituale), il diritto all'uso della lingua materna nell'ambito della comunità di appartenenza è un aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze etniche, che si ricollega ai principi supremi della Costituzione (Corte cost., n. 62/1992).

La tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza dunque pienamente, sotto il profilo dell'uso della lingua materna da parte di ciascun suo membro, escludendo, nell'ambito del territorio di insediamento storico, l'obbligo di utilizzare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche (e, soprattutto di fronte all'autorità giudiziaria, laddove ricorre un'indubbia interferenza con la garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della difesa e, più precisamente, con il diritto a un regolare processo). Il riconoscimento dei diritti della difesa, anche in un'ottica strettamente linguistica come quella delineata dall'art. 143 c.p.p., è finalizzato infatti all'adeguata comprensione degli aspetti processuali (che potrebbe venire meno quando l'interessato non abbia in concreto una perfetta conoscenza della lingua ufficiale del processo). Al contrario, la garanzia dell'uso della lingua materna a favore dell'appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta è innanzitutto la diretta conseguenza di una speciale protezione costituzionale accordata al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico e, soprattutto, prescinde dalla circostanza concreta che l'appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale. Il diritto all'uso della lingua materna da parte degli appartenenti a minoranze linguistiche nei loro rapporti con le autorità giudiziarie locali rappresenta una pretesa soggettiva effettiva e azionabile nella misura in cui siano state adottate adeguate norme di attuazione (anche non specifiche) e siano state predisposte le necessarie strutture organizzative istituzionali. Ne consegue dunque il principio, di carattere necessariamente generale, secondo cui il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta, nell'ambito di ogni procedimento pubblico cui sia interessato (di natura amministrativa o giudiziaria, penale o civile), ha il diritto di essere interrogato o esaminato nella madrelingua e di veder redigere in tale lingua il relativo verbale, nonché il diritto di ricevere tradotti nella predetta lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all'autorità investita del procedimento (Corte cost., n. 62/1992 e Cass. IV, n. 10198/2015, Meloni).

Il sistema di tutela codicistico

Di questa composita situazione, sociale e normativa, non può che tener conto anche l'ordinamento processuale penale, che evita ogni possibilità di frizione sistematica smussando la recisa affermazione espressa dal comma 1 dell'art. 109 c.p.p. (“Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana”), con le garanzie previste dal comma successivo, a mente del quale “davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali”.

Notiamo subito come la disposizione, in primo luogo, mantenga l'uso della sola lingua italiana di fronte alla Corte di Cassazione.

Nella fase di legittimità, connotata da forme procedimentali sue proprie, plasmate sulla completa estraneità al rito di ogni incombente istruttorio, non solo la celebrazione dell'udienza, la sua verbalizzazione e la redazione dei provvedimenti definitivi o interinali non possono mai prescindere dall'uso esclusivo dell'italiano, ma, anche nei procedimenti a carico di imputati appartenenti a minoranze linguistiche, sono inammissibili i motivi di ricorso redatti anche solo in parte in un'altra lingua e privi di traduzione italiana.

D'altronde, la chiara lettera della legge limita l'applicabilità delle norme di favore ai soli cittadini italiani (con esclusione quindi di stranieri, comunitari ed extracomunitari, anche qualora regolarmente residenti sul territorio nazionale, e di apolidi) appartenenti a una minoranza riconosciuta dalla legge.

La tutela delle minoranze linguistiche riconosciute

Ad oltre un cinquantennio dall'entrata in vigore della Carta fondamentale, la l. n. 482/1999, recante norme a tutela delle “minoranze linguistiche storiche”, pone infine un punto fermo alle indicazioni del Costituente e alla cornice normativa predisposta dal citato art. 109, comma 2, c.p.p. e tratteggiata dall'esegesi delle supreme magistrature: riconosciuta la primazia dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica, essa promuove dunque in attuazione dell'art. 6 cost. la valorizzazione del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche storiche sul territorio nazionale parlanti:

- albanese,

- catalano,

- tedesco o lingue germaniche affini (sudtirolese, walser, cimbro, mocheno, dialetti bavaro-carinziani),

- sloveno,

- croato,

- francese,

- franco-provenzale,

- occitano,

- friulano,

- ladino,

- sardo.

La delimitazione dell'ambito territoriale (anche subcomunale) in cui si applicano queste disposizioni di tutela è adottata dai singoli consigli provinciali relativamente ai comuni sul cui territorio insista comunque una delle minoranze linguistiche sopra elencate (art. 3, l. n. 482/1999).

Si tratta di un ambito geografico e demografico tutt'altro che trascurabile: quasi due milioni e mezzo di persone (in particolare e tra l'altro, un milione per gli idiomi sardi, seicentomila per il friulano e trecentomila per le lingue germaniche residenti) in oltre millecento comuni di quattordici regioni (l'intera Valle d'Aosta, pressoché la totalità della Sardegna e del Friuli-Venezia Giulia, tutta la provincia di Bolzano, zone significative del Piemonte occidentale e settentrionale e del Veneto settentrionale, aree minori nella provincia di Trento e in Liguria, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia).

Nonostante numerose critiche di ordine scientifico (si dubita della fondatezza dogmatica della distinzione tra le varie espressioni del cosiddetto gruppo italoromanzo, ovverosia la lingua nazionale italiana e le sue varianti dialettali, e gli idiomi riconosciuti come minoranze storiche) e politico (restano escluse le “alloglossie interne” ovvero le minoranze linguistiche trasferitesi dalle sedi storiche, le minoranze non territorializzate come i rom e i sinti che utilizzano il romanì, le comunità non italofone di recente immigrazione), l'impatto della tutela delle cosiddette “lingue di minoranza” è comunque imponente. Tra le varie conseguenze pratiche di queste norme, occorre registrare i significativi riflessi processuali per quanto attiene a cittadini italiani non tecnicamente alloglotti, ma comunque rientranti in una delle minoranze linguistiche riconosciute.

Per l'applicazione di queste disposizioni, il richiedente deve fornire al Giudice la prova:

- dell'appartenenza della propria lingua al novero di quelle ammesse a tutela, senza che sia imposta da alcuna norma di legge una preventiva verifica officiosa da parte del Giudice (Cass. I, n. 12974/2014);

- della formale inclusione del territorio di residenza tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi, emanati al fine di delimitare l'ambito territoriale di applicazione delle suddette norme di tutela, mediante allegazione degli stessi (in quanto atti privi di natura normativa, che non devono perciò essere conosciuti d'ufficio dal Giudice. Cfr. Cass. IV, n. 51812/2014).

Adempiuto a questo onere di allegazione, il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, nell'ambito di ogni procedimento pubblico che lo riguardi, ha il diritto di essere interrogato o esaminato nella lingua di appartenenza e di ricevere tradotti gli atti del procedimento, a condizione che ne faccia richiesta (Cass. IV, n. 10198/2015).

Questa posizione giuridica è prevista solo per gli atti procedimentali tassativamente indicati: quanto all'interpretazione, nello specifico, per i soli interrogatorio ed esame. Nel caso di atti diversi (ad esempio, assunzione di sommarie informazioni, escussione di un teste o di un'altra categoria di dichiarante o di un consulente tecnico o un perito) varranno invece le garanzie linguistiche dettate in via generale dall'art. 143 c.p.p. ovvero eventuali normative speciali.

La lingua tedesca nella Provincia di Bolzano

Le previsioni generali previste dall'art. 109 c.p.p. e dalla l. n. 482/1999 tutelano infatti tutte le suddette minoranze linguistiche, facendo però salve eventuali disposizioni di favore previste dagli Statuti regionali o da altre norme speciali.

Rispetto all'enorme latitudine applicativa della legge “quadro”, il panorama normativo che disciplina le singole comunità linguistiche non è particolarmente vasto, tranne la significativa eccezione della tutela dei germanofoni residenti nella Provincia di Bolzano.

Hanno diritto di essere interrogati o esaminati con l'assistenza di un interprete nei processi in lingua tedesca o italiana i cittadini appartenenti alla minoranza ladina residenti nella Provincia di Bolzano (art. 324, d.P.R. n. 574/1988 cit.) o in quella di Trento (d.lgs. n. 592/1993).

L'art. 83, l. n. 38/2001 sulla tutela della minoranza linguistica slovena in Friuli-Venezia Giulia si limita a richiamare, di fatto in maniera pleonastica, quanto disposto dall'art. 109 c.p.p.

Sono invece molto più articolate, come detto, le norme dettate sull'uso del tedesco nel Trentino-Alto Adige, dal d.P.R. n. 574/1988, a mente del quale la lingua tedesca è parificata a quella italiana, che è la lingua ufficiale dello Stato, nell'attività svolta dal personale degli organi e degli uffici sotto specificati (e dalle forze di polizia “in tutti i casi in cui vengono compiuti atti che riguardano l'attività di polizia in genere, ovvero sono destinati ad avviare un'azione penale o comunque provochino una sanzione”):

- nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi e tributari situati nella provincia di Bolzano;

- nei rapporti con la Corte d'appello, la Corte di assise d'appello, la sezione della Corte di appello per i minorenni, la procura generale presso la Corte d'appello, il tribunale per i minorenni, il tribunale di sorveglianza e l'ufficio di sorveglianza, con sede in provincia di Trento ma con competenza anche in provincia di Bolzano.

Gli uffici e gli organi giudiziari suindicati devono servirsi, nei rapporti con i cittadini della provincia di Bolzano e negli atti cui gli stessi sono interessati, della lingua usata dal richiedente.

In caso di arresto in flagranza, di fermo o di esecuzione di una misura cautelare personale ovvero di un altro atto posto in essere nei confronti di una persona presente (ad esempio, perquisizione, ispezione, identificazione personale, etc.), la polizia giudiziaria deve chiedere al destinatario dell'atto quale sia la sua lingua materna e gli atti sono redatti nella lingua indicata. Se l'interessato si rifiuta di rispondere, si procede o si continua a procedere “nella presunta lingua materna da determinarsi in base alla notoria appartenenza della persona stessa ad un gruppo linguistico ovvero in base ad altri elementi eventualmente già acquisiti”.

Tutti gli atti già formati in sede di indagini preliminari che fanno parte del fascicolo del Pubblico Ministero redatti in una lingua diversa da quella dichiarata sono tradotti, se devono essere messi a disposizione dell'indagato.

Il Pubblico Ministero, dopo avere proceduto all'iscrizione nel registro delle notizie di reato, forma gli atti nella presunta lingua materna della persona sottoposta alle indagini. Quest'ultima, entro il termine perentorio di giorni quindici da quando abbia notizia della pendenza del procedimento, ha facoltà di richiedere che il procedimento prosegua nell'altra lingua. In tal caso, il magistrato inquirente dispone la traduzione degli atti posti in essere fino a quel momento, mentre i documenti, le consulenze tecniche e le perizie sono tradotti solo a richiesta di parte.

Nella lingua così individuata, si svolgono l'udienza preliminare e il giudizio, anche abbreviato. L'errata individuazione della lingua presunta ad opera dell'autorità procedente non comporta alcuna nullità, ex art. 18-bis, d.P.R. n. 574/1988, come modificato dall'art. 8, d.lgs. n. 124/2005. Tuttavia, l'imputato, in tal caso, ha la facoltà di chiedere entro quindici giorni dalla ricezione dell'atto che il procedimento prosegua nella propria e diversa lingua materna, e solo nell'ipotesi in cui questa richiesta sia disattesa si determina una nullità assoluta che consegue esclusivamente all'avvenuta scelta della lingua (Cass. V, n. 664/2013, relativa a processo celebrato nella provincia di Bolzano nei confronti di un imputato di madrelingua italiana a cui erano stati notificati l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. e il decreto di citazione a giudizio in lingua tedesca).

Se più imputati o la parte civile utilizzano una lingua diversa il processo è bilingue (in tal caso, ogni parte usa la propria lingua e, salvo rinuncia, gli interventi orali delle parti sono immediatamente tradotti; gli interventi del Pubblico Ministero, le sue richieste e le requisitorie orali o scritte sono pronunciate o redatte in entrambe le lingue; la verbalizzazione avviene in forma bilingue; i provvedimenti del Giudice sono redatti in entrambe le lingue).

Gli interventi orali con i quali si sollevano questioni preliminari o si svolgono le difese, se svolti da difensori di fiducia di madrelingua diversa dalla lingua del processo, possono essere pronunciati nell'altra lingua e sono immediatamente tradotti e verbalizzati nella lingua del processo, salva rinuncia delle parti. L'audizione dei testimoni, consulenti tecnici e periti viene svolta nella lingua da essi prescelta, procedendosi anche in questo caso alla immediata traduzione e verbalizzazione nella lingua del processo.

Non oltre l'apertura del dibattimento, l'indagato o l'imputato possono chiedere formalmente che la prosecuzione del procedimento abbia luogo nell'altra lingua. La lingua del processo osservata nella fase conclusiva del giudizio di primo grado si estende al giudizio di appello, ma l'imputato ha la facoltà di richiedere, per una sola volta ancora, un ulteriore “switch linguistico”. Il procedimento di esecuzione si svolge nell'ultima lingua del processo di merito.

L'inosservanza delle suddette disposizioni è causa di nullità, a meno che la parte interessata alla traduzione della deposizione non vi abbia esplicitamente o implicitamente rinunciato (Cass. III, n. 11096/2013, P. e altro, che ha qualificato come rinuncia implicita la mancata formulazione di obiezioni in relazione al provvedimento che aveva disposto la riproduzione dell'intera attività di udienza mediante registrazione, per la impossibilità di avvalersi del servizio di stenotipia, e la verbalizzazione in forma riassuntiva nella lingua del processo).

In ogni caso, le scelte dell'indagato/imputato non possono essere coartate sulla base dei diritti riconosciuti in via generale alla sua comunità di appartenenza: il sistema di tutela, nella sua coordinazione tra norme nazionali e legislazione regionale, non prevede nessuna compressione delle libertà dei singoli, anche se dirette ad esempio alla rinuncia alla facoltà di avvalersi della propria lingua natale, a fronte degli interessi della collettività linguistica.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario