Ricorso per cassazione contro ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 d.P.R. n. 448/1988)

Francesca Tribisonna

Inquadramento

Avverso l'ordinanza con la quale il processo viene sospeso per la messa alla prova dell'imputato minorenne è possibile proporre ricorso per cassazione teso ad ottenere una pronuncia più favorevole per il minore.

Formula

n..... R.N.R.

ALL'ECC.MA CORTE DI CASSAZIONE

Il sottoscritto Avv....., del Foro di...., con Studio in...., via...., difensore (di fiducia/d'ufficio) di...., nato a...., il...., residente in...., via...., imputato nel procedimento penale n..... R.N.R. per il/i reato/i di cui all'art. /agli artt....., propone

RICORSO PER CASSAZIONE

avverso l'ordinanza n....., del...., con la quale il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di.... oppure il Tribunale per i minorenni di.... ha sospeso il processo con messa alla prova del proprio Assistito.

Il ricorso per cassazione si propone per i seguenti motivi:

(illustrare dettagliatamente i motivi di legittimità sui quali si fonda l'impugnazione ex art. 606 c.p.p., ad esempio violazione di legge o vizio di motivazione per:)

– sussistenza di una causa di proscioglimento con formula più favorevole;

– insussistenza dei presupposti per accedere al beneficio;

– mancanza di indagine sulla personalità del minore;

– mancanza di audizione delle parti;

– progetto di messa alla prova non predisposto dal servizio, difforme da quello indicato dal servizio, con prescrizioni troppo gravose o sul quale non si è attivato il contraddittorio o il minore non ha prestato il consenso.

Alla luce di quanto sopra esposto, il sottoscritto difensore, nell'interesse del minore....,

CHIEDE

che l'Ill.ma Corte di Cassazione adita Voglia:

– annullare l'impugnata ordinanza e trasmettere gli atti al giudice procedente per la ripresa del procedimento da dove è stato sospeso.

Con osservanza.

Luogo e data....

Firma avvocato....

Commento

La sospensione del processo e messa alla prova. Principi generali

L'istituto della sospensione del processo e messa alla prova costituisce, in uno con il perdono giudiziale e l'irrilevanza del fatto, una delle modalità alternative di definizione del procedimento minorile. In ossequio al principio di minima offensività del processo, tale istituto favorisce la rapida fuoriuscita del minore dal circuito giudiziario, nel convincimento che, al ricorrere di determinate condizioni, le esigenze strettamente processuali ben possano soccombere dinanzi alla immediata presa in carico del minore, con la correlata attivazione di strategie alternative di recupero, risocializzazione e supporto e con il connesso riassorbimento spontaneo del fatto deviante. Questo è il motivo per il quale l'istituto in questione viene ricompreso tra le cd. tecniche di “diversion”, che è un termine di origine anglosassone con il quale si indicano gli istituti che consentono la gestione del caso al di fuori delle dinamiche giudiziarie e con strumenti differenti da quelli a disposizione del processo. In particolare, la messa alla prova viene ricompresa nelle cd. ipotesi di “diversion condizionata” o “con prescrizioni”, che comporta il dirottamento della vicenda penale dal binario giudiziario a quello amministrativo, dalle logiche del sistema punitivo a quelle dell'assistenza sociale, per favorire l'immediata attivazione di misure di sostegno, responsabilizzazione e risocializzazione del minorenne imputato (Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 228).

Trattandosi poi di istituto che promuove la crescita, la protezione e la promozione del minore ex art. 31, comma 2 e 27, comma 3 Cost., esso implica anche un'attività rieducativa da portare avanti secondo il principio di individualizzazione del trattamento, mediante la sua costruzione in ragione delle caratteristiche e dell'interesse del minore e partendo dalle risorse personali, familiari, sociali e ambientali a sua disposizione.

L'unico precedente dell'istituto da cui esso trae diretta ispirazione è il cd. “probation”, tipico del diritto anglosassone, da cui però si differenzia intervenendo nel corso del processo – tanto da aver indotto autorevole dottrina a parlare di “probation processuale” (Fadiga, Le regole di Pechino e la giustizia minorile, in Giust. cost., 1989, 2, 16) – e non in un momento successivo alla condanna, così come avviene, ad esempio, con la misura penale di comunità dell'affidamento in prova al servizio sociale (art. 4 d.lgs. n. 121/2018). Sperimentato positivamente nel rito minorile, l'istituto de quo è stato poiesportato – pur con alcune non insignificanti differenze – nel rito degli adulti ad opera della l. n. 67/2014, che ha introdotto nel codice di rito penale il titolo V-bis del Libro VI, dedicato alla “Sospensione del procedimento con messa alla prova” [v. formula “Istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-bis, comma 1)”]. Le differenze tra le due discipline sono notevoli; come di recente chiarito dai giudici della Consulta, la messa alla prova per adulti avrebbe addirittura prevalenti funzioni sanzionatorie (Corte cost. n. 75/2020 e Corte cost., n. 68/2019). In forza del principio di sussidiarietà di cui all'art. 1, comma 1, d.P.R., si deve comunque ritenere che la disciplina minorile non possa essere integrata o modificata con le clausole previste per il suo omologo nel rito per adulti (Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 229, che estende tale preclusione all'istituto affine, benché non identico, di cui all'art. 35 del rito penale di pace di cui al d.lgs. n. 274/2000, nel quale è disciplinata l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, oltreché all'istituto ex art. 162-ter c.p., introdotto dalla l. n. 103/2017 e dedicato alla “estinzione del reato per condotte riparatorie”), atteso peraltro il carattere speciale dell'istituto pensato per i minori e costruito sui rispettivi bisogni e peculiarità.

Nel procedimento minorile, il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo per un periodo determinato quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova ai sensi dell'art. 28, comma 1 d.P.R. La valutazione si fonda sul tipo di reato commesso, le sue modalità attuative, i motivi a delinquere, l'esistenza di eventuali precedenti penali, la personalità, il carattere ed ogni altro elemento utile per la formulazione del giudizio, che deve esprimersi in termini di prognosi di effettivo cambiamento del minore e di positiva evoluzione della sua personalità; prognosi che dovrebbe essere esclusa nel caso in cui emerga che il reato sia indice di un sistema di vita delinquenziale (Cass. IV, n. 15714/2020; Cass. I, n. 26156/2019), che manchi una rimeditazione critica della propria condotta (Cass. III, n. 28670/2020) e che non vi siano possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale (Cass. I, n. 37018/2019).

Secondo la previsione del successivo comma 2, poi, con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Inoltre, il giudice può anche “impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”, che è previsione cui l'art. 83, comma 1, d.lgs. n. 155/2022 di attuazione della l. n. 134/2022 ha aggiunto la locuzione “nonché a formulare l'invito a partecipare, ove ne sussistano le condizioni, a un programma di giustizia riparativa”, potendo così essere attivata la c.d. mediazione penale o altre forme di restorative justice, pur sempre vincolate ad una scelta libera, personale e consapevole del minore. Si tratta di un intervento normativo frutto dell'attuazione del principio di delega contenuto nell'art. 1, comma 18, lett. c), ove si prevede la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale, su iniziativa dell'autorità giudiziaria competente e che ha riguardato anche la disciplina dell'ordinamento penitenziario minorile di cui al d.lgs n. 121/2018 (per alcune brevi osservazioni sulle modifiche apportate dalla Riforma Cartabia sul punto, v. Romano , Norme di coordinamento in materia di processo penale minorile, in Spangher (a cura di), La Riforma Cartabia, Pisa, 2022, 827 s.).

L'attivazione dell'istituto non può prescindere dalla redazione di uno specifico progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali, secondo le indicazioni stabilite ex art. 27 disp. att. min. Tale progetto deve essere idoneo a raggiungere lo scopo della socializzazione del minore e prevedere gli impegni precisi che l'imputato assume, “poiché il patto sottostante al “probation" implica, di fronte alla rinuncia dello Stato a proseguire il processo, l'impegno positivo dell'incolpato al cambiamento e al recupero” (così Cass. II, n. 46366/2012), mediante l'avvio di una rimeditazione critica del suo passato in vista di un costruttivo reinserimento nella vita della collettività (Cass. I, n. 10962/1999; Cass. V, n. 1600/1997; Cass. V, n. 3310/1996).

La durata della prova viene decisa dal giudice e riportata nell'ordinanza applicativa. Normativamente non sono previsti limiti minimi, ma solo massimi, nella misura di tre anni, quando il reato per cui si procede sia astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, mentre di un anno negli altri casi (art. 28, comma 1, d.P.R.). Tuttavia, qualora il periodo inizialmente fissato non sia sufficiente a consentire di poter affermare l'esito positivo o negativo della prova, il giudice può prorogare il termine con prosecuzione della sospensione del procedimento nel rispetto del termine massimo sancito dall'art. 28, comma 1, d.P.R. (Cass. III, n. 4009/2020).

L'esito positivo della prova, accertato dal giudice procedente in apposita udienza, conduce alla dichiarazione di estinzione del reato, secondo il disposto di cui all'art. 29 d.P.R., che è considerato l'indispensabile completamento dell'istituto di cui all'art. 28 (Losana, Sub art. 28 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, in Commento al codice di procedura penale. Leggi collegate. Il processo minorile, in Chiavario (coordinato da), Torino, 1994, 312). Tale dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova, pur costituendo una modalità alternativa di definizione del giudizio penale, non contiene alcun accertamento di merito in ordine alla sussistenza del reato ed alla responsabilità del minorenne, tanto che in un eventuale giudizio civile per i danni, il giudice dovrebbe indagare e valutare, alla luce delle regole probatorie che governano il giudizio civile e del materiale acquisito, la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, compresa la conseguente sussistenza della responsabilità dei genitori per la condotta del proprio figlio ex art. 2048 c.c. (Cass. civ. III, n. 31894/2019).

Invece, in caso di valutazione negativa, il processo riprende da dove si era interrotto, sicché il giudice provvede a norma degli artt. 32 e 33 d.P.R. e, nell'ipotesi in cui si addivenga poi ad una sentenza di condanna, non opera alcun meccanismo di scomputo di una parte della pena inflitta, in proporzione rispetto alla prova eseguita ovvero in conformità al discrezionale apprezzamento del giudice, non trovando applicazione l'art. 657-bis c.p.p. che opera per il corrispondente istituto previsto per gli adulti (Corte cost. n. 68/2019; Cass. I, n. 37035/2019. V. anche Cass. I, n. 16358/2017).

La sospensione del processo e messa alla prova. Tempi

Il provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova può essere adottato, con ordinanza, previa audizione delle parti, dal giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni o, anche, successivamente, dal Tribunale per i minorenni in sede di dibattimento. La decisione può essere presa anche d'ufficio, ma non si può escludere un'eventuale sollecitazione proveniente dalle parti o da altri soggetti, quali gli stessi servizi sociali, gli esercenti la responsabilità genitoriale o i genitori del minore.

Di recente, la Corte costituzionale ha, invece, dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 28 d.P.R. nella parte in cui non prevede che la messa alla prova del minore possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari, considerata la diversità con il correlato istituto previsto per l'adulto e atteso che la finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile si oppone ad un'eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni. Al contrario, la collocazione dopo l'esercizio dell'azione penale assicura che le valutazioni personalistiche siano esercitate su un materiale istruttorio sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici (Corte cost., n. 139/2020).

La fase dell'udienza preliminare è certamente quella privilegiata, anche in considerazione dell'esigenza di ridurre gli effetti nefasti dell'impatto del minore con il processo penale (Spangher, Lineamenti del processo penale minorile riformato, in Giust. pen., 1992, II, c. 207). In tal senso, si è, infatti, osservato come nella logica tesa a garantire una risposta immediata al minore da parte del sistema, il legislatore abbia concepito tale istituto proprio nel corso dell'udienza preliminare, in quanto primo momento utile ad accertare la sussistenza dei presupposti applicativi della misura Colamussi,Mestitz, Devianza minorile e recidiva. Prosciogliere, punire o responsabilizzare?, Milano, 2012, 142). In questa fase, ovviamente, la decisione avviene sulla base degli atti e, dunque, alla luce delle risultanze delle indagini svolte.

In dibattimento, benché in teoria nulla escluda che l'ordinanza sospensiva possa essere pronunciata prima della chiusura dell'istruzione, si è osservato come il dato del necessario accertamento preliminare della responsabilità dovrebbe imporre al giudice di concluderla (Di Nuovo, Grasso, Diritto e procedura penale minorile. Profili giuridici, psicologici e sociali, Milano, 2005, 344 s.).

Ancora, grazie all'intervento della Consulta (Corte cost. n. 125/1992), tale istituto appare applicabile anche in sede di giudizio abbreviato ed immediato, non sussistendo alcuna incompatibilità strutturale ed essendo irragionevole precludere l'ingresso di una misura così particolarmente significativa sotto il profilo rieducativo, con il connesso eventuale beneficio della sentenza dichiarativa di estinzione del reato all'esito positivo della stessa.

Controversa appare, poi, l'ammissibilità della messa alla prova nel corso del giudizio d'appello, secondo taluno contraria alla ratio dell'istituto, teso a limitare al massimo il contatto tra il minore ed il sistema giudiziario ed inutile a distanza di tempo dal fatto, venendo meno l'efficacia rieducativa. Tuttavia, secondo una diversa interpretazione, il ricorso all'istituto in disamina sarebbe ammesso anche in secondo grado, non sussistendo alcuna preclusione in proposito. Se è infatti vero che manca un espresso riferimento normativo in tal senso, questo sarebbe deducibile indirettamente dalla disciplina ad esso riservatagli dall'art. 35 d.P.R. che prevede l'estensione a tale fase delle disposizioni riguardanti il giudizio dinanzi al Tribunale per i minorenni. Inoltre, l'intento primario della prova – che è istituto con carattere sostanziale con effetti premiali – è quello di conseguire la responsabilizzazione del minorenne e il definitivo abbandono della scelta deviante; obiettivi che non sempre possono essere conseguiti precocemente e che appare giusto possano essere raggiunti allorquando ve ne sia l'opportunità. Non ultima la considerazione delle garanzie difensive per l'imputato che abbia visto rigettata la richiesta di messa alla prova o che sia stato condannato e che desideri poter impugnare il provvedimento in grado d'appello per ottenere la concessione del beneficio ove ne ricorrano i presupposti (Colamussi,Mestitz, Devianza minorile e recidiva. Prosciogliere, punire o responsabilizzare?, Milano, 2012, 144). In tal senso, anche la giurisprudenza, a fronte di un primo orientamento contrario, sembra essersi schierata a favore dell'applicabilità dell'istituto in grado di appello (Cass. I, n. 6965/2006; Cass. I, n. 10962/1999). Semmai, com'è stato correttamente osservato, “il punto delicato è a quali condizioni il giudice di seconde cure possa ammettere la prova. Si ritiene infatti da alcuni che in appello il giudice possa disporre la sospensione ex officio, in analogia con altre decisioni, come la concessione della sospensione condizionale o il proscioglimento immediato, che di certo anche senza doglianze di parte il giudice d'appello può adottare (cfr. artt. 597, comma 5 e 129 c.p.p.). Tuttavia a questa ricostruzione si può fondatamente obiettare che i poteri d'ufficio del giudice d'appello sono solo in parte affini a quelli della messa alla prova e anche l'eadem ratio di tale estensione potrebbe risultare sfuggente. Si deve dunque ritenere (come fa la dominante giurisprudenza di legittimità) che la corte d'appello possa applicare la messa alla prova compatibilmente con il principio devolutivo, ossia solo in sede di controllo della decisione di primo grado. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, quando il giudice di primo grado abbia negato ingiustificatamente la messa alla prova legittimamente richiesta, erroneamente omettendo l'indagine sulla personalità ai sensi dell'art. 9, oppure per un'altra ragione” (Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 238). In tale ottica, si è evidenziato che “è inammissibile la richiesta, per la prima volta formulata nel giudizio d'appello, di sospensione del processo per la valutazione della personalità del minorenne, secondo quanto disposto dall'art. 28 d.P.R. n. 448/1988, potendo il giudice d'appello intervenire sul punto solo nell'esercizio del controllo della decisione appellata e, quindi, alla condizione che l'inerzia del giudice di primo grado abbia formato oggetto dei motivi di impugnazione” (Cass. II, n. 11683/2016; conf. Cass. II, n. 35937/2009; Cass. V, n. 21181/2006).

Infine, deve senz'altro escludersi l'ammissibilità dell'istituto in disamina in sede di giudizio di cassazione, data la natura di merito che lo caratterizza.

Il ricorso per cassazione contro l'ordinanza di sospensione del processo e messa alla prova

Così come statuito all'art. 28, comma 3 d.P.R. avverso “l'ordinanza” è ammesso il ricorso per cassazione. Nonostante la laconicità della previsione testuale, l'ordinanza alla quale si riferisce la citata previsione è pacificamente quella di sospensione del processo e messa alla prova, ricorribile, appunto, per motivi di legittimità e vizi di motivazione, ma non di merito.

Sono legittimati al ricorso il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, con la precisazione che l'atto non può essere presentato dalla parte personalmente, ma, a seguito della modifica apportata agli artt. 157 e 613 c.p.p. dalla l. n. 103/2017, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione, non costituendo una deroga a tale principio generale la previsione di cui all'art. 34 d.P.R. che prevede per gli esercenti la potestà genitoriale il diritto di impugnare i provvedimenti relativi al minore (Cass. V, n. 36161/2018).

Per quanto concerne i motivi di ricorso, si osserva come gli stessi siano particolarmente stringenti, non potendosi richiedere alla Corte di cassazione una rivalutazione del merito del processo. Sul punto, i giudici di legittimità hanno reiteratamente osservato che l'ammissione al suddetto beneficio “è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico – insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione – condotto sulla scorta di molteplici indicatori, inerenti sia il reato commesso sia la personalità del reo, da lui manifestati anche in epoca successiva al fatto incriminato” (Cass. I, n. 13370/2013; conf. Cass. IV, n. 16152/2010; Cass. III, n. 27754/2008).

Data la facoltà di impugnativa è necessario che l'ordinanza di sospensione indichi, in maniera almeno sommaria, gli elementi probatori sussistenti allo stato degli atti e relativi alla responsabilità dell'imputato.

Come si è osservato, la difesa potrebbe avere interesse alla citata impugnazione nel caso in cui miri ad una pronuncia di proscioglimento (Basco-De Gennaro, La messa alla prova nel processo penale minorile, Torino, 1997, 64) e magari intenda dolersi del difetto di motivazione in punto di responsabilità del minore, rappresentando in un caso simile l'unico rimedio concesso alle parti per reagire avverso il provvedimento assunto. Altri casi di ammissibilità del ricorso si hanno anche nell'eventualità in cui vi sia stato un deficit di contraddittorio in ordine all'ammissibilità o ai contenuti del progetto (Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 240), essendosi peraltro precisato in giurisprudenza che la mancanza di attivazione di contraddittorio è prevista a pena di nullità di ordine generale del provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova (Cass. IV, n. 4926/2020) e che la nullità conseguente all'omessa interlocuzione con l'interessato sul contenuto del programma può essere fatta valere solo dalla parte interessata ad accedere al beneficio (Cass. VI, n. 25590/2020).

Così accade nel caso in cui siano state imposte prescrizioni considerate troppo gravose o comunque eccentriche rispetto al contenuto del programma di trattamento proposto (Cass. V, n. 25566/2015) e, dunque, la prova sia stata disposta in difformità rispetto al progetto elaborato dai servizi o alla volontà espressa dal minore (Palomba, Il sistema del processo penale minorile, Milano, 2002, 434). In questi casi, infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto illegittimo il provvedimento con cui il giudice, senza la consultazione delle parti e del servizio minorile competente, abbia imposto prescrizioni ulteriori rispetto a quelle stabilite nel progetto di intervento (Cass. V, n. 7429/2014; conf. Cass. VI, n. 22126/2009). Addirittura, i giudici di legittimità hanno affermato come la sospensione del processo in assenza della predisposizione del progetto di intervento da parte dei servizi comporti altresì il vizio di “eccesso di potere” di cui all'art. 606, lett. a), c.p.p. avendo il giudice esercitato un potere – quello relativo alla predisposizione della relazione sull'imputato – riservato all'amministrazione (Cass. V, n. 7576/2004). Sul punto, si è però osservato che, più di recente, la giurisprudenza di legittimità abbia riconosciuto al giudice il potere di inserire nel programma anche prescrizioni di diverso tipo, purchè abbia attivato preventivamente su di esse il contraddittorio tra le parti e la consultazione con i servizi sociali (così Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 241). Del pari, è stata considerata nulla l'ordinanza di sospensione disposta in presenza di una relazione negativa dei servizi e con un progetto di intervento compilato da questi ultimi in esecuzione di disposizioni del giudicante (Cass. IV, 21 luglio 2014). Un'impugnativa, poi, potrebbe essere giustificata anche dall'omissione da parte del giudice di prime cure dell'indagine sulla personalità ai sensi dell'art. 9, con conseguente vizio di motivazione dell'ordinanza sospensiva, ovvero di mancata audizione delle parti sul merito dell'applicazione dell'istituto. Infatti, data la natura pattizia dell'istituto, discende la necessità di un consenso o almeno della non contrarietà del minore, la cui adesione appare indispensabile per la riuscita delle attività di trattamento realizzate nei suoi confronti (Mazza Galanti, Patrone, La messa alla prova nel procedimento penale minorile, in Dei delitti e delle pene, 1993, 2, 161).

Peraltro, poiché la legge prevede per l'ordinanza sospensiva un autonomo mezzo di impugnazione, quale appunto quello in commento, l'eventuale gravame avverso il provvedimento congiuntamente alla sentenza che definisce il merito è da ritenersi tardivo (Cesari, Sub art. 28, in Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al d.P.R.n.448/1988, Milano, 2016, 515).

Al contrario, controversa appare l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia rigettato l'istanza di sospensione del processo e messa alla prova dell'imputato. Secondo i più, a tale quesito dovrebbe darsi una risposta negativa, potendo l'ordinanza di rigetto essere impugnata solo insieme alla sentenza con la quale viene definito il giudizio. Ciò in virtù del principio stabilito dall'art. 586 c.p.p. secondo cui, in assenza di una diversa disposizione di legge, è esclusa l'autonoma impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento (Mussini, Le impugnazioni, in AA.VV., Il processo penale minorile, Santarcangelo di Romagna, 2017, 340 e 247). Secondo un'opposta impostazione, invece, pur minoritaria, le ordinanze riguardanti la messa alla prova sono autonomamente ricorribili in cassazione anche in caso di rigetto poiché in tal senso depongono sia l'interpretazione letterale dell'art. 28, sia la ratio dell'istituto, che è quella di limitare al massimo il contatto traumatico tra il minorenne e il processo penale (Colamussi, La messa alla prova, Padova, 2010, 180 s.). Si è osservato, sul punto, come secondo tali autori non vi sarebbe ragione di negare il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza reiettiva sia in quanto la norma non autorizza distinzioni, facendo testualmente riferimento a qualunque ordinanza in tema di messa alla prova, sia perché il fondamento di questa possibilità risiederebbe nell'esigenza che ogni questione sull'ammissibilità del probation sia risolta tempestivamente, per tutelare il diritto dell'imputato ad ottenere l'attivazione dell'alternativa al processo quanto prima possibile (così Cesari, Le strategie di diversion, in Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, 2021, 240).

Si badi come analoghe problematiche si pongono con riferimento all'individuazione delle tipologie di provvedimenti ricorribili per cassazione nel similare istituto operante nel rito a carico degli adulti [v. formula “Ricorso per cassazione dell'imputato contro l'ordinanza che decide sulla sospensione con messa alla prova (art. 464-quater, comma 7)”].

Peraltro, anche nell'eventualità in cui la messa alla prova, pur inizialmente ammessa, venga poi revocata a seguito di gravi e reiterate violazioni da parte del minore delle prescrizioni impartite con il progetto di intervento, la giurisprudenza di legittimità sembra escludere la possibilità di autonoma ricorribilità per cassazione del suddetto provvedimento di revoca. In tal senso, si è affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza che, ai sensi dell'art. 28, comma 5 d.P.R. dispone la revoca dell'ammissione dell'imputato minorenne alla messa alla prova e sospensione del processo, potendo detto provvedimento essere impugnato unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio, in quanto il predetto art. 28 consente il ricorso per cassazione soltanto nei confronti del provvedimento di ammissione e, a differenza di quanto disposto dall'art. 464-octies c.p.p. per il procedimento che concerne gli adulti, prevede l'immediata ripresa del processo una volta venuta meno l'ordinanza di ammissione della messa alla prova, senza esigere che la revoca sia divenuta irrevocabile” (Cass. I, n. 31027/2020; conf. Cass. I, n. 45140/2017). Per quanto concerne la revoca a seguito di gravi e ripetute trasgressioni, si è chiarito in giurisprudenza come si tratti di un presupposto “sostanziale” del provvedimento, riferibile anche ad una condotta isolata di tale qualità e gravità da escludere la possibilità di una prognosi positiva sull'evoluzione della personalità del minore (Cass. I, n. 1909/2019).

In ogni caso, a norma dell'art. 588 c.p.p., fino all'esito del giudizio di impugnazione, l'esecuzione dell'ordinanza di sospensione e messa alla prova rimane sospesa e il procedimento non potrà riprendere il suo corso fino alla pronuncia della Corte di cassazione. Da ciò consegue che, in caso di rigetto del ricorso, la sospensione avrà seguito; se invece, verrà accolto, il processo riprenderà da dove era stato sospeso, con fissazione di una nuova udienza, preliminare o dibattimentale.

Non esistono particolari formalità, né termini peculiari stabiliti in sede di normativa speciale, con la conseguenza che per entrambi i requisiti ci si dovrà richiamare alle norme previste nel codice di procedura penale e, in particolare, all'art. 606 c.p.p. sull'indicazione dei motivi di ricorso [v. formula “Ricorso per cassazione”].

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