Modello di ricorso per violazione dell'art. 6 CEDU (giusto processo e/o eccessiva durata del procedimento)

Angelo Salerno

Inquadramento

Il “diritto a un equo processo” è sancito dall'art. 6 della CEDU, che stabilisce le garanzie che gli Stati membri devono assicurare ai privati nell'ambito della giurisdizione nazionale, tra cui la pubblicità e la durata ragionevole del procedimento, l'accesso alla Giustizia e l'esercizio dell'attività giurisdizionale da parte di giudici imparziali e indipendenti. La violazione di tali garanzie può essere oggetto di ricorso individuale innanzi alla Corte EDU, che ne assicura il rispetto e l'effettività. Particolare attenzione è dedicata inoltre ai procedimenti penali, oggetto delle previsioni dei paragrafi 2 e 3 dell'art. 6 CEDU.

Formula

Modello di ricorso per violazione dell'art. 6 CEDU (giusto processo e/o eccessiva durata del procedimento)

Commento

Il quadro istituzionale

La Corte EDU ha sede a Strasburgo ed è stata istituita nel 1959 dall'omonima Convenzione, firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore nel settembre del 1953, oggetto di ratifica da parte dell'Italia con legge e ratificata dall'Italia con l. n. 848/1955.

La Corte costituisce un organo giurisdizionale internazionale ed è composta da un numero di giudici corrispondente a quello degli Stati membri del Consiglio di Europa, organizzazione internazionale intergovernativa, il cui statuto è stato sottoscritto il 5 maggio 1949, a Londra, con la finalità di tutelare i diritti umani nella regione europea. Non vi è sovrapposizione tra l'Unione Europea e il Consiglio d'Europa, che costituiscono entità autonome e differenti, stante altresì la non corrispondenza degli Stati membri delle due istituzioni, dal momento che non tutti i quarantasei Stati che aderiscono al Consiglio d'Europa sono Stati membri dell'Unione Europea, come ad esempio la Turchia o l'Ucraina.

I giudici della Corte EDU sono eletti dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sulla base di liste di tre candidati proposte da ciascuno Stato, ed esercitano il loro mandato a titolo individuale, senza rappresentare gli Stati di provenienza, per un periodo non rinnovabile pari a nove anni.

La composizione della Corte è variabile, in quanto i ricorsi palesemente inammissibili sono esaminati da un Giudice unico, mentre un Comitato di tre giudici può pronunciarsi con voto unanime sull'ammissibilità e sul merito nei casi già coperti giurisprudenza consolidata. Diversamente, la decisione è assunta a maggioranza dei componenti di una Camera, in numero di sette. Ciascuna Camera è composta dal Presidente della Sezione cui è assegnato il caso, ossia il Giudice eletto dallo Stato contro cui il ricorso è presentato, nonché da ulteriori cinque giudici, designati a rotazione dal Presidente della Sezione. Sono invece diciassette i componenti della Grande Camera, che esamina i casi rimessi a seguito di remissione da parte di una Camera o di accettazione di apposita richiesta di rinvio delle parti. Siedono nella composizione della Grande Camera il Presidente e il vice Presidente della Corte, nonché i presidenti delle Sezioni, oltre al Giudice eletto dallo Stato contro cui è stato proposto ricorso e altri giudici appositamente sorteggiati.

La Corte EDU svolge funzioni consultive e giurisdizionali. Le prime, ai sensi dell'art. 47 CEDU, consistono nel fornire pareri motivato in ordine all'interpretazione della Convenzione e dei relativi Protocolli, su richiesta del Comitato dei Ministri.

Nello svolgimento della sua funzione giurisdizionale, la Corte viene invece adita su ricorso degli Stati membri, ai sensi dell'art. 33 CEDU, ovvero – a far data dal 1998 – su ricorso individuale di cittadini, organizzazioni non governative o gruppi di individui, ai sensi dell'art. 34 CEDU. La Corte ha competenza riguardo l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei relativi protocolli, ivi compresa la tutela e il rispetto dei diritti e delle garanzie ivi previsti.

Le sentenze della Corte EDU sono motivate e soggette a pubblicazione, vincolando alla decisione assunta gli Stati membri del Consiglio d'Europa che siano stati parte nella controversia. L'esecuzione viene monitorata dal Comitato dei Ministri, ai sensi dell'art. 46 CEDU, cui viene trasmesso il relativo fascicolo e che procede quindi a consultare lo Stato membro interessato per concordare modalità e tempistiche dell'esecuzioni, onde prevenire nuove violazioni della Convenzione. Difatti, ogni Stato membro ha il dovere di evitare il verificarsi di nuove violazioni, mediante adattamento della legislazione vigente o interventi su singoli provvedimenti adottati in violazione della Convenzione, potendo in caso contrario essere sanzionato per le violazioni successive. È altresì previsto il riconoscimento di un'equa riparazione nei confronti del ricorrente vittorioso, a carico dello Stato membro condannato.

Le garanzie previste dall'art. 6, par. 1 CEDU

Il paragrafo 1 dell'art. 6 CEDU prevede che ogni persona abbia diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

Il secondo periodo dell'art. 6, par. 1, CEDU prevede inoltre che la sentenza deve essere resa pubblicamente, consentendo tuttavia di limitare l'accesso alle aule d'udienza da parte della stampa e del pubblico durante tutto o parte del processo. Tali limitazioni sono consentite nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.

Con riferimento all'ambito applicativo dell'art. 6, par. 1, CEDU, occorre distinguere tra la materia civile e quella penale.

In ordine alla materia civile, va evidenziato che la nozione di “diritti e doveri di carattere civile” costituisce una nozione autonoma, che prescinde dunque dalla qualificazione da parte degli ordinamenti nazionali riguardo alla qualità delle parti, alla natura della normativa interna e dell'autorità competente (in questo senso Corte EDU, Grande Camera, 5 febbraio 2015, ricorso n. 22251/2008, Bochan c. Ucraina e CEDU, Grande Camera, 15 marzo 2018, ricorso n. 51357/2007, Naït-Liman c. Svizzera).

Come evidenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU, occorre avere riguardo innanzitutto all'esistenza di una controversia, che abbia ad oggetto un “diritto” riconosciuto dall'ordinamento interno. La controversia deve risultare “reale e seria” e può riguardare non soltanto l'esistenza del diritto ma anche il suo campo di applicazione e le sue modalità di esercizio (Corte EDU, Sez. I, 11 aprile 2018, ricorso n. 38259/2009, Cipolletta c. Italia), con un esito che risulti direttamente determinante per il diritto in questione (Corte EDU, Grande Camera, 25 settembre 2018, ricorso n. 76639/2011, Denisov c. Ucraina; Corte EDU, Grande Camera, 15 marzo 2018, ricorso n. 51357/2007, Naït-Liman c. Svizzera).

In relazione al carattere “civile” dei diritti e doveri oggetto della controversia, la Corte ha riguardo al relativo contenuto e agli effetti sostanziali, prescindendo, come anticipato, dalla qualificazione nel diritto nazionale (Corte EDU, Sez. V, 28 maggio 2020, ricorso n. 17895/2014, Evers c. Germania). L'art. 6, par. 1, CEDU trova applicazione altresì riguardo controversie che risultino avere ripercussioni dirette e significative su un diritto civile di una persona, quand'anche qualificabili come controversie di diritto pubblico nell'ordinamento nazionale (Corte EDU, Grande Camera, 25 settembre 2018, ricorso n. 76639/2011, Denisov c. Ucraina). Dal 2009, la Corte EDU (Corte EDU, Grande Camera, 15 ottobre 2009, ricorso n. 17056/2006, Micallef c. Malta) ha ritenuto estese le garanzie dell'art. 6, par. 1, CEDU anche ai procedimenti cautelari, relativi quindi a misure provvisorie, purché il diritto oggetto della controversia principale, cui accede quella cautelare, presenti carattere civile e la misura provvisoria risulti effettivamente determinante per il diritto in questione.

La CEDU esclude invece dalla materia dei diritti e doveri civili le controversie in materia tributaria (Corte EDU, Grande Camera, 12 luglio 2001, ricorso n. 44759/1998, Ferrazzini c. Italia), o in materia di immigrazione (Corte EDU, Grande Camera, 5 ottobre 2000, ricorso n. 39652/1998, Maaouia c. Francia), o ancora relative ai trattamenti pensionistici (Corte EDU, Sez. II, 11 ottobre 2005, ricorso n. 344/2004, Papon c. Francia).

Con riferimento invece alla materia penale, l'art. 6, par. 1, CEDU fa riferimento alle controversie sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei confronti del cittadino. Il riferimento espresso alla natura “penale” delle accuse richiede di verificare preliminarmente se, alla luce della c.d. concezione autonomista dei reati e delle pene, propria della Corte EDU, le contestazioni mosse nei confronti del cittadino di uno Stato membro presentino natura sostanzialmente penale in relazione al fatto ascrittogli e alle possibili conseguenze sanzionatorie.

I criteri in forza dei quali la Corte EDU può riqualificare gli istituti nazionali, prescindendo dalla formale qualificazione da parte degli Stati membri, sono racconti nel leading case del 1976 (Corte EDU 8 giugno 1976, Ad. Plen., Engel e altri c. Paesi Bassi), e hanno riguardo al carattere generale degli interessi lesi dall'illecito, alla funzione punitiva e afflittiva della sanzione irrogata, nonché alla qualificazione che esso riceve nell'ordinamento di provenienza o negli altri Stati contraenti. Del pari, la Corte ha individuato i criteri che consentono di qualificare una determinata sanzione come penale, valorizzando il collegamento della stessa con un illecito penale, lo scopo dissuasivo o afflittivo che essa persegua, la qualificazione della sanzione nel diritto nazionale e la sede di irrogazione della sanzione, a seconda che si tratti di un procedimento giurisdizionale o meno.

Sul piano giurisdizionale, è necessario verificare inoltre che si sia in presenza di una procedura finalizzata ad accertare la fondatezza dell'accusa, definita quale “notifica ufficiale, proveniente dall'autorità competente, dell'addebito di un reato»” (Corte EDU, 27 febbraio 1980, ricorso n. 6903/1975, Deweer c. Belgio).

Le garanzie istituzionali e procedurali generali

Tanto premesso in ordine all'ambito applicativo del par. 1 dell'art. 6 CEDU, occorre evidenziare che il diritto di accesso a un tribunale ivi stabilito, richiede che le parti dispongano di strumenti giudiziari effettivi per far valere i propri diritti civili (Grande Camera, 15 marzo 2018, ricorso n. 51357/2007, Naït-Liman c. Svizzera). Non si tratta di un diritto assoluto, al pari del diritto a un tribunale, in quanto è consentito agli Stati membri prevedere eventuali restrizioni, purché non risultino tali da compromettere la sostanza del diritto delle parti (Grande Camera, 15 marzo 2018, ricorso n. 51357/2007, Naït-Liman c. Svizzera) e risultino proporzionate rispetto alle legittime finalità perseguite (Corte EDU, Grande Camera, 29 novembre 2016, ricorso n. 76943/2011, Parrocchia Greco-Cattolica di Lupeni e altri c. Romania). Il diritto di accesso a un tribunale deve infatti risultare concreto ed effettivo (Corte EDU, Grande Camera, 5 aprile 2018, ricorso n. 40160/12, Zubac c. Croazia), sicché le norme che disciplinano forme e termini di accesso alla Giustizia devono essere ispirate al principio di certezza del diritto e non impedire alle parti di accedere ai rimedi mediante forme di eccessivo formalismo o poteri arbitrari che determinino una barriera per le parti.

Anche la nozione di Tribunale è svincolata dalla qualificazione degli organi istituzionali da parte dell'ordinamento interno e richiede, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, tre requisiti cumulativi: per essere qualificato come tribunale, l'organo nazionale deve esercitare una funzione giudiziaria, in termini sostanziali, ossia decidere a seguito di un procedimento, su base legale, su questioni di propria competenza (Corte EDU, Grande Camera, 10 maggio 2001, ricorso n. 25781/1994, Cipro c. Turchia). In capo ad un tribunale deve essere dunque ravvisabile un potere decisionale, in termini di “determinazione giudiziaria delle questioni oggetto della controversia” (Corte EDU, Plenaria, 23 ottobre 1995, ricorso n. 8848/1980, Benthem c. Olanda); non sarà quindi sufficiente il potere di emettere pareri consultivi e quindi non vincolanti.

Occorre altresì che si tratti di un organo giudiziario, inserito nell'ambito dell'apparato giudiziario dello Stato membro, quand'anche presenti una competenza specifica, purché con le necessarie e adeguate garanzie (Corte EDU, Plenaria, 8 luglio 1996, ricorso n. 9006/1980; 9262/1981; 9263/1981; 9265/1981; 9266/1981; 9313/1981; 9405/1981, Lithgow e altri c. Regno Unito).

Ulteriore requisito perché un organo nazionale possa essere qualificato come tribunale ai fini dell'applicazione dell'art. 6, par. 1, CEDU attiene alla sua indipendenza dal potere esecutivo e imparzialità rispetto alle parti e all'oggetto della causa (Corte EDU, Grande Camera, 1 dicembre 2020, ricorso n. 26374/2018, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda).

Occorre infine che il tribunale sia composto da giudici dotati di requisiti di competenza tecnica e integrità morale, mediante una rigorosa procedura di nomina che garantisca la scelta dei candidati più qualificati (Corte EDU, Grande Camera, 1 dicembre 2020, ricorso n. 26374/18, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda). Come espressamente previsto dall'art. 6, par. 1, CEDU, il tribunale dovrà essere costituito per legge, ossia in conformità con la legge dell'ordinamento di appartenenza, onde tutelare la magistratura da influenze esterne (Corte EDU, Grande Camera, 1 dicembre 2020, ricorso n. 26374/2018, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda).

Tanto premesso in ordine ai requisiti istituzionali richiesti dalla Convenzione, occorre dare atto dei requisiti procedurali che l'art. 6, par. 1, CEDU prevede, a cominciare dall'equità del processo, c.d. giusto processo, definito dalla Corte EDU come “uno dei fondamentali principi di qualsiasi società democratica, ai sensi della Convenzione” (Corte EDU, Plenaria, 8 dicembre 1993, ricorso n. 7984/1977, Pretto e altri c. Italia). Il processo può ritenersi equo se si svolge nel contraddittorio tra le parti, secondo il principio della parità delle armi (Corte EDU, Grande Camera, 19 settembre 2017, ricorso 35289/2011, Regner c. Repubblica Ceca), mantenendo un giusto equilibrio tra le parti nella fase di accesso e durante lo svolgimento del procedimento. La Corte EDU richiede altresì una sufficiente motivazione delle decisioni dei giudici, tale da consentire alle parti di comprendere la decisione e apprezzarne il giudizio, avvalersi in maniera efficace delle eventuali impugnazioni. La portata dell'obbligo di motivazione può tuttavia variare a seconda della natura della decisione.

È inoltre prevista la pubblicità dell'udienza, che costituisce un principio generale sancito dalla Convenzione, a tutela delle parti rispetto ad una gestione segreta e non trasparente dell'amministrazione giudiziaria. Non si tratta tuttavia di un principio assoluto (Corte EDU, Grande Camera, 23 febbraio 2017, n. 43395/2009, De Tommaso c. Italia) ed è espressamente prevista la possibilità di limitare l'accesso alla stampa o al pubblico, per esigenze di morale pubblica, ordine pubblico e sicurezza nazionale, in una società democratica, fermo il limite della proporzionalità tra la limitazione prevista e il fine perseguito (Corte EDU, Sez. I, 7 settembre 2007, ricorso n. 66941/2001, Zagorodnikov c. Russia), ovvero quando vengano in rilievo interessi di minori o la protezione della vita privata delle parti, come nei procedimenti per affido di minori o controversie relative alla vita privata della famiglia (Corte EDU, Sez. I, 21 dicembre 2006, ricorso n. 12643/2002, Moser c. Austria). Tali limitazioni sono infine ammesse, nei limiti del necessario, nel caso di pericolo per gli interessi della giustizia insito nella pubblicità dell'udienza, che possa cioè esporre a pericolo la sicurezza e la riservatezza dei testimoni.

Ulteriore e altrettanto rilevante principio generale, sancito dall'art. 6, par. 1, CEDU, consiste nella previsione della ragionevole durata dei procedimenti giudiziari.

La ragionevolezza della durata del processo va valutata in concreto, valutando gli eventuali ritardi cumulativamente e non già in relazione a ciascuna fase del procedimento (Corte EDU, Grande Camera, 27 giugno 2017, ricorso n. 913/2013, Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy c. Finlandia) e tenendo altresì in considerazione i ritardi derivati da vizi procedurali che abbiano determinato la regressione del procedimento (Corte EDU, Grande Camera, 25 giugno 2019, ricorso n. 41720/2013, Nicolae Virgiliu Tănase c. Romania).

I criteri di valutazione della ragionevole durata del processo, come indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU, consistono nella complessità della causa, nella condotta del ricorrente e delle autorità competenti, e nella posta in gioco per il ricorrente nella controversia (Corte EDU, Grande Camera, 29 novembre 2016, ricorso n. 76943/2011, Parrocchia Greco-Cattolica di Lupeni e altri c. Romania).

A fronte delle numerose e ricorrenti condanne inflitte all'Italia dalla Corte EDU, per violazione della ragionevole durata del processo, il legislatore ha introdotto, con l. n. 89/2001, c.d. Legge Pinto, misure volte ad accelerare, da un lato, la durata del procedimento, nonché a riparare i pregiudizi derivati alle parti, come previsto dalla Convenzione.

È stato infatti previsto il riconoscimento di una indennità in favore delle parti a fronte della violazione della ragionevole durata del processo, in ossequio della previsione di cui all'art. 41 CEDU.

Qualora la parte che abbia subito un procedimento di durata irragionevole ottenga il riconoscimento della violazione della Convenzione da parte degli organi giurisdizionali nazionali, nonché un'adeguata riparazione per il pregiudizio subito, almeno pari a quello che gli sarebbe stato riconosciuto dalla Corte EDU, questi non potrà adire per i medesimi motivi il Giudice sovranazionale (Corte EDU 29 marzo 2006, ricorso n. 36813/1997, Grande Camera, Scordino n. 1 c. Italia; Corte EDU 29 marzo 2006, ricorso n. 64886/2001, Cocchiarella c. Italia, Grande Camera; Corte EDU 18 maggio 2006, Garino c. Italia).

Le garanzie dell'art. 6 CEDU in ambito penale

Con particolare riferimento Riguardo alla materia penale, il paragrafo 2 dell'art. 6 CEDU sancisce che ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata, affermando così una presunzione di innocenza, analoga a quella di non colpevolezza di cui al comma 2 dell'art. 72 Cost.

Il paragrafo 3 elenca invece i diritti dell'accusato, tra cui il diritto di:

a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa formulata a suo carico;

b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c) difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

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