Richiesta del sorvegliato speciale di essere autorizzato ad allontanarsi temporaneamente dal Comune di residenza (art. 12 d.lgs. n. 159/2011)

Corinna Forte

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 159/2011, quando ricorrono gravi e comprovati motivi di salute, le persone sottoposte all'obbligo di soggiorno possono essere autorizzate a recarsi in un luogo determinato fuori del comune di residenza o di dimora abituale, ai fini degli accertamenti sanitari e delle cure indispensabili, allontanandosi per un periodo non superiore ai dieci giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio; l'autorizzazione può essere concessa, nel medesimo limite temporale, anche quando ricorrono gravi e comprovati motivi di famiglia che rendano assolutamente necessario ed urgente l'allontanamento dal luogo di soggiorno coatto.

La domanda dell'interessato deve essere proposta al presidente del tribunale competente ai sensi dell'art. 5; nei casi di assoluta urgenza la richiesta può essere presentata al presidente del tribunale competente ai sensi dell'art. 5, il quale può autorizzare il richiedente ad allontanarsi per un periodo non superiore a tre giorni, oltre al tempo necessario per il viaggio.

In passato, prima dell'entrata in vigore del codice antimafia, la giurisprudenza di merito aveva sostenuto la possibilità di applicare in maniera più ampia l'art. 7-bis della previgente l. n. 1423/1956, che consentiva di autorizzare il sottoposto ad allontanarsi dal Comune di soggiorno obbligato solo per gravi e comprovati motivi di salute.

La disposizione, infatti, se raffrontata al sistema delle misure di prevenzione, doveva considerarsi eccezionale ma, a ben vedere, era essa stessa espressione di un principio generale, addirittura di rango costituzionale (vd. artt. 13, comma 2, 27 comma 3, 32 comma 2 Cost.), ovvero quello secondo cui le misure comunque restrittive della libertà personale non possono in nessun caso essere contrarie al senso di umanità.

Quindi, proprio la soddisfazione di tale principio generale caratterizzava, dal punto di vista teleologico, la norma in questione; ne conseguiva che non si vedeva perché non potesse essere estesa analogicamente, oltre il limite della massima portata semantica delle espressioni linguistiche utilizzate dal legislatore, anche ai casi simili.

Doveva, quindi, concludersi che il soggiornante obbligato potesse essere autorizzato ad allontanarsi dal luogo di soggiorno coatto, così come la persona sottoposta al divieto di soggiorno può essere autorizzata a recarsi nei luoghi in cui gli è interdetto il soggiorno, non solo quando ricorressero “gravi e comprovati motivi di salute”, ma altresì in presenza di gravi e comprovati motivi di famiglia o lato sensu affettivi (ad es. decesso di uno stretto congiunto o suo imminente pericolo di morte) ovvero di lavoro (ad es. partecipazione a un concorso o a un esame).

Ciò in linea generale.

Spettava, poi, al giudice competente valutare se i motivi addotti fossero effettivamente, oltre che “comprovati”, anche “gravi”; se, cioè, le esigenze prospettate non potessero essere soddisfatte se non concedendo l'autorizzazione in questione, e, in caso positivo, se fosse necessario adottare opportune cautele (ad es. mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni).

Formula

Al Sig. Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di....

Il sottoscritto Avv..... del Foro di.... con studio in.... alla via...., difensore di fiducia di.... nato a...., nei cui confronti è stato emesso in data.... dal Tribunale di.... decreto con il quale è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di....;

PREMESSO

che con il citato decreto egli è stato ritenuto appartenente al clan camorristico....;

che detto decreto è divenuto definitivo dal....;

rilevato che l'esecuzione di detta misura è iniziata in data.... e che la stessa è ancora in corso, residuando anni due di sorveglianza speciale di P.S.;

che in data.... è deceduto il padre del sottoposto e che in data.... sono stati fissati i funerali, che si terranno nel Comune di....;

CHIEDE

L'autorizzazione del sottoposto uscire dal comune di residenza il giorno.... al fine di recarsi in.... e partecipare ai funerali del padre, deceduto in data.....

Allega i seguenti documenti, a riprova di quanto rappresentato (es. stato di famiglia, certificato di morte, dichiarazione del parroco della chiesa, etc.....)

Con osservanza

Luogo e data....

Firma....

Commento

L'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di soggiorno obbligato

Per lungo tempo l'autorizzazione derogatoria all'allontanamento dal luogo di soggiorno obbligato, prevista in origine dall'art. 7-bis l. n. 1423/1956 per i soli soggiornanti obbligati e limitatamente all'ipotesi in cui ricorressero “gravi e comprovati motivi di salute”, è stata configurata dalla giurisprudenza come un rimedio eccezionale, non estensibile in via analogica oltre i casi espressamente previsti.

Pertanto la giurisprudenza negava, da una parte, che il soggiornante obbligato potesse essere autorizzato ad allontanarsi dal luogo di soggiorno coatto per ragioni diverse dai citati “gravi e comprovati motivi di salute” e, d'altra parte, che la disciplina dettata dall'art. 7-bis cit. potesse estendersi ai soggetti sottoposti alla diversa misura di prevenzione del divieto di soggiorno.

La dottrina, pressoché unanimemente, escludeva la possibilità di un'interpretazione estensiva della norma.

Anche la Corte costituzionale aveva riconosciuto, dal suo punto di vista, la correttezza di tali conclusioni, dichiarando manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità della norma in questione, sollevata proprio sul rilievo della disparità di trattamento tra i soggiornanti obbligati e i detenuti e gli internati per i quali, invece, l'art. 30 della l. n. 354/1975 prevedeva la possibilità della concessione di un permesso anche per ragioni familiari “di particolare gravità” (Corte cost. n. 722/1988).

Successivamente la Consulta era stata sollecitata a verificare la compatibilità dell'art. 7-bis con l'art. 19 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, e di esercitarne il culto in privato e in pubblico, proprio nella parte in cui prevedeva la possibilità di autorizzazione ad allontanarsi dal comune di soggiorno obbligato esclusivamente per ragioni di salute e non anche per la professione in forma associata della propria fede.

La questione fu però dichiarata infondata, in primo luogo perché le misure che la legge, nel rispetto dell'art. 13 della Costituzione, autorizza a prendere per garantire il compito statuale di assicurare la protezione del bene primario della sicurezza pubblica possono comportare limitazioni direttamente sulla libertà personale e, come nel caso in esame, anche sulla libertà di circolazione e soggiorno del soggetto considerato socialmente pericoloso, ripercuotendosi inevitabilmente su altri diritti del cui esercizio esse costituiscono il presupposto.

Inoltre, si osservò che la misura di prevenzione in questione non incideva di per sé direttamente – ma solo indirettamente ed eventualmente – sull'esercizio del diritto di professare la propria religione se e quando, per ragioni indipendenti dalla legge e derivanti soltanto dalla diffusione sul territorio di una determinata confessione religiosa, nel comune del soggiorno obbligato non esistesse una comunità organizzata di fedeli, alle cui attività il prevenuto potesse partecipare.

Per questo profilo, concluse la Corte, la possibile limitazione all'esercizio della libertà religiosa in forma organizzata non si differenzia da tutte le altre “normali conseguenze” che possono discendere dall'imposizione di limiti alla libertà personale e alla libertà di circolazione e soggiorno e che possono riguardare non solo il diritto previsto dall'art. 19 della Costituzione, ma anche, ad esempio, quelli previsti nell'art. 4, nell'art. 32 e nell'art. 33 della Costituzione.

Il sistema di contemperamento, previsto specificamente per permettere di usufruire di cure mediche necessarie in casi eccezionali, non potrebbe quindi secondo i giudici essere esteso al caso del diritto di libertà di culto in forma associata; decisivo è, sul punto, osservare che la sospensione degli obblighi del sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno per consentire la partecipazione periodica e continuativa a cerimonie religiose sarebbe in insuperabile contraddizione con le esigenze in vista delle quali la misura di prevenzione è stata adottata, come risulta evidente sia dalla circostanza che l'autorizzazione dovrebbe valere in generale per tutta la durata della misura, sia dall'ovvia impossibilità di assicurare idonee misure di pubblica sicurezza nei luoghi di culto e durante la celebrazione di cerimonie religiose.

Da ciò risulta che l'ipotizzata estensione dell'art. 7-bis della l. n. 1423/1956 dal campo del diritto alla salute a quello del diritto di culto non rappresenterebbe un contemperamento idoneo tra esigenze costituzionali da armonizzare, ma semplicemente la vanificazione dell'una a favore dell'altra (così Corte cost. n. 309/2003).

In epoca più recente, peraltro, si è venuto affermando nella giurisprudenza della Suprema Corte un diverso e meno rigoroso orientamento, secondo cui l'art. 7-bis l. n. 1423/1956 sarebbe stato estensibile in via analogica anche ai casi in cui l'allontanamento dal luogo di soggiorno obbligato fosse reso necessario da gravi e comprovati motivi di famiglia o di lavoro e anche, mutatis mutandis, alle persone sottoposte al divieto di soggiorno (cfr. Cass. I, n. 44152/2003; Cass. I, n. 46935/2003, emesse dopo la sentenza n. 309/2003 della Corte costituzionale).

I giudici di merito hanno aderito, in massima parte, a questa seconda prospettazione, sostenendo che se è vero che una norma può dirsi eccezionale quando regola una data fattispecie in maniera antitetica rispetto alla disciplina generale, lo è altrettanto che un rapporto regola-eccezione ha un senso solo se si delineano i confini dell'insieme da considerare e che per esempio, se si prende come ambito di riferimento l'insieme normativo penale, si ricaverà che le norme che prevedono le cc.dd. scriminanti – in quanto rendono lecite o, comunque, non punibili condotte generalmente punibili – sono norme eccezionali, laddove ognuna di esse singolarmente considerata è una norma regolare, espressione di un principio generale dell'ordinamento (qui iure suo utitur neminem laedit, vim vi repellere licet, ecc.).

Lo stesso deve dirsi in relazione alla norma di cui al cit. art. 7-bis la quale, se raffrontata al sistema delle misure di prevenzione, non può che considerarsi eccezionale, ma che, a ben vedere, è essa stessa espressione di un principio generale, addirittura di rango costituzionale (vd. artt. 13, comma 2, 27, comma 3, 32, comma 2 Cost.): quello secondo cui le misure comunque restrittive della libertà personale non possono in nessun caso essere contrarie al senso di umanità.

Orbene, non poteva dubitarsi che proprio la soddisfazione del menzionato principio generale caratterizzasse, dal punto di vista teleologico, la norma in questione; quindi, essa avrebbe ben potuto venire estesa analogicamente, oltre il limite della massima portata semantica delle espressioni linguistiche utilizzate dal legislatore, anche ai casi simili.

Doveva, quindi, concludersi che il soggiornante obbligato potesse essere autorizzato ad allontanarsi dal luogo di soggiorno coatto, così come la persona sottoposta al divieto di soggiorno può essere autorizzata a recarsi nei luoghi in cui gli è interdetto il soggiorno, non solo quando ricorressero “gravi e comprovati motivi di salute”, ma altresì in presenza di gravi e comprovati motivi di famiglia o lato sensu affettivi (ad. es. decesso di uno stretto congiunto o suo imminente pericolo di morte), ovvero di lavoro (ad es. partecipazione a un concorso o a un esame).

Ciò in linea generale.

Competeva, poi, al giudice competente valutare se i motivi addotti fossero effettivamente, oltre che “comprovati”, anche “gravi”; se, cioè, le esigenze prospettate non potessero essere soddisfatte se non concedendo l'autorizzazione in questione, e, in caso positivo, se fosse necessario adottare opportune cautele (ad es. mediante l'imposizione di specifiche prescrizioni).

Secondo tali criteri la Suprema Corte ha affermato (Cass. I, n. 27576/2010) che alla persona sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un determinato comune può essere concessa l'autorizzazione ad allontanarsene per soddisfare esigenze di salute gravi e temporanee, o per fronteggiare gravi e contingenti ragioni familiari, ma non anche per soddisfare generiche esigenze correlate al desiderio di mantenere rapporti visivi e personali con i propri parenti. (applicando tale principio al caso di specie, è stata negata l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo del soggiorno obbligato per recarsi ad effettuare un colloquio con il padre detenuto).

Ancora Cass. VI, n. 15163/2014 ha sottolineato che la citata autorizzazione non può essere concessa al fine di soddisfare esigenze correlate all'esercizio del diritto di difesa e suscettibili di essere tutelate in forme alternative compatibili con i limiti imposti dal provvedimento in corso di esecuzione (in applicazione del principio, la Corte ha annullato il provvedimento con cui il tribunale aveva autorizzato il sottoposto a recarsi in un comune limitrofo per un colloquio con il proprio difensore) (così anche Cass. VI, n. 47588/2014).

Le innovazioni introdotte dal decreto n. 159/2011

Proprio tenendo conto della richiamata elaborazione giurisprudenziale il Codice Antimafia, innovando sul punto l'art. 7-bis citato, ha inserito l'inciso secondo il quale l'autorizzazione può essere concessa anche qualora ricorrano gravi o comprovati motivi di famiglia che rendano assolutamente necessario e urgente l'allontanamento dal luogo di soggiorno coatto.

Le motivazioni dovranno essere “gravi”, ovvero di natura particolarmente intensa, non tutelabili se non con l'allontanamento dal luogo di soggiorno obbligato, e “comprovate”, vale a dire motivate in maniera adeguata; nella seconda ipotesi, esse inoltre dovranno essere tali da rendere assolutamente necessario e urgente l'allontanamento.

Peraltro, la giurisprudenza di merito ritiene sussistente la ragione di necessità sottesa alla concessione del permesso anche per ragioni di giustizia e in particolare allorché il sottoposto debba allontanarsi dal comune per presenziare a un processo, rendere dichiarazioni o deposizioni, specificando che in tal caso la facoltà di chiedere la predetta autorizzazione spetta anche all'A.G. cui la legge riconosce un interesse a quella partecipazione (Cass. I, n. 24218/2002).

La Suprema Corte già aveva chiarito (cfr. Cass. I, n. 27576/2010), da un lato, che il rigoroso limite normativo posto (prima del d.lgs. n. 159/2011) alla natura meramente “sanitaria” delle ragioni legittimanti il permesso di allontanamento momentaneo si coniugasse ad esigenze di integrità sanitaria dell'individuo correlate anche ad irrinunciabili aspetti della sua salute psicofisica”, donde il loro possibile correlarsi anche a “contingenti e gravi ragioni familiari”, quali corollario delle primarie esigenze di integrità fisica e psichica dell'interessato.

Ma la stessa decisione, d'altro lato, ha del pari precisato che la limitazione di altri diritti di rango costituzionale diversi da quello alla salute (e alla contingente tutela di strette relazioni familiari) non è irragionevole, costituendo “una scelta del legislatore esercitata nell'ambito di opzioni riservate alla sua discrezionalità e non ingiustificata”, a fronte della prevalenza riconosciuta alle ragioni costituzionali di segno collettivo rappresentate dalla prevenzione di attività criminose sottese alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

Non è, quindi, condivisibile l'interpretazione analogica, avallata da taluna giurisprudenza di merito, che finisca per ammettere l'autorizzazione all'allontanamento anche per soddisfare esigenze correlate al diritto di difesa (si pensi al tipico caso dei colloqui presso lo studio del legale, sito in un comune diverso da quello di soggiorno obbligato).

Ancor più rigoroso l'indirizzo prima citato secondo il quale alla persona sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un determinato comune può essere concessa l'autorizzazione ad allontanarsene per soddisfare esigenze di salute gravi e temporanee o per fronteggiare gravi e contingenti ragioni familiari, ma non anche a fronte di generiche necessità correlate al desiderio di mantenere rapporti visivi e personali con i propri parenti (applicando tale principio al caso di specie, è stata negata l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo del soggiorno obbligato per recarsi ad effettuare un colloquio con il padre detenuto).

Ancora, è bene precisare che l'elemento distintivo tra l'autorizzazione di cui all'art. 12 e la modifica di cui all'art. 11 va individuato nel tipo di giudizio che il collegio è chiamato a formulare, atteso che solo la seconda implica e richiede un giudizio di diminuita pericolosità sociale del sottoposto; ancora, mentre la domanda tesa a soddisfare esigenze di carattere temporaneo va inquadrata nell'ambito dell'art. 12, invece una richiesta che implichi una valutazione circa la persistenza della pericolosità dell'interessato deve essere qualificata come richiesta di modifica delle prescrizioni originarie e quindi vincolata al rispetto delle regole processuali di cui all'art. 11, comma 2 (così Cass. I, n. 9590/2001).

È competente sul punto il tribunale che ha irrogato la misura di prevenzione, anche se il luogo di soggiorno obbligato ricada nella circoscrizione di altro ufficio giudiziario.

Per accentuare il sistema di controllo, l'ultimo comma dell'art. 7-bis della l. del 1956, ripreso dall'art. 12 del Codice Antimafia, prevede che il decreto con cui si concede il permesso venga comunicato all'autorità di pubblica sicurezza che esercita la vigilanza sul soggiornante obbligato, la quale provvede a informare quella del luogo dove l'interessato deve recarsi e a disporre le modalità e l'itinerario del viaggio.

L'autorità di P.S. impartisce le prescrizioni in un atto scritto che l'interessato è tenuto a portare con sé unitamente alla carta di permanenza, di cui all'art. 5 della l. n. 1423/1956. Le prescrizioni riguardano: il mezzo di trasporto da utilizzare per il viaggio di andata e ritorno, gli itinerari, le date, se è possibile, gli orari di arrivo e di partenza.

Si prevede, inoltre, che il soggetto cui è stato concesso il permesso si presenti, ove le condizioni di salute lo consentano, all'ufficio di polizia del luogo di cura.

Il decreto emesso dal tribunale e il decreto presidenziale sono passibili di ricorso per cassazione, che può essere presentato dall'interessato, dal pubblico ministero e, secondo parte della dottrina, anche al difensore del sottoposto, cui spetta la notifica del provvedimento.

Tuttavia, atteso che il ricorso non ha effetto sospensivo e tenuto conto della normale brevità del tempo di fruizione del permesso, in dottrina si sostiene che il procuratore della repubblica non avrebbe più un concreto interesse all'impugnazione allorché lo spatium temporis oggetto del provvedimento concessorio si fosse esaurito prima della fissazione del ricorso stesso.

In tal senso è anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui quando il Pubblico Ministero propone ricorso per cassazione, al fine di ottenere l'esatta applicazione della legge, sussiste l'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, c.p.p. solo se con l'impugnazione possa raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole.

Ne consegue che tale condizione non è integrata quando la vicenda oggetto della pronuncia sia ormai esaurita, a nulla rilevando l'affermazione in astratto di un principio di diritto da applicare nel futuro (fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Pubblico Ministero per violazione di legge avverso il provvedimento di autorizzazione al sorvegliato speciale di allontanarsi dal luogo di soggiorno obbligato, del quale era intervenuta esecuzione, non contrastata da una specifica richiesta di sospensione, ai sensi dell'art. 666 comma 7, c.p.p.).

Dopo alcune oscillazioni, l'opinione prevalente è consolidata nel senso che il periodo fruito in regime di autorizzazione sia computabile ai fini della decorrenza del periodo di sottoposizione, considerando che il tempo del permesso non è libero, ma connotato dall'esistenza di vincoli che il sottoposto è comunque tenuto a rispettare, di talché la misura non risulta in alcun modo sospesa o interrotta.

Non si ritiene, invece, rientrante nell'alveo procedimentale dell'art. 12 la temporanea (e non strutturale, ricorrendo altrimenti la fattispecie della revoca, innanzi delineata) modifica in senso estensivo degli orari di permanenza in casa del sottoposto, stabiliti con il decreto applicativo: atteso che né l'art. 11 né l'art. 12, infatti, concernono specificamente tale aspetto delle prescrizioni, va affermata la competenza a provvedere su eventuali istanze in tal senso avanzate dell'autorità di P.G. preposta ai controlli e delegata all'esecuzione della misura.

Un caso interessante è stato affrontato di recente dalla Suprema Corte (Cass. I, n. 25797 /2022) affermando il principio secondo cui “spetta al presidente del tribunale che ha applicato la misura di prevenzione la competenza a provvedere sull'istanza di autorizzazione del prevenuto ad allontanarsi temporaneamente dal luogo di soggiorno coatto, non rilevando l'intervenuto trasferimento di dimora”.

Nel caso di specie, il Tribunale di Agrigento, sezione misure di prevenzione, aveva declinato la propria competenza a provvedere su un'istanza di autorizzazione ad allontanarsi dal Comune di soggiorno presentata da persona sottoposta a Ila misura di prevenzione della sorveglianza speciale con decreto dello stesso Tribunale ed ha trasmesso gli atti al Tribunale di Milano, individuato come competente sul presupposto che il soggetto dimora in Rho.

Con ordinanza il Tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione, ha sollevato conflitto negativo di competenza exartt. 28 e 30 c.p.p., evidenziando che la competenza a provvedere è determinata dal luogo in cui si manifesta la pericolosità nel momento della proposta di applicazione della misura di prevenzione, e che quindi il giudice competente dovesse essere individuato nel Tribunale di Agrigento.

La Corte ha deciso che il conflitto, sussistente per avere due autorità giudiziarie ricusato di prendere cognizione del medesimo procedimento riguardante lo stesso soggetto, dovesse essere risolto dichiarando la competenza del Tribunale di Agrigento: la norma attributiva di competenza è l'art. 12, comma 2, d.lgs. n. 159/2011, che stabilisce che la richiesta della persona sottoposta all'obbligo di soggiorno di essere autorizzata ad allontanarsi temporaneamente dal luogo di soggiorno coatto “deve essere proposta al presidente del tribunale competente ai sensi dell'art. 5”.

Una prima lettura della norma dell'art. 12, comma 2, può indurre a ritenere che la stessa abbia lasciato ferma la competenza dello stesso ufficio giudiziario che ha applicato la misura e si sia limitata a semplificare la procedura di rilascio di questo tipo di autorizzazioni, attribuendone la competenza all'organo monocratico, anziché a quello collegiale; in realtà, la norma dell'art. 12, comma 2, non si limita a sottrarre al collegio la valutazione di queste istanze ed ad attribuirle al giudice monocratico, perché, indicando l'organo titolare al rilascio dell'autorizzazione nel presidente del “tribunale”, effettua una vera e propria attribuzione autonoma di competenza, atteso che il tribunale non è necessariamente il giudice che ha disposto l'applicazione della misura (che può anche essere decisa, in sede di impugnazione, dalla Corte d'appello).

Ne consegue che, per effetto della norma dell'art. 12, comma 2, si può verificare in concreto una scissione tra l'ufficio giudiziario che ha disposto l'applicazione della misura e l'ufficio giudiziario competente al rilascio dell'autorizzazione temporanea, perché, nel caso in cui la misura di prevenzione sia stata disposta dalla Corte d'appello, il rilascio dell'autorizzazione temporanea competerà comunque al presidente del Tribunale (Cass. I, n. 23392/2020: in tema di misure di prevenzione, alla persona sottoposta alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in un determinato comune può essere concessa l'autorizzazione ad allontanarsene anche per esigenze di lavoro, ai sensi dell'art. 12 d.lgs. n. 159/2011, sempre che sussistano gravi e comprovati motivi che rendano assolutamente necessario detto allontanamento. Alla luce di tale principio, la Corte ha individuato il giudice competente a provvedere in ordine a tale autorizzazione in quello indicato dall'art. 12, comma 2, del citato d.lgs. e non nell'organo che ha emesso la misura di prevenzione, escludendo che detta autorizzazione possa essere considerata quale modifica della misura ai sensi dell'art. 11 del citato d.lgs.).

Posto, pertanto, che la lettera della norma dell'art. 12, comma 2, rende legittimo che l'autorizzazione temporanea sia rilasciata da organo di ufficio giudiziario diverso da quello che ha applicato la misura e quindi da un giudice che non ha la disponibilità del fascicolo e non conosce il soggetto sottoposto a misura, ci si deve chiedere se, nel caso in cui il prevenuto abbia trasferito la propria dimora medio tempore, il giudice dell'art. 12, comma 2, debba essere un giudice diverso per territorio da quello che ha applicato la misura.

L'art. 12, comma 2, si limita ad individuare la competenza per territorio per relationem, mediante il mero richiamo all'art. 5, che detta la regola della competenza del luogo di dimora del proposto (interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, come ricordato nella ordinanza di proposizione del conflitto, non già in senso formale quanto in riferimento allo spazio fisico in cui sono «intervenute le manifestazioni di pericolosità»; cfr. Cass. S.U., n. 18/1996; Cass. I, n. 13397/2020; Cass. VI, n. 17850/2020).

Sul piano letterale il richiamo, molto generico, all'art. 5 può essere inteso sia come richiamo alla situazione di fatto esistente al momento della richiesta della misura di prevenzione (e quindi, nel caso in esame, il tribunale competente al rilascio dell'autorizzazione continuerebbe ad essere quello di Agrigento, anche se il soggetto ha spostato la dimora in Rho), sia come richiamo alla situazione di fatto esistente al momento della richiesta della autorizzazione temporanea (e quindi il tribunale competente al rilascio dell'autorizzazione diventerebbe quello di Milano). I principi della perpetuati competentiae legittimano, infatti, entrambe le soluzioni, a seconda che si ritenga che il momento che incardina la competenza sia quello dell'apertura del procedimento originario per l'applicazione della misura o quello del procedimento incidentale per il rilascio dell'autorizzazione temporanea.

La Corte ha ritenuto che, nell'assenza di precedenti esattamente in termini e nell'astratta validità di entrambe le opzioni interpretative, il richiamo all'art. 5 debba essere inteso come richiamo alla situazione di fatto esistente al momento della richiesta della misura di prevenzione, da ciò derivando la competenza per territorio del tribunale del luogo dell'ufficio giudiziario che ha applicato la misura di prevenzione; in questo senso depone anzitutto la circostanza che il legislatore, nel momento in cui, nell'individuare la competenza per territorio, anziché ridescriverla ex novo, ha preferito limitarsi a richiamare quanto stabilito nell'art. 5, ha creato una connessione tra l'organo titolare della competenza ex art. 12, comma 2, e quello che ha disposto la misura. Se avesse voluto attribuire la competenza al rilascio delle autorizzazioni temporanee al luogo dell'attuale dimora del soggetto, sarebbe stato più logico prevederlo espressamente.

Inoltre, nello stesso senso depone anche un argomento volto alla miglior ricostruzione del sistema. Il giudice che ha maggiori, e migliori, elementi di valutazione per poter decidere sull'istanza di autorizzazione temporanea è quello che ha applicato la misura di prevenzione, perché è il giudice che ha effettuato una istruttoria sulla pericolosità del soggetto prima di disporre la misura e perché ha comunque la disponibilità del fascicolo in cui sono confluite anche le eventuali segnalazioni successive della polizia giudiziaria sul rispetto della misura.

È vero che, come specificato sopra, la lettera dell'art. 12, comma 2, può comportare l'attribuzione della competenza al rilascio delle autorizzazioni temporanee ad un giudice diverso da quello che ha la disponibilità del fascicolo quando la misura è disposta dalla Corte d'appello, ma si tratta di una soluzione obbligata, imposta dalla lettera della legge, mentre nel caso in esame si tratterebbe di soluzione non interpretativamente obbligata, che finirebbe con il complicare la trattazione di questo tipo di procedimento e con il moltiplicare gli uffici chiamati ad esprimersi sulla stessa misura. Ne consegue nel caso in esame la competenza a provvedere del Tribunale di Agrigento, cui sono stati alla fine trasmessi gli atti (aggiornamento dell'11 gennaio 2023).

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