Richiesta di declaratoria di cessazione della sorveglianza speciale per applicazione di una misura di sicurezza detentiva (art. 13, d.l.gs. n. 159/2011)Inquadramentoai sensi dell'art. 13, d.lgs. n. 159/2011, quando al soggetto già sottoposto alla sorveglianza speciale di P.S. sia stata applicata una misura di sicurezza detentiva o la libertà vigilata, durante la loro esecuzione non si può far luogo alla sorveglianza speciale; se questa sia stata pronunciata, ne cessano gli effetti. L'art. 15, d.lgs. n. 159/2011 del nuovo testo prevede, inoltre, che l'obbligo di soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva, mentre se alla persona obbligata a soggiornare è applicata la libertà vigilata, questa vi è sottoposta dopo la cessazione dell'obbligo di soggiorno. Le citate disposizioni, per l'ipotesi di concorso tra misura di sicurezza detentiva o la libertà vigilata e misura di prevenzione della sorveglianza speciale, riconoscono insomma espressamente la prevalenza delle prime sulla seconda, disponendo che a questa non possa farsi luogo e, ove pronunciata, ne cessino gli effetti. Il citato art. 15, stabilendo che l'obbligo di soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva, ribadisce parimenti la prevalenza di quest'ultima; in dottrina è stato enunciato, pertanto, il principio generale di prevalenza, nell'esecuzione penale, delle misure di sicurezza nei confronti di quelle di prevenzione. È evidente che le citate regole non incidono in alcun modo sul profilo della generale possibilità di coesistenza e applicazione sostanziale di misure di entrambi i generi in capo allo stesso soggetto, bensì mirano a regolamentarne il rapporto di successione cronologica, impedendone la contestuale esecuzione. La giurisprudenza, peraltro, fa coincidere gli effetti caducatori o sospensivi di cui agli artt. 13 e 15 con la definitività del provvedimento che applica la misura di sicurezza, senza che sia necessario attendere la sua effettiva esecuzione. FormulaAL SIG. PRESIDENTE DELLA SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE DEL TRIBUNALE DI ... Il sottoscritto Avvocato ... del Foro di ... con studio in ... alla via ..., difensore di fiducia di ... nato a ..., nei cui confronti è stato emesso in data ... dal Tribunale di ... decreto con il quale è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di ...; PREMESSO che con il citato decreto egli è stato ritenuto appartenente al clan camorristico ...; che detto decreto è divenuto definitivo dal ...; che il sottoposto è stato anche condannato con sentenza n. ... emessa in data ... dal Tribunale di ... per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p.; che con la condanna gli è stata anche applicata la misura di sicurezza detentiva dell'assegnazione alla casa di lavoro di ... per la durata di anni tre; rilevato che l'esecuzione di detta misura è iniziata in data ... e che la stessa è ancora in corso; CHIEDE Di dichiararsi la cessazione della sorveglianza speciale di P.S. ai sensi dell'art. 13, d.lgs. n. 159/2011. Allega i seguenti documenti, a riprova di quanto rappresentato (es. sentenza) .... Con osservanza. Luogo e data ... Firma ... CommentoI rapporti tra le misure di prevenzione personali e le misure di sicurezza In generale Il distinguo tra misura di prevenzione e misura di sicurezza attiene a un profilo formale ed eventuale: da una parte si pone, infatti, l'accertamento indiziario, cioè il reato meramente presupposto, mentre dall'altra il completo e acclarato accertamento giudiziale del reato. È, peraltro, possibile rinvenire elementi di collegamento tra le misure di prevenzione e quelle di sicurezza, laddove si osservi che esse condividono, essenzialmente, il requisito della pericolosità sociale nonché una valutazione prognostica circa il futuro comportamento criminale dell'individuo, corroborata ove possibile dalla presenza di tipologie a pericolosità qualificata e da un'omogeneità strutturale tra talune fattispecie personali e patrimoniali; entrambe, poi, fondano la loro essenza sulla vocazione special-preventiva, finalizzata verso l'obiettivo della difesa sociale. Sul punto, un problema connesso con quello del fondamento delle misure di prevenzione è costituito dalla possibilità di assimilarle alle misure di sicurezza, facendo perno proprio sul comune antecedente della pericolosità: si tratta di un modus operandi che consentirebbe di fornire un solido fondamento costituzionale alle misure in parola e che si rivelerebbe prezioso per completare e/o integrare la disciplina normativa delle misure di prevenzione sulla falsariga di quella predisposta in relazione alle misure di sicurezza. Non è un caso che, nella pronuncia chiave in tema di fondamento delle misure di prevenzione (Corte cost., n. 27/1959), la Corte costituzionale abbia instaurato una comparazione tra le due tipologie di figure, di cui purtuttavia riconosce le differenze: le misure di prevenzione in senso stretto, infatti, prescindono dalla commissione di un reato e in ciò si distinguono dalle misure di sicurezza, ma è anche evidente che esse non difettano di elementi comuni a queste ultime. In particolare, esse non solo presentano un substrato comune, che è individuato nella pericolosità sociale dei destinatari, ma anche le misure di sicurezza, almeno in un certo senso, sono estranee alla commissione da parte di chi ne è il destinatario di reati dal momento che - secondo la logica del doppio binario - le sanzioni penali in relazione ai fatti costituenti reato sono state già irrogate (o non possono esserlo), di modo che la misura di sicurezza risponde soltanto a finalità di prevenzione della pericolosità sociale del soggetto. In quest'ottica la Corte è giunta ad accomunare sotto la stessa etichetta di misure di prevenzione in tal modo intese sia le misure di prevenzione propriamente dette che le misure di sicurezza. In dottrina è stato operato un tentativo di risolvere i problemi di compatibilità delle misure di prevenzione con il quadro costituzionale reperendone la copertura nell'art. 25 Cost. e prospettando la soluzione di includere le misure di prevenzione tra le misure di sicurezza. La Corte costituzionale, invece, ha avuto cura di precisare che, al di là del comune fondamento di tali misure, individuabile nell' “esigenza di prevenzione di fronte alla pericolosità sociale del soggetto”, esse si distinguono sotto vari profili, che trovano eco nella diversità delle norme costituzionali di riferimento (rispettivamente gli artt. 13 e 16 Cost.), nonché “per diversità di struttura, settore di competenza, campo e modalità di applicazione”; la Corte ha poi ricordato come già i proponenti del testo finale dell'art. 25 Cost., in riferimento alle misure di sicurezza, avessero avuto modo di precisare che esse non erano misure di polizia, ma “misure preventive di sicurezza, che devono essere applicate, a norma del c.p., nei confronti di individui imputati o imputabili in occasione della perpetrazione di un reato” (sentenza Corte cost., n. 68/1964). In verità, in una pronuncia successiva la Corte è sembrata tornare in qualche misura sui propri passi, accomunando le due misure nel definirle “due species di un unico genus” e precisando che l'identità di fine che caratterizza le due figure le rende entrambe soggette al principio di legalità e di determinatezza, di modo che decisivo appare che “anche per le misure di prevenzione, la descrizione legislativa, la fattispecie legale, permetta di individuare la o le condotte dal cui accertamento nel caso concreto possa fondatamente dedursi un giudizio prognostico, per ciò stesso rivolto all'avvenire” (sentenza Corte cost., n. 177/1980). Più di recente, invece, la via della comparazione è stata decisamente negata con riferimento alla questione della legittimità delle limitazioni poste al ricorso per Cassazione nel processo di prevenzione, tenuto conto che l'art. 4, comma 11, della l. n. 1423/1956, limitava alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d'Appello in materia di misure di prevenzione, escludendo la ricorribilità in Cassazione per vizio di illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e): con la sentenza Corte cost., n. 321/2004, infatti, si è riaffermato con forza che “il processo penale e il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità, sia sul terreno processuale che nei presupposti sostanziali”. Le misure di prevenzione hanno, quindi, fini squisitamente ed esclusivamente preventivi, laddove le misure di sicurezza rivestono, accanto a scopi di prevenzione speciale, una funzione peculiare di agevolazione al reinserimento sociale del soggetto nei cui confronti sono applicate. Esse, inoltre, hanno lo scopo non di sanzionare un illecito commesso, bensì di modificare i fattori umani e sociali che hanno portato il soggetto a delinquere e non presentano, come obiettivo primario, la risocializzazione della persona e il suo controllo: proprio per tale motivo, quindi, non contrastano con l'art. 27 Cost., non consistendo in trattamenti contrari al senso di umanità e alla necessità di rieducazione del condannato. Naturale conseguenza di tale differenziazione è stata la necessità di individuare dei criteri di coordinamento tra i due istituti, sia in fase applicativa che esecutiva; in termini concreti tale attività elaborativa si è tradotta nella prevalenza, accordata dal legislatore, alle misure di sicurezza rispetto a quelle di prevenzione in forza della peculiare finalità risocializzatrice delle prime rispetto a queste ultime. Il rapporto di successione cronologica tra esse è in specie regolamentato dal diritto positivo, secondo il principio generale della precedenza dell'esecuzione delle misure di sicurezza detentive rispetto a quelle di prevenzione. In specie: rapporti tra misure di prevenzione e misure di sicurezza detentive Per quanto concerne l'applicazione di una misura di sicurezza detentiva o della libertà vigilata, l'art. 10 della l. n. 1423/1956 disponeva che non si può dare corso alla sorveglianza speciale durante la loro esecuzione e che cessano gli effetti della misura di prevenzione eventualmente già pronunciata (oggi la norma è stata recepita senza modifiche nell'art. 13 del Codice Antimafia). L'art. 15 del nuovo testo prevede, inoltre, che l'obbligo di soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva, mentre se alla persona obbligata a soggiornare è applicata la libertà vigilata, questa vi è sottoposta dopo la cessazione dell'obbligo di soggiorno. L'art. 13 e l'art. 15 del d.lgs. n. 159/2011, per l'ipotesi di concorso tra misura di sicurezza detentiva o la libertà vigilata e misura di prevenzione della sorveglianza speciale, riconoscono espressamente la prevalenza delle prime sulla seconda, disponendo che a questa non possa farsi luogo e, ove pronunciata, ne cessino gli effetti. Il citato art. 15, stabilendo che l'obbligo di soggiorno cessa di diritto se la persona obbligata è sottoposta a misura di sicurezza detentiva, ribadisce parimenti la prevalenza di quest'ultima (di talché in dottrina è stato enunciato il principio generale di prevalenza, nell'esecuzione penale, delle misure di sicurezza nei confronti di quelle di prevenzione). È evidente che le citate regole non incidono in alcun modo sul profilo della generale possibilità di coesistenza e applicazione sostanziale di misure di entrambi i generi in capo allo stesso soggetto, bensì mirano a regolamentarne il rapporto di successione cronologica, impedendone la contestuale esecuzione (così Cass. I, n. 10165/2001). Al riguardo è agevole rilevare che non è certamente possibile sostenere la tesi di una possibile contemporanea applicazione nei confronti dello stesso soggetto di una misura di prevenzione e di una misura di sicurezza, ma va chiarito che l'attuale esecuzione nei confronti del condannato-scarcerato di una misura di prevenzione non può assumere alcuna rilevanza impeditiva della definizione del procedimento di sicurezza, andando in tal senso il consolidato principio di diritto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (in termini, Cass. I, n. 5634/2009), secondo cui «sono compatibili, sul piano applicativo, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno e la misura di sicurezza della libertà vigilata, sia pure in successione, nel senso che la prima prevale sulla seconda, la quale è eseguibile successivamente» (cfr. Cass. I, n. 49581/2016). È peraltro principio consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte che, per altro verso, non influisce in modo automatico sul procedimento di prevenzione la circostanza che il Tribunale di Sorveglianza abbia revocato la misura della sicurezza della libertà vigilata: sul punto, si è osservato che "mentre, infatti, la pericolosità cui fa riferimento la l. n. 1423/1956, art. 1 è quella sociale in senso lato, comprendente la predisposizione al delitto o la presunta vita delittuosa di una persona, nei cui confronti non si sia raggiunta una prova sicura di reità per un delitto, ricavabile dall'esame dell'intera personalità del soggetto e da situazioni che giustifichino sospetti o presunzioni, per l'applicazione di una misura di sicurezza è comunque necessario il collegamento ad una affermazione di colpevolezza per determinati reati” (Cass. II, n. 17111/2013). (aggiornamento dell'11 gennaio 2023). Per quanto concerne l'esatta individuazione del momento di vigenza esecutiva delle misure di sicurezza, secondo la dottrina essa va ricollegata non già alla definitività della sentenza che le infligge, bensì all'irrevocabilità dell'ordinanza del magistrato di sorveglianza che ne dispone la concreta applicazione, all'esito del procedimento di cui all'art. 679 c.p.p., finalizzato all'accertamento dell'effettiva e attuale pericolosità sociale del condannato. Secondo la giurisprudenza, invece, gli effetti di cui agli artt. 13 e 15 non potranno che decorrere dal momento della definitività del provvedimento che applica la misura di sicurezza, senza che occorra attendere la sua concreta esecuzione. A qualunque delle due soluzioni prospettate si intenda aderire, va precisato che qualora nelle more del giudizio di prevenzione sia divenuto definitivo il provvedimento che irroga la misura di sicurezza detentiva, dovrebbero ritenersi venuti meno gli effetti della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, con una sorta di assorbimento di essa nella misura di sicurezza (Cass. I, n. 438/1994, Graziano). Va segnalato che, peraltro, di recente la Suprema Corte è parsa intenzionata a superare l'orientamento formatosi sotto la vigenza dell'art. 10 della l. n. 1423/1956 (di analogo tenore rispetto al disposto di cui all'art. 13) secondo cui l'ambito di applicazione della norma in questione è limitato all'ipotesi di contemporaneità delle due misure e non anche alla diversa ipotesi di loro applicazione differita nel tempo, non potendo da essa trarsi un principio di carattere generale secondo il quale sarebbe sempre vietata l'applicazione, nei confronti dello stesso soggetto, della sorveglianza speciale e della libertà vigilata, o di una misura di sicurezza detentiva. Al contrario, la norma riconoscerebbe, secondo questa tesi, implicitamente la liceità dell'applicazione congiunta di entrambe le misure e ne vieterebbe soltanto l'esecuzione simultanea (Cass. I, n. 3095/1998; Cass. I, n. 10165/2001; Cass. I, n. 14786/2003). La giurisprudenza in questione - si è detto - ha affrontato solo l'ipotesi in cui la misura di sicurezza è stata applicata successivamente a quella di prevenzione, di guisa che l'ordine di esse può trovare plausibile fondamento nella diversità della loro struttura (le misure di sicurezza presuppongono la commissione di un fatto di reato, mentre le misure di prevenzione prescindono da tale presupposto e sono applicate sulla base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge), mirando a rendere "compatibile" la non infrequente applicazione di entrambe e posticipando, tuttavia, l'esecuzione della misura di sicurezza alla cessazione della misura di prevenzione. Inoltre, nella fattispecie esaminata dalla predetta giurisprudenza, l' esecuzione della libertà vigilata era iniziata dopo che la sorveglianza speciale era stata interamente eseguita e dopo che il competente magistrato di sorveglianza aveva valutato la persistenza della pericolosità sociale già accertata in sede di condanna sicché, in tale caso, non si comprendeva per quale ragione la pregressa esecuzione della sorveglianza speciale avrebbe dovuto assorbire quella della libertà vigilata, pur in presenza di una accertata persistente pericolosità sociale. Il nuovo orientamento, invece, si aggancia al chiaro tenore letterale dell'art. 13, che appunto dispone la perdita di efficacia della misura di prevenzione applicata durante l'esecuzione della misura di sicurezza della libertà vigilata, imponendo al Giudice di merito di valutare la possibilità di applicare anche nella fattispecie in esame (benché diversa, come detto da quella esaminata dalle pronunce sopra richiamate) una possibile successione tra le misure, alla luce del principio secondo cui sono compatibili, sul piano applicativo, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno e la misura di sicurezza della libertà vigilata, sia pure in successione, nel senso che la prima prevale sulla seconda, la quale è eseguibile successivamente (Cass. V, n. 39534/2017). È stata, quindi, affermata la regola di diritto secondo cui ai sensi dell'art. 13 in esame non è applicabile la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel caso in cui sia già in atto una misura di sicurezza detentiva, essendo limitata la loro compatibilità applicativa all'ipotesi in cui la seconda sia eseguita successivamente alla prima. |