Istanza di revoca del sequestro di prevenzione (art. 20 d.lgs. n. 159/2011)InquadramentoAi sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 159/2011, il tribunale anche d'ufficio, con decreto motivato, ordina il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Il sequestro è revocato dal tribunale quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l'indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente o in ogni altro caso in cui è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale; in tali casi, il tribunale ordina le trascrizioni e le annotazioni consequenziali nei pubblici registri, nei libri sociali e nel registro delle imprese. Peraltro, l'eventuale revoca del provvedimento non preclude l'utilizzazione ai fini fiscali degli elementi acquisiti nel corso degli accertamenti svolti ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 159/2011. Infine, il decreto di sequestro e il provvedimento di revoca (sia pur parziale) del sequestro sono comunicati, anche in via telematica, all'Agenzia Nazionale per la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Si ritiene che la formulazione legislativa imponga la revoca del sequestro unicamente nelle ipotesi in cui sia respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione; in altre parole, il sequestro va revocato solo quando la misura di prevenzione personale sia respinta per il difetto strutturale dei suoi presupposti applicativi e, dunque, per mancanza del presupposto di pericolosità sociale del proposto, ovvero a causa della carenza dei requisiti della disponibilità uti dominus in capo al soggetto proposto o della sproporzione tra valore dei beni e redditi da costui dichiarati. Al contrario, laddove la misura di prevenzione personale sia, ad esempio, respinta per inattualità del requisito di pericolosità e sia stato accertato invece il profilo d'appartenenza a una delle categorie tipiche normativamente descritte, il sequestro non potrà essere revocato, essendo ormai ammissibile l'applicazione disgiunta della misura patrimoniale da quella personale. Formula
Al Sig. Presidente della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di.... Il sottoscritto Avv..... del Foro di.... con studio in.... alla via...., difensore di fiducia di.... nato a...., nei cui confronti è stato emesso in data.... dal Tribunale di.... decreto con il quale è stato ordinato il sequestro di prevenzione dei seguenti beni, ritenuti nella sua disponibilità.... PREMESSO che tali beni sono stati alienati al Sig..... nato a.... in data.... anteriore al sequestro; che l'atto di compravendita è stato trascritto in epoca anteriore all'esecuzione del sequestro; che, quindi, gli stessi non sono più nella disponibilità uti dominus del soggetto proposto; che il mio assistito è del tutto estraneo alle vicende del proposto e ai suoi ritenuti profili di pericolosità sociale; CHIEDE Alla S.V. di disporre la revoca anticipata del sequestro di prevenzione e di rigettare la relativa richiesta di confisca di prevenzione, disponendo la restituzione dei beni sequestrati all'avente diritto. Allega i seguenti documenti, a riprova di quanto rappresentato (es. contratto di compravendita, documenti attestanti il pagamento effettivo del prezzo, certificato di residenza dell'acquirente nell'immobile sequestrato) Con osservanza Luogo e data.... Firma.... CommentoLe tipologie di sequestro di prevenzione Il d.lgs. n. 159/2011 prevede diverse forme di sequestro di prevenzione, ancorate a presupposti in parte tra loro distinti. Quella più ricorrente nella prassi è il sequestro cd. ordinario, disposto ai sensi dell'art. 20 d.lgs. n. 159/2011 dal tribunale in composizione collegiale, anche d'ufficio e con decreto motivato; esso ha ad oggetto i beni dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore è sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Diverse sono le fattispecie disciplinate dall'art. 22 d.lgs. n. 159/2011 e denominate, rispettivamente, sequestro “anticipato” o precauzionale prima dell'udienza e sequestro “urgente”. La norma esame, in definitiva, riproduce gli istituti già previsti dall'art. 2-bis, comma 4 e 5 l. n. 575/1965; il comma 1 dell'art. 22, in particolare, disciplina il cd. sequestro “anticipato” o precauzionale. Si tratta di intervento che ha funzione chiaramente cautelare, finalizzato ad assicurare la fruttuosità della confisca; l'istanza va rivolta al presidente del tribunale competente, richiedendo che si intervenga con il sequestro anticipato dei beni. Il subprocedimento si snoda in tempi ristretti: innanzitutto non si prevede la fissazione dell'udienza camerale e il provvedimento richiesto, che ha la forma di un decreto motivato a firma del solo presidente dell'ufficio o di un magistrato da lui all'uopo delegato, va reso entro cinque giorni dalla richiesta. Inoltre, il menzionato decreto va convalidato entro i successivi trenta giorni da parte del tribunale in composizione collegiale. Qualora la convalida non sopravvenga o non siano rispettati i termini indicati, il titolo cautelare perde efficacia. Il decreto contiene, altresì, la data di fissazione della successiva udienza camerale che non sarà finalizzata alla convalida (per la quale non è previsto un meccanismo di contraddittorio con le parti), ma direttamente alla decisione finale sulla proposta di confisca. Anche in questa ipotesi, il sequestro è revocato quando viene respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o qualora sia stato accertato, all'esito del contraddittorio camerale, che i beni siano di legittima provenienza. Dal sequestro così tratteggiato va tenuta distinta l'altra figura di intervento cautelare che è definito “urgente”: si tratta di un modello di intervento patrimoniale omologo a quello ordinario, che compete al tribunale in composizione collegiale, ma che da questo si distingue perché presuppone la pendenza del procedimento di prevenzione funzionale alla decisione sulla proposta di confisca, richiedendo che esso sia già in corso (art. 22, comma 2). Deve, in questa ipotesi, ricorrere il requisito della “particolare urgenza” e anche qui il sequestro è adottato con decreto motivato del presidente del tribunale in composizione “monocratica”. Peraltro, a differenza del sequestro anticipato (in cui la richiesta è presentata unitamente alla proposta di applicazione della misura di prevenzione), si è in presenza di un sequestro da convalidare da parte del tribunale in composizione collegiale, entro i successivi dieci giorni (non trenta), pena la perdita di efficacia della misura così disposta. L'art 5, comma 6 della l. di riforma n. 161/2017 ha apportato talune modifiche ai termini di convalida del sequestro “urgente”: in particolare, in un'ottica di parificazione dei termini di convalida per gli interventi in rem cd. urgenti si è ritenuto di unificare la disciplina della convalida estendendo anche a quella inerente al sequestro di cui al comma 2 dell'art. 22 (la cui richiesta non è contemporanea alla proposta di applicazione della misura di prevenzione) il termine di trenta giorni, già contemplato per la convalida del sequestro urgente di cui al primo comma del citato art. 22. La legge di riforma introduce, poi, un comma 2-bis nell'art. 22 prevedendo che, ai fini del computo del termine per la convalida del sequestro si applicano le cause di sospensione dei termini stessi di cui all'art. 24, comma 2 d.lgs. n. 159/2011. La revoca del sequestro L'art. 20 stabilisce che il sequestro sia revocato dal tribunale quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l'indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente. Si ritiene che la formulazione legislativa imponga la revoca del sequestro solo nelle ipotesi in cui sia respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione; in altre parole, il sequestro andrà revocato solo quando la misura di prevenzione personale sia respinta per il difetto strutturale dei suoi presupposti applicativi e, dunque, per mancanza del presupposto di pericolosità sociale del proposto ovvero a causa del difetto dei requisiti della disponibilità uti dominus in capo a costui, o della sproporzione tra valore dei beni e redditi dichiarati. Al contrario, laddove la misura di prevenzione personale sia, ad esempio, respinta per inattualità del requisito di pericolosità e sia stato accertato invece il profilo d'appartenenza ad una delle categorie tipiche normativamente descritte, il sequestro non potrà essere revocato, essendo ormai pacificamente ammissibile l'applicazione disgiunta della misura patrimoniale da quella personale. In questa direzione ha, infatti, osservato la Suprema Corte (Cass. V, n. 14044/2012) che “a seguito della entrata in vigore della l. n. 94/2009, che ha modificato l'art. 2-bis della l. n. 575/1965, l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali prescinde dal presupposto dell'attuale pericolosità del soggetto destinatario della misura”. Si è altrove affermato (Cass. VI, n. 10153/2012), che “in tema di misure di prevenzione antimafia, il principio di reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali – previsto dall'art. 2-bis, comma 6-bis, della l. n. 575/1965, così come modificato dall'art. 2, comma 22 della l. n. 94/2009 – consente di applicare la confisca prescindendo dal requisito della pericolosità del proposto al momento dell'adozione della misura, ma richiede che essa sia comunque accertata con riferimento al momento dell'acquisto del bene, oggetto della richiesta ablatoria”. Le modifiche all'art. 20 introdotte con l. n. 161/2017 Da segnalare, infine, che l'art. 5, comma 4, della l. n. 161/2017 ha rimodulato il precedente contenuto del comma secondo dell'art. 20, attualmente divenuto terzo comma, disciplinando proprio le ipotesi di revoca del sequestro. Mentre la prima parte della disposizione è pressoché invariata, la seconda ha visto invece una rilevante riformulazione mediante l'inserimento ex novo della parte in cui si prevede che il tribunale ordini le trascrizioni e le annotazioni relative, al fine di assicurare la più ampia e tempestiva conoscenza delle vicende giudiziarie inerenti i beni. Nella stessa logica va letto pure il comma 5 dell'art. 20, inserito con la novella in commento, ove si prevede un obbligo di comunicazione dei provvedimenti di sequestro e di revoca anche all'Agenzia Nazionale di cui all'art. 110. L‘impugnabilità del provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro In un recente, interessante, arresto la Suprema Corte (Cass., I, n. 17489/2022) ha affermato il principio secondo cui, in tema di impugnazione delle misure di prevenzione, anche a seguito della modifica dell'art. 27 d.lgs. n. 159/2011 disposta dall'art. 6 l. n. 161/2017, il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca del sequestro, non essendo incluso nel novero di quelli appellabili, è inoppugnabile e il ricorso per cassazione erroneamente proposto non può essere convertito in opposizione ex art. 568 c.p.p. Nel caso affrontato, la Corte di Appello aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione presentata avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro, pronunciato dal Tribunale; la Cassazione, investita del ricorso, ha evidenziato che il provvedimento emesso dal Tribunale non è impugnabile. Si premette che in sede di prevenzione risultano applicabili i principi generali dettati nel codice di rito in tema di impugnazioni e che, in particolare, il comma 4 dell'art. 10 d.lgs. n. 159/2011 fa espresso rinvio, salve specificità della disciplina di settore, alle disposizioni del codice di rito penale che regolamentano la proposizione e la decisione dei ricorsi in tema di misure di sicurezza richiamando, sia pure in forma indiretta, la disposizione di cui all'art. 680 c.p.p., il cui comma 3 compie espresso rinvio alle «disposizioni generali sulle impugnazioni» contenute negli artt. da 568 a 592 c.p.p. II rinvio alle disposizioni generali sulle impugnazioni – applicabili in quanto non derogate dalla disciplina specifica contenuta nello stesso d.lgs. n. 159/2011 – consente di affermare che trovano sicura applicazione nel procedimento di prevenzione le disposizioni in tema di tassatività delle impugnazioni, legittimazione ed interesse ad impugnare (art. 568 c.p.p.), di estensione del potere di proporre impugnazione in capo al difensore del proposto all'atto del deposito del provvedimento (art. 571 comma 3), di forma dell'atto di impugnazione con obbligatoria indicazione dei motivi (art. 581), di modalità di presentazione della impugnazione (art. 582), di rinunzia (art. 589) di inammissibilità della impugnazione (art. 591), di condanna alle spese (art. 592). Da ciò deriva che le ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione, da ritenersi tassative, trovano regolamentazione espressa nel testo dell'art. 591 del codice di 2 rito penale (carenza di legittimazione o di interesse, assenza di impugnabilità del provvedimento, assenza o assoluta genericità dei motivi, tardività, rinunzia); la pacifica applicabilità del principio di tassatività dei ‘casi' e dei ‘mezzi' di impugnazione (art. 568 comma 1 c.p.p.) al sotto-sistema della prevenzione impone, pertanto, che il legislatore abbia individuato detti casi e detti mezzi, ferma restando la possibilità per l'interprete (v. S.U., n. 46898/2019) di individuare, se strettamente necessario, eventuali ‘sviste' del legislatore colmabili attraverso una interpretazione sistematica. Ciò chiarito, la Corte rileva che con l'intervento legislativo realizzato con legge n. 161 del 2017 (di novellazione del testo dell'art. 27) sono stati indicati in modo espresso i provvedimenti impugnabili in ambito patrimoniale: tra questi, non compare il diniego della revoca del sequestro, pur essendo autonomamente impugnabili (con l'appello) il provvedimento applicativo del sequestro, il provvedimento reiettivo del sequestro, il provvedimento di revoca del sequestro. Secondo una prima interpretazione dell'attuale quadro normativo (Cass. II n. 4729/2018, rv 272084) il provvedimento con cui il Tribunale respinge una domanda di revoca del sequestro è, dunque, da ritenersi non impugnabile; nel medesimo arresto, tuttavia, si aggiunge che l'eventuale impugnazione avverso tale tipologia di decisione andrebbe qualificata, ai sensi dell'art. 568 c.p.p., come opposizione rivolta al medesimo giudice, sì da attivare la sequenza dell'incidente di esecuzione con portata rivalutativa. In questo caso, invece, il Collegio ha condiviso la prima affermazione, ma non la seconda: quanto all'assenza di impugnabilità, diretta proiezione del principio di tassatività delle impugnazioni, è da escludersi che la mancata previsione della appellabilità del diniego di revoca del sequestro possa essere ritenuta una «svista» del legislatore, tale da imporre interpretazioni correttive. A ben vedere, la tutela degli interessi delle parti private – destinatarie del sequestro – è essenzialmente affidata alla previsione di autonoma impugnabilità del provvedimento genetico, vera novità introdotta con la novellazione del 2017. Una volta assicurata tale esigenza, nulla vieta – in pendenza del giudizio di primo grado – la sollecitazione della parte ad una revoca del provvedimento di sequestro. Tuttavia – aggiunge la Corte – l'eventuale provvedimento negativo del Tribunale si risolve in un mantenimento temporaneo del vincolo di indisponibilità, in attesa della pronunzia sulla domanda di confisca, la cui eventuale applicazione sarà ovviamente impugnabile; ciò consente di ritenere frutto di discrezionalità legislativa ‘meditata' l'avvenuta esclusione del diniego di revoca dei sequestro dal novero dei provvedimenti impugnabili. È stata, quindi, rimeditata – a parere del Collegio – la tesi della ‘conversione in opposizione' dell'atto di ricorso: se il provvedimento giurisdizionale non è impugnabile, per opzione legislativa, la conclusione cui porta la ricordata applicabilità delle disposizioni generali in tema di impugnazioni è esclusivamente quella della inammissibilità dell'atto. Del resto, la giurisprudenza elaborata prima della vigenza del codice antimafia – e mantenuta sino alla vigenza della l. n. 161/2017 – tendeva a rendere ‘rivedibile', tramite la benevola interpretazione delle disposizioni in tema di incidente di esecuzione (istituto che presuppone tendenzialmente l'avvenuta formazione del giudicato) lo stesso provvedimento ‘genetico' di sequestro dei beni, oggi autonomamente impugnabile tramite proposizione dell'appello, e la ratio ispiratrice di tale interpretazione era rappresentata, essenzialmente, dall'avvertita necessità di un controllo ‘critico' sulla decisione che impone il vincolo, lì dove la decisione che ne mantiene l'efficacia assume una valenza obiettivamente diversa, come si è già precisato. In conclusione, come accennato, si è affermata l'inappellabilità del provvedimento di rigetto della richiesta di revoca, aggiungendo che l'impugnazione non potrà essere convertita in opposizione innanzi al medesimo giudice, per cui l'unica via percorribile dalla parte sarà la presentazione di una nuova domanda di revoca al medesimo giudice. |