Osservatorio antimafia – Interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto del commissariamento straordinario (ex art. 32, d.l. n. 90/2014)
22 Giugno 2023
Nel caso di specie, con ordinanza n. 113/2022, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima ter, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 42 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcune disposizioni inserite nell'art. 32 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 - come convertito - che disciplina il potere del Prefetto di disporre un parziale commissariamento delle imprese destinatarie di informazioni interdittive antimafia al fine di dare completa esecuzione ai contratti pubblici loro aggiudicati, in deroga alla regola generale dell'obbligo delle appaltanti di risolvere il contratto al sopravvenire del provvedimento interdittivo. È stato censurato, in particolare, il combinato disposto dei commi 7 e 10 del citato art. 32, nella parte in cui, «per come interpretato nel cd. "diritto vivente"», dispone che gli utili contrattuali, accantonati dai commissari prefettizi in apposito fondo vincolato, siano «retrocessi» alle stazioni appaltanti - anziché corrisposti all'impresa - in caso di rigetto dell'impugnazione dell'informazione interdittiva. Il giudizio a quo aveva ad oggetto, per l'appunto, l'annullamento del provvedimento del prefetto (e degli atti ad esso presupposti) che aveva fatto applicazione di tale previsione, sebbene l'appaltatrice interdetta, tra il rigetto del ricorso avverso l'informativa in primo e in secondo grado, avesse ottenuto "informazione liberatoria" ai sensi dell'art. 91, comma 5, cod. antimafia e, di conseguenza, l'anticipata cessazione della misura della «gestione straordinaria». Premesso ciò, la Consulta ha ritenuto infondate le questioni sollevate, elaborando, comunque, una interpretazione costituzionalmente orientata - di cui si dirà in seguito - delle disposizioni censurate dal T.A.R. Lazio, consentendo così di superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale. In particolare, la Corte ha preliminarmente chiarito che dal punto di vista sistematico, la determinazione prefettizia di cui all'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90/2014, va equiparata alla determinazione della stazione appaltante di cui all'art. 94 comma 3, cod. antimafia, in quanto entrambe giustificano per ragioni di pubblico interesse l'eccezionale prosecuzione del rapporto contrattuale in deroga alla regola dell'obbligo per le appaltanti di risolvere il contratto al sopravvenire dell'interdittiva. Sulla scorta di tale equiparazione, secondo quanto evidenziato con la sentenza in commento, è nell'art. 94, commi 2 e 3, cod. antimafia che deve essere rivenuta la regola di rideterminazione del quantum della prestazione resa nel regime di “legalità controllata”, ex art. 32 d.l. n. 90/2014. In particolare, il citato comma 2 disciplina le conseguenze nel caso in cui l'Amministrazione dovesse adottare la “ordinaria” scelta di risolvere il contratto in ipotesi di sopravvenienza dell'interdittiva durante l'esecuzione del contratto, riconoscendo espressamente «il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite» dall'amministrazione. L'art. 94, comma 3, cod. antimafia - disciplinante, come detto, parimenti alla misura ex art. 34, la facoltà per le stazioni appaltanti di mantenere eccezionalmente in esecuzione il contratto - non detta a sua volta espressamente la regola del compenso da riconoscere all'operatore economico in tale ipotesi. Dunque, la Corte ha rilevato che in tale fattispecie può agevolmente estendersi la regola dettata nella disposizione che la precede (art. 94, comma 2, cod. antimafia) e a cui è legata, secondo cui le opere interamente eseguite per volontà dell'amministrazione vanno ugualmente compensate nel loro valore nei limiti dell'utilità ricavata dalla controparte. Alla stregua di tutto quanto sopra dedotto, infine, la Consulta ha affermato che, anche nel caso del commissariamento, ex art. 32 d.l. n. 90/2014, può, a maggior ragione, applicarsi la regola dettata dall'art. 92, comma 2. Difatti, secondo la tesi elaborata dalla Corte, se il legislatore, nell'ipotesi in cui l'amministrazione si determini a recidere il rapporto con l'impresa interdetta (in primis per tentativi di infiltrazione pregressi, ma successivamente acclarati), riconosce all'appaltatrice per la prestazione, sino ad allora eseguita in autonomia, il relativo valore nei limiti dell'utilità; a fortiori il medesimo importo deve essere riconosciuto all'impresa che, per valutazione discrezionale della stessa amministrazione (prefettizia), porti a termine la prestazione con propri mezzi, ma nel regime di legalità controllata. In più, diversamente dal meccanismo prospettato dal giudice a quo della retrocessione in favore dell'amministrazione degli utili accantonati, l'interpretazione adottata esclude la configurabilità di una ablazione amministrativa del ricavato che, pur giustificata dalla finalità della prevenzione, risulti priva della necessaria previsione legislativa e, dunque, in contrasto con le disposizioni costituzionali e convenzionali. |