Atti persecutori: applicazioni in tema di concorso di reati e bis in idem1. Bussole di inquadramentoIl delitto di atti persecutori tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo. Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto. La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”. Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia. Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p. Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto. Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori. La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011). La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017). L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato. È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità. La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato. La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto. L'art. 612-bis c.p. disciplina, al comma 2, una serie di circostanze speciali, che operano quando il fatto sia stato commesso “dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”. Perché possa ravvisarsi la circostanza aggravante della relazione affettiva tra soggetto agente e persona offesa non è necessario che questi fossero legati stabilmente, come nel caso di convivenza more uxorio, potendo invece assumere rilevanza anche un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (Cass. III, n. 11920/2018). Per strumenti informatici e telematici devono invece ritenersi tutte le tecnologie che consentono di aggredire da remoto il bene giuridico tutelato, e che si sostanziano nelle condotte di c.d. cyber-stalking. Il comma 3 dell'art. 612-bis c.p. prevede inoltre, quali circostanze ad effetto speciale, la commissione del fatto in danno di “un minore”, di “una donna in stato di gravidanza” o di “una persona con disabilità”, in ragione della maggiore vulnerabilità della vittima, nonché l'aver agito “con armi” o “da persona travisata”. Ulteriori circostanze aggravanti sono previste dal provvedimento normativo introduttivo del delitto in esame, d.l. n. 11/2009, conv., con modif., in l. n. 38/2009, che all'art. 8 prevede che, in caso di previo ammonimento da parte del Questore, la pena per il delitto in esame è aumentata. Si tratta dei casi in cui la persona offesa, prima di aver sporto querela, si avvalga della facoltà di esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Ricevuta senza ritardo la richiesta, il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Inoltre, viene valutata in tale occasione l'adozione di provvedimenti relativi al possesso di armi o munizioni da parte dell'ammonito. Le condotte commesse a seguito dell'ammonimento sono procedibili d'ufficio, oltre che aggravate ai sensi del sopra citato art. 8. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
La pronunzia definitiva di assoluzione per il delitto di atti persecutori preclude la celebrazione di un nuovo giudizio per il reato integrato da una delle condotte abituali tenute dall'imputato?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione La pronunzia assolutoria per il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., passata in giudicato, non preclude la celebrazione del giudizio per il reato che ne costituisca una porzione di condotta, quando gli atti persecutori si siano sostanziati anche in ulteriori comportamenti molesti e minatori determinanti uno o più degli eventi tipici. Ai sensi dell'art. 649 c.p.p., l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salve le eccezioni previste dalla legge. La natura abituale delle condotte di atti persecutori e la possibilità che esse, singolarmente considerate, possano assumere autonoma rilevanza penale, ha posto il problema di stabilire se, in caso di sentenza definitiva intervenuta in ordine al delitto ex art. 612-bis c.p., sia ammissibile un nuovo giudizio per i fatti integrati dalle singole porzioni della condotta abituale. Tale questione deve essere affrontata alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia di ne bis in idem, che richiede di avere riguardo alla “triade condotta-nesso causale-evento naturalistico”, sicché “il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica” (Corte cost., n. 200/2016). Occorre cioè che i reati presentino i medesimi elementi costitutivi, sovrapponendosi, laddove non troverà applicazione il divieto di bis in idem quando manchi tale coincidenza di tali elementi, come nel caso in cui la medesima condotta ha dato luogo ad un evento ulteriore rispetto a quello valutato dal giudice nella sentenza passata in giudicato (Corte cost., n. 200/2016). Sulla corta di tali premesse, la Corte di Cassazione ha pertanto escluso che la sentenza assolutoria per il delitto di atti persecutori, passata in giudicato, precluda la celebrazione del giudizio per il reato di minaccia che ne costituisca una porzione di condotta, quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nel profferire frasi intimidatorie, anche in ulteriori comportamenti molesti e minatori determinanti uno o più degli eventi tipici del delitto ex art. 612-bis c.p. È stato infatti esclusa l'identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di bis in idem, secondo l'interpretazione data dalla Corte costituzionale (Cass. V, n. 20859/2021). Alle medesime conclusioni la Corte di Cassazione è pervenuta in ordine alla possibilità di processare nuovamente l'imputato, per il delitto di violazione di domicilio, ex art. 614 c.p., nonostante sia intervenuta nei suoi confronti una sentenza definitiva di assoluzione dal delitto di atti persecutori. I giudici di legittimità hanno infatti ribadito che, quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nell'intrusione nell'abitazione della vittima, anche in ulteriori comportamenti invasivi determinanti uno o più degli eventi tipici del delitto ex art. 612-bis c.p., non sussiste identità del fatto storico e deve escludersi la violazione del divieto di bis in idem (Cass. V, n. 22043/2020).
Domanda
In che rapporto si pone il delitto di atti persecutori con le fattispecie autonomamente integrate dalle singole condotte abituali poste in essere dall'imputato?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione Il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con i reati che non rappresentino elementi costitutivi (molestie, minaccia) o circostanze aggravanti di esso, dando vita a responsabilità autonoma e concorrente. La Corte di Cassazione è intervenuta in più occasioni nel definire il rapporto tra il delitto di atti persecutori e le fattispecie criminose che le singole condotte realizzate dal soggetto agente eventualmente integrino, ponendo il problema di stabilire se siano destinate a concorrere con il primo delitto o se risultino assorbite in esso, in forza del principio di specialità. Occorre in primo luogo escludere che possano trovare applicazione i cc.dd. criteri valoriali della sussidiarietà o della progressione criminosa, cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno in più occasioni negato cittadinanza nell'ordinamento penale (Cass. S.U., n. 1235/2011; Cass. S.U., n. 1963/2011). Individuato dunque, in via esclusiva, nel principio di specialità ex art. 15 c.p. il criterio per risolvere le predette questioni interpretative, deve darsi atto delle soluzioni accolte sul punto dalla Corte di Cassazione. I giudici di legittimità hanno escluso la sussistenza di un rapporto di specialità, tanto unilaterale quanto bilaterale, tra il delitto di atti persecutori e quello di violazione di domicilio, di cui all'art. 614 c.p., concludendo che i due reati possono concorrere (Cass. III, n. 9069/2021). Nello stesso senso la Corte si è espressa riguardo al delitto di violenza privata, ex art. 610 c.p., escludendo la specialità unilaterale tra i due reati ed evidenziando che il delitto di atti persecutori non richiede una condotta necessariamente violenta e, nel contempo, l'evento tipico dell'alterazione delle abitudini di vita della persona offesa appare molto più ampio rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che caratterizza il delitto di violenza privata. È stato altresì escluso che possa ravvisarsi una “specialità reciproca per specificazione”, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte un rapporto di “specialità reciproca per aggiunta”, sì da doversi escludere un concorso apparente di norme (Cass. V, n. 22475/2019). Anche con riferimento al delitto di danneggiamento, quand'anche esso costituisca modalità esecutiva della consumazione degli atti persecutori, la Corte ha escluso un rapporto di specialità, ritenendo che i delitti debbano concorrere, quand'anche – come nel caso preso in considerazione – le condotte abituali di atti persecutori consistano in plurimi e reiterati danneggiamenti, da cui derivi uno o più degli eventi tipici del delitto ex art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 52616/2016). Del pari, i giudici di legittimità hanno affermato che il delitto di atti persecutori può concorrere con quelli di lesioni, ex art. 582 c.p., ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, exartt. 392 e 393 c.p., avendo oggetto giuridico diverso (Cass. V, n. 54923/2016); è stato altresì precisato che, in tal caso, l'aggravante dell'uso di armi può sussistere in relazione a ciascuno dei suddetti reati concorrenti, fermo restando che il relativo aumento di pena, qualora questi ultimi siano avvinti dalla continuazione, verrà applicato in relazione al reato più grave. Tra i delitti destinati a concorrere con quello di cui all'art. 612-bis c.p., in assenza di un rapporto di specialità tra le fattispecie penali, rientra altresì quello di diffamazione (Cass. V, n. 51718/2014), laddove la Corte ha invece affermato che il delitto di minaccia è assorbito in quello di atti persecutori, purché le minacce siano state poste in essere nel medesimo contesto temporale e fattuale integrante la condotta abituale (Cass. V, n. 12730/2020). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Richiesta dell'indagato di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447, comma 1). Procedibilità Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013). Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85, comma 2-ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa. Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente. La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte). Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612 bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni. Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento. A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato: – è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019). – non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020). Citazione a giudizio Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio. Composizione del tribunale Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica. 4. ConclusioniLa clausola di riserva che caratterizza il delitto di atti persecutori, facendo salva l'applicazione delle fattispecie più gravi eventualmente integrate dal comportamento del reo, non opera all'inverso rispetto ai reati puniti meno gravemente che le singole condotte abituali possono integrare. Laddove il delitto di minaccia resta assorbito, in forza del criterio di specialità, nella fattispecie di atti persecutori, ogni altro reato integrato dai comportamenti del soggetto agente, rientranti nella più ampia condotta di molestie, è invece destinato a concorrere con il delitto ex art. 612-bis c.p. Ne consegue che il reo risponderà non solo per i reati di diffamazione, violenza privata, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, percosse, lesioni o qualsivoglia ulteriore fattispecie eventualmente posta in essere ai danni della persona offesa ma altresì del delitto di atti persecutori che deriva dall'abitualità delle condotte predette e dalla causazione di almeno uno degli eventi tipici ex art. 612-bis c.p. La diversità strutturale e l'assenza quindi di un rapporto di specialità tra le predette fattispecie e il reato in esame ha altresì consentito di escludere che la sentenza definitiva intervenuta per la fattispecie di atti persecutori determini una preclusione processuale, ai sensi dell'art. 649 c.p.p., per il giudizio avviato nei confronti dello stesso imputato per i delitti integrati dalle singole condotte poste in essere. Non coincidendo gli elementi costitutivi delle fattispecie non sarà infatti ravvisabile una violazione del principio di ne bis in idem. |