La rilevanza del comportamento della persona offesa nel delitto di atti persecutori

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di atti persecutori è stato introdotto con d.l. n. 11/2009, conv. con modif., in l. n. 38/2009, per contrastare le condotte definite comunemente di stalking, espressione inglese che indica la condotta di chi, a caccia di una preda, si apposta e/o la segue ossessivamente.

Sulla disciplina originaria è intervenuta la l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, elevando la cornice edittale del delitto, con importanti conseguenze sui termini di fase delle misure cautelari, raddoppiati per effetto della novella. Il Codice Rosso ha altresì introdotto una serie di disposizioni processuali volte a garantire una tutela immediata ed effettiva alla persona offesa, introducendo altresì l'obbligo di partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati di violenza di genere, quale condizione per la sospensione condizionale della pena, ex art. 165, comma 5, c.p.

Il delitto di atti persecutori tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo.

Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto.

La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia.

Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p.

Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto.

Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori.

La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011).

La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017).

L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato.

È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità.

La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato.

La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto.

Le circostanze speciali

L'art. 612-bis c.p. disciplina, al comma 2, una serie di circostanze speciali, che operano quando il fatto sia stato commesso “dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

Perché possa ravvisarsi la circostanza aggravante della relazione affettiva tra soggetto agente e persona offesa non è necessario che questi fossero legati stabilmente, come nel caso di convivenza more uxorio, potendo invece assumere rilevanza anche un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (Cass. III, n. 11920/2018).

Per strumenti informatici e telematici devono invece ritenersi tutte le tecnologie che consentono di aggredire da remoto il bene giuridico tutelato, e che si sostanziano nelle condotte di c.d. cyber-stalking.

Il comma 3 dell'art. 612-bis c.p. prevede inoltre, quali circostanze ad effetto speciale, la commissione del fatto in danno di “un minore”, di “una donna in stato di gravidanza” o di “una persona con disabilità”, in ragione della maggiore vulnerabilità della vittima, nonché l'aver agito “con armi” o “da persona travisata”.

Ulteriori circostanze aggravanti sono previste dalla normativa introduttiva del delitto, il d.l. n. 11/2009, conv., con modif., in l. n. 38/2009, che all'art. 8 prevede che, in caso di previo ammonimento da parte del Questore, la pena per il delitto in esame è aumentata.

Si tratta dei casi in cui la persona offesa, prima di aver sporto querela, si avvalga della facoltà di esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Ricevuta senza ritardo la richiesta, il questore, assunte – se necessario – informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Inoltre, viene valutata in tale occasione l'adozione di provvedimenti relativi al possesso di armi o munizioni da parte dell'ammonito.

Le condotte commesse a seguito dell'ammonimento sono procedibili d'ufficio, oltre che aggravate ai sensi del su citato art. 8.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quale incidenza può avere il comportamento della persona offesa sulla configurabilità del delitto di atti persecutori?

Orientamento dominante della Corte di Cassazione

Il comportamento della persona offesa, caratterizzato da un transitorio riavvicinamento all'autore delle condotte persecutorie o finanche dal carattere reciproco delle molestie o minacce, non esclude l'abitualità del reato né inficia la continuità delle condotte, quando le stesse presentino, complessivamente considerate, una oggettiva idoneità a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice, pur incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione.

La persona offesa del delitto di atti persecutori è colei la cui libertà morale è offesa dalle condotte reiterate del soggetto agente, che abbiano cagionato un'alterazione delle sue abitudini di vita o l'insorgere di un grave e perdurante stato di ansia o di paura ovvero il fondato timore per la propria incolumità o per quella dei propri prossimi congiunti.

La Corte di Cassazione ha precisato che, qualora le condotta di atti persecutori siano state realizzate ai danni di più persone offese da parte del medesimo soggetto, determinando per ciascuna di esse gli eventi tipici richiesti dall'art. 612-bis c.p., si configurerà una pluralità di reati, eventualmente unificati dalla continuazione, atteso che le condotte determinano differenti eventi e offendono beni giuridici tutelati di carattere personale e riferibili a vittime distinte (Cass. V, n. 2443/2022).

Tanto premesso in ordine alla individuazione della persona offesa del reato, va rilevato che i giudici di legittimità si sono pronunciati, in più occasioni, in ordine alla rilevanza da assegnare al contegno tenuto dalla stessa nel contesto in cui si verificano le condotte tipiche di atti persecutori, onde stabilire se determinati comportamenti possano escludere la sussistenza del delitto.

La conclusione cui è pervenuta costantemente la Corte di Cassazione è stata negativa, tanto con riferimento ai casi di temporaneo riavvicinamento o momentanea riappacificazione tra la persona offesa e soggetto agente, quanto in relazione alle ipotesi di reciprocità dei comportamenti molesti o minatori.

Riguardo ai momenti transitori di riappacificazione e riavvicinamento della persona offesa con l'autore delle condotte persecutorie, è stato infatti escludo che possa interrompere l'abitualità del reato o inficiare la continuità delle condotte, quando le stesse presentino, complessivamente considerate, una oggettiva idoneità a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Cass. V, n. 17240/2020). È stato pertanto ritenuto, ad esempio, che la condotta della persona offesa, bersaglio di ripetute minacce di morte e di gravi e reiterati atti di violenza da parte dell'ex fidanzato, per costringerla a riprendere la relazione sentimentale, non sia tale da escludere il delitto di atti persecutori, pur a fronte del tentativo della donna di avere contatti con l'imputato mentre era ristretto agli arresti domiciliari.

Nel contempo, la Corte ha affermato che anche in caso di momenti transitori di attenuazione del malessere sofferto dalla persona offesa, nel periodo in cui si siano concretizzate le condotte moleste o minacciose del soggetto agente, in cui sia stato temporaneamente ripristinato il dialogo con il secondo, non viene meno la tipicità del reato né può desumersene di per sì una minore attendibilità o forza persuasiva delle dichiarazioni rede dalla vittima (Cass. V, n. 5131/2015).

Finanche la reciprocità dei comportamenti molesti, secondo i giudici di legittimità, non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, pur incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (Cass. V, n. 42643/2021; Cass. III, n. 45648/2013).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1).

Procedibilità

Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013).

Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85 comma 2-ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa.

Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente.

La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte).

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612-bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni.

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato:

– è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019).

– non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020).

Citazione a giudizio

Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Il delitto di atti persecutori spesso si iscrive in dinamiche relazionali in cui la persona offesa non assume un ruolo meramente passivo e che sono caratterizzate da periodi di momentaneo rasserenamento dei rapporti tra soggetto agente e vittima, cui tuttavia seguono nuove e spesso più gravi condotte persecutorie.

È quanto spesso accade nel caso di relazioni sentimentali concluse per decisione unilaterale del partner, non accettata dal soggetto agente, che adotti comportamenti molesti o minacciosi (e spesso finanche violenti), alternati però a fasi di calma e a tentativi di chiarire e recuperare civilmente il rapporto con la persona offesa. Quando invece le condotte si inseriscono in un contesto particolarmente conflittuale può accadere che la persona offesa, a propria volta, ponga in essere comportamenti di natura molesta o minacciosa ai danni del soggetto agente, venendosi così a creare una condizione di reciprocità delle condotte tipiche.

Rispetto a tali evenienze, tuttavia, la Corte di Cassazione ha escluso che possa derivarne automaticamente il venir meno della fattispecie penale, evidenziando tuttavia che in tal caso l'onere motivazionale in capo al giudice sarà aggravato dalla necessità di tenere debitamente conto del comportamento della persona offesa rispetto all'esistenza degli eventi tipici del reato e alla loro derivazione dalle condotte del soggetto agente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario