Atti persecutori e omicidio commesso dallo “stalker”

Angelo Salerno

1. Bussole di inquadramento

Il delitto di atti persecutori

Il delitto di atti persecutori è stato introdotto, all'art. 612-bis c.p., con il d.l. n. 11/2009, conv. in l. 38/2009, per contrastare le condotte definite comunemente di stalking, espressione inglese che indica la condotta di chi, a caccia di una preda, si apposta e/o la segue ossessivamente.

Sulla disciplina originaria è intervenuta la l. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso, elevando la cornice edittale del delitto, con importanti conseguenze sui termini di fase delle misure cautelari, raddoppiati per effetto della novella. Il Codice Rosso ha altresì introdotto una serie di disposizioni processuali volte a garantire una tutela immediata ed effettiva alla persona offesa, introducendo altresì l'obbligo di partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati di violenza di genere, quale condizione per la sospensione condizionale della pena, ex art. 165, comma 5, c.p.

Il delitto di atti persecutori tutela la libertà morale della persona offesa e la sua incolumità individuale, presentando natura di reato eventualmente pluri-offensivo.

Il soggetto agente può essere chiunque, trattandosi di un reato comune, ma il rapporto con la persona offesa potrà assumere rilevanza quale circostanza aggravante del delitto.

La condotta criminosa consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi o molesti, tali da determinare nella vittima uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p., ossia “un grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata alla medesima da relazione affettiva ovvero da costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Si tratta dunque di un reato di evento, che consegue alle condotte di molestia o minaccia.

Le prime, singolarmente considerate, possono consistere in atti leciti e socialmente accettati ma l'assillante ripetizione nel tempo, con insistenza e invadenza, di tali atti determina l'insorgere della responsabilità per il delitto di atti persecutori, quando abbia cagionato alcuno degli eventi del delitto ex art. 612-bis c.p.

Possono altresì configurare il delitto in esame condotte che di per sé assumono rilevanza penale, quali comportamenti violenti o di minaccia, e che integrano la fattispecie ex art. 612-bis c.p. quando abbiano cagionato uno degli eventi tipici del delitto.

Tra questi ultimi rientrano il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto e dell'alterazione delle proprie abitudini di vita, i quali non pongono particolari problemi in sede di accertamento del reato. Al contrario, maggiori incertezze derivano dal primo tipo di evento, del “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, caratterizzato da genericità e vaghezza secondo i primi commentatori.

La giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto ha ritenuto che lo stato di turbamento emotivo non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni, essendo invece sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima (Cass. V, n. 14391/2012; Cass. V, n. 8832/2011).

La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto che la prova degli eventi tipici del reato possa desumersi dalla natura dei comportamenti tenuti dal reo, qualora idonei a determinarli, valorizzando le dichiarazioni della vittima del reato, i suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. V, n. 17795/2017).

L'elemento soggettivo è il dolo generico che, trattandosi di un reato abituale, deve consistere nella rappresentazione e volontà delle singole condotte che, complessivamente considerare, devono mirare alla realizzazione di uno o più eventi tipici del reato.

È quest'ultimo il momento in cui la fattispecie giunge a perfezionamento, raggiungendo la sua consumazione allorché gli effetti del delitto abbiano raggiunto la loro massima gravità.

La dottrina ammette il tentativo di delitto nel caso di atti persecutori, allorché siano state poste in essere una serie di condotte moleste o minacciose, senza che tuttavia, per cause indipendenti dalla volontà del soggetto agente, si sia verificato alcuno degli eventi tipici del reato.

La tesi opposta richiede invece che, ove non si verifichi almeno uno degli eventi predetti, non sarebbe possibile punire il soggetto agente a titolo di tentativo, dovendosi invece avere riguardo alla rilevanza penale di ciascuna condotta abituale posta in essere dal predetto.

Le circostanze speciali

L'art. 612-bis c.p. disciplina, al comma 2, una serie di circostanze speciali, che operano quando il fatto sia stato commesso “dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

Perché possa ravvisarsi la circostanza aggravante della relazione affettiva tra soggetto agente e persona offesa non è necessario che questi fossero legati stabilmente, come nel caso di convivenza more uxorio, potendo invece assumere rilevanza anche un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione (Cass. III, n. 11920/2018).

Per strumenti informatici e telematici devono invece ritenersi tutte le tecnologie che consentono di aggredire da remoto il bene giuridico tutelato, e che si sostanziano nelle condotte di c.d. cyber-stalking.

Il comma 3 dell'art. 612-bis c.p. prevede inoltre, quali circostanze ad effetto speciale, la commissione del fatto in danno di “un minore”, di “una donna in stato di gravidanza” o di “una persona con disabilità”, in ragione della maggiore vulnerabilità della vittima, nonché l'aver agito “con armi” o “da persona travisata”.

Ulteriori circostanze aggravanti sono previste dall'art. 8 della stessa l. n. 38/2009, di conversione del d.l. n. 11/2009 (introduttivo del delitto), il quale prevede che, in caso di previo ammonimento da parte del Questore, la pena per il delitto in esame è aumentata.

Si tratta dei casi in cui la persona offesa, prima di aver sporto querela, si avvalga della facoltà di esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. Ricevuta senza ritardo la richiesta, il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Inoltre, viene valutata in tale occasione l'adozione di provvedimenti relativi al possesso di armi o munizioni da parte dell'ammonito.

Le condotte commesse a seguito dell'ammonimento sono procedibili d'ufficio, oltre che aggravate ai sensi dell'art. 8 sopra citato.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'omicidio della persona offesa commesso dall'autore del delitto di atti persecutori integra un'autonoma fattispecie di reato o un reato complesso circostanziato?

Orientamento meno recente della Corte di Cassazione

Il delitto di atti persecutori non è assorbito da quello di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, c.p., non sussistendo una relazione di specialità tra tali fattispecie di reato.

Secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione (Cass. I, n. 20786/2019), in assenza di una relazione di specialità tra le fattispecie di atti persecutori e di omicidio aggravato ex art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p. (per essere stato il fatto commesso dall'autore del delitto previsto dall'articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa), sicché il delitto di atti persecutori non resta assorbito da quello di omicidio aggravato.

È stato infatti osservato che nel delitto aggravato ex art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, c.p. l'elemento aggravatore è di natura soggettiva, essendo incentrato sulla mera identità del soggetto autore sia degli atti persecutori che dell'omicidio. Pertanto, esso non appartiene alla condotta e alle sue modalità di commissione e quindi non si pone al centro di un rapporto di interferenza tra le fattispecie, che si pongono invece in una relazione di piena compatibilità perché la commissione degli atti persecutori, reato di natura abituale e a condotta tipizzata, non involge in alcun modo la commissione del fatto di omicidio, ex art. 575 c.p., reato di natura istantanea e causalmente orientato.

Diverso il caso dell'aggravante di cui al precedente n. 5, che si configura allorché il delitto di omicidio sia stato compiuto “in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater e 609-octies”, avendo così riguardo ad una occasionalità esistente tra i fatti commessi.

Mancando pertanto una qualsivoglia affinità strutturale tra le fattispecie, non si verifica l'assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di omicidio aggravato.

Secondo tale indirizzo, inoltre, non depone in senso contrario tantomeno la clausola di riserva contenuta nell'incipit dell'art. 612-bis c.p. (“Salvo che il fatto non costituisca più grave reato”), stante la natura istantanea del delitto di omicidio, che lo pone al di fuori dell'area di possibile interferenza con il reato abituale di atti persecutori.

Orientamento più recente della Corte di Cassazione

Sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di atti persecutori e quello di omicidio aggravato ex art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, c.p. che deve considerarsi quale reato complesso.

Un secondo orientamento della Corte di Cassazione (Cass. III, n. 30931/2020), ha invece sostenuto che sussista un concorso apparente tra le due fattispecie in esame, tale da integrare un'ipotesi di reato complesso che assorbe integralmente il disvalore della fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p., ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall'agente ai danni della medesima persona offesa.

Pur riferendosi alla commissione del delitto di omicidio realizzata “dall'autore del delitto previsto dall'art. 612-bis, nei confronti della persona offesa”, secondo tale orientamento, l'art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p. non potrebbe per ciò solo qualificarsi in termini soggettivi in quanto ad aggravare il delitto di omicidio non sarebbe la sua commissione da parte dello “stalker” in quanto tale, ma il fatto che il delitto sia stato preceduto da condotte persecutorie tragicamente culminate con la soppressione della vita della persona offesa.

In tal senso deporrebbe altresì la necessità che si tratti di condotte realizzate ai danni della medesima vittima, sintomatica della volontà del legislatore di punire più gravemente l'omicidio solo se effettivamente connesso ai precedenti atti persecutori.

Occorre pertanto un rapporto di connessione, finalistica e/o temporale, tra il fatto di omicidio e il fatto di atti persecutori: la disposizione normativa, infatti, prevede l'aggravante quando il fatto di omicidio sia commesso “dall'autore del delitto previsto dall'art. 612-bis, nei confronti della stessa persona offesa”, così circoscrivendo l'applicabilità della circostanza aggravante ai casi in cui la condotta di atti persecutori culmina nell'uccisione della medesima vittima.

Non sarebbe infatti sufficiente, come nei casi di cui al n. 5 dell'art. 576, comma 1, c.p., la commissione del fatto “in occasione” o “contestualmente” agli atti persecutori, occorrendo invece una forma di progressione criminosa che si riflette sul piano soggettivo, esprimendo una medesima volontà persecutoria che spinge l'autore del reato prima a commettere le reiterate condotte di minaccia o molestia e infine la condotta omicida (Cass. V, ord. n. 14916/2021).

Orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori, da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma 1, n. 5.1, c.p. – punito con la pena edittale dell'ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell'art. 84, comma 1, c.p., in ragione della unitarietà del fatto.

Investite della questione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito al secondo indirizzo, previa ricostruzione dei sopra esposti orientamenti in contrasto e soffermandosi sulla struttura del reato complesso (Cass. S.U., n. 38402/2021).

Le Sezioni Unite hanno evidenziato che l'istituto in esame presuppone che l'elemento costitutivo o la circostanza aggravante del reato, che si presume complesso, abbiano ad oggetto un fatto oggettivamente identificabile come tale, senza che possa a tal fine avere alcun rilievo la mera qualificazione soggettiva del soggetto agente; nel contempo, l'elemento costitutivo o la circostanza aggravante devono prevedere tutti gli elementi costitutivi di un altro reato che si ritiene assorbito, non essendo sufficiente il richiamo solo, ad esempio, all'evento di un altro reato.

In tal senso viene richiamato l'esempio del delitto di rissa, aggravata dalla morte o dalle lesioni di taluno dei partecipi: la Corte ha escluso in siffatte ipotesi la sussistenza di un reato complesso, posto che ad aggravare il delitto di rissa è il mero evento morte o lesione, quale conseguenza della colluttazione, e non già la corrispondente fattispecie di omicidio o di lesioni personali, integralmente considerata.

Inoltre, come evidenziato dalle Sezioni Unite, affinché un reato possa ritenersi assorbito dalla fattispecie complessa, deve costituire, nella totalità dei propri elementi costitutivi, un elemento costitutivo del reato complesso, necessario e non già meramente eventuale per il suo perfezionamento.

Secondo la Corte, dunque, non può riconoscersi validità all'elaborazione dottrinale della figura del reato eventualmente complesso, in quanto privo dei sopra esaminati requisiti.

Approfondendo quindi la ratio dell'istituto, le Sezioni Unite hanno evidenziato che la deroga alla disciplina del concorso di reati, operata dall'art. 84 c.p., si giustifica in ragione della scelta legislativa, anche nell'individuazione della pena, di considerare in maniera unitaria e sintetica le singole fattispecie penali.

Il disvalore della singola condotta confluisce infatti, anche sul piano sanzionatorio, nella risposta sanzionatoria per il reato complesso.

Tale rapporto fra il reato complesso e quello assorbito implica, secondo le Sezioni Unite, la riferibilità delle due fattispecie “ad un fondamento sostanziale comune”, individuato “nell'unitarietà dell'azione complessiva che comprende i fatti criminosi”.

Proprio l'unitarietà dell'azione comporta, quindi, una contestualità spazio-temporale tra i singoli fatti criminosi che integrano le fattispecie che confluiscono nel reato complesso.

È pertanto necessaria, per la configurabilità del reato complesso, l'unitarietà del fatto, in aggiunta alle condizioni strutturali previste dall'art. 84 c.p., articolata non solo nella contestualità dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche nella loro collocazione in una comune prospettiva finalistica.

Viene così valorizzato un ulteriore e prevalente requisito, posto che la mera contestualità delle condotte non implica di per sé l'integrazione di un reato complesso, dovendosi avere riguardo altresì alla comune finalità delle condotte, da intendersi in senso strutturale, avendo cioè riguardo alla formulazione della norma incriminatrice in cui convergono le singole condotte verso un risultato unitario, esplicitato dal legislatore.

Con riferimento quindi alle specifiche disposizioni di cui agli artt. 612-bis e 576, comma 1, n. 5.1, c.p., le Sezioni Unite osservano che la prima è oggetto di un espresso richiamo da parte della seconda, che aggrava la commissione dell'omicidio ad opera “dell'autore del delitto previsto dall'art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa”. Ne consegue che l'aggravante in questione non comprende unicamente il riferimento all'identità del soggetto agente dei reati di omicidio volontario e di atti persecutori, ma attribuisce rilievo alla identità della vittima, contro cui entrambi i reati vengono posti in essere.

Secondo i giudici di legittimità, la fattispecie di atti persecutori “è di conseguenza inequivocabilmente riportata all'interno della fattispecie aggravatrice nella sua integrale tipicità”.

Pertanto, sussistono tutte le caratteristiche strutturali del reato complesso, ivi compresa la necessaria unitarietà finalistica dei fatti di omicidio volontario ed atti persecutori.

Inoltre, come evidenziato dalle Sezioni Unite, “gli atti persecutori e l'omicidio presentano non solo contestualità spazio-temporale, ma si pongono altresì in una prospettiva finalistica unitaria”.

In presenza di tali presupposti, dunque, la Corte ha quindi concluso nel senso della ricorrenza di una forma di reato complesso, in specie circostanziato, che assorbe nella fattispecie aggravata ex art. 575, comma 1, n. 5.1, c.p. il delitto di atti persecutori (Cass. S.U., n. 38402/2021).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Querela (art. 336); Remissione di querela (art. 340); Istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare (art. 299); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare (art. 310); Memoria difensiva (art. 419, comma 2).

Procedibilità

Il delitto di atti persecutori è procedibile a querela di parte, che può essere proposta entro sei mesi dal fatto, ad eccezione dei casi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, la connessione rilevante ai fini della procedibilità non è solo quella di cui all'art. 12 c.p.p., dovendosi tenere in considerazione anche la c.d. connessione in senso materiale, ravvisabile quando le indagini in merito al reato procedibile d'ufficio implichino necessariamente l'accertamento del reato procedibile a querela di parte, in quanto commessi l'uno in occasione dell'altro, ovvero l'uno per occultare l'altro; assumono altresì rilievo gli ulteriori casi di collegamento investigativo di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini in ordine al reato perseguibile di ufficio siano state effettivamente avviate (Cass. V, n. 14692/2013).

Con riferimento alla procedibilità d'ufficio per connessione, deve inoltre evidenziarsi che trova applicazione la disciplina transitoria di cui all'art. 85 comma 2-ter, d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ai sensi del quale per i delitti di atti persecutori commessi prima dell'entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), continua a procedersi d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni della stessa.

Del pari, il fatto è procedibile d'ufficio quando la condotta segua l'ammonimento da parte del Questore nei confronti del soggetto agente.

La remissione della querela può essere soltanto processuale e la querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate gravi o commesse nei modi di cui all'art. 339 c.p. (ossia nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte).

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Il termine-base di prescrizione per le condotte di atti persecutori di cui al comma 1 dell'art. 612 bis c.p. e per le fattispecie aggravate ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, è pari a sei anni e sei mesi, (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di otto anni, un mese e quindici giorni, nella misura cioè di un quarto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Qualora invece ricorra alcuna delle circostanze ad effetto speciale, di cui all'art. 612-bis, comma 3, c.p., che determinano un aumento di pena fino alla metà, il termine base di prescrizione sarà pari a nove anni e nove mesi, suscettibile di aumento, in caso di eventi interruttivi, nella misura di un quarto, fino a massimo di dodici anni, due mesi e sette giorni.

Con riferimento ai fatti commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 161-bis c.p., il termine di prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, fermo restando che, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento.

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), inoltre, per tutti i casi di atti persecutori costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

– del giudizio di appello entro il termine di due anni;

– del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di atti persecutori, comunque circostanziato:

– è sempre consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato che, attesa la natura abituale del reato, è possibile ravvisare lo stato di flagranza del reato anche quando il bagaglio conoscitivo del soggetto che procede all'arresto deriva da pregresse denunce della vittima, relative a fatti a cui non abbia assistito personalmente, purché egli assista ad una frazione dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di denuncia, integri l'abitualità richiesta dalla norma, ovvero quando il reo sia sorpreso con cose o tracce indicative dell'avvenuta commissione del reato immediatamente prima (Cass. V, n. 19759/2019).

– non è mai consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, possono trovare applicazione con riferimento al delitto di atti persecutori; è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, co. 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Con particolare riferimento alla misura cautelare della custodia in carcere, non opera nei casi di cui all'art. 612-bis c.p. la norma di cui al comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., nella parte in cui non consente la custodia in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

In tutti i casi di atti persecutori, aggravati o meno, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.). La Corte di Cassazione ha precisato, in merito alla determinazione della competenza per territorio, che, trattandosi di un reato abituale di danno, che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 16977/2020).

Citazione a giudizio

Per il delitto di atti persecutori si procede sempre con udienza preliminare, in luogo che con citazione diretta del P.M. a giudizio.

Composizione del tribunale

Il processo per il reato di atti persecutori, aggravato o meno, si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione monocratica.

4. Conclusioni

Il delitto di atti persecutori, al pari della fattispecie di maltrattamenti contro familiari o conviventi, prelude troppo spesso a fatti di sangue, allorché le condotte persecutorie sfocino in gesti estremi e fatali per la vittima.

In siffatte ipotesi il delitto di omicidio è aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, n. 5.1, c.p., per essere stato il fatto commesso dall'autore del delitto di atti persecutori e nei confronti della medesima persona offesa.

Tale previsione ha sollevato dubbi interpretativi in ordine alla natura di reato complesso circostanziato della fattispecie aggravata di omicidio, richiedendo l'intervento delle Sezioni Unite, che hanno risolto la questione in senso positivo.

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