Materialità e natura giuridica: il significato dell'espressione “mediante più condotte”

Giovanni Capozio

1. Bussole di inquadramento

Gli obblighi di criminalizzazione di matrice sovranazionale e l'introduzione del delitto di tortura.

Ponendo fine ad un periodo d'attesa snodatosi per circa tre decenni, tramite la l. 14 luglio 2017, n. 110 il legislatore italiano ha introdotto, all'interno del codice penale, il delitto di tortura, disciplinato dall'art. 613-bis, che sino a quel momento figurava in seno al panorama ordinamentale esclusivamente quale crimine di guerra, in virtù della previsione dettata dall'art. 185-bis c.p.m.g.

Molteplici sono apparse le ragioni che hanno condotto all'introduzione, nel sistema penale comune, di tale figura criminosa. In primo luogo, il legislatore interno è stato chiamato a conformarsi agli obblighi di matrice sovranazionale discendenti da una pluralità di strumenti normativi che avevano visto l'adesione dello Stato italiano, al cui interno, ancorché con sfumature contenutistiche eterogenee, figura un generico divieto di tortura.

In tale contesto vengono in rilievo, anzitutto, l'art. 5 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e l'art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, entrambi adottati in seno alle Nazioni Unite; quanto al contesto regionale assume rilevanza, anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi nell'àmbito della Corte europea dei diritti dell'uomo, l'art. 3 della CEDU, proteso a sancire il divieto di tortura e l'inflizione di trattamenti inumani e degradanti, a cui si affianca, nel medesimo contesto del Consiglio d'Europa, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1987, e successive integrazioni, ratificata dall'Italia con la l. n. 7/1989.

Infine, peculiare rilievo assume la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (c.d. CAT), adottata nel 1984 nel contesto delle Nazioni Unite, ratificata dall'Italia con la l. n. 489/1988, la quale, oltre a comminare un obbligo di criminalizzazione della c.d. tortura di Stato (con ciò intendendosi la condotta perpetrabile dal soggetto titolare di un munus pubblicistico) fornisce, a discapito dei summenzionati testi pattizi, una nozione di tortura, rielaborata a partire dalla definizione delineata in seno alla Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1975, che costituisce l'antecedente normativo del predetto strumento convenzionale.

Volgendo lo sguardo al sistema normativo interno, l'obbligo di criminalizzazione di tale forma di manifestazione dell'agire umano radica la sua fonte nella disposizione di cui all'art. 13, comma 4, Cost., che statuisce la punizione di ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, atteggiandosi, alla stregua di quanto osservato da numerosi commentatori, quale unico obbligo di criminalizzazione di rango costituzionale vigente nel nostro ordinamento.

L'innesto del delitto di tortura nel tessuto normativo interno è stato oltremodo incoraggiato da alcune pronunce di condanna, emesse nei confronti dello Stato italiano dalla Corte europea dei diritti dell'uomo all'esito di ricorsi presentati da soggetti che erano rimasti vittime delle condotte perpetrate dalle Forze dell'ordine, nel luglio 2001, in occasione del G8 di Genova, presso la scuola Diaz.

In particolare, dapprima con la sentenza Cestaro c. Italia del 7 aprile 2015 e, a distanza di due anni, con la sentenza Bartesaghi, Gallo e altri c. Italia del 22 giugno 2017 – che, nei fatti, ha impresso l'impulso decisivo alla conclusione dell'iter parlamentare che ha condotto all'introduzione del delitto in analisi – i giudici di Strasburgo hanno sancito la violazione, da parte del nostro Stato, dell'art. 3 della Convenzione, stante l'assenza, nel tessuto normativo interno, di una fattispecie criminosa volta a prevenire e sanzionare quelle condotte che, sulla scorta della nozione enucleata dalla stessa giurisprudenza sovranazionale, appaiono idonee ad integrare fatti di tortura.

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
La c.d. tortura pubblica integra una fattispecie autonoma di reato ovvero una circostanza aggravante della tortura comune?

Orientamento prevalente della Corte di Cassazione

La c.d. tortura pubblica (o verticale) integra una circostanza aggravante dell'ipotesi base di cui al comma 1 dell'art. 613-bis c.p.

Nell'introdurre il delitto di tortura all'interno del mosaico delle fattispecie criminose volte a reprimere i delitti contro la libertà morale, pur a fronte di numerose opinioni di segno contrario manifestatesi nella fase di gestazione parlamentare, il legislatore italiano ha optato per criminalizzare non soltanto la condotta realizzata dal soggetto titolare di una qualifica pubblicistica, comunemente catalogabile quale tortura pubblica (o verticale), ma ha altresì previsto l'assoggettamento alla sanzione penale del comportamento realizzato dal soggetto privo del predetto munus, declinabile nella forma della tortura comune (o orizzontale), in ciò offrendo una tutela più ampia rispetto agli obblighi promananti dalla Convenzione c.d. CAT, che imponeva agli Stati aderenti di reprimere esclusivamente i fatti perpetrati dal pubblico ufficiale.

Dalla disamina della struttura dell'art. 613-bis c.p., prendendo le mosse dal disposto di cui al comma 1, emerge, difatti, quanto all'individuazione del soggetto attivo, la configurazione di un reato comune, denotata dal ricorso al pronome “chiunque”, a cui fa da pendant la comminatoria della pena della reclusione da quattro a dieci anni.

Di contro, il capoverso del medesimo articolo sancisce un incremento dei limiti edittali, che oscillano tra un minimo di cinque ed un massimo di dodici anni di reclusione, laddove i fatti tipizzati dal primo comma siano perpetrati da un pubblico ufficiale, ovvero da un incaricato di un pubblico servizio, che abusi dei poteri conferitigli ovvero violi i doveri inerenti alla funzione od al servizio espletati.

A fronte di tale assetto normativo, si pone pertanto l'esigenza di verificare la natura delle previsioni contemplate, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 613-bis c.p., al fine di decretare se il legislatore abbia enucleato due fattispecie autonome di reato, ovvero se l'ipotesi delineata dal capoverso assuma la veste di circostanza aggravante dell'ipotesi base di cui al comma 1.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi sui primi ricorsi aventi ad oggetto la configurabilità di tale, inedita, figura criminosa, si è dapprima orientata nel senso di assegnare alla previsione tipizzata dal secondo comma la natura di figura circostanziale, posto che immutati gli elementi strutturali che delineano il tipo astratto, l'incremento di disvalore appare connesso, in via esclusiva, alla qualifica detenuta dal soggetto agente (Cass. V, n. 47079/2019; Cass. V, n. 50208/2019).

Orientamento più recente della Corte di Cassazione

La c.d. tortura pubblica, di cui all'art. 613-bis, comma 2, c.p., è una fattispecie autonoma di reato.

Recependo le osservazioni formulate da alcuni Autori, ad avviso di un differente orientamento interpretativo emerso, in tempi più recenti, in seno alla giurisprudenza di legittimità, l'ipotesi disciplinata dal secondo comma dell'art. 613-bis c.p. acquisisce il rango di fattispecie autonoma di reato, con la conseguenza che essa non potrà essere soggetta al giudizio di bilanciamento previsto dall'art. 69 c.p. per le circostanze del reato.

Alla base di tale opzione ermeneutica si rileva che l'eventuale collocazione della c.d. tortura pubblica nell'alveo delle circostanze aggravanti della tortura comune condurrebbe ad una violazione, da parte del diritto interno, degli obblighi internazionali, dal momento che il dovere di criminalizzare tale tipologia di comportamento concerneva, in via esclusiva, la tortura verticale, non sussistendo viceversa analoga previsione in relazione alla tortura comune, tanto da non potersi ricondurre l'unica forma di tortura soggetta ad un espresso obbligo di criminalizzazione nel perimetro degli elementi circostanziali di una fattispecie sanzionata più mitemente (Cass. III, n. 32380/2021).

Domanda
Qual è la natura del delitto di tortura?

Orientamenti della Corte di Cassazione

Le oscillazioni interpretative in ordine all'eventuale configurabilità del delitto di tortura quale reato eventualmente abituale.

Nel configurare la figura criminosa di cui all'art. 613-bis c.p. il legislatore ha enucleato una fattispecie astratta connotata dalla presenza di una pluralità di elementi descrittivi, che suggeriscono, in via preliminare, di sviluppare un'esegesi del dato normativo protesa ad individuarne i connotati salienti.

Ferme restando le annotazioni che precedono, attinenti al soggetto attivo del reato, emerge come il legislatore abbia tratteggiato una fattispecie a forma vincolata, posto che si esige la realizzazione di una condotta che implichi il ricorso alle violenze ovvero alle minacce, che debbono assumere il connotato della gravità; in alternativa, il comportamento meritevole di sanzione penale può estrinsecarsi in un contegno connotato dalla crudeltà dell'agire, sulla cui nozione appare ragionevole rievocare le soluzioni elaborate in ambito pretorio in relazione alla circostanza aggravante comune di cui all'art. 61, n. 4) c.p.

Quanto al versante dell'evento, la fattispecie esige il verificarsi, in via alternativa, di un mutamento della realtà naturale che deve attingere la sfera della persona offesa, il quale deve sostanziarsi in acute sofferenze fisiche ovvero in un verificabile trauma psichico.

In relazione allo status della persona offesa, il disposto normativo delimita il perimetro dei soggetti nei cui confronti appaiono perpetrabili gli atti idonei ad essere sussunti nella sfera di cui all'art. 613-bis c.p., venendo in rilievo anzitutto la persona che risulti privata della libertà personale, in alternativa il soggetto che risulti affidato alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza del torturatore e, da ultimo, la persona che si trovi in condizioni di minorata difesa, per la cui opera di decodificazione appare ragionevole affidarsi alle conclusioni rassegnate dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla circostanza aggravante comune, disciplinata dall'art. 61, n. 5) c.p.

Per ciò che concerne la natura del reato, seppur tramite il ricorso ad un archetipo descrittivo atto, per certi versi, a discostarsi dalla tradizionale tecnica di redazione del precetto normativo, la formulazione del primo comma dell'art. 613-bis c.p. consente di rilevare che, stante la presenza del sintagma “mediante più condotte”, qualora il comportamento dell'agente si sostanzi in un agire violento e/o minatorio, ovvero in un contegno improntato alla crudeltà, l'integrazione del reato presuppone, per l'appunto, la realizzazione di una pluralità di condotte, sicché, a mero titolo esemplificativo, l'eventuale perpetrazione di una singola condotta violenta, ancorché idonea ad attingere una determinata soglia di gravità, si atteggerà alla stregua di un fatto inidoneo ad integrare il paradigma punitivo di cui all'art. 613-bis c.p., potendo al più essere sussunta nel perimetro applicativo di differenti fattispecie criminose, già presenti nell'architrave codicistica.

Al contempo, ed in via alternativa, è lo stesso primo comma dell'art. 613-bis c.p. a non esigere la realizzazione di una pluralità di condotte, a condizione che il fatto posto in essere dall'agente comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.

Tali coordinate consentono di rilevare che, per un verso, il delitto può assumere i connotati di un reato istantaneo, laddove la condotta dell'agente abbia generato, in danno della vittima, un trattamento inumano e degradante.

Per altro verso, qualora il comportamento del reo si estrinsechi nella realizzazione di una pluralità di condotte attuate in un determinato arco temporale, ad avviso di una linea interpretativa emersa in seno alla giurisprudenza di legittimità, la tortura si atteggia quale reato eventualmente abituale (Cass. V, n. 47079/2019).

Merita, peraltro, osservare che a breve distanza di tempo, in seno alla medesima Sezione della Corte di cassazione, ancorché in una differente composizione collegiale, pronunciandosi peraltro attorno alla stessa vicenda fattuale oggetto di scrutinio ad opera della citata sentenza n. 47079/2019, con l'unica variante rappresentata dalle figure dei ricorrenti che avevano adito la Corte, i giudici della nomofilachia sono pervenuti ad escludere la natura abituale del reato, osservando, come si approfondirà maggiormente nel prosieguo, che ai fini della sua integrazione non sia necessaria la reiterazione nel tempo delle condotte (Cass. V, n. 50208/2019).

Successivamente, la Cassazione ha nuovamente optato per la qualifica dell'illecito nella forma del reato eventualmente abituale improprio, precisando che soltanto per talune modalità della condotta, vale a dire per le ipotesi delle violenze o delle minacce gravi, sia richiesto un agire reiterato, aggiungendo oltretutto che il predetto connotato della reiterazione non si renda necessario qualora l'autore del fatto agisca con crudeltà (Cass. III, n. 32380/2021).

In tal guisa si è optato per una tesi interpretativa che potrebbe dare adito a talune obiezioni, in quanto l'esegesi letterale del primo comma dell'art. 613-bis c.p. sembra suggerire una lettura alternativa, nel senso che l'unica ipotesi che, ai fini della tipicità del fatto, non esige la pluralità delle condotte, è dettata dal sottoporre la vittima ad un trattamento inumano e degradante.

Domanda
L'espressione “mediante più condotte”, prevista dal comma 1 dell'art. 613-bis c.p., implica la necessità che l'agente reiteri nel tempo le condotte tipiche ovvero il reato è configurabile anche qualora la pluralità di condotte venga posta in essere nel medesimo contesto temporale?

Primo orientamento della Corte di Cassazione

La tortura configura un reato eventualmente abituale ed ai fini del suo perfezionamento è richiesta, da parte dell'agente, la reiterazione di più condotte in un arco temporale, seppur di breve durata.

Nel definire i contorni applicativi del delitto di tortura, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata attorno al significato da assegnare alla locuzione ‘mediante più condotte', annoverata dal comma 1 dell'art. 613-bis c.p. tra i requisiti di fattispecie, qualora dalla condotta dell'agente siano discesi, quali conseguenze eziologicamente collegate, gli eventi alternativi delle acute sofferenze fisiche ovvero del verificabile trauma psichico.

Ferma restando la scelta univoca compiuta dal legislatore, volta ad esigere, allo scopo di sussumerla nel perimetro punitivo delineato dalla fattispecie in parola, la realizzazione di una pluralità di condotte ove esse abbiano cagionato alla persona offesa almeno uno dei summenzionati eventi lesivi – pluralità di condotte che, viceversa, come anticipato, non è richiesta qualora il comportamento dell'agente abbia implicato la sottoposizione della vittima ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona, tanto da profilarsi, in tale secondo caso, un'ipotesi di reato istantaneo – si pone l'esigenza di decretare, in assenza di un parametro normativo di riferimento, l'ampiezza della dimensione temporale entro cui l'agente debba perpetrare le predette, plurime, condotte affinché possano acquisire il rango di atti di tortura.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha dapprima affermato che la pluralità di condotte implichi la reiterazione di violenze o minacce gravi in tempi diversi, precisando che tali condotte illecite debbano essere realizzate reiteratamente, in più riprese o, comunque, con modalità tali che si possa parlare di più condotte, perché realizzate in un arco temporale abbastanza lungo (Cass. V, n. 47079/2019).

Con la medesima decisione, la Cassazione ha peraltro precisato che la tortura è stata concepita quale reato eventualmente abituale, sancendo che siano sufficienti anche due sole condotte, oltretutto perpetrabili in un minimo lasso temporale, financo quantificato in un'ora ovvero in pochi minuti, richiamando sul punto l'orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione alla fattispecie delittuosa degli atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p. (Cass. V, n. 47079/2019).

Secondo orientamento della Corte di Cassazione

La tortura non configura un reato abituale ed ai fini della sua integrazione è sufficiente la realizzazione di una pluralità di condotte nel medesimo contesto temporale.

Di segno diverso appare un differente filone interpretativo, inaugurato da una pronuncia resa dalla Cassazione, la quale, nel condividere le soluzioni enucleate dal Tribunale del Riesame che aveva confermato l'ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti di due soggetti, ha anzitutto precisato che, ai fini dell'integrazione della tortura, non sia necessaria la reiterazione nel tempo delle condotte, escludendo in tal modo la natura abituale del reato (Cass. V, n. 50208/2019).

Nell'approdare a tale soluzione, i giudici di legittimità hanno aderito all'opera ricostruttiva svolta dal Tribunale del Riesame, che ha sviluppato una comparazione con la fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p., ove il legislatore ha fatto ricorso alla differente locuzione “condotte reiterate”, denotativa, ad avviso di tale filone esegetico, della necessità di una riproduzione dei comportamenti persecutori in successivi contesti temporali; viceversa, l'opzione terminologica prescelta per la conformazione dell'art. 613-bis c.p., affidata alla locuzione ‘mediante più condotte', non presuppone necessariamente il reiterarsi nel tempo di condotte violente e/o minatorie, ma reputa idonei ad integrare l'illecito in parola anche quei contegni conformi al tipo legale che siano stati posti in essere nello stesso contesto cronologico (Cass. V, n. 50208/2019).

A suggello di tale impostazione, la Cassazione osserva che l'efficacia repressiva della previsione criminosa di cui all'art. 613-bis c.p. risulterebbe irragionevolmente depotenziata qualora si accedesse ad un'interpretazione atta a circoscriverne l'applicazione ai casi di reiterazione differita nel tempo delle condotte, poiché in tal modo si creerebbero degli ingiustificati vuoti di tutela a fronte di situazioni empiricamente realizzabili nella prassi.

A conforto di tale annotazione, la medesima sentenza osserva che, qualora non si aderisse a tale prospettata lettura interpretativa, ne discenderebbe il paradosso di rendere inapplicabile – ancorché in via prettamente astratta, stante la natura pregressa dei relativi fatti – la fattispecie che sanziona la tortura alle condotte perpetrate in occasione del vertice del G8 di Genova all'interno della scuola Diaz, che non vennero reiterate nel tempo, ma si esaurirono in quel singolo contesto temporale (Cass. V, n. 50208/2019).

I giudici di legittimità hanno confermato la predetta opzione interpretativa con una successiva decisione, resa anche in tal caso in fase cautelare, avente ad oggetto i fatti di tortura ascritti ad un soggetto appartenente alla Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere per le condotte perpetrate, nell'aprile del 2020, in danno di un gruppo di detenuti (Cass. V, n. 8973/2022).

Applicazioni

Dalla disamina delle prime decisioni giurisprudenziali chiamate a pronunciarsi sulla configurabilità del delitto di tortura, appare possibile trarre la seguente casistica.

In una prima vicenda la Corte di cassazione ha ritenuto sussistenti i presupposti applicativi della tortura, pronunciandosi, nell'ambito di un giudizio cautelare scaturito dall'applicazione della misura custodiale a carico dei tre indagati, accusati di aver dapprima fatto salire a bordo di un'autovettura un giovane, che veniva minacciato con una pistola, materialmente impugnata da uno degli occupanti del mezzo, per poi averlo condotto in una località appartata.

Giunti in loco, per un arco temporale della durata di almeno trenta minuti, lo costringevano a subire violenze ed umiliazioni, consistite nel colpirlo ripetutamente con un bastone, nel fargli stendere la mano su un cordolo per poi colpirlo sulle dita al fine di spezzargliele, nello scagliargli contro un bastone, così da cagionargli la rottura dei denti, nell'avvolgergli il capo all'interno di una coperta, per poi immergergli più volte la testa nell'acqua, come per affogarlo e, da ultimo, nel costringerlo a restare nudo e a pulire il suo stesso sangue (Cass. I, n. 37317/2018).

Successivamente, attraverso due sentenze aventi ad oggetto la medesima vicenda fattuale, l'una scaturita da un ricorso cautelare presentato nell'interesse di indagati minorenni (Cass. V, n. 47079/2019), l'altra frutto di un'impugnazione cautelare esperita nell'interesse di due soggetti che, all'epoca dei fatti, avevano raggiunto la maggiore età (Cass. V, n. 50208/2019), la Cassazione ha reputato sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 613-bis c.p.

La vicenda fattuale aveva visto la perpetrazione, da parte di un gruppo di più persone, auto-denominatosi ‘comitiva degli orfanelli', di alcune spedizioni punitive nei confronti di un uomo ultrasessantenne, che abitava da solo ed era affetto da alcuni disturbi psicologici, il quale, oltretutto, conduceva un tenore di vita improntato ad uno scarso livello di socialità.

In particolare, gli indagati, agendo in orario notturno, avevano sferrato calci e pugni alla porta dell'abitazione della vittima, scagliandovi altresì delle pietre e dei bidoni dell'immondizia, tanto da danneggiare gli infissi. Al contempo, gli aguzzini erano penetrati all'interno dell'appartamento, schernendo la vittima, per poi percuoterla con delle mazze sulle mani, sui fianchi, sul ventre e sulle ginocchia e, infine, distruggendo alcune suppellettili ivi presenti e sottraendo del denaro.

A causa delle aggressioni subite, l'uomo venne rinvenuto dagli operanti in precarie condizioni di salute, che ne imposero il ricovero ospedaliero a cui, a distanza di alcuni giorni, fece seguito il decesso; una volta effettuato l'accesso nell'appartamento, gli operanti rinvennero una situazione di degrado igienico-ambientale, complice anche il fatto che, per il timore di patire ulteriori ritorsioni, la persona offesa si era persino astenuta dall'uscire di casa, tanto da non procacciarsi i generi alimentari di prima necessità.

In un'ulteriore vicenda, pronunciando, stavolta, all'esito dei precedenti gradi di merito, i giudici di legittimità hanno nuovamente ritenuto integrato il delitto di tortura in relazione alle condotte perpetrate da una coppia di coniugi in danno di una giovane donna (Cass. III, n. 25617/2022).

In particolare, mentre era intenta a camminare lungo la pubblica via, la vittima veniva avvicinata da un'autovettura condotta dall'imputato, che conosceva personalmente da circa due anni, il quale, dopo averle chiesto di avvicinarsi, scendeva repentinamente dal mezzo, sollevava la donna di peso, per poi sbatterla sul sedile posteriore e ripartire rapidamente.

Nel prosieguo, dal baule dell'autovettura spuntava la coimputata, coniuge del conducente, la quale dapprima bloccava la vittima con le mani, mentre il marito sottraeva alla ragazza borsa e cellulare, per poi schiaffeggiarla ripetutamente sul viso, tanto da farle sanguinare il naso e la bocca.

La ragazza veniva quindi condotta in un campo dove, una volta fatta scendere dal veicolo, veniva attinta da schiaffi, calci e tirate di capelli. Quindi i due imputati le ordinavano di spogliarsi e la donna, mentre continuava a insultarla, con un ramo di albero procuratole dal marito, dopo averla fatta inginocchiare, iniziava a frustarla, colpendola alla schiena, sul sedere e poi anche sulle gambe, quando la ragazza si era alzata per il male che sentiva.

Quindi i coniugi iniziavano a fumare ed entrambi spegnevano la sigaretta sulla schiena, sulle gambe e sulle mani della vittima, rimasta nuda nel campo, riempiendola di sputi e insulti, nonostante ella li supplicasse di smetterla. Subito dopo, la persona offesa veniva costretta a praticare un rapporto orale con l'imputato, mentre la moglie riprendeva la scena col cellulare e, a seguire, le parti si invertivano, in quanto era il marito a riprendere la scena della vittima intenta a praticare un rapporto orale alla moglie.

La cruenta dinamica dei fatti si concludeva con la minaccia dell'imputato, attuata puntando addosso alla persona offesa un coltello da cucina, il quale paventava di uccidere la famiglia della donna se costei avesse parlato con qualcuno.

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Quesito in tema di accertamenti autoptici (causa della morte incerta); Conferimento incarico al consulente tecnico a svolgere investigazioni difensive (art. 327-bis); Richiesta di applicazione di misura cautelare personale (art. 273).

ProcedibilitàPer il reato di tortura si procede d'ufficio, sia nell'ipotesi della tortura comune di cui al comma 1, sia nell'ipotesi della tortura pubblica, disciplinata dal comma 2. La procedibilità d'ufficio è inoltre prevista sia in relazione alle ipotesi circostanziali disciplinate dal comma 4 dell'art. 613-bis, qualora dalla tortura derivino lesioni personali lievi, gravi o gravissime, sia in relazione alle figure circostanziali disciplinate dal comma 5 del medesimo articolo, qualora dalla tortura derivi la morte quale conseguenza non voluta, ovvero nell'ipotesi in cui il colpevole cagioni volontariamente la morte della persona offesa.

Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato)

Per l'ipotesi della tortura comune (art. 613-bis, comma 1, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi della tortura pubblica (art. 613-bis, comma 2, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni dodici (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni quindici (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura comune derivi una lesione personale lieve (art. 613-bis, commi 1 e 4, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura pubblica derivi una lesione personale lieve (art. 613-bis, commi 2 e 4, c.p.) il termine-base di prescrizione è pari ad anni dodici (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni quindici (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura comune derivi una lesione personale grave (art. 613-bis, commi 1 e 4, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni tredici e mesi quattro (art. 157, comma 2, c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni sedici e mesi otto (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura pubblica derivi una lesione personale grave (art. 613-bis, commi 2 e 4, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni sedici (art. 157, comma 2, c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni venti (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura comune derivi una lesione personale gravissima (art. 613-bis, commi 1 e 4, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni quindici (art. 157, comma 2, c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni diciotto e mesi tre (artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura pubblica derivi una lesione personale gravissima (art. 613-bis, commi 2 e 4, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni diciotto (art. 157, comma 2, c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni ventidue e mesi sei (artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura, sia comune che pubblica, derivi la morte quale conseguenza non voluta dal reo (art. 613-bis, commi 1, 2 e 5, c.p.), il termine-base di prescrizione è pari ad anni trenta (art. 157, comma 2, c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni trentasette e mesi sei (artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.).

Per l'ipotesi in cui dai fatti di tortura, sia comune che pubblica, il colpevole cagioni volontariamente la morte della persona offesa (art. 613-bis, commi 1, 2 e 5, c.p.), il reato è imprescrittibile (art. 157, comma 8, c.p.).

A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di tortura (sia essa comune oppure pubblica, sia che ricorra almeno una delle figure circostanziali di cui ai commi 2, 4 o 5) costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

- del giudizio di appello entro il termine di due anni;

- del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

Con riguardo al reato di tortura:

- è obbligatorio l'arresto in flagranza di reato nelle ipotesi di tortura, sia essa comune o pubblica, ove ricorrano le circostanze di cui al comma 5 (art. 380 c.p.p.);

- è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 1, c.p.p.), in relazione alle ipotesi di tortura comune o pubblica, siano esse nella forma semplice ovvero nella forma circostanziata di cui al comma 4;

- è sempre consentito il fermo (art. 384 c.p.p.).

Misure cautelari personali

Le previsioni di cui all'art. 280, commi 1 e 2 c.p.p., consentono l'applicazione al delitto di tortura, nelle differenti forme di manifestazione previste dall'art. 613-bis c.p., delle misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), ivi compresa la custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni e l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della misura custodiale ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

La previsione di cui all'art. 287, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione al delitto di tortura, nelle differenti forme di manifestazione previste dall'art. 613-bis c.p., delle misure cautelari interdittive (artt. 288-290 c.p.p.), posto che tale tipologia di misure può essere applicata solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.

Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Competenza

Nell'ipotesi della tortura comune (art. 613-bis, comma 1, c.p.), altresì se aggravata dall'aver cagionato alla persona offesa una lesione lieve (comma 4, prima parte), è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione monocratica (cfr. artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.)

Viceversa, nelle ipotesi della tortura comune, aggravata dall'aver cagionato alla persona offesa una lesione grave o gravissima (art. 613-bis, commi 1 e 4, seconda parte, c.p.), è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (cfr. art. 33-bis, comma 2, c.p.p.).

Qualora, nell'ipotesi della tortura comune, derivi la morte della persona offesa, sia quale conseguenza non voluta dall'agente, sia nell'ipotesi in cui l'agente l'abbia volontariamente cagionata (art. 613-bis, commi 1 e 5, c.p) è competente per materia la Corte d'Assise (cfr. art. 5 c.p.p.).

Nelle ipotesi della tortura pubblica, sia nella forma semplice, sia qualora ricorra una o più delle circostanze aggravanti di cui al comma 4 dell'art. 613-bis c.p., è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (cfr. art. 33-bis, comma 2, c.p.p.).

Qualora, nell'ipotesi della tortura pubblica, derivi la morte della persona offesa, sia quale conseguenza non voluta dall'agente, sia nell'ipotesi in cui l'agente l'abbia volontariamente cagionata (art. 613-bis, commi 2 e 5, c.p.) è competente per materia la Corte d'Assise (cfr. art. 5 c.p.p.).

Citazione a giudizio

Per tutte le ipotesi di tortura si procede con udienza preliminare (cfr. art. 550, comma 1, c.p.p.).

Composizione del tribunale

Il processo per il delitto di tortura comune, altresì se aggravato dall'aver cagionato alla persona offesa una lesione lieve (art. 613-bis, commi 1 e 4, prima parte, c.p.), si svolgerà innanzi al tribunale in composizione monocratica.

Il processo per il delitto di tortura comune, aggravato dall'aver cagionato alla persona offesa una lesione grave o gravissima (art. 613-bis, commi 1 e 4, seconda parte, c.p.), si svolgerà innanzi al tribunale in composizione collegiale.

Il processo per il delitto di tortura comune, a cui abbia fatto seguito la morte della vittima, sia nell'ipotesi in cui si tratti di conseguenza non voluta, ovvero nel caso in cui l'agente l'abbia volontariamente cagionata (art. 613-bis, commi 1 e 5), si svolgerà innanzi alla Corte d'Assise.

Il processo per il delitto di tortura pubblica, sia nella forma semplice, sia nell'ipotesi in cui ricorra una o più delle circostanze aggravanti di cui al comma 4 dell'art. 613-bis c.p., si svolgerà innanzi al tribunale in composizione collegiale.

Il processo per il delitto di tortura pubblica, a cui abbia fatto seguito la morte della vittima, sia nell'ipotesi in cui si tratti di conseguenza non voluta, ovvero nel caso in cui l'agente l'abbia volontariamente cagionata (art. 613-bis, commi 1 e 5), si svolgerà innanzi alla Corte d'Assise.

4. Conclusioni

L'introduzione del delitto di tortura nel sistema normativo interno, sia nella veste della tortura comune che di quella pubblica, ha rappresentato un rilevante punto di approdo, proteso per un verso a colmare una lacuna che esponeva lo Stato italiano alla violazione degli obblighi assunti in sede sovranazionale e, per altro verso, uno strumento attraverso cui assoggettare ad un trattamento sanzionatorio proporzionato al disvalore che li connota quella tipologia di fatti che, per le modalità di realizzazione della condotta e per la gamma di eventi da essa derivabili, assumano un disvalore maggiore rispetto a quel ventaglio di comportamenti umani caratterizzati dalla presenza di elementi comuni, o quantomeno affini, alle componenti strutturali della tortura, già passibili di sanzione penale sulla scorta di differenti fattispecie normative oggetto di disciplina in seno all'ordinamento.

Quanto all'opera di decodificazione dei requisiti costitutivi della fattispecie delineata dall'art. 613-bis c.p., focalizzando l'analisi attorno alla componente afferente alla realizzazione, da parte dell'agente, di una pluralità di condotte, appare preferibile optare per la tesi interpretativa secondo cui la configurabilità del reato non esige il verificarsi di un intervallo temporale tra una condotta e l'altra, ancorché si tratti di uno iato cronologico di breve durata come, ad esempio, nell'ipotesi in cui il complesso delle condotte serbate dal reo si sia snodato nell'arco di una singola giornata.

Difatti, appare ragionevole qualificare alla stregua di fatti di tortura quelle condotte che, a titolo d'esempio, si siano sostanziate in tre differenti azioni violente che abbiano attinto il corpo della vittima, ove esse siano state perpetrate in rapida successione temporale – e, in ipotesi, pur non trattandosi di componente indefettibile, nel medesimo contesto spaziale – e, ad ogni modo, in assenza di un segmento temporale, seppur transeunte, durante il quale il torturatore abbia perso il contatto con la persona offesa.

A corroborare tale lettura ermeneutica giova osservare che la componente differenziale che deve connotare il reato di tortura, in ciò distinguendolo dalle ulteriori fattispecie criminose portatrici di elementi comuni (individuabili, anzitutto, nel delitto di lesioni personali), oltre a ruotare attorno alla condizione in cui deve versare la vittima (i.e.: un soggetto privato della libertà personale, ovvero affidato alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza del carnefice o, ancora, una persona che versi in condizioni di minorata difesa), non gravita attorno alla tipologia di evento che la condotta dell'agente deve cagionare, in quanto si tratta di una gamma di conseguenze lesive altresì idonee, quantomeno in astratto, a concretizzare differenti ipotesi criminose, assumendo viceversa rilevanza decisiva il replicarsi di azioni violente o minatorie, seppur, come sancito dalle prime pronunce giurisprudenziali, limitate a due episodi.

Difatti, è la sommatoria di condotte illecite che concretizza quel quid pluris atto a denotare il disvalore insito nella tortura, in quanto rivelatrice della forza di sopraffazione che l'agente è in grado di dispiegare nei confronti della vittima, condotto in balìa delle aggressioni fisiche e/o verbali attuate nei suoi confronti.

Ne consegue che l'eventuale espunzione dal perimetro di cui all'art. 613-bis c.p. della pluralità di condotte realizzate in assenza di un intervallo temporale diverrebbe irragionevole, non consentendo ad esempio di assoggettare al trattamento sanzionatorio comminato per il delitto in analisi quei comportamenti (oggetto, peraltro, di alcuni procedimenti penali), perpetrati all'interno delle carceri, ed in danno dei detenuti ivi ristretti, da soggetti appartenenti al Corpo della Polizia penitenziaria, ovvero quelle condotte attuate nei confronti di un soggetto che condotto in un luogo isolato, idoneo a rendere meno agevole sia la privata che la pubblica difesa, divenga il bersaglio di una pluralità di atti violenti estrinsecatesi in un ristretto arco temporale.

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