Commette estorsione o esercizio arbitrario delle proprie ragioni chi, con violenza o minaccia, chieda la restituzione di quanto pagato per l'acquisto di un minore?

Sergio Beltrani

1. Bussole di inquadramento

I rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Si pone con frequenza nelle aule dei Tribunali il problema di distinguere i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 s. c.p.) e di estorsione (art. 629 c.p.):

– il primo, posto a tutela dell'Amministrazione della giustizia, è integrato quando un soggetto, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose (art. 392 c.p.: il secondo comma della disposizione precisa che, “agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione”), ovvero usando violenza o minaccia alle persone (art. 393 c.p.): trattasi di delitti che possono avere in comune la materialità del fatto con diversi altri reati (ad esempio, con la violenza privata, la rapina, l'estorsione, il danneggiamento);

– il secondo, posto principalmente a tutela del patrimonio, ma che ha natura di reato plurioffensivo, in quanto lede anche la libertà e l'integrità fisica e morale della vittima (Cass. II, n. 32224/2020: di qui la necessità, ai fini del riconoscimento dell'attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62, comma 1, n. 4, c.p., di considerare sia il danno patrimoniale patito dalla vittima, sia gli effetti dannosi conseguenti alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia).

L'orientamento delle Sezioni Unite: l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni e l'estorsione si distinguono avendo riguardo all'elemento psicologico.

Secondo le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 29541/2020), il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico.

Si è, in proposito, osservato che la materialità dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione è esattamente sovrapponibile, poiché soltanto ai fini dell'integrazione della fattispecie tipica di estorsione è normativamente richiesto il verificarsi di un effetto di “costrizione” della vittima, conseguente alla violenza o minaccia, queste ultime costituenti elemento costitutivo comune ad entrambi i reati (art. 392 c.p.: “mediante violenza sulle cose”; art. 393 c.p.: “usando violenza o minaccia alle persone”; art. 629 c.p.: “mediante violenza o minaccia”). Cionondimeno, la possibile valenza dimostrativa di tale disomogeneità strutturale può agevolmente essere ridimensionata, ove si pensi che l'effetto costrittivo della condotta estorsiva appare consustanziale proprio alla diversa finalità dell'agente, che mira ad ottenere una prestazione non dovuta, dalla quale l'agente trae profitto ingiusto, e la vittima un danno; diversamente, nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni la violenza o minaccia mira ad ottenere dal debitore proprio e soltanto la prestazione dovuta, come in astratto giudizialmente esigibile.

D'altro canto, il riferimento all'effetto “costrittivo” della condotta appare, nella sistematica codicistica, piuttosto finalizzato a distinguere il reato di estorsione, previsto e punito dall'art. 629 c.p., da quello di rapina, previsto e punito dal precedente art. 628: come chiarito dalla stessa Relazione del Guardasigilli al Re sul Libro I del Progetto del codice penale del 1930 (pag. 450), «premesso che in entrambe tali ipotesi delittuose la spogliazione in danno della vittima di consuma mercé violenza o minaccia, il Progetto coglie la nota differenziale dei due delitti negli effetti della coercizione usata, riscontrando la rapina, se l'agente s'impossessa egli stesso della cosa altrui, e l'estorsione, se la persona, a cui la violenza o la minaccia è diretta, è obbligata a consegnare la cosa».

Come già evidenziato dalla giurisprudenza (Cass. II, n. 46288/2016; Cass. II, n. 51433/2013), sia l'art. 393, comma 3, c.p. che l'art. 629, comma 2, c.p. (in quest'ultimo caso, mediante richiamo dell'art. 628, comma 3, n. 1 c.p.) prevedono che la pena è aumentata «se la violenza o minaccia è commessa con armi», senza legittimare distinzioni tra armi bianche ed armi da fuoco: è quindi normativamente prevista la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, aggravato dall'uso di un'arma, anche di condotte poste in essere con armi tali da rendere la violenza o la minaccia di particolare gravità, ovvero “costrittiva”, e comunque “sproporzionata”, rispetto al fine perseguito. Detto riferimento appare decisivo, atteso che, secondo il contrario orientamento, siffatta condotta dovrebbe sempre integrare gli estremi del più grave delitto di estorsione, il che, per espressa previsione di legge, non è.

La stessa Relazione del Guardasigilli al Re sul progetto del Codice penale, pur in estrema sintesi (pag. 158), osserva che la fattispecie tipica di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è «comprensiva d'ogni specie di violenza, fisica o morale», senza attribuire, quindi, alcuna rilevanza al quantum di violenza esercitata oppure alla gravità della minaccia profferita.

La giurisprudenza (Cass. VI, n. 45064/2014) aveva già evidenziato che «le norme sostanziali poste a confronto non contengono alcuna gradazione (né “verso l'alto” né “verso il basso”) delle modalità espressive della condotta violenta o minacciosa, e che le fattispecie si distinguono in base al solo finalismo della condotta medesima, che in un caso è mirata al conseguimento di un profitto ingiusto, e nell'altro allo scopo, soggettivamente concepito in modo ragionevole, di realizzare, pur con modi arbitrari, una pretesa giuridicamente azionabile. In questa prospettiva, il livello offensivo della coercizione finisce con l'incidere sulla gradazione della pena, ma non sulla qualificazione del fatto»: risulta, pertanto, evidente la «carenza di tipicità che si connette all'enucleazione, in assenza di qualsiasi segnale linguistico, di una sottofattispecie delle nozioni di violenza e minaccia, così “gravemente intimidatorie” da connotare ex se di ingiustizia qualunque finalismo, e dunque sostanzialmente da annullare la funzione definitoria del corrispondente riferimento alla specifica connotazione del profitto perseguito dall'estorsore».

Si è, pertanto, concluso che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono in relazione all'elemento psicologico:

– nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria: pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale, poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (come già chiarito in precedenza da Cass. II, n. 24478/2017);

– nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia.

Ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 c.p. assume, pertanto, decisivo rilievo l'esistenza o meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata:

– nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, a nulla rilevando che il diritto stesso sussista o non sussista, purché l'agente, in buona fede e ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare;

– nell'estorsione, invece, l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facoltà di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli.

L'accertamento dell'elemento psicologico

L'elemento psicologico del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello del reato di estorsione vanno accertati secondo le ordinarie regole probatorie: alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà, pertanto, riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione (Cass. S.U., n. 29541/2020).

La prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell'imputato, ha, infatti, natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni ed, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente (Cass. I, n. 35006/2013; Cass. I, n. 11928/2019).

Con specifico riferimento al tema in esame, si è inoltre osservato che «il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l'esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, analizzati con un giudizio ex ante», e, di conseguenza, «le forme esteriori della condotta, e quindi la gravità della violenza e l'intensità dell'intimidazione veicolata con la minaccia, non sono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ai sensi dell'art. 393 c.p.», ben potendo quindi costituire indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione, piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile (Cass. II, n. 44476/2015).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Commette il reato di estorsione o di esercizio arbitrario delle proprie ragioni chi, con violenza o minaccia, chieda la restituzione di quanto pagato per l'acquisto di un minore?

Orientamento più recente

Secondo la giurisprudenza (Cass. II, n. 25519/2022), la condotta di chi, con violenza o minaccia, chieda la restituzione di quanto pagato per l'acquisto di un minore integra gli estremi del delitto di estorsione, a seconda dell'esito consumata o tentata.

Richiamato il pacifico orientamento per il quale integra il delitto di estorsione la condotta violenta o minatoria finalizzata ad ottenere l'adempimento di un'obbligazione per la quale non è data azione davanti al giudice civile (così, per tutte, Cass. II, n. 3498/2019: fattispecie riguardante una obbligazione naturale, poiché la pretesa dell'imputato aveva ad oggetto la restituzione di danaro spontaneamente consegnato alla convivente more uxorio, per far fronte, da un lato, alle esigenze di sostentamento di quest'ultima, riconducibili a un dovere morale e sociale di solidarietà nell'ambito dell'unione di fatto; dall'altro, al dovere giuridico di mantenimento della figlia minore della coppia; nel medesimo senso, Cass. II, n. 9931/2015: fattispecie nella quale l'agente aveva con minacce preteso la riscossione di interessi usurari, ed era quindi consapevole di porre in essere la condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa contra ius), è stato valorizzato il fatto che la pretesa che gli imputati avevano inteso azionare risultava del tutto sfornita di tutela in sede civilistica, poiché promanante da un contratto caratterizzato all'evidenza da una causa illecita, ed al tempo stesso contrario al buon costume.

La giurisprudenza civile ha, in proposito, tradizionalmente chiarito, ai fini dell'applicabilità della soluti retentio prevista dall'art. 2035 c.c., che la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente ed in un certo momento storico (Cass. civ. VI/III, n. 8169/2018: in applicazione del principio, si è ritenuto che chi abbia versato una somma di denaro per l'ottenimento di un posto di lavoro – nella specie, presso un istituto bancario –, a prescindere dall'esito della trattativa immorale, non è ammesso a ripetere la prestazione, perché tale finalità, certamente contraria a norme imperative, è da ritenere anche contraria al buon costume; conforme, Cass. civ. III, n. 9441/2010).

Con specifico riferimento al caso controverso in esame, si è quindi evidenziato che, ai sensi dell'art. 2035 c.c., chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume, non ha alcuna azione che gli consenta di pretendere di ripetere quanto pagato: «non vi è dubbio che nel caso in esame ricorra una condotta oggettivamente contraria al buon costume, incidente su diritti fondamentali dell'individuo in generale e del minore in particolare, privato per la soddisfazione di interessi di terzi della propria libertà personale, delle proprie legittime relazioni parentali, del proprio diritto a crescere nel proprio nucleo familiare di provenienza» (Cass. II, n. 25519/2022).

Proprio in considerazione del fatto che il delitto di estorsione si caratterizza, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, perché la violenza e/o la minaccia solo nel secondo caso sono esercitate per far valere un diritto già esistente e azionabile dinanzi ad un giudice, e rilevato che, nel caso di specie, l'azione costrittiva era invece finalizzata a ricevere tutela per una posizione giuridica che altrimenti non poteva essere vantata né conseguita attraverso il ricorso al giudice, al fine di perseguire il fine all'evidenza ingiusto di avere nella propria disponibilità un bambino al di fuori da qualsiasi circuito legale di adozione, è stato configurato il reato di estorsione (tentata).

3. Azioni processuali

Ulteriori attività difensive

Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 310); Ricorso per cassazione contro un'ordinanza in materia cautelare personale (art. 311); Memorie difensive (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Richiesta dell'indagato di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari (art. 447, comma 1).

ProcedibilitàPer il reato di estorsione si procede sempre di ufficio.

Prescrizione del reato ed improcedibilità delle impugnazioni

Per l'estorsione non aggravata, il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni dodici e mesi sei (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.); il termine è ancora maggiore (venticinque anni) in presenza delle circostanze aggravanti specifiche previste dall'art. 629, comma secondo, c.p.

Per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, legge 27 settembre 2021, n. 134), costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione:

— del giudizio di appello entro il termine di due anni;

— del giudizio di cassazione entro il termine di un anno;

salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, ovvero essendo contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 c.p.;

salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.;

salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. 27 settembre 2021, n. 134).

Misure precautelari e cautelari

Arresto e fermo

L'arresto in flagranza è obbligatorio per l'estorsione; il fermo è sempre consentito.

Intercettazioni

È sempre consentita l'effettuazione di intercettazioni.

Misure cautelari personali

È sempre consentita l'applicazione di misure cautelari personali.

Competenza forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale

Per il reato di estorsione è sempre competente il tribunale in composizione collegiale e si procede sempre con citazione a giudizio all'esito dell'udienza preliminare.

Causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

Per il reato di estorsione non è mai applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

4. Conclusioni

In conclusione, integra il delitto di estorsione (tentata o consumata, a seconda dell'esito), e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone (art. 393 c.p.), la condotta violenta o minacciosa finalizzata ad ottenere la restituzione del compenso corrisposto per l'acquisto di un minore in violazione del procedimento legale di adozione, stante la natura non solo illecita, ma anche contraria al buon costume del contratto concluso, che determina l'impossibilità di accedere alla tutela giudiziaria per ottenere la restituzione di quanto versato, ovvero l'adempimento coattivo della prestazione rimasta inadempiuta.

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