La concussione in danno di soggetti particolarmente vulnerabili1. Bussole di inquadramentoLa consumazione di rapporti sessuali quale prestazione indebita a favore del pubblico agente L'erogazione di una prestazione sessuale in favore di un soggetto titolare di una qualifica pubblicistica, ove essa radichi la sua genesi proprio nella titolarità, in capo al beneficiario, del predetto munus pubblicistico, può tingere di rilevanza penale il relativo comportamento, profilandosi pertanto l'esigenza di statuire nel perimetro applicativo di quale fattispecie criminosa, tra quelle che compongono il ventaglio dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, siffatta condotta meriti di essere sussunta. Al contempo, appare fisiologico rilevare che laddove un pubblico agente intrattenga, con un terzo, un rapporto di natura sessuale, fondato sul reciproco consenso – sia esso di carattere occasionale, ovvero atto ad iscriversi in una catena di episodi che si reiterino nel tempo – rapporto che, all'esito di un accertamento fattuale che valorizzi la gamma di circostanze caratterizzanti il singolo caso, assuma le vesti di una relazione priva di qualsivoglia collegamento con la titolarità e/o l'esercizio della funzione pubblica ovvero del pubblico servizio da parte del soggetto che ne benefici, ne discende l'estraneità di tali condotte dalla sfera dei comportamenti penalmente rilevanti, in quanto assumono i connotati di una relazione inter privatos, ancorché uno dei soggetti che la intrattenga rivesta una carica pubblica. La riconducibilità della prestazione sessuale alla nozione di “utilità” rilevante ai fini della configurabilità dei delitti contro la pubblica amministrazione In via preliminare, giova osservare che, sulla scorta di un orientamento consolidatosi da diversi lustri in seno alla giurisprudenza di legittimità, corroborato dalla soluzione prescelta dalle Sezioni unite, le prestazioni di carattere sessuale appaiono atte ad integrare la nozione di ‘altra utilità', impiegata dal legislatore penale, quale strumento di remunerazione alternativo al denaro, nel tratteggiare una pluralità di tipi criminosi tra quelli che compongono il mosaico degli illeciti contro la pubblica amministrazione. Difatti, affrancandosi da quel filone ermeneutico invalso, in seno alla giurisprudenza della Corte di cassazione, a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, a mente del quale il concetto di utilità implicava necessariamente un vantaggio per il patrimonio o la personalità dell'agente, con esclusione quindi dei profitti meramente sentimentali, dei compiacimenti puramente estetici e dei piaceri sessuali (Cass. VI, n. 79/1967; conf. Cass. VI, n. 7731/1976; Cass. III, n. 4059/1988; Cass. VI, n. 4773/1992 – dep.ta 1993), nei primi anni Novanta dello scorso secolo il Supremo consesso è approdato ad un revirement, privo di smentite negli arresti che ne sono seguiti, stabilendo che il termine “utilità” indica tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, oggettivamente apprezzabile, consistente tanto in un dare quanto in un “facere” e ritenuto rilevante dalla consuetudine o dal convincimento comune. Ne deriva che i favori sessuali rientrano nella suddetta categoria in quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (Cass. S.U., n. 7/1993). Poste tali premesse, deve rilevarsi che stante la riconducibilità dei favori sessuali al genus della “altra utilità”, all'interprete è demandato il compito di verificare, caso per caso, se l'erogazione di siffatta tipologia di prestazione si atteggi alla stregua di un corrispettivo di un accordo sinallagmatico stipulato tra l'agente pubblico ed il privato (apparendo, in tal caso, la condotta meritevole di sussunzione nel paradigma punitivo di una delle fattispecie di corruzione pubblicistica tipizzate dal nostro ordinamento), ovvero se essa sia il frutto di una condotta perpetrata dall'agente pubblico che si connoti per un facere abusivo – sia che il contegno abusivo abbia ad oggetto la qualità posseduta dall'agente ovvero uno dei poteri che l'ordinamento gli conferisce per l'espletamento della relativa attività – da cui discenda, nella dinamica relazionale che si instaura tra il titolare della carica pubblica ed il privato, un rapporto di squilibrio, tale da imporre all'interprete l'espletamento di un'ulteriore verifica al fine di decretare se il fatto materiale rechi i connotati strutturali del delitto di concussione (art. 317 c.p.), ovvero della figura criminosa dell'induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.). Gli elementi comuni ed i profili differenziali intercorrenti tra i delitti di concussione ed induzione indebita a dare o promettere utilità Come noto, tramite la l. n. 190/2012 il legislatore ha riformulato la fattispecie incriminatrice tipizzata dall'art. 317 c.p., protesa a punire il delitto di concussione, espungendo dal novero degli elementi di fattispecie il riferimento alla condotta (secondo parte della dottrina, più correttamente qualificabile alla stregua di un evento intermedio) dell'indurre taluno ad eseguire una determinata prestazione (consistente nel dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità) che, nella versione codicistica originaria e sino al sopraggiungere di tale intervento riformatore, formava una delle modalità alternative di realizzazione della condotta, parallelamente al comportamento consistente nel costringere taluno ad eseguire una delle summenzionate prestazioni. A seguito della novella del 2012, pertanto, pur rimanendo invariati gli ulteriori elementi di fattispecie (fatta eccezione per la soppressione, dal novero dei soggetti attivi, dell'incaricato di pubblico servizio, che, successivamente, vi è stato reintrodotto tramite la l. n. 69/2015), la configurabilità del delitto di cui all'art. 317 c.p. implica necessariamente che il soggetto agente, abusando della qualità posseduta o dei poteri conferitigli, costringa taluno ad eseguire una prestazione indebita. Contestualmente alla riformulazione della fattispecie concussiva, la l. n. 190/2012 ha introdotto nel tessuto codicistico una nuova figura criminosa, allocata nell'art. 319-quater c.p. e denominata induzione indebita a dare o promettere utilità, i cui elementi di fattispecie appaiono, per certi aspetti, sovrapponibili a quelli che tratteggiano il reato di concussione (stante la coincidenza dei soggetti attivi, della condotta del pubblico agente, che deve consistere nell'abuso della qualità o dei poteri, e dell'evento tipico, integrato dall'indebita dazione o promessa di denaro o altra utilità), e, al contempo, differenziandosi in virtù della previsione, in seno al solo tipo criminoso di cui all'art. 319-quater c.p. (previa espunzione dal paradigma dell'art. 317 c.p.), della condotta (ovvero, aderendo al differente indirizzo interpretativo, dell'evento intermedio), consistente nella induzione di un terzo all'esecuzione di una delle predette prestazioni. La l. n. 190/2012 ha inoltre apportato un ulteriore, significativo, novum, relativo al ruolo assunto dal soggetto destinatario della pretesa, a seconda che essa assuma le forme della costrizione ovvero dell'induzione. Difatti, nel primo caso, riconducibile all'ipotesi della concussione, il destinatario della pretesa assurge al rango di persona offesa dall'illecito agire del pubblico agente; viceversa, laddove la condotta si atteggi alla stregua di un contegno induttivo, il privato è a sua volta assoggettato alla sanzione penale, seppur mediante la previsione di una cornice edittale meno afflittiva ove rapportata a quella comminata per la condotta del pubblico agente. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Le dicotomie minaccia vs. offerta e danno ingiusto vs. vantaggio indebito: quali sono i criteri interpretativi impiegati per tracciare il confine discretivo tra i delitti di concussione ed induzione indebita a dare o promettere utilità?
La soluzione accolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Nei mesi successivi all'entrata in vigore della l. n. 190/2012, la giurisprudenza si è interrogata al fine di individuare uno o più parametri ermeneutici atti a tracciare una linea di demarcazione tra il delitto di concussione e l'inedita fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità. Difatti, sino alla novella del 2012, stante la previsione nel disposto normativo dell'art. 317 c.p. di entrambe le ipotesi (costrizione ed induzione), che dovevano caratterizzare l'agire del pubblico agente, la contestazione che l'organo della pubblica accusa era chiamato ad elevare oltre a fondarsi, necessariamente, sulla presunta violazione di tale fattispecie astratta, devolveva al momento della formulazione del capo d'imputazione l'onere di specificare se il comportamento incriminato avesse assunto la veste della costrizione ovvero quella della induzione. Di contro, la scelta riformatrice compiuta dal legislatore, connotata altresì dalla punibilità, sino a quel frangente esclusa, del privato destinatario della pretesa induttiva, unita al minor disvalore insito nella condotta di induzione, ha sollecitato un tempestivo intervento chiarificatore delle Sezioni unite che, con un'articolata pronuncia, hanno enucleato una pluralità di indicatori interpretativi, tutt'oggi applicati in seno al formante giurisprudenziale (Cass. S.U., n. 12228/2013 – dep.ta 2014). Invero, le Sezioni unite hanno decretato che, all'esito delle modifiche apportate dalla l. n. 190/2012, il delitto di concussione è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita. Viceversa, nell'ipotesi del delitto di induzione indebita, la condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. Poste tali coordinate ermeneutiche, corredate dalla statuizione, operante sul versante del diritto intertemporale, relativa alla sussistenza di un fenomeno di continuità normativa – governato dal disposto del 4° comma dell'art. 2 c.p. – tra la condotta d'induzione, originariamente disciplinata dall'art. 317 c.p., e l'analoga condotta attualmente tipizzata dall'art. 319-quater c.p., la Corte di cassazione ha precisato che, nei casi ambigui, l'indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all'esito di un'approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest'ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta. Al contempo, le Sezioni unite hanno rilevato la sussistenza di casi limite, la cui compiuta decodificazione impone di esperire un confronto ed un bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: da un lato, quello oggetto del male prospettato e, dall'altro, quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall'altrui pressione.
Domanda
La concessione di una prestazione sessuale in favore del pubblico agente, effettuata per non patire un pregiudizio, non necessariamente ingiusto, configura un'ipotesi di concussione ovvero di induzione indebita a dare o promettere utilità?
Orientamento dominante della Corte di Cassazione La concessione di una prestazione sessuale, consumata per non patire una conseguenza pregiudizievole, pur se non necessariamente contra ius, integra il delitto di concussione La giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a pronunciarsi in una pluralità di occasioni attorno alla corretta qualificazione giuridica della condotta realizzata da un soggetto titolare di una qualifica pubblicistica il quale, prospettando il verificarsi di conseguenze pregiudizievoli, non necessariamente in contrasto con i precetti ordinamentali, ottenga la promessa o la concreta realizzazione, per sé o per un terzo, di prestazioni sessuali. Alla luce delle soluzioni accolte dai giudici di legittimità, che si pongono nel solco dei criteri tracciati dalle Sezioni unite Maldera, ove il pubblico agente esorti un terzo a concedersi in una prestazione sessuale, pena il verificarsi di conseguenze pregiudizievoli nella di lui sfera, seppur, come accennato, non necessariamente destinate ad integrare un danno contra ius, il fatto appare sussumibile nel perimetro punitivo di cui all'art. 317 c.p. In sostanza, in tale tipologia di vicende può rilevarsi che, sotto il versante della condotta del pubblico agente, essa assume la veste di un contegno minatorio, in quanto protesa a prospettare il verificarsi di conseguenze lesive in danno del destinatario, ove il medesimo non aderisca alla pretesa indebita; al contempo, sotto il profilo della tipologia delle conseguenze pregiudizievoli che formano l'oggetto dell'indebita prospettazione dell'agente, esse possono apparire, in taluni casi, contra ius, qualora non rinvengano la relativa fonte in alcun precetto ordinamentale ed in altri casi, viceversa, possono profilarsi quali conseguenze che, seppur pregiudizievoli, siano il frutto dell'applicazione di una o più regole vigenti nel sistema. Dalla disamina della casistica condotta al vaglio della giurisprudenza di legittimità emerge che, in molteplici occasioni, la predetta dinamica relazionale si sia instaurata tra uno o più soggetti appartenenti alle Forze dell'Ordine, che, abusando della relativa qualità, abbiano costretto una prostituta a concedersi in una prestazione sessuale in assenza del versamento del relativo corrispettivo, ovvero abbiano serbato la medesima condotta in pregiudizio di una donna che, ancorché non dedita al meretricio, prestava la propria attività lavorativa in un locale notturno. Proprio in relazione a tale seconda dinamica tipologica, la Cassazione è pervenuta a sancire la configurazione del delitto di concussione in una vicenda che aveva visto il coinvolgimento di due agenti di Polizia addetti all'Ufficio stranieri presso la Questura di Napoli: il primo di essi, dopo aver sorpreso una extracomunitaria munita di permesso di soggiorno turistico intenta a lavorare in un locale notturno in violazione della normativa di legge, una volta condottala nei locali della Questura, l'aveva sollecitata, al fine di evitare l'insorgere di problemi, ad intrattenere rapporti sessuali. Il secondo agente, addetto al medesimo Ufficio questorile, seppur non rivolgendo minacce esplicite a due cittadine extracomunitarie, a loro volta munite del solo permesso di soggiorno turistico e sorprese a lavorare irregolarmente in un locale notturno, le aveva invitate a concedersi in un rapporto sessuale, concretamente ottenuto (Cass. VI, n. 9528/2009). Alla luce delle caratteristiche concrete connotanti tale, prima, vicenda, emerge che la giurisprudenza di legittimità, ancorché pronunciatasi in epoca antecedente all'introduzione del delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, abbia ritenuto corretta la sussunzione del fatto perpetrato dal secondo agente di Polizia (che si era astenuto dal rivolgere minacce alle prostitute) nella sfera applicativa del delitto di concussione, in quanto, nel foro interiore delle straniere, poste innanzi all'alternativa se aderire o meno alle indebite avances, era evidentemente insorta la consapevolezza di potersi esporre a delle conseguenze negative, tanto da pervenire a sacrificare un bene di primaria importanza, quale la libertà sessuale. In un'ulteriore vicenda, i giudici di legittimità hanno decretato l'avvenuta consumazione del delitto di tentata concussione in relazione alla condotta perpetrata da un agente di Polizia, il quale aveva mostrato il proprio tesserino ad una prostituta straniera, priva di permesso di soggiorno, intenta ad esercitare il meretricio lungo la pubblica via, pretendendo che la donna salisse in macchina per consumare un rapporto sessuale, prospettando che in tal modo non le avrebbe creato problemi. A fronte del rifiuto serbato dalla donna, la giurisprudenza, stavolta chiamata a valutare l'eventuale riconducibilità del fatto nello schema punitivo di cui all'art. 319-quater c.p., ha ritenuto integrati gli estremi del tentativo di concussione, proprio in ragione dell'esposizione a pericolo di un bene di rango primario, identificabile anche in tal caso nella libertà sessuale della vittima (Cass. VI, n. 20428/2013). Seppur venendo in rilievo un'ipotesi di concussione consumata, la giurisprudenza è approdata ad analoghe conclusioni in relazione ad una vicenda che aveva visto il coinvolgimento di un appartenente alla Guardia di Finanza, il quale, a bordo dell'auto di servizio, aveva prospettato ad una prostituta extracomunitaria intercettata lungo la strada delle conseguenze negative, connesse al suo status di straniera irregolare e, per l'effetto, aveva ottenuto dalla donna una prestazione sessuale, senza pagare il relativo corrispettivo, a cui aveva fatto seguito il pianto della concussa che, una volta ricondotta dal finanziere presso un luogo presidiato da altre prostitute, aveva chiesto loro di annotare il numero della targa dell'autovettura impiegata dall'agente, trasparendo in tal guisa un radicale difetto di adesione della donna all'indebita pretesa avanzata dal finanziere (Cass. III, n. 26616/2013). Nel medesimo solco si colloca altresì il caso che aveva visto il coinvolgimento di due Carabinieri, ritenuti responsabili di concussione, che, nottetempo, dopo aver prelevato dalla strada due donne che si prostituivano, le avevano condotte in caserma, prospettando loro il rilascio, senza l'esigenza di attendere il mattino successivo per eseguire il fotosegnalamento, previo ottenimento di rapporti sessuali, poi concretamente compiuti. Nella predetta vicenda i Carabinieri avevano indebitamente creato una situazione antigiuridica, consistente nella privazione della libertà personale delle prostitute, artatamente creata per ottenere le prestazioni sessuali, dal momento che avevano condotto le donne presso la caserma durante l'orario notturno, pur serbando la consapevolezza che in tale frangente temporale non sarebbe stato possibile procedere al fotosegnalamento (Cass. III, n. 37839/2014).
Domanda
La richiesta, ancorché implicita, di ottenere una prestazione sessuale avanzata nei confronti di un soggetto che versi in condizioni di bisogno, integra un'ipotesi di concussione ovvero di induzione indebita a dare o promettere utilità?
Orientamento della Corte di Cassazione La giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a valutare se il comportamento serbato dal pubblico agente, consistito nell'avanzare, ancorché non in forma esplicita, una richiesta di consumazione di una prestazione sessuale nei confronti di un soggetto che versi in condizioni di bisogno, ovvero che sia affetto da un deficit personale, possa qualificarsi alla stregua di un comportamento concussivo ovvero di una condotta induttiva. La Cassazione ha ritenuto configurato il delitto di concussione in una vicenda che aveva riguardato la condotta del sindaco di un ente comunale il quale, ricevendo in ufficio persone in situazione di difficoltà, a fronte di richieste di natura economica il cui soddisfacimento era rimesso all'esercizio dei suoi poteri discrezionali, non si era espresso in modo esplicito sulle stesse, ma aveva formulato “avances” sessuali immediatamente appagate (Cass. VI, n. 44720/2013). Sulla scorta dei dati connotanti tale fattispecie emerge in modo univoco come, malgrado le avances formulate dal sindaco fossero proiettate a consentire alle vittime di conseguire un tornaconto personale, per un verso la circostanza che l'ottenimento di tale vantaggio indebito fosse rimesso all'esercizio del potere discrezionale di cui era titolare il massimo esponente dell'ente territoriale e, per altro verso, il dato per cui le persone offese erano pervenute a sacrificare un bene di primaria importanza, quale la libertà di autodeterminazione sessuale, hanno condotto i giudici di legittimità a sussumere la condotta del pubblico ufficiale nel tipo criminoso di cui all'art. 317 c.p. Analoga soluzione ermeneutica è stata prescelta dalla Corte suprema in relazione ad una fattispecie in cui un impiegato dell'ufficio provinciale del lavoro, addetto alla formazione delle graduatorie del collocamento obbligatorio, aveva rappresentato, in termini subdolamente vaghi, ad una donna portatrice di invalidità civile, che ambiva ad essere assunta, gravi rischi e difficoltà di ottenere un lavoro quale appartenente ad una categoria protetta, in virtù di talune problematiche afferenti alla documentazione necessaria per l'assunzione, pretendendo quale compenso per il suo interessamento la consumazione di prestazioni sessuali. Successivamente, l'agente aveva ottenuto analoghe prestazioni carnali, in quanto aveva paventato alla donna il rischio di perdere il posto di lavoro, stante i controlli che l'Avvocatura dello Stato aveva incardinato per verificare la predetta documentazione (Cass. VI, n. 18372/2013).
Domanda
La consumazione di un rapporto sessuale tra un pubblico agente ed un soggetto che versi in condizioni di particolare vulnerabilità, seppur non preceduta dalla minaccia, esplicita o larvata, di conseguenze pregiudizievoli, integra il delitto di concussione ovvero di induzione indebita a dare o promettere utilità?
Orientamento della Corte di Cassazione L'esigenza di individuare un parametro ermeneutico univoco attraverso cui sancire se una determinata condotta attuata da un pubblico agente possa assumere la veste di un comportamento costrittivo ovvero di un contegno di natura induttiva può apparire meno agevole laddove la condotta dell'agente si sia estrinsecata attraverso un registro comunicativo che non abbia attinto la soglia di una minaccia esplicita. In tali ipotesi all'interprete viene demandato un accertamento che miri a verificare le ragioni che abbiano spinto il destinatario della pretesa indebita ad aderirvi, per il tramite di un'analisi, a tratti non agevole, che provi a scandagliare le spinte motivazionali presenti nel di lui foro interiore. In tale contesto deve collocarsi l'ipotesi del soggetto che versi in uno stato di particolare debolezza, al fine di comprendere se il titolare della qualifica pubblicistica abbia approfittato della predetta situazione, sì da determinare una grave limitazione della libertà di autodeterminazione della vittima. In epoca recente la giurisprudenza di legittimità ha cassato una decisione di condanna per il delitto di concussione, resa all'esito dei gradi di merito nei confronti di tre soggetti appartenenti alle forze dell'ordine, rei di essersi presentati, a bordo dell'auto di servizio ed indossando la divisa, in alcune zone territoriali ove erano solite esercitare il meretricio talune prostitute, le quali, pur in assenza della prospettazione di qualsivoglia forma di minaccia da parte dei pubblici ufficiali, si erano decise a contrarre, in plurime occasioni, dei rapporti sessuali, per le quali non veniva versato alcun corrispettivo. Alla luce di quanto era emerso dalle risultanze istruttorie acquisite nel corso del primo grado di giudizio, una delle persone offese aveva espressamente affermato che il carabiniere con cui aveva intrattenuto i rapporti carnali non aveva proferito espressioni minacciose, ma si era determinata a concedere i predetti favori in ragione del fatto che, trattandosi di un esponente delle forze dell'ordine, un suo eventuale rifiuto avrebbe provocato la reazione dei carabinieri, che non l'avrebbero lasciata lavorare, precisando che si trattasse di un pensiero concepito in modo del tutto autonomo, in assenza di qualsivoglia prospettazione verbale di tal natura ad opera del pubblico ufficiale. Dichiarazioni affini erano state rese da un'altra prostituta di strada, a sua volta avvicinata da uno degli imputati, che al cospetto dell'Autorità giudiziaria aveva riferito di non essere affatto contenta di intrattenere i predetti rapporti, tanto che aveva costantemente cercato di trovare delle scuse per sottrarsi, per poi determinarsi a concedere i relativi favori sessuali essenzialmente perché si trovava al cospetto di un carabiniere. Al contempo, l'ultima delle prostitute attinte dalle pretese di un appartenente alla Guardia di Finanza aveva espressamente riferito che, ove si fosse trattato di una persona “normale”, non avrebbe in alcun modo accettato di intrattenere i relativi rapporti senza essere pagata (Cass. III, n. 364/2020). Sennonché, rigettando la soluzione accolta dai giudici di merito, la Cassazione ha rilevato che nei precedenti gradi di giudizio non era stata raggiunta la prova in ordine al fatto che la condotta serbata dai pubblici ufficiali, priva dell'esternazione di qualsivoglia forma di minaccia verbale, potesse acquisire la veste di una condotta costrittiva, demandandosi al giudice del rinvio l'onere di riempire di contenuto le asserite minacce larvate prospettate in danno delle prostitute, anche allo scopo di accertare l'eventuale riconducibilità della predetta condotta al paradigma dell'induzione indebita, oltretutto in virtù del fatto che, l'originaria contestazione, elevata in epoca anteriore alla novella del 2012, era incentrata attorno ad una condotta di carattere induttivo. Tale arresto della Cassazione si segnala in quanto i giudici di legittimità hanno evidenziato l'esigenza di valutare l'eventuale presenza, nel singolo caso, di un soggetto, destinatario delle pretese avanzate dal pubblico agente, che versi in una condizione di particolare vulnerabilità, tanto da doversi riscontrare se la predetta condizione personale possa aver condotto il soggetto in una situazione di costrizione soggettiva, paragonabile all'ipotesi della coazione morale tipizzata dall'art. 54, comma 3, c.p., che ne abbia fortemente compresso la libertà di autodeterminazione, seppur il pubblico agente non abbia esternato alcuna espressione minatoria nei suoi confronti. È la stessa giurisprudenza di legittimità a rilevare che, allo stato attuale, a seguito della ratifica da parte dell'Italia, operata con la l. n. 77/2013, della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, a cui ha fatto seguito l'approvazione del d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, di attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, istitutiva di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, la nozione di vulnerabilità trova una pluralità di riferimenti normativi nell'ordinamento interno, figurando sia in seno al codice penale (si pensi, a titolo d'esempio, agli artt. 558-bis e 600 c.p.) che all'interno del codice di procedura penale (rinvenendosi, a titolo esemplificativo, negli artt. 90-quater e 190-bis c.p.p.). A corollario di tali rilievi la Cassazione ha osservato che, sebbene l'attività di prostituzione non sia vietata e, fermo restando che essa possa rappresentare il frutto di una libera scelta adottata dallo stesso soggetto che la eserciti, al contempo, sulla scorta di quanto sancito dalla stessa Corte costituzionale, la quale, nel rilevare che l'intervento penale nella materia della prostituzione derivi dall'esigenza di proteggere i diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili, in tal guisa giustificandosi la scelta di criminalizzare le attività di sfruttamento e favoreggiamento, al contempo si è osservato come nella larghissima parte dei casi l'opzione esistenziale di “vendere sesso” rinviene alla sua radice fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione individuale, sicché il soggetto, a causa di fattori economici, ovvero di situazioni di disagio sul piano affettivo o delle relazioni familiari, può patire un indebolimento avverso la fisiologica riluttanza verso una scelta di vita consistente nell'offrire a terzi, dietro remunerazione economica, delle prestazioni sessuali (Corte cost., n. 141/2019). 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si può ulteriormente esperire la seguente attività difensiva: Informazioni alla persona offesa (art. 90-bis). ProcedibilitàPer i delitti di concussione ed induzione indebita a dare o promettere utilità si procede d'ufficio, al pari di quanto sancito per tutti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Per il delitto di concussione il termine-base di prescrizione è pari ad anni dodici (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni quindici (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Per il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, per quanto concerne la condotta dell'induttore (pubblico ufficiale ovvero incaricato di pubblico servizio) il termine-base di prescrizione è pari ad anni dieci e mesi sei (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni quindici e mesi nove (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.); per quanto attiene alla condotta dell'indotto, il termine-base di prescrizione è pari ad anni sei (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di anni nove (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, commi 2 e 3, l. n. 134/2021), per i casi di concussione ed induzione indebita a dare o promettere utilità costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al reato di concussione: – non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 1, c.p.p.); – è sempre consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Con riguardo al reato di induzione indebita a dare o promettere utilità: – non è mai consentito l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è sempre consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato in relazione alla condotta dell'induttore (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) (art. 381, comma 1, c.p.p.); – non è mai consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato in relazione alla condotta dell'indotto, salvo che il fatto offenda gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto siano superiori a euro 10.000 (art. 381, comma 1, c.p.p.); – è sempre consentito il fermo in relazione alla condotta dell'induttore (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) (art. 384 c.p.p.); – non è mai consentito il fermo in relazione alla condotta dell'indotto (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali All'autore del delitto di concussione risultano applicabili le misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), poiché l'art. 280, comma 1, c.p.p. consente l'applicazione delle predette misure ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; a tale soggetto è altresì applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. ne consente l'applicazione ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Nei confronti del soggetto induttore risultano applicabili le misure cautelari coercitive, ivi compresa la misura della custodia cautelare in carcere. Viceversa, nei confronti del soggetto indotto, coautore del delitto di induzione indebita, non è consentita l'applicazione di misure cautelari coercitive per quanto attiene alla prima ipotesi contemplata nel comma 2 dell'art. 319-quater c.p.; l'applicazione di tali misure è invece consentita anche nei confronti del soggetto indotto, qualora si versi nella ipotesi disciplinata dalla seconda parte del comma 2 dell'art. 319-quater c.p. (lesione degli interessi finanziari dell'Unione europea, con danno o profitto superiori ad euro 100.000), fermo restando che non è applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, stante i limiti di pena sanciti dall'art. 280, comma 2, c.p.p. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Sia nell'ipotesi di concussione che di induzione indebita a dare o promettere utilità, è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (cfr. artt. 33-bis c.p.p.). Citazione a giudizio Per la concussione e l'induzione indebita a dare o promettere utilità si procede con udienza preliminare. Composizione del tribunale I processi per i delitti di concussione ed induzione indebita si svolgeranno sempre dinanzi al tribunale in composizione collegiale. 4. ConclusioniFermo restando i principi enucleati dalla giurisprudenza delle Sezioni unite al fine di tracciare la linea di demarcazione tra i delitti di concussione ed induzione indebita, si pone al contempo l'esigenza di individuare uno o più parametri interpretativi che consentano di risolvere i cc.dd. casi ambigui. Ove la condotta del pubblico agente si indirizzi nei confronti di un soggetto che versi in una condizione di particolare vulnerabilità, ancorché essa non si estrinsechi in un contegno minatorio, ed altresì nell'ipotesi in cui l'agente non prospetti l'inflizione di un danno antigiuridico, l'eventuale adesione alla pretesa indebita che implichi una lesione di un bene di primaria rilevanza (quale, ad es., la libertà sessuale) può condurre alla configurazione del delitto di concussione, a condizione che si accerti l'avvenuto approfittamento, ad opera dell'agente, del predetto stato di vulnerabilità, il quale deve aver generato una grave limitazione della libertà di autodeterminazione della vittima. |