Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 1 - Principio del risultato.

Danilo Dimatteo
Mariano Protto

Principio del risultato.

1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità.

3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea.

4. Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto, nonché per:

a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;

b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.

Inquadramento

Il nuovo Codice si segnala per un cambio di paradigma politico, ideologico, assiologico, persino filosofico.

Negli scorsi anni il diritto dei contratti pubblici è stato percepito, a tutti gli effetti, quale branca del diritto della concorrenza ispirata a principi unionali, che impongono un'interpretazione estensiva e un'applicazione analogica dell'obbligo di ricorrere a procedura pro-competitive e concorrenziali (c.d. “concorrenza imposta”).

La riforma cambia paradigma. La centralità del principio di risultato presente fin dalla rubrica dell'art. 1 dimostra, infatti, che il diritto dei contratti pubblici non è più un settore del diritto eurounitario della concorrenza (cd. “concorrenza imposta” agli agenti pubblici, naturaliter refrattari alle logiche della competizione e alla pressione del mercato), ma un capitolo fondamentale del diritto amministrativo nazionale. La concorrenza non è, quindi, fine o bene, ma mezzo per perseguire lo scopo del soddisfacimento dell'interesse pubblico attraverso contratti utili e produttivi. Nella nuova costruzione del codice, pertanto, l'obiettivo non è la gara, ma la stipulazione di un negozio che assicuri prestazioni utili con il miglior rapporto qualità-prezzo-tempo, in omaggio al teorema di Coase sull'efficiente allocazione delle risorse in base alla relazione prezzo/valore.

Il diritto degli appalti, quindi, non è più un diritto euromunitario, ma parte del diritto amministrativo, e non deve essere più un settore del diritto penale nella logica anti-corruttiva che animava il precedente impianto codicistico.

Si tratta di strumenti, pur se preziosi, per il perseguimento di obiettivi efficienti in termini di amministrazione di risultato.

L'effetto virtuoso è quello di tutelare al massimo la concorrenza come strumento il cui fine è quello di ottenere appalti aggiudicati ed eseguiti in funzione dell'interesse della collettività (F. Caringella).

Il risultato che diventa principio

Il primo comma dispone che le “Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”.

Nella Relazione illustrativa si spiega che “Il comma 1 codifica il principio del risultato ed enuncia quindi l'interesse pubblico primario del codice, come finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell'esercizio delle loro attività: l'affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che vengono espressamente richiamati”.

Secondo quindi la Relazione si è inteso, da una parte “codificare” il principio del risultato e dall'altra enunciare l'interesse pubblico primario che deve connotare tutta l'attività delle amministrazioni nel settore dei contratti pubblici.

Tuttavia, il risultato non è un principio, ma semmai la conseguenza del rispetto di altri principi, quali quello del buon andamento e dei tre corollari dell'efficacia efficienza ed economicità, come espressamente enunciato al comma 3, che devono presiedere il perseguimento dell'interesse primario nella ponderazione con altri interessi secondari pubblici e privati.

Principio” e “interesse pubblico primario” sono evidentemente due nozioni diverse e proprio in ciò risiede la portata innovativa del nuovo codice che, anche a costo di qualche forzatura dal punto di vista dogmatico, si è incaricato di elevare il risultato, che si fa coincidere con l'interesse pubblico primario, a principio giuridico.

Diversamente la nuova disposizione si rivelerebbe di scarso impatto novativo, tenuto conto che l'enunciazione dell'interesse primario in relazione agli altri principi era già avvenuta ad opera del primo Codice in materia di contratti pubblici, il quale prevedeva “L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nel presente codice” (art. 2, comma 1).

Non vi sarebbe quindi sostanziale differenza tra il comma 1 dell'art. 1 del nuovo codice e il citato art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, apparendo il primo sostanzialmente come una riscrittura del secondo.

Rispetto alla precedente disciplina, la scelta dell'odierno legislatore pare potersi chiaramente individuare nella volontà di elevare il “risultato” a “principio giuridico” per porlo sullo stesso piano degli altri principi generali, quelli di legalità, trasparenza e concorrenza e, in tale nuova prospettiva, disciplinare i rapporti tra i diversi principi.

Come meglio si vedrà, l'elevazione a “principio” del “risultato” serve anche a superare l'equazione tanto intuitiva quanto approssimativa, secondo cui al rispetto della concorrenza consegue sempre il conseguimento del risultato dell'appalto migliore in termini qualitativi e quantitativi, poiché il rapporto è impostato su un equilibrio diverso, per cui la concorrenza non coincide ma è semmai funzionale al risultato.

Per cogliere, tuttavia, l'ampia portata innovativa del nuovo codice, specie con riferimento al principio in esame, appare utile un breve excursus storico.

Il principio del risultato, ancorché fissato ora dall'art. 1 del nuovo codice dei contratti pubblici,. , approvato con il d.lgs. n. 36/2023, può valere come criterio orientativo per i casi in cui debba essere risolto un dubbio sulla sorte della legge di gara, che non può dirsi assolutamente mancante di prescrizioni inderogabili (nella specie, le perplessità riguardavano la volontà dell'Amministrazione sulle esatte modalità da osservare per applicare i cc.dd. CAM e sul punteggio da attribuire alle offerte). Detto principio (valevole quale criterio orientativo che, per sua natura, è suscettibile di essere adottato anche per le procedure di appalto non rette dal d.lgs. n. 36/2023) può essere declinato in termini che pongano l'accento sull'esigenza di privilegiare l'effettivo e tempestivo conseguimento degli obiettivi dell'azione pubblica, prendendo in considerazione i fattori sostanziali dell'attività amministrativa, escludendo che la stessa sia vanificata, in tutti quei casi in cui non si rinvengano obiettive ragioni che ostino al suo espletamento. In tale ottica, può quindi nella specie affermarsi che vada mantenuta la legge di gara e garantito lo svolgimento della procedura di appalto, poiché a tale risultato non si frappongono esigenze dettate dalla preminente tutela delle ragioni del concorrente, la cui posizione sia stata ingiustificatamente lesa (atteso che, come si è detto, in ragione della formulazione specifica degli atti di gara, l'operatore economico non potesse dirsi inconsapevole delle modalità attraverso cui formulare la propria offerta).. TA.R. Napoli, I,  15 gennaio 2024, n. 377  . Infatti, secondo i giudici partenopei, pronunciatisi su un global service, va rimarcata la differenza esistente tra la fattispecie all'esame e l'ipotesi in cui la normativa di gara nulla dica sui  cd. CAM- criteri ambientali minimi -  materia regolata, per le gare a ridotto impatto ambientale,  dal Libro Verde “Gli appalti pubblici nell'Unione Europea” del 1996, dalla comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo COM(2003) del 18/6/2003  e dai DD.MM.  11 aprile 2008 n. 135”; 7 marzo 2012; D.M. 11 ottobre 2017 e  10 marzo 2020)-,  nel qual caso l'omissione renderebbe illegittima la lex specialis, che non pone il concorrente in grado di formulare un'offerta conforme a prescrizioni inderogabili di legge. Viceversa, allorquando il bando contenga un puntuale riferimento ai decreti ministeriali (corredando la disposizione sulla sostenibilità ambientale con specifiche prescrizioni, per particolari prestazioni), l'onere di diligenza impone al concorrente di adeguare la propria offerta ai criteri ambientali minimi che la stazione appaltante non ha trascurato, e che l'operatore economico è così messo in grado di conoscere e valutare, per formulare un'offerta consapevole. In tal caso, il meccanismo di eterointegrazione opera con pienezza, corrispondendo allo spirito che informa l'intera normativa sui criteri minimi ambientali, la quale si proietta sulla diretta cogenza delle relative regole, il cui rigoroso rispetto si impone anche ai concorrenti, “tenuti, come la stazione appaltante, alla loro applicazione”. In tale contesto, apparirebbe ultroneo pretendere da parte della stazione appaltante la declinazione dei criteri ambientali minimi contenuti nella relativa normativa di legge, che si sostanzierebbe nell'obbligo meramente formale di riproduzione del suo contenuto, ogni qualvolta non sia dedotto e dimostrato che, con riferimento alla specificità dell'appalto o ad altre circostanze peculiari, una tale esigenza si imporrebbe, per l'impossibilità che il concorrente possa formulare un'offerta adeguata.

Dalla concezione contabilistica ...

Come anticipato, la scelta del legislatore si appalesa anche come chiara presa di posizione in ordine alla prevalenza del principio di concorrenza acquisita sotto l'influenza del diritto eurounitario, fino a diventare esso stesso interesse pubblico primario nell'attività contrattuale delle amministrazioni.

La disciplina relativa ai contratti pubblici ha sempre riconosciuto la necessità che l'affidamento debba avvenire nell'ambito di una competizione tra operatori economici, come dimostrano le leggi di fine Ottocento nei maggiori Paesi europei che prevedevano diverse procedure competitive propedeutiche alla conclusione dei contratti delle pubbliche amministrazioni.

Ma il significato di competizione era inteso nell'ambito di quella concezione che può definirsi “contabilistica”, caratterizzata dalla prevalenza e comunque centralità dell'interesse finanziario nell'attività contrattuale della pubblica amministrazione.

La dottrina dell'inizio del secolo scorso evidenziava come la disciplina dell'affidamento dei contratti pubblici prevedeva l'adempimento di formalità le quali, peraltro “sono in genere stabilite nell'interesse dell'amministrazione e il cui difetto quindi non può essere opposto dal privato” (Romano, 533). L'interesse primario protetto dalle gare competitive per l'aggiudicazione del contratto è quindi quello finanziario del committente pubblico, mentre il mancato rispetto della concorrenza non raggiunge nemmeno la rilevanza per esser fatto valere dai privati.

Anche la dottrina a cui si deva la fortunata nozione di “contratto ad evidenza pubblica”, rilevava come la disciplina delle procedure competitive previste dalla legislazione degli anni Venti del Novecento fosse funzionale unicamente alla tutela dell'interesse finanziario delle stazioni appaltanti, ossia al fine “di porre freno agli abusi dei fornitori dello Stato, specie militari – e per una ragione di coerenza con il sistema del diritto amministrativo. In particolare, con il principio di legalità” (Giannini, I, 677).

Anche in Francia, le procedure competitive previste dalla legislazione dei marchés publics dell'inizio del secolo scorso erano intese prevalentemente rivolte alla tutela dell'interesse finanziario dell'amministrazione a che il contratto si concluda alle condizioni più economiche con l'impresa meno esigente e dell'interesse amministrativo a che il contratto sia affidato all'impresa più adatta e più abile ad eseguirlo (A. De Laubadère, J., C. Venezia, Y. Gaudemet, 629 ss.).

... alla concezione panconcorrenziale per l'influenza del diritto eurounitario

La prospettiva cambia completamente sotto l'influenza del diritto eurounitario, specialmente degli appalti pubblici, dettata dagli anni Settanta ad oggi, fino al recepimento delle direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014 con il codice dei contratti pubblici del 2016.

Già il primo codice del 2006, come appena visto, include la libera concorrenza fra i principi generali in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Come ha precisato il Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del d.lgs. n. 163/2006 – la libera concorrenza gioca “un ruolo preponderante» in ordine al «nucleo principale» degli istituti disciplinati dal codice stesso: si tratta degli «aspetti relativi alla qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di gara, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto e alla vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una Autorità indipendente” (Cons. St., Sezione consultiva per gli atti normativi, Adunanza 6 febbraio 2006).

Nell'evoluzione del diritto eurounitario, le procedure a evidenza pubblica basate sul confronto competitivo fra imprese si sono arricchite di significati nuovi e di finalità ben più ampie. Sono aumentate le garanzie di pubblicità e di trasparenza, si sono allargate le possibilità di partecipazione alle gare, si sono rafforzati i meccanismi volti a evitare discriminazioni derivanti dalla richiesta di prescrizioni tecniche escludenti. Il fine di tutela del diritto eurounitario è la libera circolazione dei beni e dei servizi e il gioco concorrenziale in ambito europeo. In definitiva, la garanzia del mercato libero diviene prioritaria. Si ritiene così che la libertà del mercato a livello europeo assicuri un'adeguata protezione dell'interesse pubblico, perché la concorrenza effettiva tende a contenere i prezzi dei contratti e ad aumentare la qualità delle prestazioni offerte; nonche assicura idonee tutele agli interessi privati delle imprese che partecipano o aspirano a prender parte alle gare.

Il mutamento del significato della concorrenza in materia di contratti pubblici ha introdotto equilibri completamente nuovi nella materia. L'evidenza pubblica non è più un procedimento volto a garantire essenzialmente gli interessi pubblici – finanziari e amministrativi – delle amministrazioni procedenti, ma è una procedura finalizzata a tutelare anche e soprattutto la libertà di circolazione e di concorrenza nel mercato europeo.

Le procedure «ad evidenza pubblica» per l'affidamento dei contratti relativi a lavori, servizi e forniture non tutelano più soltanto l'interesse pubblico, finanziario e amministrativo, delle stazioni appaltanti e non rispondono esclusivamente al principio di legalità, ma sono volte a garantire la libertà di circolazione dei beni e dei servizi nel mercato interno e la libera concorrenza in ambito europeo.

La garanzia del mercato libero assicura la soddisfazione dell'interesse pubblico sul versante sia finanziario che amministrativo, perché la concorrenza effettiva contiene i prezzi e incentiva la qualità, essendo idonea a premiare non solo il contraente meno esigente, ma il contraente «giusto».

La garanzia del mercato libero, al tempo stesso, soddisfa al meglio le aspettative e i diritti delle imprese che, in assenza di concorrenza effettiva, rischierebbero discriminazioni: le imprese di piccole dimensioni, le straniere, le «nuove entranti».

La logica della concorrenza, inoltre, porta con sé un aumento degli strumenti di garanzia a disposizione delle imprese interessate al mercato libero. Il codice s'inserisce in tale contesto e alla sua luce va interpretato e attuato.

Si rafforzano nel giudizio amministrativo i rimedi nei confronti delle discriminazioni ai danni delle imprese «nuove entranti» poste in essere dalle stazioni appaltanti nel corso delle procedure «ad evidenza pubblica». Si pongono ulteriori obblighi in capo alle stazioni appaltanti al fine di assicurare un'autentica parità di trattamento anche in nuove procedure negoziali, come il dialogo competitivo. Si consolida il ruolo dell'Autority settoriale, che verifica, fra l'altro, la regolarità delle procedure competitive con un'ampia gamma di poteri. La libera concorrenza, dunque, potenzia il principio di legalità.

Si rafforzano, al tempo stesso, i rimedi antitrust a favore delle imprese escluse o sacrificate dai comportamenti illeciti delle concorrenti: si moltiplicano i casi in cui l'AGCM censura intese restrittive della concorrenza nello svolgimento di gare pubbliche, fino al riconoscimento all'AGCM della legittimazione a ricorrere avverso le procedure violative della concorrenza (art. 21 bis l. n. 287/1990).

La logica della concorrenza e del libero mercato europeo, in definitiva, assume in materia di appalti una duplice valenza: contrasta più efficacemente gli eccessi sia dei poteri pubblici nazionali – statali e decentrati – che operano come stazioni appaltanti, sia dei poteri imprenditoriali che a quella logica continuano ad opporsi.

La logica della libera concorrenza di dimensione europea richiede una disciplina giuridica unitaria quanto più possibile. Tale disciplina, nel nostro sistema giuridico, finora è stata attribuita al legislatore statale, cui la Costituzione ha affidato in via esclusiva la «tutela della concorrenza», che ha costituito il principio fondante l'intera disciplina dei contratti pubblici. Il legislatore statale, peraltro, è a sua volta vincolato al rispetto del principio e delle regole eurounitarie di concorrenza. Tutto ciò, come si è visto, ha comportato il protagonismo della legge statale in ordine al «nucleo essenziale» dei profili giuridici degli appalti pubblici, oggi regolati dal Codice: dalla la selezione e qualificazione dei concorrenti alle procedure di gara, dai criteri di valutazione e aggiudicazione alla vigilanza affidata ad un'autorità indipendente.

Da questo cambiamento sono derivate conseguenze giuridiche importanti, che riguardano, fra l'altro, i rapporti fra legge statale e regionale in materia di contratti pubblici, gli strumenti di tutela a disposizione delle imprese, gli obblighi posti in capo alle stazioni appaltanti, soprattutto nell'attuazione di importanti istituti previsti dal codice dei contratti pubblici.

Per garantire la concorrenza sul piano europeo, secondo la Corte Costituzionale. occorre adottare “uniformi procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente”: l'omogeneità di tali procedure trascende la specificità delle singole materie nelle quali s'impiega il contratto e l'ambito territoriale – statale o ragionale – della stazione appaltante; la procedura di scelta del contraente è “riconducibile alla tutela della concorrenza” e, come tale, “potrà essere interamente disciplinata... dal legislatore statale”. Ad esempio, vi sono materie in cui sussistono competenze normative regionali, come i lavori pubblici, ma il conferimento degli appalti deve essere pur sempre regolato dal legislatore statale, in nome della “tutela della concorrenza” sul piano europeo.

Questo non significa, come aveva già chiarito la Corte costituzionale, che le norme dello Stato debbano escludere completamente l'intervento dei legislatori regionali: l'esercizio della potestà legislativa statale deve in ogni caso rispettare i canoni dell'adeguatezza e della proporzionalità (tra le tante, sentenze Corte cost. n. 263/2016, Corte cost. n. 36/2013, Corte cost. n. 328/2011, Corte cost. n. 411 e Corte cost. n. 322/2008 e di recente, sentenze Corte cost. n. 98/2020 e Corte cost. n. 39/2020).

Più in generale, l'avvento del diritto eurounitario ha determinato il definitivo abbandono della concezione contabilistica, come evidenziato dalla Corte Costituzionale sottolineando che in questo nuovo contesto emerge l'“esigenza di assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici del settore in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi”; ciò determina “il definitivo superamento della cosiddetta concezione contabilistica, che qualificava [la] normativa interna come posta esclusivamente nell'interesse dell'amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale” (Corte cost. n. 401/2007).

Come rileva la Relazione illustrativa, la concezione panconcorrenziale non ha mai condotto ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza, come emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in ordine al rifiuto di ogni automatismo e alla continua valorizzazione dei poteri discrezionali della stazione appaltante, specie in merito all'affidabilità degli operatori economici (da ultimo sent. Corte Giustizia UE 19 giugno 2019, in causa C-41/18).

Nella stessa prospettiva si collocano le decisioni del giudice comunitario in merito al rapporto tra in house e mercato, con riferimento al quale si è chiarito che il diritto eurounitario non impone il mercato (v. anche commento all'art. 7), ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato, salvaguardando così integralmente il potere dell'amministrazione di scegliere la via dell'autoproduzione, che non necessariamente coincide con la sollecitazione proconcorrenziale degli interessi economici delle imprese a competere per avere un contratto (da ultimo, Corte Giustizia UE, 6 febbraio 2020, nelle cause riunite C-89/19 e C-91/19).

Anche la Corte costituzionale ha recentemente precisato che la tutela della concorrenza non è un fine ma uno strumento che può essere sacrificato a fronte di interessi superiori come quello di solidarietà e sussidiarietà sostanziale (Corte cost. n. 131/2020); nello stesso ha chiarito che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti (Corte cost. n. 218/2021).

Ciò nonostante, proprio quella visione panconcorrenziale della disciplina dei contratti pubblici ha in qualche modo indotto a ritenere che il risultato sia costituito dal rispetto della concorrenza, ossia che l'unico criterio guida della gara sia la gara stessa.

In principio era il risultato

Come si è anticipato, il risultato non è un principio ma semmai un modello organizzativo, che la dottrina fa concordemente discendere dai principi di buon andamento e dei correlati principi delle tre “E”: efficienza, efficacia ed economicità.

Peraltro, sulla formula “amministrazione di risultati” si è sviluppato un consistente dibattito dottrinale, soprattutto nella prima parte del primo decennio di questo Secolo, che risulta ormai essersi sopito in ragione della minore attenzione prestato a tale tema negli ultimi anni.

Una parte della dottrina ha evidenziato come questa formula denoti l'esigenza di vincolare l'amministrazione a operare in base ai principi di efficienza, efficacia ed economicità in modo da produrre risultati migliori a costi minori (Cerulli Irelli, 2003, 4; Corso, 2003); ma si registra anche l'opinione di chi intende ridimensionarne di molto il significato, considerando l'amministrazione di risultato una sorta di teoria del flogisto, il cui unico insegnamento è l'esigenza di misurazione del fenomeno amministrativo (Cassese, 2004, 941).

Altri ancora, sostengono che, dietro tale formula, si celi un nuovo modello di amministrazione che in termini complessivi leghi l'amministrazione a una responsabilità non solo alla legittimità del proprio operato ma anche al conseguimento di risultati e dunque alla possibilità di adattare le modalità e i contenuti della propria azione alle esigenze, inevitabilmente differenziate espresse dalla collettività e dai diversi contesti socio-economici e territoriali (Cammelli, 2003, 109)

In questo solco si colloca la previsione di cui al comma 3 dell'articolo in commento, ove si precisa che il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea”.

Peraltro, altra parte della dottrina ha messo in guardia dal rischio che se amministrazione di risultato significa misurazione della prestazione in un'ottica aziendalistica sulla base di parametri, indicatori e sistemi di monitoraggio, “essa potrebbe riprodurre paradossalmente comportamenti di stampo burocratico a catena, del tutto simili a quelli della vecchia amministrazione basata sul culto della forma” (Salvia, 2005, 560). In sostanza, ben venga la produttività ma la stessa non può che essere vista quale declinazione della funzionalità. La soluzione di continuità rispetto al passato non sarebbe l'abbandono della rispondenza al fine che il buon andamento di cui all'art. 97 Cost. sottende, bensì una caratterizzazione dello stesso sulla base della qualità del prodotto amministrativo, che per ogni organizzazione non può che essere la cura degli interessi della collettività. Infatti, l'efficienza si sostanzia in un necessario rapporto tra strumenti e obiettivi e in ciò essa presuppone la funzionalità operativa delle strutture preposte all'esercizio dell'attività amministrativa.

Così, la rilevanza attribuita al risultato amministrativo può costituire l'innovazione più profonda del modo di concepire giuridicamente l'attività amministrativa, ed è tale da mutare “il modo stesso dell'amministrare, il modo cioè in cui i funzionari intendono la loro azione” (Scoca, 2002, 10). E allora, l'idea dell'amministrazione di risultato appare non antinomica rispetto al principio di legalità, posto che il risultato da conseguire é “il principale elemento di conformazione e funzionalizzazione dell'organizzazione e dell'attività della p.a.” solo “nei limiti (legislativamente stabiliti in funzione della tutela di altri profili (garanzia dei diritti dei privati o interessi pubblici indisponibili) considerati specificamente prevalenti e tali dunque da porsi come limiti da rispettare” (Cammelli, 2003, 122).

La vera e propria utilità del dibattito sopra cennato è stato quella di far acquisire la consapevolezza che il “risultato” non possa essere relegato all'extragiuridico, poiché proprio il raggiungimento del risultato, la realizzazione dei compiti pubblici e la soddisfazione finale dei bisogni sociali costituiscono elementi fondanti della struttura pubblica nonché la ragione ultima dell'esistenza di un apparato amministrativo.

A tale stregua, il raggiungimento del risultato e le garanzie di legalità attengono a valori giuridici differenti ma non necessariamente inconciliabili o divergenti: invero, anche i principi dello Stato di diritto impongono all'amministrazione di concludere il procedimento entro tempi ragionevoli.

In tal senso, la legittimità dell'azione amministrativa dovrebbe integrare (Romano Tassone, 816) le esigenze connesse alla efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa come indici di ragionevolezza e logicità delle scelte istruttorie (Cerulli Irelli, Luciani, 618). Tali prescrizioni generali vengono così integrate nell'alveo della legittimità dell'azione amministrativa (F. Manganaro, 46 ss.) in una prospettiva che contemperi le spinte antiformalistiche con il necessario riconoscimento del valore del percorso funzionale e procedimentale in relazione alla “verificazione” dell'interesse pubblico.

Se quindi il “risultato” ha guadagnato definitivamente posto nel mondo del “giuridico”, non si era mai prima d'ora affermato che il “risultato” possa costituire il contenuto di un principio generale e non solo la declinazione di altri principi (quello di legalità, di buon andamento, etc.).

La “forzatura del nuovo codice non si limita peraltro a elevare il risultato a principio generale e ad articolarne il rapporto con gli altri principi generali (legalità, trasparenza e concorrenza), ma si spinge a statuire che il principio del risultato “costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto” (si veda infra).

Il rapporto con gli altri principi

Pare scorretto interpretare l'art. 1 come un ritorno alla concezione contabilistica degli inizi del secondo scorso.

L'obiettivo del nuovo art. 1 è invece quello di porre il risultato, che acquista il rango di principio, in esplicito e diretto rapporto con gli altri principi generali, e in particolare con quelli di concorrenza e trasparenza, che assumono con il comma 2 una connotazione squisitamente funzionale e diventano il mezzo per il raggiungimento del risultato.

Il secondo comma precisa, infatti, che “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità”.

Come si legge nella Relazione Illustrativa “La concorrenza, in particolare, è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti. Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l'art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all'imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l'interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche”.

Con riferimento alla trasparenza, nella Relazione si precisa che il principio “è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità. Il riferimento espresso alla verificabilità” evoca il concetto di accountability, inteso come responsabilità per i risultati conseguiti. In quest'ottica, la logica del risultato, attraverso la definizione degli obiettivi e il controllo trasparente sull'attività amministrativa, costituisce un mezzo per assicurare l'accountability, in un'ottica di crescente efficienza e responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Viene peraltro da chiedersi se le equazioni rispetto della concorrenza-risultato migliore e rispetto della trasparenza-risultato migliore siano relazioni funzionali necessariamente biunivoche.

Nella logica eurounitaria la relazione è certamente univoca, nel senso che il rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza conduce sempre al risultato migliore.

Ma occorre chiedersi se possa affermarsi che, nella singola fattispecie, il risultato migliore è stato comunque conseguito anche ove non siano stati rispettati i principi di concorrenza e trasparenza, tenendo in considerazione che il principio del risultato costituisce criterio prioritario ai fini dell'individuazione della regola del caso concreto.

In altri termini, se, come evidenziato sopra, il “risultato” inteso come modello organizzativo dell'amministrazione opera come criterio di verificazione del conseguimento dell'interesse pubblico primario il quale deve avvenire comunque nel rispetto della legalità procedimentale, l'art. 1 del nuovo codice non rivestirebbe grande innovatività.

La portata innovativa sarebbe invece rilevante se l'elevazione del risultato a principio generale assumesse il significato di rendere prevalente, nella valutazione del caso concreto, il conseguimento del risultato rispetto agli aspetti legati alla tutela della concorrenza e all'osservanza delle regole di trasparenza. Con questo non si intende affermare la prevalenza tout court del principio rispetto agli altri, ma che tale obiettivo possa essere conseguito con riferimento agli spazi di operatività non strettamente normati delle regole della concorrenza e della trasparenza.

Il principio del risultato costituisce criterio prioritario

Il comma 4 dispone che “Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto”.

Al proposito, la Relazione illustrativa precisa che il risultato costituisce “un principio-guida nella ricerca della soluzione del caso concreto, al fine di sciogliere la complessità, spesso inevitabile, che deriva dall'intreccio di principi, norme di diritto dell'Unione europea, norme di legge ordinaria, atti di regolazione e indirizzi della giurisprudenza”.

La formula “criterio prioritario” indica bene l'esistenza di una gerarchia degli interessi protetti, con una sostanziale, come visto, sostituzione di tale criterio/principio a quello della trasparenza che costituisce obiettivo primario dell'impianto normativo del codice. A sua volta, il riferimento alla discrezionalità diventa concreto. In passato, infatti, in un contesto in cui l'interesse prioritario era quello della tutela della legalità e della prevenzione della corruzione, la discrezionalità, anche se formalmente proclamata, fatalmente si paralizzava. Le amministrazioni, infatti, erano indotte a non discostarsi dalla stretta osservanza della procedura maggiormente formalizzata che le avrebbe condotte a un'aggiudicazione quanto più possibile automatica. Se invece oggi l'obiettivo è quello del risultato finale, le amministrazioni saranno obbligate a individuare caso per caso il modus procedendi migliore che non necessariamente coincide con lo svolgimento di una gara pubblica e con l'esclusione di tutti i partecipanti che presentino vizi anche meramente formali.

Coerente con questa mutata prospettiva è la formula di derivazione anglosassone relativa all'individuazione della regola del caso concreto. L'amministrazione contraente non vive più in una camicia di forza regolamentare, ma può scegliere una molteplicità di modelli procedurali e normativi con un'ampia facoltà di selezionare la regola alla quale auto vincolarsi. La regola alla quale l'amministrazione decide di auto vincolarsi (purché, ovviamente, l'esito non sia paradossale o irragionevole o abusivo), inoltre, diventa il parametro di verifica cui si devono attenere sia le autorità di controllo sia gli organi di tutela giurisdizionale, che non possono poi pescare un diverso riferimento normativo per squalificare la scelta e la condotta dell'amministrazione.

Questo mutamento di prospettiva costituirà una sfida fondamentale anche per l'Avvocatura dello Stato quando difende in giudizio le stazioni appaltanti, perché dovrà essere in grado di spiegare la razionalità innanzitutto economica della scelta della regola da parte dell'amministrazione (F. Caringella).

È evidente che il risultato costituisce un dato sostanziale che, nella normalità dei casi, è il frutto di scelte discrezionali e/o valutazioni tecniche e di cui si ha evidenza solo all'esito della procedura ad evidenza pubblica o addirittura nella fase di esecuzione dell'appalto: solo con l'aggiudicazione è individuato l'operatore economico migliore e solo con l'esecuzione si avrà la dimostrazione che la scelta di quell'operatore è effettivamente stata la migliore.

In tale prospettiva, il principio del risultato nel rapporto con gli altri principi (legalità, concorrenza e trasparenza) è destinato ad operare diversamente nelle diverse fasi della procedura, potendosi quindi distinguere:

a) la fase di predisposizione della legge di gara;

b) la fase di ammissione dei concorrenti, valutazione delle offerte e di aggiudicazione;

c) la fase della proposta aggiudicazione e dell'aggiudicazione;

d) la fase esecutiva.

Il principio del risultato nella fase di programmazione e predisposizione della legge di gara ...

Nella prima fase, che culmina, nella determina a contrarre, nell'approvazione e nella pubblicazione della legge di gara, la discrezionalità dell'amministrazione è molto ampia riguardando prima la programmazione del lavoro, servizio o fornitura e poi la scelta del sistema di gara, del metodo di aggiudicazione, la determinazione dei requisiti speciali di qualificazione e dei criteri di valutazione delle offerte.

In particolare è con la programmazione che l'amministrazione determina il risultato che intende conseguire, non potendo più semplicemente limitarsi a stabilire “come” stipulare un contratto pubblico, ma dovendo spiegare il “perché” della realizzazione di un'opera ovvero dell'acquisto di beni e servizi.

Anche nella fase di predisposizione della singola gara si predetermina il risultato, ossia la scelta dell'offerta che meglio risponderà all'interesse primario in termini qualitativi e quantitativi, di cui però si avrà evidenza solo al termine della gara.

È sempre questa la fase in cui invece si consegue direttamente il risultato della tempestività, che avviene normalmente attraverso la scelta del sistema di gara e del criterio di aggiudicazione, nonché nella determinazione dei tempi della procedura, in particolare dei termini per la presentazione delle offerte.

In questa fase, il principio del risultato opera in strettissima connessione con il principio di trasparenza e con quello di concorrenza.

Vi sono alcuni casi in cui è lo stesso legislatore a stabilire la prevalenza del risultato sulla concorrenza, come nel caso degli affidamenti sottosoglia, con riferimento al quale il nuovo codice porta a regime la disciplina emergenziale con la possibilità di affidamenti diretti dei contratti sottosoglia anche di considerevole valore (artt. 48 ss.).

Vi sono altri casi in cui il legislatore attribuisce prevalenza al principio di concorrenza sul risultato, come nel caso dell'obbligo di frazionamento in lotti che comporta normalmente maggiori oneri procedimentali e un maggior dispendio di tempo (art. 58).

Vi sono altri casi, in cui invece, la scelta della stazione appaltante deve conciliare i due principi del risultato e della concorrenza, come nel caso della determinazione dei requisiti speciali di qualificazione: la scelta di requisiti più stringenti favorisce la selezione del miglior offerente, ma riduce la platea dei partecipanti come i tempi per la valutazione delle offerte (art. 10, comma 3).

... nella fase di ammissione dei concorrenti, valutazione delle offerte e di aggiudicazione ...

La seconda fase è quella in cui invece il principio del risultato dovrebbe certamente svolgere un ruolo prevalente, soprattutto sotto il profilo della tempestività, trattandosi di attuare le prescrizioni della legge di gara.

In questa fase, infatti, il principio di concorrenza sembra destinato a operare come limite esterno rispetto alle scelte della stazione appaltante, come dimostra l'istituto del soccorso istruttorio (art. 101), che consente di colmare tutte le lacune della documentazione presentata dai concorrenti ad eccezione delle integrazioni delle offerte che potrebbero determinare un'alterazione della par condicio.

Anche il principio di trasparenza dovrebbe costituire un limite esterno alle scelte delle stazioni appaltanti, limitando i casi di invalidità delle operazioni legate alla verbalizzazione o all'attribuzione dei punteggi da parte dei commissari di gara.

Negli appalti sottosoglia, il principio di concorrenza si sostanzia nella regola o principio di rotazione, il quale, peraltro, deve essere interpretato alla luce dell'autorizzazione legislativa dell'affidamento diretto; in altri termini l'applicazione del principio di rotazione non dovrebbe depotenziare o annullare l'effetto di semplificazione derivante dalla nuova disciplina dei contratti sottosoglia.

TAR Catania, III, n. 3738/2023  ha , al riguardo, rimarcato che l principio del risultato, codificato dal d.lgs. n. 36 del 2023, costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” e comporta che l’amministrazione debba tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento; tale obiettivo viene raggiunto anche selezionando operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali “sintomi” di una affidabilità che su di essi dovrà esser riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.   E’ stato anche rilevato che il soccorso istruttorio /procedimentale deve essere conforme al principio del risultato. Tale regola deve essere considerata come un vero criterio-guida per l’azione della pubblica amministrazione nella scelta dell’operatore economico che sia più idoneo all’aggiudicazione dell’appalto. Di conseguenza il comportamento errato dell’amministrazione, che non ha permesso al medesimo operatore economico di ottenere la commessa, pur avendo lo stesso presentato la migliore offerta, è illegittimo anche sotto il profilo della violazione del sopra indicato principio. Da ciò si desume che la stazione appaltante avrà l’onere di ricorrere alla richiamata tipologia di soccorso sempre in specifici casi; in particolare, nelle situazioni in cui tale onere sia strumentale a sanare irregolarità e/o omissioni. Questi ultimi inadempimenti devono essere afferenti alla documentazione presentata dagli operatori economici che potrebbero impedire di selezionare il miglior concorrente quale esecutore dell’appalto. La possibilità di sanatoria di meri errori materiali, attraverso l’indicata tipologia di soccorso, deve essere concessa indistintamente a tutti gli interessati. TAR Bolzano n. 316/2023.

... nella fase della proposta aggiudicazione e dell'aggiudicazione ...

La terza fase si caratterizza per il fatto che del conseguimento del risultato vi è una prima evidenza con l'aggiudicazione.

In tale fase vi è certamente una prevalenza del principio del risultato, anche in termini di tempestività, come emerge dalla facoltà riconosciuta dal nuovo codice di procedere alla consegna anticipata dell'appalto prima della stipula del contratto e dopo la verifica dei requisiti.

Con riferimento alla verifica dei requisiti, soprattutto quelli generali non automaticamente escludenti, rimane ancora prevalente l'orientamento che ritiene che tale verifica dei requisiti abbia implicitamente esito positivo con l'ammissione dell'operatore economico alla gara senza necessità di specifica motivazione. Tuttavia, pare che sia stia affermando un orientamento più rigoroso con particolare riferimento all'illecito professionale, secondo cui il giudizio di affidabilità dell'operatore richiede una puntuale motivazione.

Anche in questo caso si tratta di conciliare il principio di trasparenza con quello del risultato, evitando che la gara subisca ritardi in conseguenza della necessità che ogni ammissione debba essere motivata puntualmente.

... nella fase dell'esecuzione

Nella quarta fase, quella dell'esecuzione, pare certamente presieduta dal principio del risultato declinato in termini strettamente privatistici, mentre il principio di concorrenza è circoscritto a casi limite, come quello di modifiche contrattuali che potrebbero richiedere la riapertura del confronto concorrenziale: circostanza con riferimento alla quale il nuovo codice introduce l'istituto innovativo (per l'ordinamento italiano) delle clausole di rinegoziazione.

Risultato e sindacabilità delle decisioni amministrative

Rimane da valutare quale possa essere l'influenza dell'art. 1 sulla sindacabilità delle scelte delle stazioni appaltanti da parte del giudice amministrativo non potendo sottacersi l'analogia con la previsione dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990.

Il risultato di una gara ad evidenza pubblica non coincide con “il contenuto dispositivo del provvedimento” di cui al citato art. 21-octies, ma entrambe le disposizioni impongo al giudice un giudizio volto al rapporto o comunque al caso concreto.

Si ritiene che anche con riferimento al sindacato giurisdizionale sia rilevante la suesposta suddivisione in fasi della procedura a evidenza pubblica e in particolare il grado di vicinanza rispetto al risultato costituito dall'individuazione della migliore offerta.

In altri termini i principi di concorrenza e trasparenza avranno un ruolo certamente prevalente, seppure connotandosi in senso funzionale, nel sindacato della legge di gara ove questa sia immediatamente impugnata e il giudice si trovi a dover valutare ex ante se il regolamento di gara è idoneo a garantire il conseguimento del risultato.

Diversa è l'ipotesi in cui il giudice sia chiamato a esaminare gli stessi profili ad aggiudicazione già intervenuta, quando cioè si formalizzato il giudizio di merito delle offerte.

In questo caso un risultato è già stato conseguito e si tratta di valutare ex post il rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza.

Per esemplificare, l'impugnazione da parte dell'operatore collocatosi ultimo in graduatoria volta unicamente a contestare profili connessi alla concorrenza e alla trasparenza (quali, ad esempio, la verbalizzazione delle operazioni della commissione), senza mettere in discussione il “risultato”, è astrattamente ammissibile sotto il profilo dell'interesse, ma non può non tenere conto del risultato appalesatosi all'esito della competizione.

Sembra quindi, in definitiva, che il principio del risultato, se preso sul serio, non sia privo di conseguenze sulla categoria dell'interesse ad agire, soprattutto su quella dell'interesse strumentale.

Il principio del risultato nel sindacato di costituzionalità delle leggi regionali

Non priva di conseguenze è l'affermazione del principio del risultato sul sindacato di costituzionalità delle leggi regionali che dovessero disporre in contrasto con il nuovo codice.

Infatti, l'articolazione del principio del risultato rispetto agli altri principi e in particolare di quello della concorrenza, che assume un connotato esplicitamente funzionale rispetto al primo, è destinata a riflettersi sul “titolo” attributivo della competenza statale esclusiva da sempre individuato, come sopra evidenziato, dalla Corte costituzionale, come sopra evidenziato, nella “tutela della concorrenza” di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

La priorità assegnata dal legislatore al principio del risultato potrebbe cambiare completamente la prospettiva, affrancando la disciplina dei contratti di diritto pubblico dalla materia-funzione della concorrenza e facendo apparire non più scontata l'esclusione di altri titoli di competenza concorrente o addirittura esclusiva delle Regioni, come quella dell'organizzazione amministrativa alla quale pertiene il principio del risultato.

La previsione finale del comma 4, alla lettera a) in coerenza con il principio della fiducia declinato nell'art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare), a favore del personale impiegato nei delicati compiti che vengono in rilievo nella “vita” del contratto pubblico, dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione. Lo scopo è quello di contrastare, anche attraverso tale previsione, ogni forma di burocrazia difensiva: in quest'ottica si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità

La lettera b) del comma 4 specifica, nella stessa ottica, che il risultato rappresenta anche criterio per l'attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandano alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative.

Alcune obiezioni al principio del risultato e le possibili risposte

Tra i primi commenti alla riforma non è mancato chi (Cintioli) ha adombrato talune difficoltà che possono potenzialmente opporsi alla positiva applicazione del principio in esame.

In primo luogo, dal punto di vista della teoria generale del diritto, si richiama il pensiero di chi (A. Romano) paventava come la teoria del risultato normalmente non fosse ancorata a un dato formale e non avesse un dato preliminare di orientamento in base al quale giudicare della validità del provvedimento. A tali considerazioni, si replica (Cintioli) come allo stato sussiste uno strumento assai prezioso a questi fini: il PNRR, che è un atto di pianificazione, il quale identifica puntualmente una serie di risultati da raggiungere, minuziosamente indicando anche i tempi entro i quali devono essere conseguiti.

Altra possibile obiezione che può essere mossa al principio di risultato riposa sulla considerazione per cui il diritto amministrativo non deve scostarsi dal suo principale obiettivo, che consiste nella fissazione del corretto equilibrio tra autorità e libertà, e non già nel raggiungimento dell'efficienza amministrativa.

Si ritiene (Cintioli) tuttavia che a questa possibile obiezione si debba rispondere osservando che essa è sì corretta in linea di principio, ma non è più condivisibile se calata nel contesto storico e ordinamentale che ci offre il diritto vivente. Specie – si aggiunge – se si considera che l'operatore è spesso chiamato ad agire nell'ambito di un quadro normativo piuttosto composito e frastagliato con norme contraddittorie, non ben coordinate e quasi celate all'interno di un amplissimo diritto positivo, per cui appare indispensabile enunciare il risultato come criterio prioritario per la scelta dell'interprete.

Principio del risultato e criteri di selezione degli operatori economici

Il principio del risultato, codificato dal d.lgs. n. 36 del 2023, costituisce “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale” e comporta che l’amministrazione debba tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell’interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento; tale obiettivo viene raggiunto anche selezionando operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali “sintomi” di una affidabilità che su di essi dovrà esser riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.

Bibliografia

 Cammelli, Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA, 2002, Milano, 2003; Caringella, Prefazione, in Giustiniani, Il nuovo codice dei contratti pubblici, prima e dopo la riforma, Roma, 2023; Carbone, La scommessa del “Codice dei contratti pubblici” e il suo futuro, Relazione introduttiva al Convegno dell'Istituto Jemolo, “Il nuovo codice degli appalti – La scommessa di un cambio di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?”, Avvocatura dello Stato – 27 gennaio 2023; Cassese, Cosa vuol dire amministrazione di risultati?, in Giorn. dir. amm., 2004, 941 ss.; Cintioli, Il principio del risultato nel nuovo codice dei contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 2023; Cerulli Irelli, Luciani, La semplificazione dell'azione amministrativa, in Dir. Amm., 2000, 1; De Laubadère, J., C. Venezia, Y. Gaudemet, Traité de droit administratif, tome 1, Paris, 1990; Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1970; Manganaro, Principio di legalità e semplificazione dell'azione amministrativa, Napoli, 2000; Montedoro, La funzione nomofilattica e ordinante e i principi ispiratori del nuovo codice dei contratti pubblici, in giustizia-amministrativa.it, 2023; Perongini, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, in IUS AMM, 2 gennaio 2023; Romano, Diritto amministrativo, Milano, 1901; Romano Tassone, Sulla formula «amministrazione per risultati», in Scritti in onore di E. Casetta, Napoli, 2001, II; V; Salvia, La buona amministrazione ed i suoi miti, in Dir. e società, 2005, 560 ss.; M.A. Sandulli, Prime considerazioni sullo Schema del nuovo Codice dei contratti pubblici, in giustiziainsieme.it, 21 dicembre 2022; Scoca F., Attività amministrativa, in Enc. Dir. (VI agg.), Milano, 2002, 10 ss.; Tulumello, Il diritto dei contratti pubblici fra regole di validità e regole di responsabilità: affidamento, buona fede, risultato, in giustizia-amministrativa.it, 2023.

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