Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 132 - Disciplina comune applicabile ai contratti nel settore dei beni culturali.

Germana Lo Sapio
Codice legge fallimentare

Art. 145


Disciplina comune applicabile ai contratti nel settore dei beni culturali.

1. Le disposizioni del presente Titolo dettano la disciplina relativa a contratti concernenti i beni culturali tutelati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché relativi all'esecuzione di scavi archeologici, anche subacquei. Per quanto non diversamente disposto, trovano applicazione le pertinenti disposizioni del codice.

2. Ai contratti concernenti i beni culturali, in considerazione della specificità del settore ai sensi dell'articolo 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, non si applica l'istituto dell'avvalimento, di cui all'articolo 104.

Inquadramento

L'art. 132 del Codice, come già il previgente art. 145 d.lgs. n. 50/2016, non trova alcuna corrispondenza nelle direttive euro-unitarie, ma, in attuazione dei criteri indicati nella legge delega 21 giugno 2022, n. 78, (lett. a, h, t) ribadisce la specialità del settore, da ultimo peraltro affermata anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, con particolare riguardo alla esigenza di mantenere per tutto il ciclo dei contratti l'esigenza di professionalità degli operatori economici coinvolti.

Elementi distintivi rispetto all'art. 145 del codice previgente

Diversamente da quanto evincibile nel d.lgs. n. 50/2016, che dedicava ai beni culturali un vero e proprio corpus normativo (Capo III della Sezione IV), la disciplina primaria contenuta nei tre articoli che disciplinano il settore è essenziale. Essa deve infatti essere letta ed interpretata sistematicamente sia con il Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004), e, sul piano della normativa di dettaglio, con l'allegato II.18 che prende il posto del regolamento di cui al d.m. n. 154/2017 (ferma restando la tecnica di delegificazione prevista anche per questo allegato), ma anche della fonte legislativa su alcuni profili di dettaglio (si rinvia per tali contenuti al commento all'allegato).

Evoluzione storica della disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali

L'inserimento di una disciplina speciale per i beni culturali nell'ambito di quella generale dei contratti pubblici è l'esito di una evoluzione normativa che originariamente era connotata dalla frammentarietà, con la conseguente delicata opera interpretativa volta a ricondurre a «sistema» il settore.

In particolare, fino alla l. n. 109/1994 (cd. Legge Merloni), i contratti aventi ad oggetto «beni culturali» erano disciplinati essenzialmente dalla l. n. 44/1975 «Misure intese alla protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale», nonché dal d.P.R. n. 509/1978, recante il “Regolamento delle spese da farsi in economia per i servizi dell'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni culturali e ambientali”, i quali attribuivano al Ministero competente amplissimi margini di deroga alla regola generale dell'evidenza pubblica prevista dalla normativa di contabilità generale dello Stato, estendendo gli spazi per gli affidamenti in economia o a trattativa privata, sia per l'esecuzione di lavori, sia per l'acquisto di forniture e servizi. Tale opzione normativa rispondeva ad una logica di astratta prevalenza della tutela dell'interesse pubblico alla «conservazione e manutenzione» dei beni del patrimonio storico-culturale, specie con riguardo al «restauro» soprattutto se riguardante i beni mobili e le superfici decorate, i cui lavori erano di regola eseguiti avvalendosi del sistema di esecuzione in economia a cottimo fiduciario anche per importi rilevanti.

La l. n. 109/1994 aveva operato un rovesciamento di tale impostazione, riconducendo la disciplina dei contratti aventi ad oggetto «lavori» relativi ai beni culturali alla regola generale dell'evidenza pubblica, pur riconoscendo aree di specialità (ad esempio in relazione ad appositi capitolati speciali; una categoria speciale per i lavori su beni mobili e superfici decorate fu introdotta peraltro ad opera del d.m. n. 304/1998). Tale inversione di tendenza aveva subìto successivamente un rallentamento, volto ad ampliare ancora gli spazi derogatori alla regola generale dell'evidenza pubblica, introdotto dalla legge “Merloni-quater” (l. n. 166/2002), che, con una tecnica normativa che ha suscitato non poche perplessità, aveva inserito nel corpo della legge Merloni diverse norme speciali relative ai lavori sui beni culturali (seppure sempre con particolare riguardo al settore dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici).

Successivamente, il d.lgs. n. 30/2004 – peraltro successivo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 9/2004 che sottolineava il ruolo conservativo dei lavori pubblici aventi ad oggetto beni culturali – aveva introdotto per il settore dei beni culturali un regime derogatorio rispetto alla disciplina generale. Tali contenuti sono stati poi sostanzialmente trasposti negli artt. 197 e ss. del decreto legislativo n. 163/2006 relativi al project financing, agli appalti misti, alla qualificazione degli esecutori, all'attività di progettazione e direzioni lavori, ai sistemi di scelta e aggiudicazione dei lavori, la sponsorizzazione. Infine un settore speciale dedicato è stato previsto del codice previgente, agli articoli 145 e ss. In quello attuale, la disciplina è sostanzialmente conforme, seppure più sintetica, essendo state demandate all'allegato II.18 alcune regole di dettaglio.

L'esigenza della specialità

«La specialità dei contratti relativi ai beni culturali deriva, come è evidente, dalla particolarità del loro oggetto (indiretto o mediato), vale a dire dalla peculiarità materiale e di regime giuridico del bene culturale. La primarietà della funzione di tutela del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) condiziona anche le procedure di selezione e le modalità di esecuzione dei contratti che riguardano i beni culturali, siano essi appalti di lavori o di servizi, contratti di forniture o concessioni di lavori o di servizi. L'esigenza prevalente, rispetto alla quale va contemperato il principio del risultato, è rappresentata dalla centralità della finalità conservativa (la conservazione programmata prevista dall'art. 29 del codice di settore del 2004), ovvero “di ridurre al minimo i rischi di perdita o deterioramento del bene rispetto ai profili di ordine economico” (Carpentieri), con la conseguente prevalenza dell'elemento qualitativo, che emerge dalla articolata disciplina sulla qualificazione degli operatori demandata all'allegato II.18.

La continuità nella esigenza di un regime speciale per i contratti concernenti i beni culturali, ispirato a tutelare l'interesse alla tutela del patrimonio storico-artistico, è peraltro connotata da una maggiore semplificazione, anche rispetto alla disciplina del codice previgente. Rilevano, in tal senso, sia il comma 1 primo periodo (“Le disposizioni del presente Titolo dettano la disciplina relativa a contratti concernenti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché relativi all'esecuzione di scavi archeologici, anche subacquei”) che opera un rinvio generale all'intero comparto disciplinare di cui al d.lgs. n. 42/2004 (come già indicato nel previgente articolo 145, laddove la corrispondente norma del previgente d.lgs. n. 163/2006 faceva riferimento ad oggetti specifici di tutela: beni mobili e immobili, interventi su elementi architettonici e sulle superficie decorate di beni del patrimonio riforma del settore, facendo sorgere la questione della annoverabilità nell'ambito applicativo anche dei beni paesaggistici, non espressamente indicati e appartenenti al più ampio genus di «patrimonio culturale»); sia il comma 1 secondo periodo che, a chiusura della disposizione, contiene un'indicazione di principio, generalizzando le disposizioni comuni del Codice cui ferme restando le norme speciali espressamente previste dagli artt. 132, 133 e 134 (mentre, ad esempio, nel d.lgs. n. 163/2006 veniva effettuato un richiamo più puntuale alle parti applicabili, in quanto non derogate e ove compatibili).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 91/2022 segna il perimetro della specialità

Il secondo comma dell'articolo in commento ribadisce il divieto di avvalimento per i contratti pubblici relativi ai beni culturali che era già contenuto nel previgente art. 146 comma 3 del d.lgs. n. 50/2016 in ragione della natura specialistica delle lavorazioni previste in questo particolare settore.

Con la sentenza della Corte cost. n. 91/2022 è stata rigettata la questione sollevata dal T. A. R. Molise (ord. n. 278/2020) relativa alla mancata previsione di analogo divieto anche per il subappalto. La Corte ha delineato la distinzione tra i due istituti dell'avvalimento e del subappalto, sia pure accomunati dall'obiettivo di sopperire alla mancanza in capo all'operatore aggiudicatario dei requisiti di qualificazione, precisando che: a) l'avvalimento consente a un soggetto privo di taluni requisiti prescritti per la partecipazione a una gara, di avvalersi di quelli posseduti da un altro operatore (l'ausiliario), il quale – tramite una relazione contrattuale – li mette a disposizione del concorrente (l'avvalente) per tutta la durata dell'appalto; b) l'avvalimento non si configura pertanto come uno schema contrattuale, ma rappresenta un istituto che guarda allo scopo di colmare la lacuna di requisiti in ottica di favor per la più ampia partecipazione; scopo raggiungibile tramite plurimi schemi contrattuali (mandato, l'appalto di servizi, la garanzia atipica o altro contratto tipico o atipico; la Corte richiama a tal proposito anche l' Ad. Plen. Cons. St. n. 23/2016) con i quali l'ausiliario “mette a disposizione” mezzi, beni, competenze professionali necessarie; c) l'impresa ausiliaria nell'avvalimento è integrata ab initio nell'impresa concorrente priva dei requisiti di gara, con la conseguente responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante; d) il codice dei contratti pubblici impone con l'istituto dell'avvalimento solo “l'effettività del prestito dei requisiti” (cfr. Cons. St. V, n. 6212/2021, Cons. St. V, n. 2953/2018), ma assicura l'esecuzione diretta dei lavori ad opera dell'ausiliario, che, quale regola generale, spetta pur sempre all'aggiudicatario (art. 89, comma 8, del codice previgente). Proprio perché non vi è la garanzia di esecuzione della prestazione da parte dell'ausiliario, ovvero da parte di chi possiede i requisiti, il legislatore ha pertanto legittimamente vietato l'avvalimento, al fine di garantire, nel settore dei beni culturali dove non si può prescindere da tale professionalità, la coincidenza tra chi abbia la qualificazione richiesta e chi svolga la fase esecutiva del contratto.

Nel caso del subappalto tale coincidenza è invece assicurata, ad avviso della Corte, per due ragioni: a) anzitutto, il subappalto – quando non sia affidato all'ausiliario e, dunque, non risulti abbinato all'istituto dell'avvalimento – “presuppone che l'impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara”: l'impresa, anche qualora non disponga di tutte le qualificazioni richieste per le singole lavorazioni oggetto dell'appalto, ha pertanto, quanto meno, l'attestazione SOA relativa alla categoria prevalente per l'importo totale dei lavori oggetto del contratto” (cfr. art. 12, comma 2, del d.l. n. 47/2014, convertito in l n. 80/2014, tuttora in vigore; cfr. Cons. St. V, n. 5447/2021; Cons. St. V, n. 138/2021), e, qualora non sia qualificata per le categorie a qualificazione obbligatoria, può utilizzare il subappalto; b) sotto il profilo dello schema giuridico, il subappalto è un tipo contrattuale ovvero “un subcontratto che si dirama dal modello dell'appalto”, cosicché da esso sorge l'obbligazione tipica del “compimento «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio» di un'opera o di un servizio «verso un corrispettivo in denaro» (art. 1655 del codice civile)” ovvero di eseguire materialmente i lavori (obbligazione che invece non necessariamente consegue allo schema utilizzato per l'avvalimento). Tratteggiate le differenze tra i due istituti che pertanto non sorreggono i dubbi sollevati dal T.A.R., la Corte sottolinea anche come il divieto di subappalto non solo non risponderebbe alla medesima ratio del divieto di avvalimento, ma sarebbe anche contrario al principio della concorrenza e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia che non tollera neanche limiti quantitativi astratti (cfr. tra le altre sentenza Corte giust. UE 27 novembre 2019, C-402/18).

Bibliografia

Albissini, Il nuovo codice dei contratti pubblici – i contratti pubblici concernenti i beni culturali, in Giornale dir. amm., 2016, 4, 436; Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urbanistica e appalti, 2016, 8-9, 1014; Spena, La complessa relazione tra valorizzazione dei beni culturali e forme di intervento privato: contratto di sponsorizzazione e digitalizzazione, in Riv. giur. d., 2022, 2, 130.

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