Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 141 - Ambito e norme applicabili.Codice legge fallimentare Artt. 3, lett. a), c), d), e), t), hh), 7, 10, 14, 122, 133 Ambito e norme applicabili. 1. Le disposizioni del presente Libro si applicano alle stazioni appaltanti o agli enti concedenti che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 146 a 152. Le disposizioni del presente Libro si applicano, altresì, agli altri soggetti che annoverano tra le loro attività una o più tra quelle previste dagli articoli da 146 a 152 e operano in virtù di diritti speciali o esclusivi. 2. Le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi applicano le disposizioni del presente Libro solo per i contratti strumentali da un punto di vista funzionale a una delle attività previste dagli articoli da 146 a 152. 3. Ai contratti di cui al presente Libro si applicano, oltre alle sue disposizioni: a) il Libro I, Parte I, Titolo I, eccetto l'articolo 6; b) nell'ambito del Libro I, Parte I, Titolo II, gli articoli 13, 14, 16, 17 e 18. L'articolo 15 si applica solo alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti che sono amministrazioni aggiudicatrici; c) il Libro I, Parte II; d) nell'ambito del Libro I, Parte IV, gli articoli 41, 42, 43, 44, 45 e 46; e) nell'ambito del Libro II, Parte II, gli articoli 57, 60 e 61; f) nell'ambito del Libro II, Parte III, Titolo I, l'articolo 64; g) nell'ambito del Libro II, Parte III, il Titolo II; g-bis) nell'ambito del Libro II, Parte V, Titolo IV, l'articolo 1061; h) nell'ambito del Libro II, Parte V, Titolo IV, il Capo II si applica nei limiti di cui agli articoli 167, 168 e 169; i) nell'ambito del Libro II, Parte VI, gli articoli 113, 116, 117, 119, 120, commi 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15, 122 e 1252; i-bis) nell'ambito del Libro V, Parte I, Titolo II, gli articoli da 215 a 2193. 3-bis. Per i servizi di ricerca e sviluppo trova applicazione quanto previsto dall'articolo 1354. 4. Le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi hanno facoltà di adottare propri atti, con i quali possono in via preventiva: [a) istituire e gestire sistemi di qualificazione degli operatori economici;]5 b) prevedere una disciplina di adattamento delle funzioni del RUP alla propria organizzazione; c) specificare la nozione di variante in corso d'opera in funzione delle esigenze proprie del mercato di appartenenza e delle caratteristiche di ciascun settore, nel rispetto dei principi e delle norme di diritto dell'Unione europea. 5. Le stazioni appaltanti o gli enti concedenti possono determinare le dimensioni dell'oggetto dell'appalto e dei lotti in cui eventualmente suddividerlo, senza obbligo di motivazione aggravata e tenendo conto delle esigenze del settore speciale in cui operano. Nel caso di suddivisione in lotti, le stazioni appaltanti o gli enti concedenti indicano nel bando di gara, nell'invito a confermare interesse o, quando il mezzo di indizione di gara è un avviso sull'esistenza di un sistema di qualificazione, nell'invito a presentare offerte o a negoziare, se le offerte possono essere presentate per uno, per più o per l'insieme dei lotti. [1] Lettera inserita dall'articolo 47, comma 1, lettera a), numero 1), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. [2] Lettera sostituita dall'articolo 47, comma 1, lettera a), numero 2), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. [3] Lettera aggiunta dall'articolo 47, comma 1, lettera a), numero 3), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. [4] Comma inserito dall'articolo 47, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. [5] Lettera soppressa dall'articolo 47, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. InquadramentoLa disciplina sui settori speciali è principalmente (ma non esclusivamente) contenuta nel Libro III (artt. da 141 a 172), a sua volta suddiviso in IV Parti. Essa riproduce, sia pure con alcune differenziazioni, quanto già previsto dal Codice del 2016, nel quale l'individuazione della disciplina in concreto applicabile agli enti operanti nell'ambito dei settori speciali era stata oggetto di difficoltà interpretative e conseguenti incertezze applicative (Galli, Cavina, 1026). Agli appalti nei settori speciali era, infatti, dedicato il Capo I del Titolo VI (Regimi particolari di appalto), composto da 28 articoli (da 114 a 141) che non esaurivano, però, il complesso delle norme applicabili. Il contesto regolatorio di riferimento era costituito da un blocco di norme comuni riferibile alla totalità degli affidamenti e nelle quali erano, peraltro, già incluse disposizioni specifiche per i settori speciali (v. ad esempio, art. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14); da un blocco di norme previste per i settori ordinari, ma applicabili, in quanto compatibili, in virtù di appositi rinvii, anche ai settori speciali (v. artt. 114,122 e 133 del d.lgs. n. 50/2016); da un blocco di norme ad oggetto esclusivo in quanto previste specificamente per gli affidamenti nell'ambito dei settori speciali (artt. da 114 a 141). Questa impostazione rendeva il perimetro delle norme applicabili non sempre agevolmente definibile. Le difficoltà risultavano poi accentuate anche dalla suevidenziata circostanza che, per le norme oggetto di specifico richiamo, la loro applicabilità ai settori speciali doveva intendersi circoscritta ai soli limiti in cui ciò fosse compatibile con lo specifico contenuto di ulteriori disposizioni dettate per i settori speciali. Il che imponeva un'analisi, caso per caso, del contenuto di ciascuna disposizione oggetto di richiamo, al fine di poterne verificare se, ed in che termini, il relativo contenuto fosse effettivamente compatibile con la disciplina in tema di settori speciali. Cosicché, ad esempio, le stesse disposizioni richiamate contenevano talora limitazioni alla propria sfera di operatività, sì da auto escludere, in taluni casi, la propria portata vincolante per alcune delle categorie soggettive ricomprese nell'ambito di applicazione della disciplina in tema di settori speciali. In questo contesto, allo scopo di superare le problematiche emerse in sede di applicazione del codice del 2016, con il d.lgs. n. 36/2023, si è tentato di conferire alla disciplina in questione “il carattere della completezza e della sostanziale autoconclusività” (v. Relazione Illustrativa). Inoltre, si è optato per una ricollocazione, nella specifica parte dedicata ai settori speciali, di alcuni articoli (quali, ad esempio, quelli riservati agli affidamenti infragruppo) che, nel precedente codice avevano la funzione di connotare “in negativo” l'ambito di applicazione della disciplina attraverso specifiche ipotesi di esclusione e che erano collocate nella parte dedicata ai principi generali e disposizioni comuni. Il tutto, anche in questo caso, per garantire esaustività al Libro terzo del Codice (v. Relazione Illustrativa). Ancora una volta come già nel d.lgs. n. 163/2006 e nel d.lgs. n. 50/2016, la disciplina è costituita oltreché da norme ad hoc, anche da rinvii alla disciplina generale: tuttavia, essi sono principalmente (anche se non esclusivamente) contenuti in una disposizione (art. 141) ed è stato eliminato ogni riferimento ai limiti di compatibilità. Peraltro, il dichiarato obiettivo di autoconclusività del Libro terzo, pur consentendo, così, una più agevole individuazione delle norme in concreto applicabili, incontra alcuni limiti. Rimane, ad esempio, eccentrica rispetto al Libro terzo la disciplina sugli affidamenti sottosoglia (v. artt. 48-54), così come manca ogni rinvio a disposizioni, che pure regolano istituti centrali, la cui effettiva estensione ai settori speciali potrebbe essere fonte di incertezza (è il caso, ad esempio, del Collegio Consultivo Tecnico, art. 215). Sempre sul piano generale, si deve ritenere in una logica di semplificazione, non viene riproposta la nozione di ente aggiudicatore, utilizzata in precedenza per identificare il perimetro soggettivo di applicazione della disciplina sui settori speciali (e nella quale rientrano amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali ed esclusivi). Viene, invece, utilizzata, anche nella parte sui settori speciali, la nozione di stazione appaltante (ed ente concedente), definita, in termini generali, come qualsiasi soggetto pubblico o privati che affida contratti di appalto (o concessione) e che è comunque tenuto alla applicazione della disciplina sui contratti pubblici (v. all.I.1, art. 1, lett. a). Tale circostanza potrebbe dare origine, in più punti, a dubbi interpretativi che vanno però risolti in coerenza con l'impostazione della Direttiva 2014/25/UE, come, peraltro, chiarito nella stessa Relazione Illustrativa, che, con riferimento al Libro III, fa riferimento a una “disciplina (...) pienamente rispettosa delle previsioni della direttiva“. Più nello specifico, l'articolo in commento è dedicato alla definizione dell'ambito di applicazione della disciplina (commi 1, 2); all'individuazione di (alcune) norme applicabili ai settori speciali (comma 3); ad introdurre elementi di flessibilità per gli enti operanti nei settori speciali rispetto agli affidamenti nei settori ordinari (commi 4 e 5). Il decreto correttivo (D. Lgs. 209/2024)Il Decreto correttivo apporta rilevanti modifiche all’art. 141, comma 3, del Codice. In particolare, la disposizione viene modificata nel senso di rendere applicabili ai settori speciali le disposizioni del Codice dei settori ordinari, oltre a quelle originariamente previste, anche in materia di: garanzie per la partecipazione alla procedura evidenziale (art. 106); collaudo e verifica di conformità (art. 116); garanzie definitive (art. 117); anticipazione, modalità e termini di pagamento del corrispettivo (art. 125); limitatamente ai servizi di ricerca e sviluppo, il corrispondente art. 135 relativo alla disciplina dei servizi di ricerca e sviluppo nei settori ordinari; collegio consultivo tecnico (artt. 215 e ss.). Ratio della disciplina sui settori specialiLa disciplina in tema di appalti pubblici adottata a livello europeo è stata caratterizzata, sin dalle origini, da una sostanziale bipartizione. Da un lato, infatti, vi è la disciplina generale relativa ai contratti di competenza delle amministrazioni aggiudicatrici; dall'altro, vi è quella relativa ai soggetti operanti in specifici settori di attività (acqua, trasporti, energia, ai quali, in un momento successivo e sino al 1998, fu aggiunto anche quello delle telecomunicazioni, e dal 2004 quello dei servizi postali – c.d. settori speciali). Si tratta di settori tradizionalmente ricompresi dagli stati membri nella categoria dei “servizi pubblici”, in quanto comprensivi di beni considerati di utilità sociale o comunque necessari per il progressivo benessere dei consociati (De Nictolis, 1764). Questi settori – in un primo tempo sottratti all'applicazione delle direttive generali in tema di lavori, forniture e servizi (sì da essere inizialmente qualificati come settori esclusi) – sono stati oggetto di una regolamentazione ad hoc con la Direttiva 1990/531/CEE. A partire dagli anni novanta del secolo scorso, infatti, la disciplina comunitaria ha gradualmente assoggettato anche tali settori a procedure di evidenza pubblica, dettando, tuttavia, disposizioni dedicate, in ragione della peculiarità degli stessi e della natura dei soggetti che in essi operavano. L'iniziale scelta di esonerare specifici settori di attività dall'applicazione della disciplina europea era riconducibile alla necessità di evitare che, nell'applicazione delle norme europee all'interno dei diversi stati membri, si realizzassero asimmetrie e sperequazioni legate essenzialmente ad un duplice ordine di circostanze. Da un lato, alla portata sul piano soggettivo della disciplina generale in tema di appalti, alla cui applicazione erano tenute solo le pubbliche amministrazioni: nella Direttiva 1971/305/CEE in tema di lavori, così come nella Direttiva 1977/62/CEE in tema di forniture, erano infatti prese in considerazione solo le amministrazioni pubbliche (Stato ed enti territoriali), mentre solo in un momento successivo (Direttiva 1989/440/CEE) fu presa in considerazione anche la figura dell'organismo di diritto pubblico. Dall'altro, alla diversità dei modelli organizzativi adottati dai diversi stati membri per assicurare l'erogazione dei servizi di pubblica utilità, in taluni paesi, affidati a pubbliche amministrazioni, in altri, invece, a soggetti che, pur gravati da un munus pubblicistico, erano, tuttavia, organizzati secondo moduli privatistici (Galli, Cavina, 1026). In questo contesto, la disciplina generale, riferibile alle sole amministrazioni, avrebbe dovuto trovare applicazione soltanto in alcuni paesi e non negli altri. Di qui, la scelta di escludere determinati settori di attività dalla sfera di operatività della direttiva generale (con riserva di prevedere in un momento successivo una disciplina specifica). Elemento comune a questi settori è il loro carattere chiuso – non esposto, cioè, ad un regime di concorrenza – atteso che per potervi operare è necessaria la titolarità di diritti speciali o di esclusiva. Ed è proprio il carattere chiuso di tali settori ad imporre la sottoposizione dei soggetti che vi operano a regole pubblicistiche dirette a garantire corrette dinamiche concorrenziali, ai fini della scelta dei propri contraenti. In altri termini, il presupposto è che gli operatori svolgano la propria attività in regime di esclusiva senza essere stati sottoposti ad alcun confronto concorrenziale. E il difetto di ogni forma di concorrenza a monte (per la scelta del gestore) rende necessario che la stessa venga recuperata a valle, con l'imposizione a questi operatori dell'obbligo di scegliere i propri contraenti mediante procedure di gara. Le imprese pubbliche sono tenute ad applicare le regole del Codice dei Contratti pubblici in tema di settori speciali laddove operino in virtù di diritti speciali o esclusivi per il perseguimento di fini per i quali tali diritti sono stati conferiti, poiché in tal caso la concorrenza va salvaguardata “a valle” mediante l'applicazione delle regole dell'evidenza pubblica (Cons. St. V, n. 6817/2023). Al contempo, tuttavia, una volta che il settore sia stato aperto alla concorrenza, viene meno la ragione perché esso rientri nella disciplina sui settori speciali (cfr. art. 143 del Codice). Di qui, la mutevolezza, nel corso degli anni, dei confini stessi della disciplina sui settori speciali, definiti infatti “a geometria variabile” (Protto, 548). Principali convergenze e divergenze rispetto alla disciplina sui settori ordinariIn ragione delle caratteristiche sintetizzate al precedente paragrafo 2, la disciplina sui settori speciali presenta elementi di differenziazione da quella sui settori ordinari. In primo luogo, come anticipato, ha un ambito di applicazione maggiormente ampio dal punto di vista soggettivo: essa si applica, infatti, oltre alle amministrazioni aggiudicatrici, categoria presa in esame dalla disciplina sui settori ordinari, anche ad imprese pubbliche e soggetti privati che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi (v. artt. 1 e 4 Direttiva 2014/25/UE). In sostanza, al fine di superare il rischio già evidenziato di un'applicazione non omogenea del diritto europeo all'interno dei diversi stati membri in ragione della diversa natura giuridica dei soggetti gestori, la disciplina sui settori speciali non poteva che prendere trasversalmente in considerazione sia soggetti pubblici che soggetti privati (sempre sul presupposto della titolarità tanto degli uni quanto degli altri di diritti speciali o di esclusiva). Peraltro, alla diversa qualificazione giuridica di un ente aggiudicatore, quale amministrazione aggiudicatrice ovvero quale impresa pubblica e/o soggetto privato operante in virtù di diritti speciali o di esclusiva corrisponde, sotto più profili, una differenziazione nel regime giuridico applicabile (è il caso, ad esempio, della disciplina per i contratti sotto soglia – v. art. 50, comma 5, del Codice). L'ambito di applicazione è, invece, più ridotto dal punto di vista oggettivo in quanto presuppone che l'ente operi in uno degli specifici settori di attività presi in considerazione dalla disciplina (artt. da 146 a 152) e che l'appalto sia funzionale allo svolgimento di attività in uno di tali settori speciali. In sostanza, perché possa trovare applicazione la disciplina sui settori speciali, il contratto deve essere funzionale allo svolgimento di attività nel settore nel quale opera il soggetto gestore (cfr. infra, par. 6.2). Per quelli non funzionali, invece, la disciplina in concreto applicabile è legata alla natura giuridica dell'ente aggiudicatore. Qualora, questo, per le sue caratteristiche soggettive, non possa essere ricondotto nell'ambito di applicazione della disciplina generale sui settori ordinari (vale a dire non sia riconducibile nella nozione di amministrazione aggiudicatrice), il contratto deve intendersi sottratto tout court all'applicazione della disciplina pubblicistica in materia (in tal caso, difetterebbero, infatti, sia l'elemento oggettivo della strumentalità o funzionalità rispetto allo scopo istituzionale dell'ente aggiudicatore, il che esclude l'applicazione della disciplina in tema di settori speciali; sia quello soggettivo, necessario perché il soggetto possa essere ricondotto nell'ambito delle c.d. amministrazioni aggiudicatrici e quindi sottoposto alla disciplina generale sui settori ordinari). Qualora, invece, l'ente aggiudicatore sia un'amministrazione aggiudicatrice, dovrà trovare applicazione la disciplina generale: infatti, se, per un verso, non sussisterebbero le condizioni per l'applicazione della disciplina sui settori speciali per l'assenza del vincolo di strumentalità, le caratteristiche soggettive del committente determinerebbero l'attrazione nella disciplina sui settori ordinari (Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011). Le medesime considerazioni debbono valere anche con riferimento alla disciplina applicabile in tema di concessioni che, per la prima volta, ha trovato compiuta regolamentazione a livello europeo. In secondo luogo, gli enti che operano nei settori speciali beneficiano tradizionalmente di ambiti di flessibilità più ampi rispetto a quanto previsto per i settori ordinari: tra gli istituti indice di tale flessibilità, vi era la possibilità di ricorrere agli accordi quadro ed ai sistemi di qualificazione, quella di indire una gara sulla base di un avviso periodico indicativo e di utilizzare la procedura negoziata preceduta da forme di pubblicità quale opzione ordinaria, del tutto alternativa ed equivalente alle procedure aperte e ristrette. Il che si giustificava con la consapevolezza della difficile praticabilità di soluzioni tese ad imporre, anche a soggetti operanti nelle forme del diritto privato ed esercenti la propria attività secondo canoni imprenditoriali, norme e vincoli concepiti essenzialmente per disciplinare l'attività di pubbliche amministrazioni in senso stretto. Nel corso degli anni, a dire il vero, questo carattere di specialità si è andato, in parte, attenuando, sotto l'impulso di scelte effettuate a livello sia europeo che nazionale, le quali, pur muovendo da approcci diversi hanno prodotto l'effetto convergente di un avvicinamento delle discipline. Quanto alla disciplina sovrannazionale, l'obiettivo di semplificazione e snellimento delle procedure ha fatto sì che istituti inizialmente previsti per i settori speciali fossero poi riproposti anche nella disciplina generale (è il caso, ad esempio, dell'accordo quadro e della possibilità di indizione di una gara, in alternativa al bando, mediante la pubblicazione di un avviso di pre-informazione). In sede nazionale, il percorso di tendenziale elisione degli elementi di differenziazione ha subìto un percorso inverso, essendo prevalsa in taluni casi la tentazione di estendere anche ai settori speciali disposizioni e vincoli concepiti essenzialmente per i settori ordinari (è il caso, ad esempio, della scelta operata nel d.lgs. n. 163/2006, di imporre nei settori speciali la disciplina in tema di requisiti degli operatori sostanzialmente analoga a quella generale). Sotto questo profilo, il d.lgs. n. 36/2023, quantomeno nelle intenzioni, sembra muovere nella prospettiva di assicurare ai soggetti operanti nei settori speciali i margini di flessibilità riconosciuti dalla disciplina europea, rispettando l'autonomia organizzativa di imprese pubbliche e soggetti privati. In questa logica, ad esempio, vanno lette le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 della norma in commento: la prima disposizione stabilisce che imprese pubbliche e soggetti privati abbiano facoltà di adottare propri atti con i quali possono in via preventiva: 1. istituire e gestire sistemi di qualificazione degli operatori economici (comma 4, lett. a); 2. prevedere una disciplina di adattamento delle funzioni del RUP alla propria organizzazione (comma 4, lett. b); 3. specificare la nozione di variante in corso d'opera in funzione delle esigenze proprie del mercato di appartenenza e delle caratteristiche di ciascun settore, nel rispetto dei principi e delle norme di diritto delle Unione Europea (comma 4, lett. c). Il comma 5, invece, esclude che, nella perimetrazione, tanto sul piano quantitativo che qualitativo dell'oggetto dell'affidamento, sui soggetti operanti nei settori speciali, a differenza di quanto stabilito per i settori ordinari, gravi un obbligo di motivazione preventiva in ordine alla mancata suddivisione in lotti (v. par. 7.1). Così come costituisce un elemento di flessibilità, seppure parziale, la possibilità per imprese pubbliche e soggetti privati titolari di diritti speciali o esclusivi di stabilire preventivamente quali siano le condotte che costituiscono gravi illeciti professionali, ai fini della possibile esclusione dalle gare ai sensi dell'art. 95 (art. 169, comma 1). Si tratta di un alleggerimento rispetto al contenuto del d.lgs. n. 50/2016 che, come modificato dal primo decreto correttivo (d.lgs. n. 56/2017), configurava come cogente, in via indifferenziata sia per i settori ordinari che per quelli speciali, l'applicazione della disciplina in tema di requisiti di ordine generale; ma, di un irrigidimento rispetto all'art. 80 della Direttiva 2014/25/UE, che, invece, configura l'applicazione di tale disciplina come meramente facoltativa nel caso di imprese pubbliche e soggetti privati. In controtendenza rispetto a questo approccio, sembra essere, invece, la mancata riproposizione della possibilità per imprese pubbliche e soggetti privati di condizionare la partecipazione alla gara a requisiti di ordine tecnico-organizzativo ed economico finanziario ulteriori rispetto alla mera attestazione SOA, possibilità, ora ammessa solo per gli affidamenti gestiti in base ai sistemi di qualificazione. Rimane, invece, confermata la possibilità per imprese pubbliche e soggetti privati di applicare propri regolamenti – adottati in via di autovincolo – per gli affidamenti di importo inferiore ai valori di applicazione della disciplina europea (v. commento art. 50 e art. 153). Proprio sul piano delle soglie di applicazione del diritto europeo, permane una parziale differenziazione tra settori ordinari e settori speciali. Per questi ultimi, infatti, alcune soglie sono più elevate: – € 431.000,00 (in luogo dei 214.000,00 euro per i settori ordinari), per quanto concerne i servizi e le forniture; – € 1.000.000,00 (in luogo dei 750.000,00 per i settori ordinari), in relazione ai servizi sociali e agli altri servizi specifici di cui all'allegato XIV alla direttiva 2014/25/UE. Analoga è invece la soglia dei lavori e delle concessioni, pari ad € 5.382.000,00. Come noto, si tratta di valori dinamici, posto che l'importo delle soglie viene ridefinito con cadenza biennale da appositi regolamenti UE. Ambito di applicazione: considerazioni preliminariCome sinteticamente anticipato, la definizione dell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali ha luogo sulla base di più parametri, soggettivi e oggettivi. Quanto al primo profilo, il soggetto che procede all'affidamento deve rientrare nella categoria delle amministrazioni aggiudicatrici (presa in considerazione anche dalla disciplina sui settori ordinari), delle imprese pubbliche e dei soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali ed esclusivi (v. artt. 1,3 e 4 Direttiva 2014/25/UE). Dal punto di vista oggettivo, è poi necessaria la presenza di alcune condizioni. La stazione appaltante (o l'ente concedente, per l'affidamento di concessioni): 1) deve operare in uno dei settori di attività indicati agli artt. da 146 a 152 del Codice; 2) deve affidare un contratto di appalto di lavori, forniture e/o servizi o di concessione (a loro volta ricompresi nella sfera di operatività della disciplina in tema di contratti pubblici), per l'esercizio di attività in uno dei settori suindicati. Si tratta del c.d. nesso di strumentalità, su cui si tornerà infra (par. 6.2). In sostanza, in base a quanto stabilito dalla sentenza del Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011, per determinare se l'affidamento di un appalto sia assoggettato alla disciplina dei settori speciali occorre sia un presupposto soggettivo (l'affidante dev'essere rientrare nel novero dei soggetti presi in considerazione dalla disciplina sui settori speciali) sia un presupposto oggettivo (l'appalto deve essere strumentale allo svolgimento di attività in uno dei settori speciali, di cui agli artt. da 146 a 152 del d.lgs. n. 36/2023) (Cons. St. V, n. 590/2018). Ulteriore condizione è che l'appalto non venga aggiudicato per l'esercizio in un paese terzo di attività in uno dei settori “speciali” in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un'area geografica all'interno dell'Unione Europea ovvero non riguardi concorsi di progettazione organizzati a tali fini, sempreché non siano stati stipulati accordi (bilaterali, multilaterale o multibilaterali) tra Unione Europea e paesi terzi, diretti ad estendere l'applicazione della disciplina europea (art. 145 del Codice). La disciplina dei settori ordinari è quella di portata generale, mentre quella dei settori speciali ha portata eccezionale ed è, pertanto, applicabile soltanto nei casi espressamente previsti, senza possibilità di un'interpretazione estensiva e senza alcuno spazio per l'approccio ermeneutico denominato teoria del contagio di cui alla sentenza Mannesmann (T.A.R. Liguria II, n. 882/2015). Ambito soggettivoRispetto al passato, l'individuazione dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina in tema di settori speciali – chiaramente definito dalla Direttiva n. 2014/25/UE – va effettuata secondo un ordine logico parzialmente differenziato. Nel codice del 2016 (così come già in quello nel 2006 ed ancora prima del d.lgs. n. 158/1996), infatti, le categorie ricomprese nell'ambito soggettivo di applicazione della disciplina erano oggetto di analitica indicazione: più in particolare, tenuti ad applicare la disciplina sui settori speciali erano i cd. enti aggiudicatori (v. art. 114, d.lgs. n. 50/2016) nel cui ambito rientravano, in linea con la disciplina europea, amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi (figure tutte definite all'art. 3, comma 1, lett. e, dello stesso d.lgs. n. 50/2016 – vedasi art. 114, comma 2 secondo cui le disposizioni sui settori speciali “si applicano agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121; si applicano altresì a tutti i soggetti che pur non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o più attività tra quelle previste dagli articoli da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi”). Più in generale, nel d.lgs. n. 50/2016, le molteplici categorie soggettive tenute alla relativa applicazione erano tutte attratte nell'ambito della nozione unificante di stazione appaltante (art. 3, comma 1, lett. o) nella quale rientravano: 1. le amministrazioni aggiudicatrici, vale a dire i soggetti tenuti all'applicazione della disciplina sui settori ordinari (art. 3, comma 1, lett. a); 2. gli enti aggiudicatori tenuti all'applicazione della disciplina sui settori speciali (art. 3, comma 1, lett. f); 3. i soggetti aggiudicatori – nozione comprensiva tanto delle amministrazioni aggiudicatrici che degli enti aggiudicatori – che valeva a perimetrare la disciplina in tema di partenariato pubblico privato (art. 3, comma 1, lett. f); 4. gli altri soggetti aggiudicatori, nozione residuale (art. 3, comma 1, lett. g), nella quale rientravano i soggetti privati che realizzavano lavori in regime di cofinanziamento pubblico; v. Galli, Cavina, 61). In altri termini, l'espressione stazione appaltante ricomprendeva la totalità dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina pubblicistica e costituiva una nozione complessa di quarto livello), comprensiva di nozioni intermedie, anch'esse complesse. Nei settori speciali, ad esempio, la nozione di stazione appaltante, coincideva con gli enti aggiudicatori, a loro volta comprensivi di (e scomponibili in) amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche e soggetti privati operanti sulla base di diritti speciali ed esclusivi. E ciascuna di questa nozione era, a sua volta, oggetto di analitica definizione. Il d.lgs. n. 36/2023, in una logica di semplificazione, si limita ad indicare il novero dei soggetti tenuti ad applicare la disciplina sui settori speciali con la locuzione di stazioni appaltanti o enti concedenti (nozioni utilizzate anche per indicare la totalità dei soggetti tenuti all'applicazione del Codice), operanti nei settori di attività indicati agli artt. da 146 a 152 (art. 141, comma 1, primo periodo), salvo, poi a) specificare l'applicabilità di detta disciplina anche “agli altri soggetti che annoverano tra le loro attività una o più tra quelle previste dagli artt. da 146 a 152 e operano in virtù di diritti speciali ed esclusivi” (art. 141, comma 1, secondo periodo); b) distinguere, in parte, la disciplina applicabile operando un specifico riferimento ad imprese pubbliche e privati titolari di diritti esclusivi rispetto alle altre stazioni appaltanti (v. ad es. 141, comma 4; art. 50, comma 5). A ben vedere, si utilizza l'espressione “stazione appaltanti” (e quella di “enti concedenti”) in maniera diversa rispetto al passato. A differenza di imprese pubbliche e soggetti titolari di diritti esclusivi o speciali (v. art. 1, lett. f); e lett. g dell'all.I.1), manca sul piano formale una definizione del tutto compiuta di stazione appaltante: l'all. I.1. qualifica come tale “qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che è comunque tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del Codice”. Si tratta di una definizione costruita per relationem che sembra mutuare l'impostazione di cui all'art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), del d.lgs. n. 104/2010 ai fini della definizione del perimetro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In altri termini, l'articolo 1 dell'all. I.1, piuttosto che fornire la definizione di “stazioni appaltanti” (ai fini della individuazione dei soggetti, in quanto tali, tenuti ad applicare la disciplina in tema di contratti pubblici) enucleando analiticamente le diverse categorie di soggetti in essa sussumibili, si limita a rinviare genericamente – senza, tuttavia, indicarli – “ai soggetti tenuti al rispetto del Codice” (vale a dire, lo stesso provvedimento di cui la la nozione di stazione appaltante è funzionale a definire il perimetro soggettivo). Tale impostazione, stante la sua portata comunque omnicomprensiva (riferita indistintamente ai soggetti tenuti all'applicazione della disciplina in materia, per tali dovendosi assumere quelli indicati dalla regolazione europea) induce a ritenere che il concetto di stazione appaltante debba assumere una configurazione e un'estensione variabile a seconda della “materia” oggetto di regolamentazione: così, ad esempio, nella parte relativa ai settori ordinari, la nozione dovrebbe intendersi ragionevolmente riferita alle amministrazioni aggiudicatrici che di questa costituiscono i destinatari (v. art. 1, comma 1, lett. r), all.I.1); nel caso dei settori speciali, in coerenza con quanto stabilito dalla Direttiva 2014/25/UE, anche a imprese pubbliche e soggetti privati. In questa prospettiva, ancorché l'obiettivo fosse quello di meglio precisare i confini soggettivi della disciplina sui settori speciali, sembra da ascrivere ad un mero difetto di coordinamento la previsione di cui al secondo periodo del comma 1 dell'art. 141, che stabilisce l'applicabilità del Libro III sui settori speciali, oltreché alle stazioni appaltanti ed enti concedenti (comma 1, primo periodo), anche “agli altri soggetti che annoverano tra le loro attività una o più tra quelle previste dagli articoli da 146 a 152 e operano in virtù di diritti speciali ed esclusivi”. Qualora così non fosse, infatti, si dovrebbe ritenere che la disposizione in commento (comma 1) abbia inteso fissare una nozione di stazione appaltante (maggiormente ridotta e) distinta dagli altri soggetti, invece, tenuti alla disciplina sui settori speciali (la nozione di stazione appaltante non ricomprenderebbe gli “altri soggetti che... operano in virtù di diritti speciali ed esclusivi”, indicati al secondo periodo del comma 1). In altri termini, secondo questa possibile lettura, il riferimento alle stazioni appaltanti dovrebbe essere inteso come rivolto alle sole amministrazioni aggiudicatrici mentre ne dovrebbero rimanere esclusi imprese pubbliche e soggetti privati. Ne deriverebbe, inoltre, secondo questa non sostenibile interpretazione, una irragionevole limitazione della sfera di operatività di alcune disposizioni, dalla cui applicazione finirebbero per essere esclusi gli altri soggetti (privati) operanti in virtù di diritti esclusivi o speciali. Così ad esempio, il comma 5 dell'articolo in commento, che esclude l'obbligo di motivazione aggravata nel caso di mancata suddivisione in lotti, non troverebbe applicazione ai soggetti privati, stante il rinvio della disposizione alle stazioni appaltanti; allo stesso modo, i soggetti privati, secondo questa impostazione, non potrebbero beneficiare della possibilità di ricorrere agli affidamenti infragruppo (v. 143, d.lgs. n. 36/2023). È, dunque, possibile pervenire ad alcune prime valutazioni. L'ambito soggettivo della disciplina sui settori speciali riguarda stazioni appaltanti ed enti concedenti nel novero dei quali, sulla base delle Direttive n. 25/2014 e 23/2014, debbono ritenersi ricompresi, seppure con livello di soggezione diverso, amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche e soggetti privati titolari di diritti speciali e di esclusiva. L'elemento soggettivo, che integra il primo presupposto per l'operatività della disciplina sui settori speciali, ricorre, quindi, in presenza di stazioni appaltanti, nozione che, nel caso dei settori speciali, deve intendersi riferita: a) alle amministrazioni aggiudicatrici, ex art. 1, comma 1, lett. q), all. I.1, al Codice: sono tali le amministrazioni dello Stato (a loro volta indicate all'art. 1 comma 1, lett. c, all. I.1) gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico (art. 1, comma 1, lett. e) le associazioni, le unioni e i consorzi comunque denominati, costituiti da detti soggetti; b) alle imprese pubbliche (ex art. 1, comma 1, lett. f, all. I.1), vale a dire le imprese su cui le stazioni appaltanti possono esercitare direttamente o indirettamente un'influenza dominante perché ne sono proprietarie, perché vi hanno partecipazione finanziaria o in virtù delle norme che le disciplinano. L'influenza dominante è presunta quando le stazioni appaltanti, direttamente o indirettamente, riguardo all'impresa, alternativamente o cumulativamente: 1. detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; 2. controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall'impresa; 3. possono designare più della metà dei membri del Consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza. La norma fa riferimento alla soggezione all'influenza dominante delle “stazioni appaltanti”, il cui perimetro è, nella specie, da leggersi, in coerenza con la disciplina europea, in termini restrittivi e, quindi, con riferimento alle sole amministrazioni aggiudicatrici; c) ai soggetti titolari di diritti esclusivi o speciali (sono tali i titolari di diritti concessi dallo Stato, dagli enti locali ovvero da altre amministrazioni pubbliche attraverso atti di carattere legislativo, regolamentare o amministrativo, adeguatamente pubblicati, aventi l'effetto di riservare a uno o più soggetti l'esercizio di un'attività nei settori di cui agli artt. da 146 a 152 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri soggetti di esercitare tale attività (v. all.I.1, comma 1, lett. g)). Questa nozione di diritti speciali ed esclusivi mira ad estendere, come evidenziato, l'applicazione della disciplina sui contratti pubblici a soggetti che a vario titolo operano su mercati sostanzialmente chiusi alla concorrenza, o beneficino di un vantaggio concorrenziale. La presenza di diritti speciali o esclusivi è integrata, cioè, dall'attitudine di tali diritti ad incidere sulla capacità di altri soggetti ad esercitare la medesima attività (con effetti escludenti, precludendone cioè lo svolgimento: “diritto esclusivo”; ovvero con effetti “discriminatori”, agevolando taluni soggetti al materiale esercizio delle attività, a discapito di altri: “diritto speciale”). Non sussistono, invece, diritti esclusivi o speciali, nel caso in cui tale posizione di vantaggio sia stata concessa in virtù di un procedimento a evidenza pubblica basato su criteri oggettivi e idoneo a garantire un'adeguata trasparenza. In altri termini, non può essere considerato titolare di diritti esclusivi o speciali il soggetto che abbia concorso per il mercato, vale a dire per ottenere il diritto di svolgere attività nell'ambito dei cd. settori speciali. Il che esclude, in sostanza, che un soggetto che, ad esempio, abbia ottenuto l'aggiudicazione di un dato servizio in una data area geografica, superando la concorrenza di altri operatori, possa rientrare nel novero dei c.d. enti aggiudicatori e pertanto essere tenuto all'applicazione della disciplina pubblicistica per la scelta dei propri contraenti. Precisazione, nella sostanza, analoga è contenuta nelle Direttive UE nn. 23 e 25 del 2014. L'obiettivo della norma è chiaro: è sufficiente che sia stato assicurato un livello di concorrenza “a monte” (ai fini, cioè, dell'attribuzione del diritto a svolgere una data attività) perché venga meno l'obbligo di assicurare la concorrenza “a valle” nella scelta del contraente; a controbilanciare, invece, la posizione di vantaggio (in esclusiva o con carattere comunque di specialità) acquisita senza alcun previo confronto concorrenziale, è previsto l'assoggettamento all'obbligo di scegliere a valle i propri fornitori applicando la disciplina pubblicistica. Altra questione è se invece la dequalificazione da ente aggiudicatore, nel caso in cui il diritto speciale o esclusivo sia stato ottenuto in regime di confronto concorrenziale, sia limitata ai soli soggetti privati ovvero debba essere riferita anche agli altri soggetti tenuti all'applicazione della disciplina sui settori speciali. Si tratta di tema oggettivamente complesso: la disciplina europea in materia di contratti pubblici prende, infatti, in considerazione le imprese pubbliche solo nell'ambito della regolamentazione sui settori speciali, proprio in ragione del carattere chiuso di tali mercati e, quindi, non già per la loro natura di impresa pubblica ma in quanto operano non disgiuntamente dalla titolarità di diritti esclusivi e speciali. Da un lato, il riferimento espresso ai soli soggetti privati contenuto nella Direttiva n. 25/2014 (e nella Direttiva n. 23/2014, nonché nell'art. 3, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 50/2016) potrebbe costituire indicazione univoca nel senso di ritenere l'esenzione riferibile ai soli soggetti privati, il che sembrerebbe confermato da quanto riportato nella Relazione Illustrativa (laddove con riferimento alla disciplina degli affidamenti sottosoglia, viene, in via incidentale, affermata la soggezione alla disciplina pubblicistica delle imprese pubbliche che operino nei settori speciali, “anche quando il servizio o l'attività siano stati acquisite mediante una procedura di evidenza pubblica”). Dall'altro, è pur vero che la titolarità di diritti speciali o esclusivi è prerogativa indefettibile di tutti i soggetti che operano nei settori speciali che, appunto, sono presi in considerazione dalla disciplina proprio in ragione della loro posizione di vantaggio, corollario necessitato del carattere chiuso di tali settori (considerando 1, ultimo periodo, della Direttiva 2014/25/UE; v., anche, comunicazione Commissione Europea n. 143/1998, Libro Bianco sugli appalti pubblici nell'Unione europea). Limitare l'esenzione di cui trattasi solo ai privati senza che la stessa possa essere riferita, ad esempio, anche alle imprese pubbliche ove le stesse si siano sottoposte ad un preventivo confronto concorrenziale integrerebbe una asimmetria nel regime giuridico non giustificabile anche alla luce dell'art. 345 TFUE che, come noto, considera, in linea di principio, irrilevante la forma giuridica ai fini della disciplina applicabile. Un'eventuale diversa soluzione, d'altro canto, determinerebbe un'asimmetria concorrenziale tra soggetti privati e imprese pubbliche laddove solo le seconde fossero tenute a rispettare i vincoli della disciplina pubblicistica, talora inconciliabili con necessità e tempi di esecuzione del contratto oggetto di aggiudicazione. In questo senso, sembrano utili le indicazioni contenute nella Decisione di esecuzione (UE) 2020/1193 della Commissione del 2 luglio 2020: in via incidentale, è infatti precisato che al fine di risultare vincitori di una gara di appalto per l'affidamento di un contratto avente per oggetto obblighi di servizio pubblico, gli operatori sono obbligati a presentare offerte concorrenziali. In ragione di ciò è precisato che una volta assegnato il contratto, il comportamento dell'aggiudicatario sarà limitato dalla propria offerta e che gli appalti per l'esecuzione di tale contratto “saranno condotti in maniera trasparente, non discriminatoria”, e in base a criteri che permettano all'aggiudicatario stesso di individuare la migliore soluzione sotto il profilo economico. Questa indicazione assume particolare rilievo, in primo luogo, in quanto non opera alcuna distinzione tra imprese pubbliche e soggetti titolari di diritti esclusivi e speciali; in secondo luogo, e soprattutto, perché evidenzia come ai fini degli obiettivi concorrenziali e di contenimento della spesa, sia inutile l'eteroimposizione di vincoli pubblicistici all'aggiudicatario di una gara che, di per sé, sarà tenuto ad agire secondo gli stessi canoni di economicità, trasparenza e non discriminazione, alla cui tutela è, appunto, preordinata la disciplina pubblicistica, rendendone, in sostanza, superflua l'applicazione. Ambito oggettivoConsiderazioni generali In linea generale, la disciplina sui settori speciali opera in relazione agli specifici ambiti presi in considerazione dagli artt. da 146 a 152 del Codice. Si tratta in particolare di quelli inerenti a elativi a gas ed energia termica (art. 146), elettricità (art. 147), acqua (art. 148), trasporti (art. 149), sfruttamento di area geografica per porti e aeroporti (art. 150) servizi postali (art. 151), e per estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o di altri combustibili solidi (art. 152). Non è sufficiente che la stazione appaltante operi genericamente nell'ambito del settore speciale, ma è necessario che svolga le specifiche attività prese analiticamente in considerazione dalle succitate disposizioni. Per l'esatta delimitazione di ciascuno di tali settori, si rinvia quindi ai commenti dei relativi articoli. Sul piano oggettivo, per l'applicazione della disciplina sui settori speciali è, dunque, in primo luogo necessario che il contratto (l'appalto o la concessione) sia affidato dall'ente aggiudicatore operante in uno degli specifici settori identificati dalla normativa europea e nazionale come settore speciale. Il nesso di strumentalità e i contratti estranei Si è già detto che sul piano oggettivo, ulteriore condizione affinché l'affidamento sia ricompreso nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali è che esso venga effettuato dal committente per lo svolgimento di attività prese in esame dalla disciplina sui settori speciali. Costante è, sotto questo profilo, e salvo isolate eccezioni (v. par. 9), la posizione della giurisprudenza europea e nazionale. Perché la disciplina in esame possa trovare applicazione, quindi, non è sufficiente che il committente rientri nel novero degli enti aggiudicatori e che operi in uno dei settori di attività indicati dalla disciplina, ma anche che l'appalto sia aggiudicato in relazione e per l'esercizio di attività nei settori presi in considerazione dalla disciplina europea (v. Corte giust. CE, 10 aprile 2008, C-393/06). I contratti destinati a scopi estranei alle finalità istituzionali degli enti aggiudicatori, debbono intendersi, alternativamente: a) sottratti tout court alla disciplina pubblicistica in tema di affidamento di contratti, nel solo caso in cui il committente non sia, in ragione delle sue caratteristiche soggettive, neanche riconducibile nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina relativa ai settori ordinari (non sia cioè qualificabile quale amministrazione aggiudicatrice); difatti, in tal caso, l'affidamento non rientrerebbe nell'ambito di applicazione della disciplina in tema di settori speciali per le sue caratteristiche “oggettive”, mancando il necessario vincolo di strumentalità rispetto alle attività istituzionali del soggetto aggiudicatore; né in quella relativa ai settori ordinari, non essendo il soggetto procedente riconducibile in alcuna delle categorie delle amministrazioni aggiudicatrici (e in particolare in quella di organismo di diritto pubblico, su cui si tornerà infra, par. 8.1); b) assoggettati alla disciplina relativa ai settori ordinari ove, in virtù delle sue caratteristiche soggettive, il committente sia, invece, inquadrabile nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici. In questo caso, infatti, all'assenza dell'elemento oggettivo (vale a dire, l'evidenziato nesso di strumentalità tra appalti e attività istituzionali), che, di per sé, esclude l'applicabilità della disciplina sui settori speciali, si contrappone la riconducibilità del committente nella sfera soggettiva di operatività della disciplina generale (v. sul tema, Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011; per una lettura diversa, ancorché non condivisa dalla giurisprudenza europea e del giudice amministrativo nazionale, v. infra par. 9). La definizione degli scopi diversi rispetto all'attività propria degli enti aggiudicatori è desumibile, a contrario, dalla descrizione delle attività contenuta negli artt. da 146 a 151 del Codice, cui si rinvia. Invero, rispetto alla impostazione sopradescritta, la struttura e le disposizioni del nuovo Codice e alcune aporie riconducibili, con ogni probabilità, ad incongruenze redazionali potrebbero autorizzare la prospettazione di diverse soluzioni interpretative, comunque da rigettare, in quanto non in linea con il contesto complessivo e soprattutto con la disciplina europea. Ad esempio: a) l'articolo in commento, come si è detto, stabilisce che “le disposizioni del presente Libro si applicano alle stazioni appaltanti o agli enti concedenti che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 146 a 152” (comma 1, primo periodo.). Dispone inoltre che “Le imprese pubbliche e i soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi applicano le disposizioni del presente libro solo per i contratti strumentali da un punto di vista funzionale a una delle attività previste dagli artt. da 146 a 152” (comma 2). Sul piano testuale, quindi, è solo con riferimento a imprese pubbliche e soggetti titolari di diritti speciali o esclusivi che l'applicazione del Libro III sui settori speciali sarebbe condizionata al carattere strumentale dell'affidamento rispetto allo svolgimento di attività nei settori speciali. Nessuna limitazione in questo senso, infatti, è stata esplicitata, con riferimento alle stazioni appaltanti (i.e.: amministrazioni aggiudicatrici) diverse da imprese pubbliche e titolari di diritti speciali ed esclusivi (v. art. 141, comma 1). Il che potrebbe indurre a concludere per l'applicabilità generalizzata alle prime della disciplina sui settori speciali per il solo fatto di operare nell'ambito dei settori speciali, indipendentemente dal carattere funzionale o meno dell'oggetto dell'affidamento alle specifiche attività in tali settori. Si tratta di una ricostruzione non compatibile con il diritto europeo oltreché con la stessa volontà legislativa (v. Relazione Illustrativa che fa riferimento alla conformità alla direttiva n. 2014/25 – v. anche supra par. 5), non potendo l'applicazione della disciplina in questione prescindere dal carattere strumentale o meno dell'affidamento. Essa condurrebbe, poi, al paradossale effetto di attenuare drasticamente il regime giuridico applicabile alle amministrazioni aggiudicatrici che, per il solo fatto di operare nei settori speciali non sarebbero mai assoggettati alla disciplina generale nemmeno per gli appalti privi di ogni nesso di strumentalità rispetto allo svolgimento di attività in questi settori (in questo senso, tuttavia, vedasi Cass. S.U., ord. n. 4899/2018; contra Corte giustizia CE, 10 aprile 2008, C-393/06); b) la formulazione testuale del comma 1 e del comma 2 potrebbe condurre ad un'altra (astrattamente) possibile ma, comunque, insostenibile, lettura. Da un lato, come si è visto, il comma 1, primo periodo, dispone l'applicazione del Libro III sui settori speciali alle stazioni appaltanti, nozione in cui l'art. 1, all.I.1, come pure si è detto, ricomprende qualsiasi soggetto tenuto all'applicazione del Codice, e pertanto, comprensiva di imprese pubbliche e titolari di diritti speciali ed esclusivi; dall'altro, per queste due categorie soggettive, il comma 2 limita l'applicabilità della disciplina sui settori speciali al solo caso di appalti funzionali. La circostanza che il comma 1, primo periodo, operi un riferimento generico alle stazioni appaltanti potrebbe indurre a ritenere anche imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali, qualora non procedano ad appalti strumentali, attratti nella disciplina generale sui settori ordinari, in quanto applicabile a stazioni appaltanti ed enti concedenti. In questo senso, a ben vedere potrebbe indurre anche la lettura dell'art. 62 dello stesso Codice: questa disposizione, nel recare la disciplina in tema di “aggregazioni e centralizzazione delle committenze”, esclude dall'ambito di applicazione proprio e dal successivo art. 63 (relativo alla qualificazione delle stazioni appaltanti) imprese pubbliche e soggetti privati titolari di diritti speciali o esclusivi operanti nei settori speciali (art. 62, comma 17). Si tratta di una specificazione legata con ogni probabilità, alla volontà di fugare ogni dubbio in ordine alla riferibilità dello stesso art. 62, così come del successivo articolo 63, a soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, che risulterebbe, tuttavia, difficile da giustificare se non assumendo a presupposto la generale applicabilità a imprese pubbliche e privati titolari di diritti speciali e esclusivi della disciplina sui settori ordinari, nel caso in cui non affidino appalti strumentali (non sarebbe, sul piano logico, giustificabile escludere dall'ambito dall'applicazione di una certa disposizione un soggetto che ne sia già escluso). In altri termini, secondo questa possibile ricostruzione, si dovrebbe ritenere che, per tali soggetti, il citato comma 17 abbia voluto “fare eccezione”, escludendo appunto l'applicabilità dell'art. 62 e dell'art. 63 per soggetti (imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali) che altrimenti vi sarebbero stati ricompresi. Di qui un'altra paradossale conseguenza interpretativa: i contratti non funzionali affidati da imprese pubbliche o soggetti privati titolari di diritti speciali o esclusivi non sarebbero più “estranei” (e quindi affidabili iure privatorum), come riconosciuto dalla giurisprudenza nazionale ed europea, alla disciplina pubblicistica ma – salvo specifiche eccezioni – ricadrebbero nell'ambito di applicazione della disciplina fissata per le amministrazioni aggiudicatrici. Si tratta, tuttavia, di una soluzione che, seppure sembrerebbe potere trovare sostegno nelle pieghe di un approccio interpretativo basato su una lettura atomistica delle singole disposizioni deve, tuttavia, essere rigettata sulla base di un approccio sistematico alla disciplina. Essa condurrebbe, infatti, ad estendere l'ambito di applicazione della disciplina sui settori ordinari ricomprendendovi anche soggetti (imprese pubbliche e titolari di diritti speciali), mai presi in considerazione dalla disciplina europea: in base a questa ultima, come noto, l'assoggettamento ai vincoli pubblicistici di soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici – che, anche quando perseguano bisogni di interesse di carattere generale, lo fanno con modalità industriali o commerciali – è giustificata solo dall'operare in dati mercati (chiusi alla concorrenza) e solo per affidamenti strumentali allo svolgimento di attività in tali settori. Ne deriva: i ) che tale soluzione non sarebbe in linea con il divieto di gold plating e con la volontà di introdurre una disciplina coerente con il quadro normativo dell'Unione Europea, integrandosi, in tal modo, un aggravio del tutto ingiustificato tanto più per soggetti che, in molti casi, hanno emesso titoli finanziari su mercati regolamentati; ii ) ove la scelta normativa adottata in sede nazionale fosse stata in questo senso, è presumibile ritenere che, in ragione della portata dirompente della mutata impostazione sull'assetto complessivo, essa dovesse esserenecessariamente oggetto di esplicita e chiara indicazione, viceversa non rinvenibile né nell'articolato del Codice del 2023 né nella Relazione Illustrativa. Quindi, in conclusione: amministrazioni aggiudicatrici, imprese pubbliche e titolari diritti esclusivi e speciali operanti nei settori speciali seguono la disciplina di cui al Libro III del Codice nel caso in cui vi sia un nesso di strumentalità dell'affidamento rispetto al settore; le amministrazioni aggiudicatrici, nel caso in cui l'affidamento sia svincolato da tale nesso, seguono la disciplina per i settori ordinari; mentre, in tale caso, imprese pubbliche e titolari diritti speciali o esclusivi potranno agire iure privatorum (salvo applicare, sotto forma di autovincolo, la disciplina pubblicistica). La valutazione relativa al carattere funzionale o meno di un determinato affidamento alle finalità istituzionali dell'ente aggiudicatore è stata oggetto di interpretazioni, nella prassi, non sempre uniformi da parte dei committenti. Si registra, infatti, una tendenza verso soluzioni diverse a seconda della natura dell'ente aggiudicatore. Ove questo sia riconducibile nella sfera di applicazione della disciplina generale in tema di contratti pubblici (in quanto amministrazione aggiudicatrice), vi può essere la tentazione ad un'estensione del concetto di funzionalità dell'appalto, atteso che ciò con-sentirebbe l'applicazione della disciplina meno vincolistica prevista per i settori speciali; mentre, per le imprese pubbliche e soggetti privati si mira ad una lettura restrittiva del concetto di funzionalità per gestire l'affidamento con modalità tout court privatistiche. Il concetto di strumentalità, infatti, è, in teoria, suscettibile di distinte letture. Da un lato, esso si presta ad essere interpretato in una logica estensiva tesa ad attrarre in tale concetto tutte le tipologie di affidamento affidate dal soggetto operante nel settore speciale, sul presupposto che qualsiasi contratto sia idoneo a produrre una qualche utilità ai fini dello svolgimento delle attività nello specifico settore speciale. Il che indurrebbe a ritenere che un soggetto, per così dire, monofunzionale (che svolga, cioè, la propria attività, in via esclusiva, in uno dei settori speciali) sarà sempre tenuto ad applicare la disciplina sui settori speciali per qualsiasi tipo di affidamento, automaticamente considerato strumentale, senza considerare una stretta o più blanda connessione dell'affidamento con le finalità istituzionali dell'ente procedente. Diverso è il caso di un soggetto multifunzionale che operi anche nei settori ordinari che, in tal caso e con riferimento a queste ultime attività, sarà tenuto applicare la disciplina sui settori ordinari solo se rientrante nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici. Dall'altro, ed è questa la posizione adottata dalla giurisprudenza europea e nazionale, il concetto di strumentalità è stato interpretato in termini restrittivi: il che se, da un lato, vale ad escludere che un dato affidamento debba considerarsi automaticamente strumentale alle attività nel settore speciale; dall'altro impone che l'esistenza del nesso di funzionalità vada esaminato caso per caso, tenendo, anche conto, al fine di tale valutazione, dell'elemento rappresentato dall'assenza, per gli operatori economici, di un mercato di riferimento al di fuori del settore speciale (Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011). A questo proposito, l'art. 141, comma 2, sembra valorizzare la portata derogatoria della disciplina sui settori speciali, rispetto a quella sui settori ordinari nel caso di amministrazione aggiudicatrici e a quella civilistica per imprese pubbliche e soggetti privati, precisando, con riferimento a queste ultime figure, che “il limite della strumentalità” è “da intendersi in senso strettamente funzionale”. Segue. Il nesso di strumentalità nelle posizioni assunte dalla giurisprudenza Anche in giurisprudenza, si è assistito a posizioni non sempre univoche. Così ad esempio, l'appalto bandito da ENI Servizi SpA per conto di ENI SpA e avente ad oggetto il servizio di vigilanza degli uffici amministrativi della società non può rientrare nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali; questa, infatti, non è attività esclusiva del settore di estrazione del gas; non rientra tra le attività necessarie al fine di erogare il servizio. Diversamente, sarebbe stata applicabile la disciplina speciale qualora il servizio di vigilanza avesse riguardato, non già gli uffici amministrativi, ma le infrastrutture di rete gestite e utilizzate dall'ENI per lo svolgimento del servizio (Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011). Analogamente, è stato considerato assente il nesso di strumentalità nel caso di un appalto avente ad oggetto i servizi di vigilanza di edifici che ospitano gli uffici amministrativi di società (nel settore elettrico ed idrico v. Cons. St. VI, n. 6820/2011; T.A.R. Lazio (Roma) II-ter, n. 9844/2011). Poiché l'appalto non riguarda la vigilanza funzionale della rete energetica, non può essere considerato strumentale al settore speciale soggetto dalla disciplina dei contratti pubblici, perché più precisamente non si tratta di un servizio necessario per assicurare la continuità nella produzione ed erogazione di energia elettrica, ma destinato ad assicurare l'integrità del patrimonio aziendale del gruppo A2A nel suo complesso, attraverso la sorveglianza fisica di tutti gli asset di cui tale patrimonio si compone (Cons. St . V, n. 3215/2018). È stata negata l'esistenza di un nesso di strumentalità tra un appalto di fornitura di gasolio per il riscaldamento di vari uffici di Poste italiane e l'attività nei servizi postali svolta da quest'ultima (T.A.R. Lazio (Roma) III-ter, n. 10893/2007). Di contro, lo stesso nesso è stato invece affermato sempre con riguardo alla società Poste s.p.a., per un contratto di global service degli uffici amministrativi centrali della società, in quanto i servizi banditi riguardavano i “palazzi sede dell'amministrazione centrale della società (...), e cioè gli uffici nei quali si decide l'organizzazione del servizio postale” (T.A.R. Lazio (Roma) III-ter, n. 951/2008). In questo caso, dunque, il giudice ha affermato una nozione molto ampia di strumentalità, legata non tanto all'attività postale in sé per sé, quanto in generale all'organizzazione della società che gestisce il servizio. Il nesso di strumentalità è stato invece considerato assente nel caso di un appalto bandito da Eni servizi, società del gruppo Eni, avente ad oggetto il servizio di centro stampa; i giudici hanno sottolineato che le attività oggetto dell'appalto fossero “palesemente estranee ai settori di attività in relazione alle quali la stazione appaltante è tenuta al rispetto delle procedure di evidenza pubblica (...) stante l'obiettiva estraneità delle attività proprie di un centro stampa all'attività di ricerca, estrazione e commercializzazione di petrolio e gas” (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 3191/2011). Sempre in linea con questa impostazione, invece, è stato ritenuto sussistente il nesso di strumentalità tra il servizio di “sorveglianza sanitaria” (visite mediche di revisione del personale) messo a gara da ATAC (azienda che gestisce il trasporto pubblico locale su gomma del Comune di Roma) e il settore speciale dei servizi di trasporto di cui all'art. 210 del previgente d.lgs. n. 163/2006 (T.A.R. Lazio (Roma) III-ter, n. 1778/2013). Le attività oggetto di affidamento, infatti, stante il carattere di doverosità dei controlli medici oggetto dell'appalto, si pongono in rapporto di mezzo a fine con lo svolgimento dell'attività istituzionale di trasporto di ATAC, rientrando, “sia pur indirettamente, tra gli scopi propri (core business) dello stesso”. Sussiste il nesso di strumentalità rispetto al settore del trasporto, nel caso di affidamento della progettazione, sviluppo, conduzione e manutenzione della Piattaforma MaaS (Mobility as a service) operante nell'area metropolitana milanese. Il Mobility as a Service rappresenta e sintetizza un concetto globale di mobilità che prevede l'integrazione di molteplici servizi di trasporto pubblico e privato accessibili grazie ad un unico canale digitale, attraverso piattaforme digitali di intermediazione, che combinano varie funzionalità e garantiscono diverse alternative di viaggio, dal trasporto pubblico al car sharing, dal bike sharing ai taxi, per mettere in condizione il cliente di pianificare, prenotare e pagare più servizi in base alle proprie esigenze: nel caso in cui il MaaS sia gestito da soggetti operanti nella mobilità pubblica e finalizzato a migliorare il servizio di trasporto pubblico deve essere considerato strumentale e ricadere nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali (Cons. St. V, n. 6817/2023). Deve intendersi ricompresa nell'ambito di applicazione della disciplina sui settori speciali la procedura per l'affidamento del servizio di pulizia delle stazioni ferroviarie (compresi i marciapiedi, le sale di attesa, i depositi bagagli, i servizi igienici, le biglietterie e i posti di polizia) (Cons. St., Ad. Plen. , n. 9 /2004). È stata, invece, esclusa l'applicabilità della disciplina in tema di settori speciali in relazione ad un appalto bandito da Grandi Stazioni s.p.a. avente ad oggetto i lavori di recupero e adeguamento della stazione Termini di Roma: i lavori riguardavano, infatti, spazi interni della stazione “ma non relativi ad impianti inerenti la circolazione dei treni e alla manutenzione delle infrastrutture ferroviarie”. Detti spazi erano gestiti dalla stazione appaltante allo scopo di sfruttarli economicamente cedendoli in locazione a terzi, e non allo scopo di fornire servizi ai viaggiatori, a nulla rilevando la connessione solo fisica ed occasionale di detti spazi con la stazione stessa (Cass. S.U., n. 10218/2006). Il servizio di recupero e riscossione stragiudiziale di crediti è stato considerato non funzionale agli scopi propri e tipici dell'attività “speciale” della società che gestisce il servizio idrico integrato e opera dunque nel settore dell'acqua ex art. 117 del Codice (T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 1689/2017). È stato ritenuto strumentale l'appalto integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori di potenziamento “land side” ed “air side” e per la realizzazione di una piattaforma logistica aeroportuale (T.A.R. Puglia (Bari), n. 1604/2008). I lavori riguardavano, infatti, l'infrastruttura aeroportuale nel suo complesso ed erano, evidentemente, finalizzati a permettere, o comunque migliorare, la messa a disposizione dell'impianto “terminale di trasporto”. Deve, inoltre, applicarsi la disciplina sui settori speciali alla procedura per l'affidamento dei servizi tecnici (di direzione dei lavori, di misura e contabilità delle opere, di sorveglianza continuativa in cantiere e di coordinamento della sicurezza in fase esecutiva) in relazione ai lavori di prolungamento della pista di volo (T.A.R. Valle d'Aosta I, n. 88/2008). Così come le attività di manutenzione di aree verdi antistanti la struttura aeroportuale, quindi corrispondenti al sedime esterno all'aerostazione (rotonde, parcheggi, aiuole, fioriere etc.), afferendo unicamente al c.d. “land side”, sono state estranee e non funzionale “settore speciale” di riferimento, disciplinato dall'art. 150 (Porti e aeroporti) del Codice (T.A.R. Sicilia (Palermo) III, n. 661/2019). Di contro, a conferma di posizioni non sempre coerenti della giurisprudenza, l'affidamento del servizio di pulizia della pista non “può essere oggettivamente ricondotto alle attività relative allo sfruttamento di un'area geografica ai fini della messa a disposizione di aeroporti”, sulla base della considerazione che la pulizia della pista non rappresenterebbe l'attività principale di cui all'art. 213 del previgente codice del 2006 (T.A.R. Emilia-Romagna (Bologna) I, 15 gennaio 2010, n. 107). La decisione non tiene, tuttavia, conto del fatto che la pista di atterraggio e decollo dell'aeroporto rappresenta sicuramente uno degli elementi necessari dell'intera infrastruttura a disposizione dei vettori aerei. Il che dovrebbe indurre a ritenere le attività relative ad una pista dell'aeroporto ricomprese nell'ambito di applicazione dell'art. 150 del Codice. I servizi di copertura assicurativa “all risks” per le attività di gestione di un aeroporto vanno considerati strumentali alle attività istituzionali del gestore (Cons. St. V, n. 4934/2013). Il servizio sarebbe, infatti, non solo coerente rispetto alle attività principali svolte dal gestore, ma addirittura necessario, “non essendo ordinariamente configurabile un servizio aeroportuale di rilievo, privo di coperture assicurative”. In quanto tale, il servizio di assicurazione contro tutti i rischi derivanti dall'attività del gestore non potrebbe qualificarsi estraneo al contesto applicativo della specifica attività di messa a disposizione dell'aeroporto che comprende “ogni attività funzionalmente indirizzata ad assicurare non solo le operazioni di partenza ed arrivo dei vettori aerei, ma anche il transito e la sicurezza dei passeggeri, lo smistamento bagagli e ogni servizio complementare, non puramente accessorio ma coerente con le attività svolte”. Viceversa – e a ulteriore conferma del carattere di complessità della questione e delle posizioni non sempre uniformi – l'affidamento del servizio di manutenzione correttiva ed evolutiva su applicazioni software relative a processi aziendali generali (quali, tra l'altro, acquisti, fatturazioni, vendor rating, certificazioni antimafia, tesseramenti, richiesta di tesserini), estraneo al settore speciale afferente la gestione di aeroporti (art. 150) o a esso solo indirettamente connesso (Cons. St. V, n. 6534/2018). I servizi di agenzia marittima e spedizioniere doganale a supporto delle attività DICS da/per i porti di Ravenna e Ancona sono stati ritenuti non strumentali rispetto all'attività principale svolta da Eni nell'area di riferimento, relativa all'estrazione di gas naturale dalle piattaforme offshore al largo di Ravenna, di per sé rientrante nei settori speciali a mente dell'art. 152 (Cons. St. V, 8905/2019). Per poter servire all'esercizio dell'attività rientrante nel settore speciale di riferimento, il nesso tra l'appalto di cui trattasi e tale settore non può essere di una natura qualunque, pena il travisamento del senso dell'art. 19, paragrafo 1, della Direttiva 2014/25. Infatti, non è sufficiente che i servizi oggetto di tale appalto contribuiscano positivamente alle attività dell'ente aggiudicatore e ne accrescano la redditività, al fine di poter constatare, tra detto appalto e l'attività rientrante nel settore postale, l'esistenza di un nesso, ai sensi dell'art. 13, paragrafo 1, di tale direttiva. Occorre quindi considerare che rientrano tra le attività relative alla prestazione propria del settore speciale di riferimento tutte le attività che servono effettivamente all'esercizio di tale prestazione, consentendone la realizzazione in maniera adeguata, tenuto conto delle sue normali condizioni di esercizio, ad esclusione delle attività esercitate per fini diversi dal perseguimento dell'attività settoriale di cui trattasi. Lo stesso vale per le attività che, avendo natura complementare e trasversale, potrebbero, in altre circostanze, servire all'esercizio di altre attività non rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva vertente sui settori speciali (Corte giustizia UE, 28 ottobre 2020, C-521/18, Poste Italiane). In questa prospettiva, è stato quindi ritenuto “difficilmente ipotizzabile che dei servizi postali possano essere forniti in maniera adeguata in assenza di servizi di portierato, reception e presidio varchi degli uffici del prestatore interessato. Tale constatazione vale tanto per gli uffici aperti agli utenti dei servizi postali e che ricevono quindi il pubblico, quanto per gli uffici utilizzati per lo svolgimento di funzioni amministrative. Infatti, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 116 delle sue conclusioni, la prestazione di servizi postali comprende anche la gestione e la pianificazione di tali servizi” (Corte giustizia. UE, 28 ottobre 2020, C-521/18, Poste Italiane). In sostanza, volendo tentare di ricondurre ad unitarietà le molteplici posizioni espresse dalla giurisprudenza, per l'impostazione prevalente, il nesso di strumentalità può configurarsi ove sussista un rapporto diretto tra il contratto oggetto di affidamento che deve essere essenziale per lo svolgimento delle attività istituzionali degli enti aggiudicatori (non rilevando, a tal fine un rapporto di lata e indiretta correlazione). Si deve quindi integrare un rapporto di mezzo a fine rispetto alla specifica attività svolta dall'ente aggiudicatore nel settore speciale di riferimento. Gli appalti misti (strumentali e non strumentali) Fermo restando il principio generale secondo il quale deve ritenersi precluso ogni accorpamento di più oggetti contrattuali allo scopo di sottrarre la procedura di affidamento dall'applicazione della disciplina pubblicistica di riferimento (art. 14, comma 24, ultimo periodo, del Codice), la tematica dei contratti misti, nei settori speciali, oltre a presentare profili di connessione con i settori ordinari, assume una specifica configurazione. Infatti, l'astratta applicabilità di una diversa disciplina al medesimo committente in ragione della diversa finalizzazione dell'appalto impone di individuare la regolamentazione applicabile nel caso in cui, con un unico appalto, vengano affidate prestazioni destinate ad attività diverse, che, qualora oggetto di distinte procedure, sarebbero sottoposte, ciascuna, a regimi giuridici differenziati (per quanto di nostro interesse: alla disciplina sui settori speciali, da un lato, e quella sui settori ordinari, dall'altro; ovvero alla disciplina sui settori speciali, da un lato, e quella di diritto privato, dall'altro). In tale ottica, “ad un appalto avente ad oggetto prestazioni strumentali all'esercizio di più attività nei settori speciali si applicano le disposizioni relative alla principale attività cui la prestazione è destinata” (art. 14, comma 25, del Codice). Pertanto, qualora la prestazione richiesta dal committente e oggetto di un contratto di appalto sia principalmente destinata allo svolgimento di più attività, tutte ricomprese in uno dei settori speciali (si pensi al caso in cui il committente sia una società multi utilities, ovvero all'affidamento congiunto di appalti strumentali e non), non dovrebbe porsi alcun rilevante problema di ordine pratico: la disciplina di riferimento è, comunque, quella prevista per i settori speciali. Del pari, questa disciplina dovrà trovare applicazione anche nel caso in cui l'attività cui l'appalto è principalmente destinato rientri nei settori speciali; mentre dovrà trovare applicazione la disciplina relativa ai settori ordinari, nel caso in cui l'attività principale cui l'appalto è destinato non sia principalmente riconducibile nell'ambito dei settori speciali. Nel caso in cui, invece, non sia possibile individuare l'attività a cui l'appalto è principalmente destinato, è la stessa disciplina a definire i parametri necessari per l'individuazione del regime della disciplina in concreto applicabile (v. art. 14, comma 26). Più in particolare, qualora una delle attività cui è destinato l'appalto sia regolamentata dalla disciplina sui settori ordinari e l'altra da quella relativa ai settori speciali e sia oggettivamente impossibile definire l'attività cui l'appalto sia principalmente destinato, deve trovare applicazione la disciplina maggiormente vincolistica prevista per i settori ordinari (c.d. criterio dell'attrazione; comma 26, lett. a). Nel caso in cui l'affidamento sia per una parte riconducibile alla disciplina sui settori speciali e per una parte rientri nell'ambito di applicazione della disciplina in tema di concessioni, l'affidamento deve avere luogo in applicazione della disciplina sui settori speciali (art. 14, comma 26, lett. b). Nel caso in cui, invece, ad una delle attività cui l'appalto è destinato sia applicabile la parte relativa ai settori speciali, mentre per l'altra parte non debba trovare applicazione alcuna disposizione del Codice (e quindi, in ipotesi, sia soggetta alle regole del diritto privato), l'appalto medesimo è affidato – sempre che sia oggettivamente impossibile individuare la destinazione prevalente – nel rispetto delle prescrizioni previste per i settori speciali (art. 14, comma 26, lett. c). Più in particolare, trova applicazione la disciplina sugli appalti nei settori speciali nel caso in cui all'affidamento non debba trovare applicazione né la disciplina in tema di appalti nei settori ordinari né quella in tema di concessioni. In sostanza, l'impostazione è chiara: nel caso in cui – basandosi sulla prevalente destinazione dell'appalto ad un'attività piuttosto che ad un'altra – non sia possibile individuare con esattezza, tra le diverse discipline in astratto applicabili, quella effettivamente riferibile alla fattispecie concreta, deve trovare applicazione quella maggiormente vincolistica. Nel caso di contratto misto contenente elementi di appalti di forniture, lavori e servizi nei settori speciali e di concessioni, il contratto misto è aggiudicato in conformità alle disposizioni del codice relative ai settori speciali (Libro III), a condizione che l'importo stimato che costituisce un appalto sia pari o superiore alla soglia pertinente (comma 27, art. 14). Le disposizioni applicabili ai settori specialiCome si è detto, agli appalti nei settori speciali è dedicato il Libro III, composto di 33 articoli (da 141 a 173) che non esauriscono, però, il complesso delle norme applicabili, essendo l'assetto complessivo definito anche da specifiche norme dettate per i settori ordinari ed oggetto di esplicito richiamo. Nel Codice del 2016, l'individuazione della disciplina applicabile ai settori speciali, non ha costituito un'operazione agevole. Infatti, come anticipato (par. 1), la disciplina sui settori speciali era composta: i) da un blocco di norme comuni riferibile alla totalità degli affidamenti e nelle quali erano già incluse disposizioni specifiche per i settori speciali (v., ad esempio, artt. 6 e 7, d.lgs. n. 50/2016); ii) da un blocco di norme previste per i settori ordinari, ma applicabili, in virtù di appositi rinvii ed “in quanto compatibili”, anche ai settori speciali; iii) da un blocco di norme ad oggetto esclusivo in quanto previste specificamente per gli affidamenti nell'ambito dei settori speciali (artt. da 114 a 141). Questa impostazione rendeva il perimetro delle norme applicabili non sempre agevolmente definibile. Le difficoltà erano poi accentuate dalla circostanza che, per le norme oggetto di specifico richiamo, la riferibilità ai settori speciali doveva intendersi circoscritta ai soli limiti in cui ciò fosse compatibile (e quindi non implicitamente o espressamente derogate da) con quanto stabilito da specifiche disposizioni dettate per i settori speciali. Inoltre, in taluni casi erano le stesse disposizioni richiamate a contenere limitazioni alla propria sfera di operatività, sì da auto escludere la propria portata vincolante per parte dei soggetti ricadenti nei settori speciali. Allo scopo di superare tali difficoltà, obiettivo del nuovo Codice era quello di conferire al Libro III il carattere della completezza e della sostanziale autoconclusività, per mettere a disposizione degli operatori una disciplina uniforme e agevolmente fruibile dagli operatori del settore (v. Relazione Illustrativa). In questa prospettiva, trovano applicazione agli appalti affidati nell'ambito della disciplina sui settori speciali (comma 3, art. 141): a) i principi (articoli da 1 a 12), contenuti nel Libro I, Parte I, Titolo I, con la sola eccezione dell'art. 6 (relativo ai Principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale e ai rapporti con il terzo settore); b) gli artt. 13 (ambito di applicazione); 14 (soglie di applicazione, modalità di calcolo e contratti misti); 16 (Conflitto di interessi); 17 (fasi delle procedure di affidamento); 18 (il contratto e la sua stipulazione) contenute nel Libro I; Titolo II. L'art. 15 (Responsabile unico di progetto) trova applicazione solo alle stazioni appaltanti ed enti concedenti riconducibili nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici e non dunque a imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali, che possono disciplinare autonomamente compiti e responsabilità di tale figura; c) le disposizioni contenute nella Parte II (Della digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti). Si tratta in particolare degli articoli 19 (Principi e diritti digitali); 20 (Principi in materia di trasparenza); 21 (Ciclo di vita digitale dei contratti pubblici); 22 (Ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale-e procurement); 23 (Banca Dati nazionale dei contratti pubblici); 24 (fascicolo virtuale dell'operatore economico); 25 (piattaforme di approvvigionamento digitale); 26 (regole tecniche); 27 (pubblicità legale degli atti); 28 (Trasparenza dei contratti pubblici); 29 (Regole applicabili alle comunicazioni); 30 (Uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti); 31 (Anagrafe degli operatori economici); 32 (Sistemi dinamici di acquisizione); 33 (Aste elettroniche); 34 (Cataloghi elettronici); 35 (Accesso agli atti e riservatezza); 36 (Norme procedimentali e processuali in tema di accesso); d) gli articoli 41 (Livelli e contenuti della progettazione); 42 (Verifica della progettazione); 43 (Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni); 44 (Appalto integrato); 45 (Incentivi alle funzioni tecniche); 46 (Concorsi di progettazione), nell'ambito del Libro I, Parte IV; e) gli articoli 57 (Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientali); 60 (Accordo quadro) e 61 (Contratti riservati) del Libro II, Parte II; f) l'art. 64 (Appalti che coinvolgono stazioni appaltanti di Stati membri diversi) nell'ambito del Libro II, Parte III, Titolo I; g) gli articoli 65 (Operatori economici); 66 (Operatori economici per l'affidamento dei servizi di architettura e di ingegneria); 67 (Consorzi non necessari), 68 (Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici); 69 (Accordo sugli appalti pubblici (AAP) e altri accordi internazionali), contenuti nel Libro II, Parte III, Titolo II; h) gli articoli 94 (Cause di esclusione automatica); 95 (Cause di esclusione non automatica); 96 (Disciplina dell'esclusione); 97 (Cause di esclusione di partecipanti a raggruppamenti); 98 (Illecito professionale grave), contenuti nel Libro II, Parte V, Titolo IV, Capo II nei limiti definiti dagli articoli 167, 168 e 169. Così, ad esempio, è possibile per i committenti operanti nei settori speciali predefinire le condotte che costituiscono gravi illeciti professionali (v. art. 169; comma 1); i) gli articoli 113 (Requisiti per l'esecuzione dell'appalto); 119 (Subappalto); 120 (Modifica dei contratti in corso di esecuzione) e 122 (Risoluzione), nell'ambito del Libro II, parte VI. Come già detto, anche in questo caso, a ben vedere, le disposizioni applicabili ai settori speciali non si esauriscono né in quelle specifiche, contenute nel Libro III né in quelle oggetto di espresso richiamo nell'art. 141. A parte le specifiche disposizioni indicate nell'art. 153 (ad esempio, art. 70 sulla procedura aperta e art. 74 sul dialogo competitivo) e negli artt. da 167 a 169 (v., ad esempio, articolo 94 sulle cause di esclusione automatica o articolo 101 sul soccorso istruttorio), a completare il contesto normativo di riferimento vi sono disposizioni non oggetto di alcun richiamo (v. ad esempio, art. 50, comma 5), che però disciplinano espressamente l'attività degli enti operanti nell'ambito dei settori speciali. La definizione delle disposizioni applicabili anche ai settori speciali non esclude la facoltà degli enti aggiudicatori di procedere, esercitando un'autonoma opzione (c.d. autovincolo), all'applicazione anche di altre disposizioni dettate per i soli settori ordinari. Il regime semplificato per imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali Per imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi o speciali, la norma in commento introduce alcuni elementi di flessibilità rispetto alle amministrazioni aggiudicatrici (art. 141, comma 4). Più in particolare, è stabilito che con propri regolamenti interni, possano: a) istituire e gestire sistemi di qualificazione degli operatori economici. Come noto, i sistemi di qualificazione costituiscono elenchi di operatori di cui sia stata previamente verificato il possesso di requisiti di idoneità generale, tecnico-organizzativi ed economico-finanziari: in occasione dei singoli affidamenti il committente provvede a selezionare i candidati da invitare a presentare offerta. Soggetti qualificabili, requisiti, categorie, eventuali fasce di importo, durata della qualificazione, funzionamento del sistema e modalità di selezione degli operatori economici ai fini delle singole procedure sono disciplinati da atti adottati dai committenti che sono in facoltà di ricorrere a questo strumento (v. commento articolo 168); la circostanza che la disposizione faccia riferimento solo a imprese pubbliche e soggetti privati non preclude, peraltro, la possibilità di utilizzo dei sistemi di qualificazione anche da parte delle amministrazioni aggiudicatrici operanti nei settori speciali. b) prevedere una disciplina di adattamento delle funzioni del responsabile unico di progetto alla propria organizzazione, stante la non applicabilità diretta dell'art. 15; c) specificare la nozione di variante in corso d'opera in funzione delle esigenze proprie del mercato di appartenenza e delle caratteristiche di ciascun settore, nel rispetto dei principi e delle norme del diritto europeo. Questa previsione valorizza, in altri termini, le specificità proprie di tali settori, dando autonomia ai committenti, fermo il limite esterno costituito da principi e norme del diritto europeo. Essa sembrerebbe poter consentire di recuperare margini di flessibilità, altrimenti preclusi dall'art. 120 (Modifica dei contratti in corso di esecuzione) che, in tema di lavori, servizi e forniture supplementari (comma 1, lett. b) e di varianti legate a circostanze impreviste e imprevedibili (comma 1, lett. c) pone il limite massimo del 50% (vedasi comma 2), che né la disciplina europea (v. art. 64 Direttiva 2014/25/UE) né quella nazionale previgente (art. 106, comma 7) riferivano ai settori speciali. Ulteriore elemento di snellimento operativo riconosciuto dalla disciplina sui settori speciali – indistintamente per tutte le stazioni appaltanti- è costituito dalla facoltà di determinare dimensioni, oggetto dell'appalto e dei lotti senza obbligo di motivazione aggravata, in merito alla scelta di non procedere alla suddivisione in lotti, tenendo conto delle esigenze del mercato in cui operano (comma 5). Si tratta di un elemento di rilevante differenziazione rispetto alla disciplina sui settori ordinari che, come riportato nella Relazione Illustrativa, muove nella logica di allineare la disciplina interna all'impostazione del diritto europeo. Infatti, la Direttiva 2014/25/UE non prevede, a differenza della disciplina sui settori ordinari (art. 46, Dir. n. 2014/24/UE), l'obbligo di motivare le ragione della mancata suddivisione in lotti. Il doppio regime: appalti soprasoglia e contratti sottosoglia In linea con la tradizionale impostazione, è stata riproposta anche nel d.lgs. n. 36/2023 la bipartizione tra affidamenti c.d. sopra soglia e sotto soglia. Benché tale distinzione non trovi la sua fonte nella norma in commento, si ritiene opportuno darne conto in quanto rilevante ai fini di definire gli elementi di differenziazione nel regime applicabile tra amministrazioni aggiudicatrici, da un lato, e imprese pubbliche e soggetti privati, dall'altro (art. 50, comma 5). Le prime sono tenute ad applicare, quanto agli affidamenti sottosoglia la disciplina dettata in generale (art. 50, comma 1) che, seppure con modalità diverse in relazione al crescente valore degli affidamenti, consente di ricorrere alla procedura negoziata senza pubblicità preventiva per gli affidamenti di lavori, forniture e servizi fino alla soglia di applicazione della disciplina europea (v. commento artt. 14 e 50). Comune ad imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali è, invece, la previsione – analoga a quanto stabilito dal codice del 2016 (art. 36, comma 8) – dell'applicabilità agli affidamenti sottosoglia della disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti. Diversi, nella formulazione della norma, sembrano essere, invece, i limiti alla potestà di autonormazione a seconda che si tratti di imprese pubbliche ovvero titolari di diritti esclusivi o speciali. Per le prime è, infatti, stabilito che tali regolamenti debbano essere conformi ai principi dettati dal trattato UE a tutela della concorrenza, solo in relazione all'affidamento di contratti di lavori, servizi e forniture che presentino un interesse transfrontaliero certo; per i titolari di diritti speciali o esclusivi il rispetto dei principi europei in materia di tutela della concorrenza, invece, è posto in termini generali, senza limitazione alla rilevanza trasnfrontaliera dell'affidamento (cfr. art. 50, comma 5). Si tratta di una distinzione difficile da comprendere sul piano logico ed alla quale non sembra possa essere attribuita rilevanza pratica: l'obbligo di rispettare i principi generali del Trattato anche nel caso di contratti sottratti all'applicazione delle direttive europee, come è il caso degli appalti sottosoglia, presuppone, infatti, pur sempre la rilevanza trasnfrontaliera dell'affidamento da valutarsi, caso per caso, tenendo conto, ad esempio, della natura delle prestazioni oggetto di affidamento e della loro localizzazione territoriale. Per cui estendere tale vincolo alla totalità degli affidamenti sottosoglia effettuati da titolari di diritti speciali o esclusivi equivale ad imporre un vincolo eccentrico rispetto a quanto imposto dalla normativa e dalla giurisprudenza europea (in questo senso, tuttavia, v. Relazione Illustrativa). Va detto, peraltro, che la stessa differenziazione, quanto al regime degli affidamenti sottosoglia, tra amministrazioni aggiudicatrici e imprese pubbliche e titolari di diritti speciali e esclusivi abbia progressivamente perso di rilevanza. Questa, infatti, rispondeva all'obiettivo di riconoscere a questi ultimi soggetti margini di flessibilità operativa in una fase storica in cui la disciplina interna prevedeva che le amministrazioni aggiudicatrici, anche per gli affidamenti a rilevanza nazionale, fossero sottoposte in linea di principio e salvo eccezioni all'obbligo di gara. Nell'attuale contesto, appare invece difficile ipotizzare, stante l'immanenza dei principi del diritto primario dell'U.E, che nei regolamenti che ne disciplinano l'attività negoziale, imprese pubbliche e titolari di diritti esclusivi e speciali possano definire un regime caratterizzato da margini di elasticità ulteriori rispetto a quelli già riconosciuti dall'art. 50 del Codice. Questioni applicative
La nozione di organismo di diritto pubblico e i contratti non strumentali La riconducibilità o meno di un determinato soggetto giuridico alla figura dell'organismo di diritto pubblico presenta caratteri di particolare e notoria complessità (Cassese, 549; Caringella, 1007). E ciò in quanto si tratta di una nozione che, nata nel diritto europeo e poi recepita nell'ordinamento interno, è definita sulla base di indici “sintomatici” di carattere generale che, di volta in volta, necessitano di essere rilevati rispetto alla specifica fattispecie oggetto di indagine (Torregrossa, 14). A livello sistematico, l'elaborazione di questa nozione è diretta ad evitare che soggetti sostanzialmente pubblici, sulla base della loro veste formale di natura privatistica, possano sottrarsi all'applicazione della disciplina pubblicistica in materia di scelta del contraente. Si tratta di un tema particolarmente rilevante alla luce delle implicazioni applicative che reca con sé la qualificabilità di un determinato soggetto come organismo di diritto pubblico, soprattutto ove lo stesso operi nell'ambito dei c.d. settori speciali. In sostanza, l'esatta delimitazione della nozione di organismo di diritto pubblico risulta necessaria per comprendere la disciplina applicabile agli appalti destinati a scopi estranei alle finalità istituzionali degli enti aggiudicatori (e quindi non direttamente strumentali alle attività prese in considerazione dalla disciplina sui settori speciali). Come si è visto, infatti, nel caso in cui il committente non sia, in ragione delle sue caratteristiche soggettive, riconducibile nel novero delle figure tenute all'applicazione della disciplina relativa ai settori ordinari (non sia cioè qualificabile quale amministrazione aggiudicatrice e, quindi, per quel che qui rileva, come organismo di diritto pubblico), i c.d. “appalti estranei” saranno sottratti integralmente alla normativa in tema di contratti pubblici e, potranno, dunque, essere affidati a terzi secondo le regole del diritto comune. Di converso, ove l'ente aggiudicatore sia, invece, inquadrabile nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici (e quindi, sempre per quel che qui rileva, qualificabile come organismo di diritto pubblico), troverà comunque applicazione la disciplina relativa ai settori ordinari. Appare quindi opportuno svolgere in questa sede alcune sintetiche considerazioni sulla nozione di organismo di diritto pubblico, rinviando per maggiori approfondimenti al commento all'all. I.1. Sia la normativa europea che quella nazionale individuano tale figura sulla base di tre parametri: a) il possesso della personalità giuridica; b) la sottoposizione a un'influenza pubblica; c) l'essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico). Come noto, tali requisiti hanno carattere cumulativo, essendo necessaria la loro contestuale presenza affinché un determinato ente possa essere qualificato come organismo di diritto pubblico (Corte giust. CE, 15 gennaio 1998, sent., C-44/96 – Mannesmann; in ambito nazionale, Cass. S.U., n. 8225/2010). Quanto ai primi due requisiti, la relativa identificazione non pone particolare problemi (Cintioli, Ielo, 255). Operazione maggiormente complessa è invece la verifica della sussistenza del c.d. requisito teleologico. L'evoluzione della giurisprudenza europea sull'individuazione della ricorrenza o meno del c.d. requisito teleologico, ai fini della configurabilità di un ente quale organismo di diritto pubblico, può essere sostanzialmente suddivisa in tre fasi (questa chiave di lettura è stata di recente ribadita da Cons. St. V, n. 108/2017). Nel corso della prima, vi è stata un'espansione applicativa della nozione di organismo di diritto pubblico, dovuta soprattutto alla circostanza che l'attenzione dei giudici europei è stata inizialmente rivolta alla sussistenza dei bisogni di interesse generale, piuttosto che al carattere non commerciale o industriale dell'attività (Vinti, 2016). Il leading case in materia di organismo di diritto pubblico è, come noto, rappresentato dalla sentenza Mannesmann (Corte giustizia CEE, 15 gennaio 1998, C-44/96). Si trattava di individuare la qualificazione giuridica della tipografia di Stato austriaca, la quale esercitava sia attività di natura certamente commerciale, tra cui l'edizione e distribuzione di libri, sia funzioni conferite per legge, quali la produzione di stampati in favore dell'amministrazione federale (passaporti, carte d'identità, ecc. ...). Per risolvere la questione, la Corte di Giustizia ha enfatizzato le esigenze di ordine pubblico cui erano strettamente collegate le funzioni attribuite alla tipografia austriaca; ed ha quindi concluso per la natura di interesse generale dei bisogni perseguiti, facendo derivare da tale accertamento anche il relativo carattere non industriale né commerciale Degli stessi. In proposito, la Corte ha poi ritenuto irrilevante il fatto che, oltre a tali compiti istituzionali, l'ente svolgesse altra attività sul libero mercato, poiché, per ragioni di certezza del diritto, tutta l'attività di uno stesso ente avrebbe dovuto essere soggetta al medesimo regime giuridico (di rispetto delle norme dell'evidenza pubblica); e ciò anche perché il requisito teleologico, per come declinato dalla normativa europea, non avrebbe implicato la necessità di soddisfare “unicamente” bisogni di interesse generale. In tal modo, è stata quindi coniata la c.d. teoria del contagio ed è stata di conseguenza esclusa, quanto meno a livello europeo, la configurabilità dell'organismo di diritto pubblico in parte qua (Garofoli, 437). La seconda fase è stata contrassegnata dalla sentenza Ente Fiera di Milano (Corte di giust. CE, 10 maggio 2001, C-223/99 e C-260/99), con la quale i giudici europei sembrarono operare una sorta di revisione in senso restrittivo della nozione di organismo di diritto pubblico, per come estensivamente intesa con la precedente decisione Mannesmann. La Corte, infatti, ha escluso che l'Ente Fiera potesse essere qualificato come organismo di diritto pubblico, ritenendo sostanzialmente determinante la circostanza che il settore fieristico – pur afferendo a bisogni di interesse generale – fosse aperto alla concorrenza e implicasse una modalità di gestione tipicamente imprenditoriale: dal che il carattere industriale e commerciale dell'attività svolta in tale settore (Cassese, 549). Le successive sentenze, relative alla terza e più recente fase, si sono invece orientate verso una tendenziale riespansione della nozione di organismo di diritto pubblico, dovendo questa “essere estensivamente intesa” in quanto funzionale alla liberalizzazione dei mercati (ex multis, Corte giust. CE, 27 febbraio 2003, C-373/00). Si tratta di una riespansione solo tendenziale e non “totalizzante” in quanto, anche di recente, la stessa Corte di Giustizia ha comunque ricordato che se è vero che l'organismo di diritto pubblico si caratterizza per il suo asservimento al soddisfacimento di esigenze di interesse generale, è altrettanto vero che, per essere configurato come tale, l'ente deve comunque perseguire i bisogni generali ad esso affidati lasciandosi “guidare da considerazioni diverse da quelle economiche” (Corte giustizia UE, 5 ottobre 2017, C-567/15, VLRD). Cosicché appare difficile poter sostenere che i bisogni generali perseguiti abbiano carattere non industriale o commerciale nel caso in cui: i) il soggetto persegua scopi di lucro; ii) e, comunque, subisca il rischio di un'eventuale gestione non remunerativa, sopportando le eventuali perdite, senza poter quindi usufruire di misure pubbliche che lo preservino dal rischio d'impresa (Galli, Cavina, 74). Difatti, il c.d. requisito teleologico si compone a sua volta di due elementi: quello positivo, rappresentato dal fatto che le esigenze perseguite dall'organismo siano riconducibili ad un interesse generale; e quello negativo, relativo al carattere non industriale e non commerciale di tali esigenze. Sul tema, si registra un contrasto nella giurisprudenza nazionale che ruota intorno alla corretta interpretazione del requisito teleologico, nell'ambito del quale sono sostanzialmente rinvenibili due posizioni. Quella in atto maggioritaria e conforme al più recente insegnamento del giudice europeo (Corte giustizia UE, 5 ottobre 2017, C-567/15, VLRD), che attribuisce carattere dirimente, per disvelare la vera natura giuridica di un determinato ente, alle modalità attraverso cui il bisogno di interesse generale viene da questo perseguito (ex multis, Cons. St. V, n. 3884/2019; Cons. St. V, n. 6534/2018); e quella minoritaria, secondo la quale la finalità istitutiva dell'ente tesa al soddisfacimento di esigenze di interesse generale sarebbe invece preminente rispetto alle modalità con cui l'attività viene poi in concreto svolta (Cons. St. V, n. 964/2020). Secondo quest'ultima posizione, le modalità con cui le attività di interesse generale vengono in concreto svolte cedono rispetto ai compiti istituzionali assegnati all'organismo e che sono alla base della sua istituzione, anche alla luce del tenore letterale del dato normativo recante la definizione di organismo di diritto pubblico, secondo cui sussiste il requisito teologico se l'organismo è “istituito” per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale. In questo modo, tuttavia, si presuppone che l'istituzione dell'ente per il soddisfacimento di un bisogno di interesse generale (ove riconosciuto come tale) possa essere di per sé idoneo ad escludere il carattere commerciale o industriale dell'attività dallo stesso svolta, con un approccio che, oltre a non considerare la possibilità che interessi generali possano comunque essere perseguiti secondo criteri di imprenditorialità, come confermato dal considerando 12 della Direttiva 2014/25/UE, è stato già criticato da parte della dottrina in quanto poco funzionale “a costituire un'utile chiave interpretativa per il futuro” (Greco, 743) e comunque non coerente con la ratio sostanziale “che ha indotto il legislatore europeo a enucleare la nozione di organismo di diritto pubblico” (Capotorto, 630). Appare quindi più calzante il primo – e del resto maggioritario – orientamento giurisprudenziale secondo cui la “chiave di volta” per comprendere l'eventuale riconducibilità di un soggetto nella nozione di organismo di diritto pubblico risiede piuttosto nel verificare il carattere non commerciale o industriale dei bisogni generali da esso perseguiti, che, come detto, non pare sussistere in caso di gestione dell'attività da parte dell'ente secondo criteri di efficacia e redditività tipici dell'imprenditore privato e con assunzione del rischio di impresa. In sostanza, diventa irrilevante che un soggetto sia stato costituito per soddisfare un interesse di carattere generale, perché ciò che assume preminenza è la modalità con cui il detto bisogno viene perseguito. Cosicché, un ente aggiudicatore operante nei settori speciali non dovrebbe essere qualificato come organismo di diritto pubblico nelle ipotesi in cui eserciti attività connotata da carattere imprenditoriale, secondo criteri di redditività e con assunzione del relativo rischio di impresa, senza che i soggetti pubblici legati all'ente possano intervenire per ripianare eventuali perdite di esercizio (Cavina, 420). Settori speciali e giurisdizione Le tematiche appena esaminate hanno un rilevante impatto non solo sul piano sostanziale dell'ambito di applicazione della disciplina pubblicistica in materia di contratti, ma anche su quello processuale. Difatti, per le controversie inerenti la fase di scelta del contraente, ricorre la giurisdizione del giudice amministrativo solo laddove il committente, in ragione delle proprie caratteristiche soggettive e alla luce dell'oggetto dell'affidamento, sia tenuto a rispettare le regole dell'evidenza pubblica (art. 133, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 104/2010). Diversamente, ove l'affidamento del contratto non sia soggetto alla disciplina pubblicistica, il giudice naturale a conoscere delle relative controversie sarà invece quello ordinario. Sicché, ove l'ente aggiudicatore sia riconducibile nel novero delle imprese pubbliche, ma non anche nella nozione di organismo di diritto pubblico, la giurisdizione sul contenzioso relativo alla scelta dell'esecutore di un c.d. contratto estraneo spetterà del giudice civile e non a quello amministrativo (Cons. St., Ad. Plen., n. 16/2011). Occorre comunque tener presente che laddove la stazione appaltante sia configurabile quale società in house, sulla stessa grava un vincolo eteronomo di scegliere i propri contraenti secondo le regole dell'evidenza pubblica, ai sensi dell'art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 175/2016. Sicché in tal caso la giurisdizione spetterà comunque al giudice amministrativo a prescindere dalla esatta qualificazione giuridica soggettiva della stazione appaltante in termini di amministrazione aggiudicatrice ovvero di impresa pubblica (T.A.R. Veneto I, n. 1186/2019). Peraltro, deve trattarsi di procedure di scelta obbligatoriamente e non volontariamente assoggettate alle regole dell'evidenza pubblica, pena la violazione del principio costituzionale del Giudice naturale precostituito per legge. Non può, quindi, consentirsi al committente di scegliere il giudice che deciderà delle eventuali controversie che dovessero generarsi dalla scelta del contraente, autovincolandosi al rispetto di una disciplina dettata per altra tipologia di contraenti (T.A.R. Lombardia (Milano) IV, n. 1327/2019). Dunque, il c.d. autovincolo, se è idoneo a rendere applicabili le regole richiamate, è inidoneo a determinare spostamenti della giurisdizione (T.A.R. Lazio (Roma) III-ter, n. 5528/2018). Sono applicabili ai settori speciali i rimedi alternativi per la risoluzione delle controversie? Così come già nel codice del 2016, non viene operato alcun richiamo, nell'ambito delle disposizioni applicabili ai settori speciali, alla disciplina in tema di strumenti alternativi in tema di risoluzione delle controversie (artt. da 210 a 219), ciò che dovrebbe indurre all'automatismo di una soluzione che escluda la riferibilità di tali strumenti alternativi anche ai settori speciali proprio in ragione del mancato richiamo. Un approccio interpretativo “correttivo” – diretto a superare anche la asimmetria che si verrebbe a determinare nel regime applicabile a seconda che un appalto rientri o meno nell'ambito dei settori speciali – potrebbe tuttavia portare ad esaminare la questione della riferibilità a questi ultimi delle norme in tema risoluzione delle controversie, alla luce della autoperimetrazione del proprio ambito di applicazione effettuata da ciascuna singola disposizione. Così, ad esempio, l'articolo 210 circoscrive l'ambito di operatività dell'accordo bonario ai lavori di cui al Libro II, escludendo così quelli relativi ai settori speciali disciplinati dal Libro III. Quanto alla transazione (art. 211) è fatto riferimento alle controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, tali potendosi ritenere tutti quelli ricompresi nell'ambito di applicazione del Codice, inclusi i contratti nei settori speciali. Analogamente potrebbe concludersi per quanto attiene alla disciplina sull'arbitrato (art. 213), che fa generico riferimento a lavori, servizi e forniture, precisandone, sul piano soggettivo, la riferibilità anche alle società a partecipazione pubblica oppure a una società controllata o collegata ad una società a partecipazione pubblica. Quanto al Collegio consultivo tecnico (art. 215), esso è obbligatorio nel caso di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche di importo superiore alle soglie europee e nel caso di serbizi e fornitiure di valore superiore ad un milione di euro; il che, pur in mancanza di espresso richiamo, potrebbe indurre a ritenere la normativa riferibile anche ai settori speciali. Problemi attuali: settori ordinari e settori speciali: complementarietà o alternatività?Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono recentemente espresse sul regolamento di giurisdizione promosso da Poste Italiane S.p.A. nell'ambito di un contenzioso relativo ad una procedura per l'affidamento del servizio sostitutivo di mensa attraverso buoni pasto (Cass. S.U., ord. n. 4899/2018). L'ordinanza, peraltro basata su un precedente delle stesse Sezioni Unite (Cass. S.U., ord. n. 8511/2012), assume particolare rilievo per il ribaltamento della prospettiva con cui i rapporti tra la disciplina generale sui cc.dd. settori ordinari (ora direttiva 2014/24/UE) e quella in tema di settori speciali (ora Direttiva 2014/25/UE) erano (e sono) stati costantemente affrontati e risolti da giudice europeo e amministrativo. Nella ricostruzione delle Sezioni Unite, infatti, la circostanza che, per le caratteristiche dell'affidamento, non sia applicabile la disciplina sui cc.dd. settori speciali, esclude, di per sé, che allo stesso appalto possa essere riferita quella sui settori ordinari: il che rende irrilevante indagare la natura del soggetto aggiudicatore per verificarne la riconducibilità o meno nel novero dei soggetti (amministrazioni aggiudicatrici) tenuti alla relativa applicazione. Secondo la Cassazione, l'art. 207 del d.lgs. n. 163/2006 (ora art. 141 del d.lgs. n. 36/2023) – laddove prende in considerazione gli enti aggiudicatori – detta una disposizione che rende applicabile in relazione alle attività nei settori speciali, in via esclusiva, la disciplina prevista per questi ultimi non solo ad imprese pubbliche e soggetti privati operanti in virtù di diritti speciali ed esclusivi, ma a qualsiasi amministrazione aggiudicatrice (e, dunque, anche agli organismi di diritto pubblico). In sostanza, agli enti aggiudicatori operanti nei settori speciali sarebbe applicabile in via esclusiva la disciplina sui settori speciali, con la conseguenza che, per affidamenti dal punto di vista oggettivo non riconducibili a questa ultima, non potrebbe in alcun caso trovare applicazione la disciplina generale sui settori ordinari. I rapporti tra le due discipline vengono dunque ridelineati in termini non più di complementarietà e secondo un rapporto di disciplina generale-disciplina speciale, ma in termini di alternatività. Le discipline su settori ordinari e settori speciali sono da considerarsi come due microsistemi separati e distinti e a Poste Italiane deve trovare applicazione la disciplina relativa ai settori speciali qualora ne ricorrano le condizioni, ovvero, in caso negativo, nessuna altra disciplina pubblicistica a prescindere dal fatto che la stessa sia qualificabile come organismo di diritto pubblico o impresa pubblica. Le conclusioni cui perviene la citata ordinanza (n. 4899/2018), nel senso di negare la rilevanza della natura giuridica del soggetto aggiudicatore, recano tuttavia una serie di contraddizioni, rispetto all'analisi del quadro normativo, da un lato, e alla insostenibilità delle conseguenze che ne deriverebbero sul piano pratico, dall'altro. Quanto al primo profilo, l'ordinanza trascura di considerare che, sia nelle direttive europee che nei provvedimenti di recepimento, l'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina generale non è su base soggettiva ma è su base oggettiva: non vengono sottratti, infatti dall'obbligo di applicare queste disposizioni i soggetti che operano nei settori speciali quanto gli appalti aggiudicati o organizzati dalle amministrazioni aggiudicatrici che esercitano attività nell'ambito dei settori speciali e aggiudicati per l'esercizio di queste attività. In sostanza, la sottrazione delle amministrazioni aggiudicatrici dal perimetro applicativo della disciplina generale è subordinata alla strumentalità dell'affidamento allo svolgimento di attività nell'ambito dei settori speciali. Sotto questo profilo, la soluzione cui è pervenuta la Cassazione, in violazione dell'obbligo dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione Europea, si pone in contrasto con la posizione già adottata dalla Corte di Giustizia secondo la quale “gli appalti aggiudicati da un ente avente la qualifica di organismo di diritto pubblico ai sensi delle direttive n. 17/2004 (n.d.a., sui settori speciali, ora 2014/25/UE) e 18/2014 (n.d.a., sui settori ordinari, ora 2014/24/UE), che hanno nessi con l'esercizio di tale ente in uno o più dei settori considerati negli artt. 3-7 della Direttiva n. 2004/17, debbono essere assoggettati alle procedure previste da tale direttiva. Per contro, tutti gli altri appalti aggiudicati da tale ente in relazione con l'esercizio di altre attività rientrano nelle procedure previste dalla direttiva 2004/18” (Corte giustizia CE, 10 aprile 2008, C-393/06). Ai fini dell'assoggettamento alla disciplina dell'Unione europea in tema di appalti pubblici, la Corte di Giustizia attribuisce, dunque, rilievo esclusivo alla natura di amministrazione aggiudicatrice del soggetto procedente, tenuto ad applicare però una disciplina specifica, in luogo di quella generale, nel caso di contratti che abbiano un nesso con le attività svolte nei cd settori speciali. In secondo luogo, la configurazione della disciplina sui settori ordinari e sui settori speciali come due corpi normativi autonomi e distinti produrrebbe l'irragionevole effetto di escludere, dai vincoli previsti dalla disciplina pubblicistica, amministrazioni aggiudicatrici per il solo fatto di operare nei cc.dd. settori speciali e per tutti gli affidamenti privi di un nesso di funzionalità con questi ultimi. Nella sua eccentricità rispetto a costruzioni logiche consolidate, la Corte di Cassazione (seppure solo nell'ambito della dicotomia settori ordinari-settori speciali) nella sostanza ammette che un organismo di diritto pubblico possa applicare o meno la disciplina pubblicistica a seconda delle attività cui l'affidamento è destinato (v., tuttavia, par. 6.2). In tal modo, dando origine – forse non del tutto consapevolmente – ad una distonia rispetto al principio costantemente affermato dalla Corte di Giustizia (semel organismo semper organismo) della necessaria unicità del regime giuridico applicabile all'organismo di diritto pubblico indipendentemente dalle finalità cui l'appalto è preordinato – siano esse funzionali ad attività di interesse generale aventi carattere commerciale e industriale ovvero dirette ad attività esercitate in regime di concorrenza e aventi carattere commerciale ed industriale – ed anche in presenza di un regime di contabilità che separi le attività di interesse generale gestite con modalità non industriali e non commerciali (Galli, 227). BibliografiaCassese, L'Ente Fiera di Milano e il regime degli appalti, in Giorn. dir. amm., 2000; Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2011; Capotorto, Poste Italiane organismo di diritto pubblico? il conflitto interpretativo torna a Lussemburgo, in Giorn. dir. amm., 2019; Cavina, Organismo di diritto pubblico, settori speciali e trasporto ferroviario ad alta velocità, in Urb. e App., 2020; Galli, Cavina, I settori speciali, in Corradino, Galli, Gentile, Lenoci, Malinconico, I contratti pubblici, Milano, 2017; Cintioli, Ielo, I profili soggettivi, in Villata, Bertolissi, Domenichelli, Sala (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Padova, 2014; Galli, Cavina, Ambito di applicazione e principi generali, in Corradino, Galli, Gentile, Lenoci, Malinconico, I contratti pubblici, Milano, 2017; Galli, Settori ordinari e settori speciali: alternatività o complementarietà?, in Giorn. dir. amm., 2019; Garofoli, L'organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del Giudice comunitario e dei Giudici italiani a confronto, in Giorn. dir. amm., 1998; Greco, Organismo di diritto pubblico: atto primo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999; Protto, Settori speciali a geometria variabile, in De Nictolis (a cura di), I contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, Milano 2007; Torregrossa, I principi fondamentali dell'appalto comunitario, in Gli appalti nel settore energetico, Milano, 1994; Vinti, voce Organismo di diritto pubblico, in Diritto On line Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Treccani, 2016. |