Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 176 - Oggetto e ambito di applicazione.Codice legge fallimentare Artt. 164, 3, lett. uu), vv), zz), aaa), bbb), ccc), fff) Oggetto e ambito di applicazione. 1. La presente Parte disciplina le procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione indette da enti concedenti e la relativa esecuzione. 2. Alle concessioni di servizi economici d'interesse generale si applicano le norme della presente Parte, ferme restando le specifiche esclusioni previste dal codice. Per i profili non disciplinati si applica il decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201, nonché le altre norme speciali di settore. InquadramentoIn base alla disciplina sui contratti pubblici, la concessione è un contratto con il quale vengono affidate a terzi attività funzionali al soddisfacimento dell'interesse pubblico ed al quale è, in linea di principio, estraneo il trasferimento da parte dell'amministrazione in favore del privato di potestà imperative. Sotto l'influenza del diritto comunitario ed europeo, infatti, la concessione ha perso la connotazione propria dell'ordinamento nazionale incentrata sul carattere di unilateralità contrapposto alla natura contrattuale dell'appalto e di formula organizzatoria idonea a trasferire l'esercizio di potestà pubblicistiche (Mameli, 1115; Goisis, 1693). Nell'accezione del diritto comunitario e dell'Unione Europea, la concessione si configura, del resto, come uno strumento contrattuale idoneo ad assicurare una efficace e produttiva collaborazione tra parte pubblica e parte privata, per realizzare progetti infrastrutturali, fornire servizi pubblici e, in senso più ampio, portare innovazione a vantaggio della collettività (Comunicazione della Commissione delle comunità europee del 19 novembre 2009, COM(2009)615, “sui partenariati pubblico-privati e sul diritto com unitario in materia di appalti – Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privati”). Più nello specifico, si tratta di un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano l'esecuzione di lavori (eventualmente congiuntamente alla progettazione esecutiva) ovvero la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori ad uno o più operatori economici. La controprestazione (corrispettivo) è costituita unicamente dal diritto di gestire l'opera eseguita (per le concessioni di lavori) o i servizi oggetto del contratto (per le concessioni di servizi), ovvero da tali diritti accompagnati da un prezzo [art. 2, lett. c), dell'allegato I.1 al Codice]. La natura contrattuale della concessione ne implica una tendenziale assimilazione all'appalto ai fini della giurisdizione e del processo (vedi i commenti agli artt. 120 e 133, comma 1, lettera e) del codice del processo amministrativo); mentre il carattere autoritativo continuerebbe a trovare spazio anche nel nuovo Codice, sotto il profilo dell'autotutela imperativa (nella forma della revoca), potenzialmente esercitabile dall'ente concedente in fase esecutiva, per quanto non sia più espressamente prevista dal nuovo assetto normativo (v. infra, commento all'art. 190), a differenza del previgente codice del 2016 che la richiamava apertamente all'art. 176. Se la concessione di lavori pubblici ha trovato una regolamentazione, ancorché circoscritta ad alcuni limitati profili, sin dalla prima fase di intervento della Comunità europea in materia di contratti pubblici (Direttiva n. 1989/440/CEE), prima della Direttiva 2014/23/UE, la concessione di servizi era stata invece presa in considerazione dalle Direttive 2004/17/CE (sui settori speciali) e n. 2004/18/CE (sui settori ordinari), solo per essere esclusa dal relativo ambito di applicazione [v. art. 1, comma 3, lett. b) Dir. n. 17/2004 e art. 1, comma 4, Dir. 18/2004], ferma la necessità che fossero comunque rispettati, ai fini della scelta del concessionario, i principi fondamentali contenuti nei Trattati della Comunità, prima, e dell'Unione europea, poi. Il criterio di differenziazione tra concessione di lavori e concessione di servizi è di natura qualitativa (v. amplius par. 6), essendo l'oggetto principale (lavori o servizi) del contratto a determinare la riconducibilità del rapporto negoziale all'una o all'altra fattispecie (Corte giust. CE, 26 maggio 2011, C-306/08, Commissione europea c. Regno di Spagna). La questione assumeva, in passato, maggiore rilievo sul piano pratico, rispetto al presente, proprio in considerazione della diversità dei regimi applicabili alle due fattispecie negoziali (v. amplius, par. 3). Deve invece ritenersi esclusa la possibilità di configurare una concessione esclusiva di forniture, che quindi è fattispecie giuridicamente impossibile [art. 5.1, lett. a) e b), direttiva 2014/23/UE]. È in ogni caso l'assunzione da parte del concessionario del rischio operativo – legato, a seconda del tipo di concessione (lavori o servizi), alla gestione delle opere realizzate ovvero a quella dei servizi – a distinguere il contratto di concessione da quello di appalto. Il trasferimento del rischio in capo al privato rappresenta, infatti, il profilo identificativo la concessione rispetto al contratto di appalto, collegato alla trilateralità di un rapporto che tendenzialmente coinvolge anche l'utente chiamato (con riguardo infatti alle c.d. concessioni calde e tiepide) a remunerare direttamente il concessionario. In difetto di questo elemento essenziale, dunque, il contratto deve qualificarsi come appalto (cfr., ex multis, Corte giust. CE, 13 ottobre 2005, C-458/03 – Parking Brixen GmbH; Cons. St. V, n. 1811/2018). Sotto il profilo sistematico, le concessioni sono riconducibili (al pari, tra gli altri, del contratto di finanza di progetto, della locazione finanziaria di opere pubbliche e del contratto di disponibilità) nella più ampia categoria dei contratti di Partenariato Pubblico Privato (PPP). Questa conclusione, invero desumibile anche nel previgente codice del 2016 (cfr. art. 180, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016) nonostante i due istituti fossero stati regolamentati in due distinte parti del testo normativo (la Parte III dedicata alle concessioni e la Parte IV al PPP), è stata formalmente consacrata dal nuovo Codice. All'art. 174, comma 3 (al cui commento si rinvia, anche per più approfondite considerazioni dei rapporti tra contratti di PPP e contratti di concessione) si stabilisce infatti chiaramente che il PPP di tipo contrattuale “comprende”, tra le altre, anche la figura della concessione. Sul punto, uno dei principali pregi del Codice del 2023 è quindi quello di aver operato una efficace riorganizzazione sistematica della disciplina in materia di PPP e concessioni. Profili di continuità ed elementi di novità rispetto al codice del 2016 del contratto di concessione.Sul piano generale, oltre alla accennata sistematizzazione della materia, il nuovo Codice si pone in linea di tendenziale continuità con le novità che erano state introdotte dal codice del 2016 sulla disciplina delle concessioni, anche perché entrambi rappresentano il recepimento della medesima direttiva europea (Direttiva 2014/23/UE). Tali novità, rispetto al precedente d.lgs. n. 163/2006, sono molteplici e riguardano sia il metodo che i contenuti. Quanto al primo profilo, la circostanza che, a livello europeo, l'istituto sia stato oggetto di un'autonoma direttiva che assicura una regolamentazione uniforme e organica all'aggiudicazione dei contratti di concessione anche di servizi (Direttiva 2014/23/UE) ha comportato anche a livello nazionale l'introduzione di una specifica disciplina delle concessioni di servizi e delle concessioni di lavori, oggi contenuta nella Parte II del Libro IV del Codice e, in precedenza, nella Parte III del d.lgs. n. 50/2016 (De Nictolis, 1995). Quanto ai contenuti, tra le maggiori novità vi è la spinta verso una disciplina concorrenziale in tema di affidamento delle concessioni, la definizione del concetto di rischio operativo e l'introduzione di una specifica regolamentazione della fase esecutiva (Guccione, 670). Vi sono comunque alcuni elementi di novità caratterizzanti la disciplina delle concessioni contenuta nel nuovo Codice, che la pongono in termini di discontinuità rispetto alla previgente regolamentazione dettata dal d.lgs. n. 50/2016, e che saranno evidenziati nei successivi commenti alle singole disposizioni. Ad esempio, anticipando sinteticamente alcune delle principali novità, è stata ridefinita la regolamentazione degli obblighi di esternalizzazione a carico dei concessionari selezionati senza gara (art. 186); la disciplina del subappalto è stata integralmente equiparata a quella prevista per gli appalti (art. 188); è stato eliminato il riferimento alla revoca quale motivo di cessazione degli effetti del contratto di concessione, richiamando invece l'istituto del recesso (art. 190). Con specifico riguardo all'articolo 176 qui in commento, esso riprende solo in parte i contenuti dell'analoga disposizione (art. 164) del previgente codice del 2016. Difatti, mentre quest'ultima norma si dedicava sia alla definizione dell'ambito di applicazione della disciplina riferibile all'affidamento, per così dire “a monte”, delle concessioni (art. 164, commi 1, 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016), sia all'individuazione della disciplina applicabile all'affidamento, “a valle”, di contratti “pubblici” da parte dei concessionari (art. 164, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 50/2016); l'attuale art. 176 riguarda solo il primo aspetto. L'individuazione della disciplina applicabile agli affidamenti da parte dei concessionari trova invece oggi autonoma collocazione nell'art. 186 del Codice, che nella sostanza corrisponde, introducendo però importanti elementi di novità che saranno in dettaglio evidenziati nel commento al citato art. 186, agli artt. 164, commi 4 e 5, 177 e 178 del previgente Codice del 2006. L'art. 176 qui in commento stabilisce dunque: i) per un verso, che la Parte II del Libro IV del Codice (di cui l'art. 176 rappresenta la norma di “apertura”) contiene la disciplina applicabile alle “procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione” e alla relativa esecuzione (comma 1); ii) per altro verso, che alle concessioni di servizi di economici di interesse generale (SIEG) si applicano le norme di cui alla citata Parte II del Libro IV del Codice in termini di complementarietà rispetto alla specifica regolamentazione dettata dal d.lgs. n. 201/2022 di “riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica” e da altre norme speciali di settore (comma 2). Un elemento di novità sull'oggetto e sull'ambito di applicazione dei contratti di concessione contenuto nel nuovo Codice è dunque rappresentato dall'esplicito e chiaro coordinamento con la disciplina sui servizi di interesse economico generale (SIEG). In passato, infatti, in assenza di tale coordinamento, spettava all'interprete individuare, di volta in volta, quali disposizioni del Codice dei contratti pubblici integrassero e prevalessero sulle normative di settore, e quali aspetti di converso restassero disciplinati da queste ultime; il Codice del 2023 chiarisce invece che all'affidamento dei SIEG si applicano, in linea generale e salvi i settori esclusi dal successivo art. 181, le disposizioni in esso previste per i contratti di concessione. Tale disciplina del costituisce, tuttavia, solo una parte del complesso di norme in tema di servizi pubblici, contenute, per i profili inerenti alla regolazione economica, nel d.lgs. n. 201/2022 (per quanto concerne, ad esempio: i criteri di individuazione delle attività produttive di interesse economico generale; la conformazione dell'organizzazione dell'attività di impresa; le modalità di gestione; la definizione degli ambiti territoriali ottimali e omogenei; la disciplina delle reti e delle altre dotazioni patrimoniali essenziali; la metodologia tariffaria). I due corpi normativi (Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023 e d.lgs. n. 201/2022) si pongono, dunque, in un rapporto di complementarietà disciplinando aspetti diversi della medesima operazione economica (cfr. art. 176, comma 2). Evoluzione della disciplina sulle concessioniA livello europeo, la nozione di concessione non è definita nei Trattati fondamentali, ma dal diritto derivato. Come anticipato, già nella Direttiva 1989/440/CEE (di modifica della precedente Direttiva 1971/305/CEE in materia di procedure di aggiudicazione di appalti di lavori pubblici) la “concessione di lavori pubblici” era definita come un contratto con le stesse caratteristiche degli appalti pubblici di lavori “ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (art. 1, lett. d). Nel contempo, la definizione, nella stessa direttiva, del contratto di appalto come il contratto avente per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, l'esecuzione e la progettazione dei lavori ovvero l'esecuzione con qualsiasi mezzo di un'opera rispondente ai bisogni specificati dalla stessa amministrazione, valeva ad attrarre – in tutti i casi in cui non fosse prevista quale, anche solo parziale, controprestazione la gestione di un'opera – nella nozione comunitaria di appalto fattispecie qualificate in base al diritto nazionale come concessioni e, in quanto tali, sottratte, ai fini della scelta del contraente, alla disciplina pubblicistica (ad es. la concessione di sola progettazione, costruzione, ed esecuzione: v. Torregrossa, 19). Della “concessione di servizi” è stata fornita, come pure si è anticipato, una definizione espressa con le direttive “unificate” CE del 2004, al solo scopo di chiarire in negativo la sfera di operatività della disciplina dalla quale era esclusa [“un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”: cfr. art. 1, comma 3, lett. b), Dir. 2004/17/CE per i settori speciali; art. 1, comma 4, Dir. 2004/18/CE per i settori ordinari]. In ogni caso, le concessioni di servizi, pur non rientrando, prima della direttiva 2014/23/UE, nella sfera di diretta applicazione della disciplina europea in materia di appalti pubblici – in esito al processo di progressiva pervasività del diritto della Comunità Europea, che in particolare a partire dalla fine del secolo scorso ha ampliato la propria sfera di influenza anche alle fattispecie escluse dall'ambito di applicazione delle direttive – dovevano, comunque, rimanere soggette ai principi generali del Trattato a tutela della concorrenza, che, in linea generale: i) ne vietavano l'affidamento senza gara (ex multis, Corte giust. CE, 7 dicembre 2000, C-324/1998 – Teleausria GmbH); ii) e imponevano, comunque, la scelta del concessionario di servizi nel rispetto dei principi fondamentali del diritto primario della Comunità e dell'Unione Europea e, più in generale, dei principi di trasparenza, pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento (v. anche, Commissione Europea, Comunicazione interpretativa, 1 agosto 2006, in Guce C-179/02). Al di là di una parzialmente diversa formulazione, sul piano sostanziale, la definizione dell'istituto della concessione sia di lavori che di servizi contenuta nelle direttive europee del 2014 non differisce da quella delle precedenti direttive né assume, peraltro, portata innovativa l'esplicito riferimento alla necessaria assunzione del rischio operativo a carico del concessionario (v. anche considerando n. 18, secondo cui, in linea con quanto già previsto dalla giurisprudenza, il rapporto concessorio implica sempre il rischio di natura economica di non riuscire a recuperare, in condizioni operative normali, gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori e i servizi effettuati. La elisione di tale rischio e la garanzia per il contraente di un introito minimo pari agli investimenti effettuati esclude che il rapporto negoziale possa essere qualificato come concessione). Difatti, si tratta anche in questo caso di un'indicazione da tempo nota e riportata, tra l'altro, nella Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 29 aprile 2000, che identificava tra gli elementi tipizzanti la concessione rispetto all'appalto, oltre che l'assunzione del rischio operativo a carico del concessionario, anche la differenza nei destinatari (la collettività nel suo insieme nel caso delle concessioni e la stazione appaltante negli appalti). Questo ultimo profilo, in realtà, non appare in assoluto dirimente: si pensi al modello contrattuale cosiddetto net cost con il quale vengono regolati i rapporti contrattuali con soggetti privati incaricati di svolgere servizi a favore della collettività e remunerati per questa attività direttamente dal committente. Del resto, nello stesso diritto europeo, il vincolo costituito dalla necessaria assenza della garanzia della copertura di investimenti e costi di gestione non sembra assumere portata assoluta. Ad esempio, per i contratti aventi ad oggetto il servizio di trasporto passeggeri per ferrovia esclusi dall'ambito di applicazione della Direttiva n. 2014/23/UE e soggetti ad un regime ad hoc (siano essi gestiti secondo lo schema net cost; ovvero gross cost, con il concorso di un corrispettivo dell'ente committente ad integrare i ricavi da traffico, secondo il modello della concessione di servizi), la stessa disciplina europea stabilisce che al gestore – che non può ricevere sovracompensazioni per le attività – debba essere comunque garantito un utile ragionevole [reg. UE n. 1370/07 e “Comunicazione interpretativa sugli orientamenti interpretativi concernenti il regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia” (2014/C 92/01) del 29 marzo 2014]. Nella sostanza, al di là della formale impostazione del contratto gross cost, il contingentamento dei livelli di utile e la elisione del rischio di perdite sembrerebbero escludere, nella sostanza, la configurabilità del rapporto concessorio. Sul piano sistematico, dunque, il principale elemento di discontinuità rispetto al passato è costituito dall'introduzione con la Direttiva 2014/23/UE di una disciplina organica e uniforme dedicata esclusivamente alla materia delle concessioni, sia di lavori che di servizi, in cui è stata quindi prevista anche una definizione delle stesse per così dire autonoma, svincolata cioè dal riferimento all'istituto dell'appalto [artt. 5, comma 1, lett. a) e b)]. Difatti, l'assenza di una puntuale regolamentazione delle modalità di aggiudicazione dei contratti di concessione costituiva a livello europeo fonte di incertezze giuridiche, ostacolo alla libera fornitura di servizi e causa di distorsione nel funzionamento del mercato interno, con penalizzazione per le piccole e medie imprese (PMI), private di importanti opportunità commerciali, e per le stesse autorità pubbliche non sempre in condizione di utilizzare in modo efficiente le risorse disponibili. Il che ha reso necessaria la definizione di un quadro giuridico completo ed equilibrato della materia con norme chiare e semplici che tenessero conto delle specificità del modello contrattuale rispetto all'appalto ed evitassero l'imposizione di eccessivi oneri burocratici, dirette a consentire un accesso effettivo e non discriminatorio al mercato di tutti gli operatori economici; con gli obiettivi di un ulteriore ampliamento dei mercati internazionali dei mercati pubblici, di rafforzare gli scambi commerciali mondiali e di migliorare le possibilità di accesso al mercato dei contratti pubblici da parte delle PMI (considerando nn. 1 e 2 alla Direttiva n. 2014/23/UE). In sostanza, l'obiettivo dell'intervento europeo era quello di superare (soprattutto in relazione alle concessioni di servizi), con l'apprestamento di regole puntuali e organiche, il perpetuarsi di un quadro privo di reale certezza giuridica in ragione del rischio di interpretazioni ed applicazioni divergenti dei principi del Trattato e di profonde difformità nelle discipline dei diversi Stati membri, assicurando così un contesto regolatorio che tenesse conto dei profili di singolarità dell'istituto e non comportasse vincoli sproporzionati, nella consapevolezza della rilevanza che i contratti di concessione possono assumere per lo sviluppo di infrastrutture e servizi strategici e dei benefici del coinvolgimento di risorse e competenze del settore privato (anche) a servizio degli interessi della collettività (De Nictolis, 1992). In attuazione delle indicazioni europee e in linea con la previgente impostazione del 2016, anche a livello nazionale, è stata dunque confermata con il nuovo Codice una disciplina organica riferita sia alle concessioni di lavori che a quelle di servizi e contenuta nella Parte II del Libro IV (artt. 176-192). Del resto, le problematiche che hanno suggerito un intervento dell'Unione Europea in materia, trovavano corrispondenza anche in sede nazionale, in cui il semplice rinvio, per ciò che attiene alle concessione di servizi, all'obbligatoria applicazione dei soli principi di generali di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità variamente declinabili in concreto poneva frequenti e rilevanti problemi di ordine pratico e incertezze applicative (art. 30, d.lgs. n. 163/2006). Ambito soggettivo di applicazione (rinvio)L'art. 176 definisce innanzitutto l'ambito di applicazione soggettivo della disciplina sulle concessioni di cui alla Parte II del Libro IV del Codice, che trova applicazione ai c.d. enti concedenti (art. 176, comma 1). Con tale nozione si intende “qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di concessione di lavori o di servizi e che è comunque tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del codice” (art. 1, lett. b), dell'all. I.1. al Codice). Tale definizione non è, di per sé, pienamente utile alla diretta individuazione del novero dei soggetti tenuti all'applicazione della disciplina applicabile, per i quali occorre fare riferimento anche alla disciplina europea. Restano di conseguenza attuali e rilevanti le nozioni di amministrazione aggiudicatrice e di ente aggiudicatore, rispettivamente per i settori ordinari e per i settori speciali (gas ed energia termina; elettricità; acqua; servizi di trasporto; porti e aeroporti; servizi postali; estrazione gas, petrolio o altri combustibili solidi, per la cui puntuale ricognizione si rinvia agli artt. da 146 a 152). Si tratta, infatti, delle nozioni prese in considerazione della disciplina europea (Direttive 23, 24 e 25 del 2014) di cui il Codice costituisce recepimento, come del resto espressamente confermato anche all'art. 174, comma 2 secondo cui per “ente concedente ... si intendono le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori di cui all'art. 1 della Direttiva 2014/23/UE”. Con specifico riguardo agli enti aggiudicatori, ci si limita in questa sede ad evidenziare che se, da un lato, all'applicazione della disciplina sulle concessioni debbono sempre ritenersi assoggettate le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche e i soggetti operanti in virtù di diritti speciali o esclusivi sono, invece, soggetti alla disciplina sulle concessioni nelle sole ipotesi in cui i lavori o i servizi oggetto di affidamento siano destinati ad una delle attività proprie dei c.d. settori speciali (c.d. nesso di strumentalità). Ambito oggettivo ed esclusioniAmbito oggettivo Sul piano oggettivo, la Parte II del Libro IV del Codice qui in rassegna trova applicazione alle concessioni di lavori e a quelle di servizi pubblici. Quanto alle prime, la classificazione storicamente riconosciuta in base alle opere che sono oggetto di concessione si articola in tre categorie. Le concessioni calde, dotate di intrinseca capacità di generare reddito attraverso l'esazione di un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti. È questa l'ipotesi delle autostrade o dei parcheggi. Le concessioni tiepide, per le quali non sono sufficienti i ricavi d'utenza per il ripianamento delle risorse impiegate, risultando necessario un intervento pubblico di natura economica. Si pensi al trasporto pubblico locale o alla gestione di impianti sportivi. Le concessioni fredde, laddove il privato realizza l'infrastruttura e successivamente rende direttamente il servizio all'amministrazione che lo retribuisce (il privato non viene quindi pagato dagli utenti). È l'ipotesi degli ospedali, delle carceri o delle scuole. Rispetto a quest'ultima tipologia, il Consiglio di Stato, in sede consultiva del previgente Codice del 2016, aveva mostrato perplessità di carattere sostanziale ritenendo lo schema concessorio ontologicamente riconducibile alle sole concessioni calde o tiepide. Ciononostante, non ne ha potuto escludere l'applicabilità anche alle opere fredde, alla luce del tenore letterale e dell'impostazione sistematica della Direttiva 2014/23/UE che riconducono il rischio operativo anche alla sola alea sul lato dell'offerta (parere Cons. St. 1° aprile 2016, n. 855). Tale conclusione è stata oggi formalmente consacrata con il nuovo Codice del 2023. Quanto alle seconde, una prima rilevante e preliminare perimetrazione della sfera di operatività della disciplina in tema di concessioni sul piano oggettivo è costituita dalla sola riferibilità agli affidamenti relativi ai servizi generali di interesse economico mentre, per la loro stessa natura ed inidoneità a generare flussi idonei a remunerare, anche solo in parte, le attività di gestione, non può trovare applicazione a quelli privi di interesse economico, come espressamente stabilito dall'art. 181, comma 1, del Codice (nonché, a contrario, dall'art. 176, comma 2, qui in commento, che si riferisce espressamente ai soli servizi economici di interesse generale). La distinzione tra servizi di interesse generale economici o non economici (cfr. art. 57 TFUE) è, infatti, incentrata [cfr. art. 2, comma 1, lettere h) e i) d.lgs. n. 175/2016] sul criterio economico della remuneratività, intesa in termini di redditività anche solo potenziale, cioè di possibilità di coprire i costi di gestione attraverso il conseguimento di un “corrispettivo economico nel mercato” (v. Libro Bianco sui servizi di interesse generale, Comunicazione della Commissione CE, 12 maggio 2004). Il servizio ha rilevanza economica quando il gestore ha la possibilità potenziale di coprire tutti i costi; al contrario, un servizio è privo di rilevanza economica quando è strutturalmente antieconomico, perché potenzialmente non remunerativo, in quanto il mercato non è in grado o non è interessato a quella prestazione (Cons. St. V, n. 858/2021). Peraltro, la redditività di un servizio non può essere oggetto di valutazioni di ordine generale e astratto, ma deve essere apprezzata caso per caso, con riferimento alla soluzione organizzativa prescelta dal soggetto pubblico per soddisfare gli interessi della collettività, alle specifiche modalità della gestione, ai relativi costi ed oneri di manutenzione, alla struttura tariffaria (libera od imposta) per l'utenza, alla praticabilità di attività accessorie etc.. Conformemente a queste direttrici, pertanto, il legislatore ha escluso l'applicazione della disciplina sull'evidenza pubblica a quei servizi che si collocano per definizione “fuori dal mercato” (Montedoro, 75; Caia, 145). L'art. 4, par. 1, della Direttiva 2014/23/UE demanda, comunque, agli Stati membri la libertà di definire, nel rispetto del diritto dell'Unione Europea, i servizi di interesse economico generale, le relative modalità organizzatorie e di finanziamento, in conformità alle regole sugli aiuti di Stato e gli obblighi giuridici ai quali essi debbano ritenersi soggetti. Permane, quindi, il controllo della Commissione UE sulla istituzione del servizio [Carullo, Iudica, 1258]. L'ambito oggettivo di applicazione della disciplina sui contratti di concessione è naturalmente definito anche sul parametro quantitativo costituito dal valore della concessione, che deve essere pari o superiore a soglie predeterminate (cfr. art. 179, al cui commento si rinvia). Più nello specifico, la disciplina dettata dalla Parte II del Libro IV del Codice qui in rassegna si applica ai contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi di valore superiore alle soglie europee sia per i settori ordinari che per i settori speciali (art. 14, comma 1). I contratti di concessione c.d. sotto soglia possono invece essere affidati mediante procedure competitive informali (art. 187, comma 1), fermo restando che la relativa esecuzione resta comunque soggetta alle disposizioni sul punto dettate dal Codice (art. 187, comma 2). La soglia di rilevanza europea in tema di concessioni è quella prevista per gli appalti di lavori, indipendentemente dalla configurabilità del rapporto contrattuale in termini di concessione di lavori ovvero di servizi (cfr. art. 14, comma 1, lett. a). Per il biennio 2022-2023, la soglia per tutti i tipi di concessioni è quindi pari ad € 5.382.000, fermo restando che, come noto, si tratta di valore dinamico aggiornato dai Regolamenti UE con cadenza biennale. Come anticipato (par. 3), per ciò che attiene alle concessioni, il discrimine tra l'applicazione della disciplina sui settori ordinari o speciali è analogo a quanto previsto per i contratti di appalto ed è legato alla destinazione (funzionalizzazione) o meno dei lavori o dei servizi oggetto della concessione ad una delle attività proprie dei settori speciali (c.d. contratti strumentali). Nei casi in cui manchi il nesso di strumentalità ed il contratto di concessione debba considerarsi, quindi, estraneo all'attività istituzionale del settore speciale in cui opera l'ente aggiudicatore, laddove quest'ultimo sia sussumibile nella nozione di amministrazione aggiudicatrice, troverà applicazione la disciplina prevista per le concessioni nei settori ordinari; nel caso in cui sia un'impresa pubblica o un soggetto privato non riconducibile anche nella nozione di amministrazione aggiudicatrice, la procedura di scelta del contraente non sarà attratta nella disciplina pubblicistica di cui al Libro IV in rassegna, ma sarà soggetta alle regole del diritto comune, con ovvie conseguenze anche in punto di giurisdizione (mutatis mutandis, seppur in riferimento alla fattispecie di appalto, Cons. St., Ad. Pl., n. 16/2011). Sull'ambito oggettivo di applicazione della disciplina sui settori speciali e sul c.d. nesso di strumentalità, si rinvia al commento all'art. 141. Sempre sul piano oggettivo, la sfera di operatività della disciplina in tema di contratti di concessione è infine delimitata in negativo da una serie di esclusioni, alcune delle quali sono specificamente previste per le concessioni (v. par. 5.2), mentre altre, di portata più generale e comuni ai contratti di appalto, trovano applicazione anche a queste ultime (v. par. 5.3). Esclusioni. Come appena anticipato, dal punto di vista dell'ambito oggettivo di applicazione, oltre alla evidenziata inapplicabilità della disciplina sulle concessioni di cui alla Parte II del Libro IV ai servizi non economici di interesse generale, è prevista una ulteriore deroga alle procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento delle concessioni nei casi in cui ciò risulti necessario “alla tutela degli interessi essenziali” della sicurezza nazionale “e che si riferiscano alla produzione o al commercio di armi, munizioni e materiale bellico” (art. 346 TFUE, comma 1, lett. b). A differenza del previgente art. 164, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, l'art. 176 qui in commento, perimetra l'ambito oggettivo di applicazione della disciplina sulle concessioni senza fare espressamente salve “le disposizioni di cui all'articolo 346 del TFUE” (che consente agli Stati membri di adottare le misure ritenute necessarie per la tutela degli interessi essenziali suindicati). Si tratta di una limitazione all'ambito di operatività della disciplina, che non può ritenersi superata, sia perché derivante direttamente dalla prevalente normativa europea (art. 346 TFUE) sia perché comunque indirettamente confermata dall'art. 137, comma 6, secondo cui “l'appalto o la concessione possono essere aggiudicati senza applicare il codice ove includa elementi cui si applica l'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea”. L'esclusione riguarda quindi particolari contratti concernenti aspetti di difesa e sicurezza nazionale, per il cui approfondimento si rinvia al commento agli articoli 136 e seguenti. In questa sede, è opportuno evidenziare che l'elenco dei materiali così acquisibili è stato deliberato il 15 aprile 1958 n. 255 dal Consiglio europeo, per come successivamente e costantemente aggiornato. Sono, inoltre, esclusi dall'applicazione della Parte II del Libro IV del Codice gli atti amministrativi, comunque denominati, di autorizzazione all'esercizio di un'attività economica, eventualmente da svolgere anche mediante l'utilizzo di impianti o altri beni immobili pubblici. Pertanto, devono ritenersi esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina del Codice quei provvedimenti che, pur nominalmente definiti concessori, siano nella sostanza autorizzazioni o titoli abilitativi all'esercizio di attività economiche per le quali sia necessario il previo assenso della P.A. (es. licenza per la somministrazione di sostanze alcoliche, concessione di occupazione del suolo pubblico per attività di vendita itinerante etc.). Anche in tal caso, in una logica di semplificazione del testo, l'art. 176 qui in commento non ha riproposto espressamente tale esclusione, che, contemplata in termini espliciti dall'art. 164, comma 1, ult. per., del previgente d.lgs. n. 50/2016, aveva una portata meramente ricognitiva attesa l'ontologica differenza tra gli istituti in questione. Ma anche in tal caso l'esclusione non può ritenersi superata sia perché confermata nella relazione illustrativa al Codice predisposta dal Consiglio di Stato, nella quale, proprio in relazione all'art. 176, è stato chiaramente rimarcato “per completezza ... che non sono invece interessati dalla disciplina del Codice dei contratti pubblici i regimi di autorizzazione per l'accesso ad un'attività economica”. Sia perché siffatta esclusione trae origine dai considerando nn. 14 e 15 della Direttiva 2014/23/UE, secondo i quali, infatti, non dovrebbero considerarsi come concessioni: a) gli atti, quali autorizzazioni o licenze, con cui l'autorità pubblica stabilisce le condizioni per un'attività economica, di norma su richiesta dell'operatore economico e non su iniziativa dell'ente concedente e nel cui ambito l'operatore economico rimane libero di recedere dalla fornitura dei lavori o servizi (considerando n. 14); b) gli accordi aventi per oggetto il diritto da parte dell'operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali ad esempio i terreni, in particolare nei settori dei porti e degli aeroporti (considerando n. 15). Il regime derogatorio in esame pare innanzitutto riferirsi alla distinzione teorica tra concessioni costitutive e concessioni traslative. Le prime assegnano una utilitas di nuova creazione al privato, le seconde trasferiscono al privato una utilitas di titolarità dell'amministrazione. La distinzione è recepita nel diritto positivo all'art. 19, l. n. 241/1990, ove è consentita la sostituzione con s.c.i.a. dei provvedimenti di rilascio delle “concessioni non costitutive”. Inoltre, esso appare riferirsi al caso in cui all'esercizio dell'attività economica si aggiunge l'impiego di beni pubblici. Si tratta quindi delle concessioni demaniali e delle concessioni di servizi pubblici con utilizzo di demanio pubblico (ad esempio, la concessione di spiagge per l'esercizio di stabilimenti balneari) che quindi deve ritenersi escluso dall'ambito di operatività della disciplina (Realfonzo, 392. Diversa la posizione di Garella, 380, secondo cui la disposizione deve intendersi riferita ad ipotesi, quali ad esempio quella del trasporto ferroviario, in cui lo svolgimento dell'attività presupporrebbe l'utilizzo in via strumentale di beni pubblici. L'opinione, in realtà, non tiene conto del fatto che – proprio nell'esempio fatto – l'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria è regolato per via di appositi contratti di diritto privato che regolano criteri, modalità e contenuti economici per l'accesso all'infrastruttura con il gestore della rete sia essa nazionale o locale). L'affidamento delle concessioni demaniali e di quelle di servizi con utilizzo di demanio pubblico pur non essendo soggetto alla disciplina sulle concessioni di cui alla Parte II del Libro IV del Codice, non può prescindere dal rispetto dei principi dell'evidenza pubblica ogni qualvolta il numero di “autorizzazioni” disponibili per l'esercizio di una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. In tal caso, trova applicazione la c.d. Direttiva Bolkeinstein (2006/123/CE) recepita in Italia con il d.lgs. n. 59/2010 (Corte giust. UE, 14 luglio 2015, C-458/14 e C-67/15; Cons. St., Ad. Plen., nn. 17/2021 e 18/2021). In questa prospettiva e con specifico riferimento alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative (c.d. concessioni balneari), soggette al “solo” rispetto dei principi dell'evidenza pubblica in applicazione della c.d. direttiva Bolkeinstein (2006/123/CE), è stato quindi di recente affermato che “le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la (loro) proroga automatica” si pongono in “contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l'art. 49 TFUE e con l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE ... e, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione” (Cons. St., Ad. Plen., n. 17/2021 e 18/2021). Ai fini della individuazione della disciplina in concreto applicabile ai diversi tipi di concessione, è dunque necessario inquadrare correttamente la natura del rapporto avente per oggetto la gestione di un bene demaniale, per comprendere la sua riconducibilità: i) nella nozione di concessione demaniale, sottratta all'applicazione della disciplina in commento ed eventualmente soggetta “solo” al rispetto dei principi generali di evidenza pubblica di cui alla citata direttiva Bolkeinstein; ii) ovvero nel modulo della concessione di servizi vera e propria, attratta come tale nella sfera di applicazione della Parte II del Libro IV del Codice qui in rassegna. Diversi sono gli elementi che assumono rilievo a tal fine e che concorrono ad un corretto inquadramento della fattispecie. Per un verso, assume carattere determinante il momento della “gestione”, rispetto al quale l'affidamento del bene di proprietà pubblica si prefigura come meramente strumentale. È inoltre necessario che l'attività oggetto di affidamento sia configurabile in termini di servizio pubblico, omologo alla nozione di servizio di interesse generale di derivazione europea, da intendersi quindi quale attività di produzione di beni e servizi che si distingue dalle comuni attività economiche, in quanto persegue una finalità di interesse generale che ne giustifica l'assoggettamento ad un regime giuridico differenziato (di regola, in presenza di caratteristiche situazione di c.d. fallimento del mercato). Ne costituiscono invero caratteristici indici sintomatici e, a un tempo, elementi costitutivi: a) la natura propriamente erogativo-prestazionale dell'attività esercitata; b) l'operatività, sul piano infrastrutturale, di un momento organizzativo stabile, con un controllo pubblico preordinato a garantire ed assicurare un livello minimo servizio; c) la destinazione dell'attività ad una generalità di cittadini, con carattere di universalità delle prestazioni (di tal che, ferme restando le relative modalità, il servizio deve essere reso a tutti i soggetti che, rispettando le condizioni ed avendo i requisiti per l'accesso, ne facciano richiesta). In presenza di tali elementi, l'affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici – appartenenti al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826 del c.c. – non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura, per l'appunto, una concessione di servizi (Cons. St. V, n. 858/2021). Resta fermo che l'ulteriore qualificazione di tale ultimo modulo concessorio, ai fini dell'applicabilità o meno della Parte II del Libro IV del Codice in rassegna, impone di distinguere tra affidamenti potenzialmente remunerativi e quelli non remunerativi, alla luce della distinzione tra servizi economici o, appunto, non economici di interesse generale, posto che, come visto, per questi ultimi non opera comunque la disciplina sull'affidamento dei contratti pubblici qui in commento (art. 181, comma 1, su cui supra, par. 5.1). Altre esclusioni (rinvio) Come anticipato, oltre ai casi di esclusione appena esaminati, la disciplina sulle concessioni non trova applicazione ad ulteriori e specifiche ipotesi previste all'art. 181, comma 2, e all'art. 2, lett. m), dell'allegato I.1 del Codice. Nel rinviare ai commenti dedicati a ciascuno di tali articoli, è comunque il caso di evidenziare che sono escluse dall'ambito di applicazione del Codice: – le concessioni affidate in house o mediante cooperazione fra enti pubblici (artt. 10 e 17 della Dir. 2024/23/UE); – quelle affidate in virtù di un diritto esclusivo (art. 10 Dir. 2024/23/UE); – alcune particolari concessioni nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel settore idrico (rispettivamente artt. 11 e 12 Dir. 2024/23/UE); – quelle a imprese collegate e in joint venture nei settori speciali (rispettivamente, artt. 13 e 14 Dir. 2024/23/UE); – le concessioni nei settori speciali per attività direttamente esposte alla concorrenza, ove tale apertura sia stata accertata dalla Commissione europea (art. 16 Dir. 2024/23/UE); – quelle aggiudicate in base a norme internazionali; – alcune ulteriori concessioni di specifica tipologia (art. 2, lett. m), dell'allegato I.1 del Codice). La distinzione tra concessioni di lavori e concessioni di servizi.Per quanto la disciplina in tema di concessioni di lavori e quella in tema di servizi siano oggi tendenzialmente uniformi, la distinzione tra le due fattispecie, certamente meno rilevante che in passato, continua a mantenere una significativa importanza (non solo sul piano teorico e a fini tassonomici ma) anche su quello pratico, posta l'applicabilità di alcuni istituti solo all'una o all'altra tipologia di concessioni (si pensi, ad esempio, al rischio di costruzione che è naturalmente proprio della concessione di lavori). Come in parte anticipato (par. 1), il criterio di differenziazione tra concessione di lavori e concessione di servizi è di natura qualitativa (o funzionale). Occorre cioè stabilire se l'oggetto principale del contratto di concessione riguardi la costruzione di un'opera per conto del concedente oppure se, al contrario, tali lavori siano meramente accessori rispetto all'oggetto principale del contratto. Se la costruzione di un'opera assume una portata preminente nell'assetto complessivo del contratto rispetto all'attività di gestione, si tratta di una concessione di lavori. Al contrario, nel caso in cui la realizzazione di lavori assuma una portata solo a titolo accessorio o riguardi unicamente la gestione di un'opera esistente, l'oggetto principale del contratto va individuato nella gestione del servizio e il contratto va trattato come una concessione di servizi. Quest'ultima, naturalmente, si configura poi nell'ipotesi in cui vi sia unicamente la gestione di un servizio svincolato dall'infrastruttura (si pensi, ad esempio, alle concessioni dei servizi di distribuzione automatica di cibo e bevande). Il regime applicabile all'affidamento delle concessioni.Alla regolamentazione delle procedure di affidamento delle concessioni è dedicato il Titolo II (“L'aggiudicazione delle concessioni: principi generali e garanzie procedurali”), della Parte II del Libro IV, che si compone da sette articoli (da 182 a 187), che non esauriscono, però, il complesso delle norme applicabili. Allo scopo di definire la disciplina applicabile all'affidamento delle concessioni, infatti, il nuovo Codice ha adottato, con alcuni limitati elementi di differenziazione, l'impostazione del previgente d.lgs. n. 50/2016. Nell'ambito della scelta di un recepimento unitario delle tre direttive del 2014, si è evitato di introdurre un corpo autonomo di disposizioni che regolamentassero compiutamente l'attività degli enti concedenti, dando, invece, vita ad un unico sistema conchiuso racchiuso in un testo unico relativo al contempo tanto agli appalti quanto alle concessioni (d.lgs. n. 36/2023). In questo quadro, la disciplina sull'affidamento dei contratti di concessione è dunque composta: a) da un blocco di norme ad oggetto esclusivo in quanto previste specificamente per gli affidamenti delle concessioni (artt. da 182 a 187); b) da una serie di disposizioni dedicate agli appalti ma applicabili, in virtù di appositi rinvii contenuti nei suddetti artt. da 182 a 187, anche alle concessioni (ad es., l'art. 85 sugli oneri di pubblicità a livello nazionale, richiamato all'art. 182, comma 12; l'art. 101 sul soccorso istruttorio, in virtù del rinvio operato ad esso dall'183, comma 11; e così via); c) da un blocco di norme comuni riferibile alla totalità degli affidamenti (appalti e concessioni), essendo contenute nel Libro I del Codice dedicato a principi generali, alla digitalizzazione e alle attività di programmazione e progettazione, ontologicamente applicabili anche alle concessioni e non solo agli appalti (tanto che nelle disposizioni del Libro I del Codice si fa costante e contestuale riferimento alle nozioni di stazione appaltante ed ente concedente, a differenza del Libro II del Codice che, essendo riferito agli appalti nei settori ordinari, non contempla in nessuna disposizione la figura dell'ente concedente). Poste tali premesse, occorre tuttavia una importante precisazione per delimitare correttamente il perimetro delle disposizioni applicabili alle concessioni di lavori o di servizi con particolare riguardo a quelle nei settori speciali. Difatti la ricognizione della disciplina ad esse applicabile deve essere effettuata secondo quanto stabilito agli artt. da 141 a 173 del Codice (ai cui commenti si fa dunque rinvio). Così, ad esempio, alle concessioni nei settori speciali (a differenza di quelle nei settori ordinari) il Libro I del Codice non troverà integrale applicazione, ma solo nei limiti delineati dall'art. 141, comma 3, del Codice. I contratti affidati dal concessionario (rinvio)Come anticipato (par. 2), mentre l'art. 164 del previgente codice del 2016 si dedicava sia alla definizione dell'ambito di applicazione della disciplina riferibile all'affidamento, per così dire “a monte”, delle concessioni (art. 164, commi 1, 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016), sia all'individuazione della disciplina applicabile all'affidamento, “a valle”, di contratti “pubblici” da parte dei concessionari (art. 164, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 50/2016); il corrispondente e attuale art. 176 riguarda solo il primo aspetto. L'individuazione della disciplina applicabile agli affidamenti da parte dei concessionari trova invece oggi autonoma collocazione nell'art. 186 del Codice, al cui commento si fa dunque rinvio. Questioni applicative.1) La distinzione tra concessione e appalto. Come anticipato, il trasferimento del rischio in capo al privato è il profilo che identifica la concessione distinguendola dall'contratto di appalto. In difetto di questo elemento essenziale, infatti, il contratto deve qualificarsi come appalto ordinario. In via preliminare, diventa quindi fondamentale definire correttamente il concetto di rischio operativo, nelle sue principali tipologie di rischio di costruzione, rischio di disponibilità e rischio di domanda. In secondo luogo, è fondamentale comprendere quale sia la soglia, superata la quale, il rischio possa ritenersi effettivamente trasferito in capo al concessionario, perché possa configurarsi correttamente il rapporto in termini di concessione. Si tratta di temi che saranno anticipati in questa sede e poi ripresi nel commento al successivo art. 177, dedicato appunto al “Contratto di concessione e traslazione del rischio operativo”. In linea con la Direttiva 2014/23/UE, una delle principali novità introdotte dal previgente codice del 2016 nell'ambito dei contratti di concessione, confermata dal nuovo Codice del 2023, è proprio l'introduzione della definizione del concetto di rischio operativo, che deve necessariamente essere trasferito in capo al privato (cfr. art. 177 del Codice). Si tratta di un rischio che deve derivare da fattori fuori dal controllo delle parti (cfr. art. 5 e considerando n. 20 della Direttiva 2014/23/UE), che in passato era stato più volte declinato e puntualizzato dalla giurisprudenza, europea e nazionale, e che oggi ha quindi trovato definitiva affermazione in via normativa. La giurisprudenza europea aveva in sostanza individuato le caratteristiche del rischio operativo inteso come rischio di gestione economica ed esposizione dell'impresa all'alea del mercato: “il rischio di gestione economica del servizio deve essere inteso come rischio di esposizione all'alea del mercato, il quale può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio d'insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad una carenza del servizio” (Corte giust. UE, 10 marzo 2011, C-274/09, Stadler; vedasi anche: Corte giust. UE, 10 settembre 2009, C-206/08, Eurawasser; Corte giust. UE, 27 ottobre 2005, C-234/03, Contse e a.). Nel Codice, il rischio operativo – che comprende anche il c.d. rischio di costruzione (v. infra) – è definito come il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell'offerta o di entrambi, che può considerarsi effettivamente trasferito all'operatore economico nel caso in cui: a) in condizioni operative normali, per tali intendendosi l'insussistenza di eventi non prevedibili, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione; b) comporti una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile (cfr. 177 del Codice). La circostanza che il rischio operativo derivi da fattori al di fuori del controllo delle parti rappresenta l'elemento di differenziazione rispetto a rischi come quelli legati a una cattiva gestione o a inadempimenti contrattuali da parte dell'operatore economico, che non sono determinanti ai fini della qualificazione giuridica del contratto come concessione, in quanto presenti anche nei contratti di appalto pubblico. Più in particolare, il rischio di domanda è legato alla riduzione dei livelli di richiesta del servizio e costituisce di regola un elemento del consueto “rischio economico” sopportato da ogni operatore in un'economia di mercato. Esso può quindi derivare: a) dalla generale contrazione della domanda di mercato, ossia dalla riduzione della domanda complessiva del mercato relativa al servizio, che si riflette anche su quella dell'operatore economico; b) dalla contrazione della domanda specifica, legata alla presenza nel mercato di riferimento di un'offerta competitiva di altri operatori che eroda parte della domanda. Il rischio assunto dal concessionario si valuta proprio intorno alla aleatorietà della domanda di prestazioni, poiché l'errore di valutazione del livello di domanda attendibile evidentemente condiziona la remuneratività dell'investimento e misura la validità imprenditoriale dell'iniziativa. Si tratta di una tipologia di rischio imprenditoriale che appare molto diversa da quella riscontrabile nel contratto di appalto (di lavori, servizi o forniture), proprio perché entra in giuoco un elemento imponderabile (cioè la domanda di prestazioni per quel servizio pubblico, non determinabile a priori); elemento che nell'appalto non compare (T.A.R. Sardegna (Cagliari) I, n. 94/2018). Il rischio di domanda non è di regola presente nelle concessioni relative alle cd. opere fredde come, ad esempio, carceri, scuole, ospedali (per la distinzione tra concessioni di lavori calde, tiepide o fredde, v. supra par. 5.1). In tali casi, ai fini della qualificazione del contratto come concessione, è necessaria l'allocazione in capo all'operatore economico, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità. La circostanza per cui, per espressa previsione di legge, il rischio operativo, che è proprio delle concessioni, è legato all'alea anche solo sul lato dell'offerta (art. 177 del Codice) deve far ritenere che, nonostante le perplessità di parte della dottrina, le concessioni di lavori fredde siano configurabili anche alla luce del nuovo Codice. Il rischio sul lato dell'offerta corrisponde infatti al rischio di disponibilità, che è legato alla capacità da parte del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità. Esso ricomprende i casi in cui, durante la realizzazione dell'attività, è invocata la responsabilità per gestione insufficiente risultante in un volume di servizi inferiore rispetto a quanto stipulato da contratto o in servizi che non incontrano gli standard qualitativi specificati (art. 177 del Codice). Alle due tipologie di rischio appena esaminate (di domanda e di disponibilità), si affianca poi il rischio di costruzione, proprio delle concessioni di lavori e inerente a tutti gli eventi riguardanti lo stato iniziale delle attività coinvolte. Esso è infatti legato a circostanze quali il ritardo nei tempi di consegna, il non rispetto degli standard di progetto, l'aumento dei costi ed effetti esterni negativi (compresi rischi ambientali) che determinano il pagamento di rimborsi a terzi. In tutti questi casi, l'assunzione del rischio da parte del privato implica che non sono ammessi pagamenti pubblici che non siano correlati alle condizioni prestabilite nel contratto di costruzione dell'opera. A differenza del previgente codice del 2016 in cui era espressamente contemplato e definito [art. 3, comma 1, lett. aaa) del d.lgs. n. 50/2016], il nuovo Codice del 2023 non contiene riferimenti espressi a tale tipologia di rischio. Permane comunque anche nel nuovo quadro normativo l'attualità della nozione di rischio di costruzione sia perché si tratta di rischio ontologicamente riconducibile a ogni concessione di lavori pubblici sia perché discendente dalla disciplina europea. Sul piano sostanziale, infatti, le tre principali tipologie di rischio così individuate (di costruzione, di disponibilità e di domanda) non differiscono nella sostanza da quanto a suo tempo previsto della nota decisione Eurostat del 2004 (Decisione Eurostat dell'11 febbraio 2004 “Treatment of Public-Private Partnership”), dalla quale sono state individuate. Queste tre tipologie di rischio devono considerarsi riconducibili alla più ampia nozione di rischio operativo, in un rapporto di species a genus (Guccione, 714). Come già evidenziato, perché sia realmente ipotizzabile un rapporto di concessione, non è sufficiente l'esistenza “nominale” di un rischio operativo, ma occorre che sotto il profilo quantitativo esso possa effettivamente ritenersi trasferito in capo al privato. Non vi è sul punto un parametro oggettivo e certo, dovendo la soluzione essere individuata caso per caso, sulla base di molteplici fattori legati alle caratteristiche della singola operazione, ma deve escludersi che, perché sia configurabile un contratto di concessione, il rischio debba necessariamente essere allocato in via integrale al privato (cfr. considerando n. 19 della Direttiva 2014/23/UE). In sostanza, il rischio può essere trasferito anche solo in parte al concessionario, ma comunque in misura significativa (vedasi, amplius, il successivo art. 177). Problemi attuali.Rapporti tra disciplina sulle concessioni e disciplina sul Partenariato Pubblico Privato (rinvio) Il previgente codice del 2016, pur includendo le concessioni nel novero dei contratti di Partenariato Pubblico Privato (cfr. art. 180, comma 8), ne aveva poi dettagliato una disciplina ad hoc (Parte III distinta rispetto alla parte IV che era invece dedicata al PPP). La distinzione sembrava trovare origine nel fatto per cui, mentre per le concessioni la normativa nazionale costituiva (e costituisce) recepimento della disciplina europea di riferimento (Direttiva 2014/23/UE), per i contratti di PPP è assente una fonte normativa europea in senso stretto cui dare attuazione, con conseguente possibilità per gli Stati membri di intervenire “liberamente” e legittimamente sul tema. Il PPP rappresenta, infatti, una categoria autonoma, non riconducibile né all'appalto né alla concessione e, conseguentemente, né alla Direttiva 24 né alla Direttiva 23 del 2014, salvo per il caso di quei PPP lato sensu che sono le concessioni (Guccione, 684). Una siffatta distinzione tra discipline (quella del PPP e quella delle concessioni) tra loro strutturalmente e intimamente legate, si è affievolita con il Codice del 2023, nell'ambito del quale infatti: a) per un verso, la regolamentazione dei due istituti è stata unificata in un unico Libro (il IV) dedicato appunto al PPP e alle concessioni; b) per altro verso, è stato ancor più chiaramente ed espressamente precisato che il partenariato pubblico privato di tipo contrattuale ricomprende, tra l'altro, i contratti di concessione (art. 174, comma 3). BibliografiaBertolissi, Domenichelli, Sala, I contratti pubblici di lavori, forniture e servizi, Padova, 2014; Caia, I servizi pubblici nell'attuale momento ordinamentale, in Aa.Vv., Scritti in onore di V. Spagnuolo Vigorita, Napoli, 2007; Carullo, Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2018; De Nictolis, I nuovi appalti pubblici, Torino, 2017; Garella, in Garella, Mariani, Il codice dei contratti pubblici: commento al decreto 18 aprile 2016, n. 50, Torino, 2016; Goisis, La concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche, in Villata, Mameli, Concessioni amministrative (ad vocem), in Cassese (diretto da), Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006; Guccione, Oggetto e durata delle concessioni, Il rischio nelle concessioni, in Contessa (a cura di), Il contenzioso e la giurisprudenza in materia di appalti pubblici, Milano, 2019; Montedoro, Servizi pubblici e riparto di giurisdizione dopo la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, in Dir. proc. amm., 2005; Realfonzo, in Caringella, Mantini, Giustiniani (diretta da), Il nuovo diritto dei contratti pubblici, Roma, 2016; Torregrossa, I principi fondamentali dell'appalto comunitario, in AA.VV., Gli appalti nel settore energetico, Milano, 1994. |