Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 186 - Affidamenti dei concessionari.

Domenico Galli
Adriano Cavina
Codice legge fallimentare

Artt. 164 comma 4, 164 comma 5, 177, 178


Affidamenti dei concessionari.

1. Agli appalti affidati dai concessionari che siano stazioni appaltanti si applicano le disposizioni del codice in materia di appalti.

2. I titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici, ad esclusione di quelli disciplinati dal Libro III, già in essere alla data di entrata in vigore del codice, di importo pari o superiore alle soglia di rilevanza europea, e non affidate conformemente al diritto dell'Unione europea vigente al momento dell'affidamento o della proroga, affidano mediante procedura ad evidenza pubblica una quota tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario; l'ente concedente tiene conto delle dimensioni economiche e dei caratteri dell'impresa, dell'epoca di assegnazione della concessione, della sua durata residua, del suo oggetto, del suo valore economico e dell'entità degli investimenti effettuati. L'affidamento avviene mediante procedura ad evidenza pubblica, con la previsione di clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità.

3. In caso di comprovata indivisibilità delle prestazioni di servizi dedotte in concessione, in sostituzione dell'obbligo di esternalizzazione di cui al comma 2, il concessionario corrisponde all'ente concedente un importo compreso tra il minimo del 5 per cento ed il massimo del 10 per cento degli utili previsti dal piano economico-finanziario, tenendo conto dell'epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto, del suo valore economico e dell'entità degli investimenti.

4. Le concessioni di cui ai commi 2 e 3 già in essere sono adeguate alle predette disposizioni entro il termine di sei mesi dall'entrata in vigore del codice.

5. Le modalità di calcolo delle quote di cui comma 2, primo periodo, sono definite dall'ANAC entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice. Sull'applicazione del presente articolo vigila l'ANAC anche tenuto conto del valore delle prestazioni eseguite.

6. Per i concessionari autostradali, le quote e i criteri di determinazione di cui al comma 2 sono calcolati sulla base degli importi risultanti dai piani economici finanziari annessi agli atti convenzionali. La verifica del rispetto delle predette soglie è effettata dal concedente con cadenza quinquennale. A tal fine, i concessionari presentano al concedente il piano complessivo dei lavori, servizi e forniture. Ove siano accertate situazioni di squilibrio rispetto alle quote obbligatorie di affidamento indicate dal comma 2, primo periodo, in sede di aggiornamento del rapporto concessorio sono adottate misure di riequilibrio a valere sui relativi piani economici finanziari. Nell'ipotesi di mancato rispetto delle quote di cui al comma 2, l'ente concedente può altresì richiedere al concessionario la presentazione di garanzie fideiussorie. Tali garanzie fideiussorie sono svincolate in sede di aggiornamento del piano economico-finanziario ove sia accertato il rispetto delle quote di cui al comma 2.

7. Le concessioni autostradali relative ad autostrade che interessano una o più regioni possono essere affidate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a società in house di altre amministrazioni pubbliche anche appositamente costituite. A tal fine il controllo analogo sulla predetta società in house può essere esercitato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attraverso un comitato disciplinato da apposito accordo ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che eserciti sulla società in house i relativi poteri.

Inquadramento

La disposizione in rassegna è dedicata, in via principale, a regolamentare gli affidamenti dei concessionari (commi da 1 a 6); sotto altro profilo, prevede inoltre norme ad hoc per l'affidamento delle concessioni autostradali (comma 7).

Quanto agli affidamenti dei concessionari, la relativa regolamentazione si orienta in una duplice direzione.

Per un verso, viene precisato, in linea generale e di continuità con il previgente art. 164, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, che agli appalti di concessionari qualificabili come stazioni appaltanti trovano applicazione le regole pubblicistiche dettate dal Codice in materia di appalti (comma 1).

Per altro verso, vengono disciplinati gli affidamenti da parte dei titolari di concessioni in essere alla data di entrata in vigore del Codice (1° aprile 2023), di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e affidate in maniera non conforme al diritto dell'Unione europea vigente al momento dell'affidamento o della proroga (commi da 2 a 6). Su questo tema sono in particolare dettate norme volte all'adeguamento del quadro regolatorio ai principi delineati dalla nota sentenza n. 218/2021 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 177, commi 1, 2 e 3 del previgente codice del 2016. Ciò anche in attuazione del criterio direttivo della legge delega n. 78/2022 (lett. gg).

La vigilanza sulla corretta applicazione dell'articolo in esame è, in linea generale, affidata all'ANAC (comma 5), ferma restando la necessità di verifica anche da parte degli enti concedenti che, nel settore autostradale, deve essere effettuata con cadenza quinquennale (comma 6).

Appalti affidati dai concessionari

Ferma la speciale disciplina dettata per i concessionari che abbiano ricevuto un affidamento in maniera non conforme al diritto dell'Unione europea all'epoca vigente (su cui si tornerà infra, par. 3), viene innanzitutto stabilito il principio generale secondo cui i concessionari qualificabili come “stazioni appaltanti” sono tenuti al rispetto delle regole stabilite dal Codice per l'affidamento degli appalti (comma 1).

Il tema centrale ai fini di individuare la sfera di operatività della disposizione, sul piano soggettivo, è quindi quello di delimitare correttamente la nozione di stazione appaltante.

Non appare a tal fine assumere portata dirimente la definizione contenuta nell'allegato I.1. al Codice (lett. a), risultando in una qualche misura “fine a sé stessa”, laddove si limita a prevedere che per “stazione appaltante” debba intendersi “qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che affida contratti di appalto di lavori, servizi e forniture e che è comunque tenuto, nella scelta del contraente, al rispetto del codice”.

Per risolvere la questione si ritiene dunque necessario fare riferimento al diritto europeo e alla nozione di “amministrazione aggiudicatrice”, che assume rilievo ai fini della delimitazione del campo di applicazione della c.d. Direttiva appalti 2014/24/UE.

In questa prospettiva, quindi, solo i concessionari qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici (e in particolare come organismi di diritto pubblico) dovrebbero ritenersi attratti nella sfera di operatività del comma 1 dell'articolo in rassegna, con conseguente necessità di seguire le regole dell'evidenza pubblica dettate dal Codice per l'affidamento degli appalti. In questo caso, infatti, la natura soggettiva del concessionario quale amministrazione aggiudicatrice ne comporta, in linea di principio, l'integrale assoggettamento alla disciplina pubblicistica per l'affidamento degli appalti.

Una conferma in questo senso si ritrae anche dalla Relazione Illustrativa del Consiglio di Stato sullo schema del nuovo Codice, la quale, come noto, rappresenta un “materiale della legge” (Gesetzmaterial) assumendo la funzione di “indirizzo attuativo” della disciplina (cfr. pag. 9 della Relazione Illustrativa). Secondo il Consiglio di Stato, infatti, il comma 1 dell'articolo in esame non fa altro che riprendere quanto “già previsto all'art. 164, comma 4, del vecchio codice”, il quale, come noto, era riferito esclusivamente ai “concessionari che sono amministrazioni aggiudicatrici”.

Di conseguenza, i concessionari non qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici non dovrebbero soggiacere a particolari vincoli per la scelta degli appaltatori, fermo il rispetto della disciplina in materia di subappalto nelle concessioni che, nell'attuale assetto normativo, è stata integralmente equiparata a quella prevista per gli appalti (cfr. art. 188).

Tuttavia, laddove la concessione in essere alla data di entrata in vigore del Codice sia di valore superiore alle soglie europea e sia stata conseguita in maniera difforme al diritto dell'Unione europea vigente al momento dell'affidamento o della proroga, il concessionario sarà tenuto, anche laddove non qualificabile come amministrazione aggiudicatrice, all'esternalizzazione mediante procedura ad evidenza pubblica degli appalti, nei limiti della c.d. quota d'obbligo determinata convenzionalmente con il concedente in una forchetta tra il 50% e il 60% del valore della concessione (v. comma 2 nonché infra).

Sul piano oggettivo, poi, i concessionari qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti al rispetto del Codice per l'affidamento degli appalti sia di lavori che di servizi e forniture, a differenza del previgente codice del 2016 in cui tale obbligo sussisteva solo in relazione ai lavori, ma non anche ai servizi e forniture (art. 164, comma 4, d.lgs. n. 50/2016).

Obblighi di esternalizzazione a carico dei titolari di concessioni conseguite senza gara

Premessa: la sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2021

Come noto, il previgente art. 177 del d.lgs. n. 50/2016 privava, in sostanza, il concessionario a suo tempo scelto senza procedure di evidenza pubblica o senza ricorso al project financing, della possibilità di eseguire direttamente lavori, servizi o forniture relativi alla concessione.

Per un verso, tale disposizione imponeva infatti a tutti i concessionari di lavori o di servizi pubblici di importo superiore a 150.000 euro, che non fossero stati selezionati a mezzo di project financing o di procedure di evidenza pubblica conformi al diritto dell'Unione, l'esternalizzazione, previa procedura ad evidenza pubblica, di una quota «pari all'80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni». Per i concessionari autostradali, la quota dell'80% del valore del contratto era ridimensionata al 60%.

Per altro verso, prevedeva poi che la restante parte (rispettivamente del 20%, per i concessionari in generale e del 40% per quelli autostradali) potesse essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

La ratio evidentemente risiedeva nella volontà del legislatore di restituire, a valle, parte della concorrenza «per il mercato» mancata a monte, secondo uno schema che ovviamente ha ad oggetto, in quota parte, le prestazioni relative alle concessioni a suo tempo affidate in via diretta (parere Cons. St. n. 1582/2016).

Come altrettanto noto, il comma 1 dell'art. 177 del previgente codice del 2016 e, conseguentemente, anche i commi 2 e 3, sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte Costituzionale, essendo stato ritenuto irragionevole lo stesso criterio direttivo contenuto nella legge delega n. 11/2016 (sentenza n. 218/2021).

Segnatamente, la Corte ha evidenziato che il legislatore (già nella legge delega) non aveva optato per il “mezzo più mite”, fra quelli idonei a raggiungere lo scopo, scegliendo, fra i vari strumenti a disposizione, quello che determina il sacrificio minore.

In questa prospettiva, il previgente art. 177 è stato ritenuto in contrasto con il principio della libertà di impresa sancito dall'art. 41 della Costituzione nella misura in cui imponeva un sostanziale obbligo di dismettere l'intera concessione: a terzi, mediante procedura ad evidenza pubblica, per una quota all'80% dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alla concessione; a soggetti riconducibili al medesimo concessionario per il restante 20% (società in house per i soggetti pubblici; società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati); ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato (le indicate percentuali variavano peraltro per i concessionari autostradali rispettivamente al 60% e al 40%).

Vero è che, come detto, l'obbligo di messa a gara era giustificato sul piano logico – giuridico e su quello sistematico dall'esigenza di ripristinare la concorrenza «per il mercato» mancata in occasione dell'affidamento della concessione, avvenuto senza gara. Tuttavia, attraverso una sua applicazione riferita all'intera concessione l'obbligo in questione è stato ritenuto suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore. L'attività di quest'ultimo veniva quindi ridotta a quella di una mera stazione appaltante, con l'unico compito di disciplinare ed attuare l'affidamento a terzi, estranei o a sé riconducibili, di quella che originariamente costituiva il proprium dell'unitaria concessione affidata dall'ente concedente.

Tali considerazioni hanno indotto a ritenere la previgente disposizione di cui al citato art. 177 anche in contrasto l'art. 3, comma 2, della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza.

L'obbligo di dismissione dei lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara è stata infatti ritenuta eccedere i pur ampi limiti con cui la discrezionalità legislativa può essere esercitata in riferimento al sovraordinato parametro di costituzionalità ora richiamato, a causa delle conseguenze sopra descritte.

Muovendo da tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha poi in sostanza suggerito al legislatore l'adozione di una nuova disposizione che, pur prevedendo un qualche obbligo di esternalizzazione a carico dei concessionari scelti senza gara, sia però ragionevole e proporzionale, tenendo conto di talune indicazioni riportate nella stessa sentenza n. 218/2021.

Tali indicazioni riguardano innanzitutto la necessità di differenziare o graduare l'obbligo, in ragione dell'interesse alla concorrenza, considerando: a) le dimensioni della concessione, con la necessità di stabilire una nuova soglia (apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni); b) le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario; c) l'epoca di assegnazione della concessione; d) la sua durata; e) il suo oggetto; f) il suo valore economico (così, Relazione Illustrativa del Consiglio di Stato allo schema del nuovo Codice del 2023).

Sotto altri e connessi profili, la Corte ha inoltre evidenziato la necessità di considerare: i) l'interesse dei concessionari i quali, per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, esercitano nondimeno un'attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente; ii) l'interesse del concedente, degli utenti del servizio, nonché del personale occupato nell'impresa concessionaria; iii) l'inammissibilità dell'introduzione di un obbligo radicale e generalizzato di esternalizzazione; iv) l'esigenza di calibrare l'obbligo di affidamento all'esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete.

Come riportato nella Relazione Illustrativa al nuovo Codice, l'art. 186 ha inteso dunque recepire le indicazioni fornite dalla citata sentenza della Corte Costituzionale.

Prima di analizzare le modalità attraverso cui ciò è stato fatto nei commi 2, 3, 4 e 6 dell'art. 186 in commento (infra par. 5), è tuttavia necessario, in via preliminare, delimitare l'ambito di applicazione della disciplina sugli obblighi di esternalizzazione in esame sul piano soggettivo (par. 3.2), su quello oggettivo (par. 3.3) e sotto il profilo temporale (par. 3.4).

Ambito soggettivo di applicazione degli obblighi di esternalizzazione

Sul piano soggettivo, l'obbligo di esternalizzazione in esame si applica ai concessionari in quanto tali, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata.

Appare in questo senso inequivoco il tenore letterale dell'art, 186, comma 2, che si riferisce ai «titolari di concessioni di lavori e servizi pubblici» senza operare alcuna distinzione in ordine alla qualificazione giuridica soggettiva degli stessi.

Al ricorrere dei presupposti oggettivi previsti dal Codice (su cui infra, par. 3.3), l'art. 186, comma 2, e gli obblighi di esternalizzazione ivi previsti si applicano invece quindi anche ai concessionari privati, pur se non tenuti al rispetto del Codice (cfr. le linee guida ANAC n. 11 che seppur riferite al previgente art. 177 appaiono costituire sul punto un utile parametro di riferimento interpretativo).

L'estensione dell'ambito soggettivo di applicazione della norma appare del resto giustificata dalla considerazione della mancata selezione dei concessionari in argomento con procedure di evidenza pubblica e con l'obiettivo di recuperare a posteriori un meccanismo pro-concorrenziale che è mancato in fase di affidamento della concessione.

Una tale conclusione trova ulteriore conferma nella legge (di bilancio) n. 205/2017, che aveva definitivamente chiarito che, ancorché privati, i concessionari autostradali sono sicuramente obbligati ad esternalizzare il 60% dei lavori di propria competenza, a prescindere dal fatto che siano tenuti o meno all'applicazione del codice dei contratti pubblici.

Naturalmente, il presupposto per l'applicazione della disciplina in esame ricorre in presenza delle condizioni oggettive indicate all'art. 186 comma 2 (e, cioè, che l'affidamento al concessionario privato sia stato effettuato in difformità rispetto alla disciplina al tempo vigente).

Sussistono, tuttavia alcune, limitate deroghe alla regola generale in commento.

Innanzitutto, sono espressamente esclusi i concessionari che operano nell'ambito dei c.d. settori speciali “già disciplinati dal Libro III” del Codice.

Inoltre, appaiono esclusi dall'ambito di applicazione della disposizione in commento i titolari di quelle concessioni che, ai sensi dell'art. 181, sono escluse dall'ambito di applicazione della disciplina dettata dal Codice per l'affidamento delle concessioni (v. infra, par. 3.3.).

Ambito oggettivo

Sul piano oggettivo, l'indagine è da svolgere su un duplice piano.

Per un verso, occorre individuare le tipologie di concessioni soggette agli obblighi di esternalizzazione ex lege da parte del concessionario.

Per altro verso, una volta individuate le tipologie di concessioni, è necessario verificare quali siano gli affidamenti del concessionario attratti nella sfera di operatività dell'obbligo di esternalizzazione de quo (v. infra, par. 4).

Sotto il primo profilo, sono quattro i principali presupposti che devono ricorrere per l'applicabilità dell'art. 186, commi da 2 a 6, in esame:

a) le concessioni di lavori e di servizi devono essere di importo pari o superiore a alle soglie di rilevanza europea;

b) si deve trattare di fattispecie di concessioni soggette alla disciplina di cui alla Parte II del Libro IV del Codice (cioè alla disciplina dettata dal Codice per l'affidamento dei contratti di concessione);

c) l'assegnazione deve essere avvenuta in difformità rispetto alle procedure di affidamento al tempo consentite;

d) devono essere state affidate in data antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2023 (v. infra, par. 3.4).

La soglia di rilevanza europea del valore della concessione (presupposto sub a ) rappresenta una novità del Codice del 2023, che ha innalzato la soglia fissata dal previgente codice del 2016 nel valore di 150.000 euro.

Tale precedente soglia non appariva infatti congrua e pienamente logica sia perché le concessioni hanno di norma un importo ben più superiore, sia perché per quelle di importo modesto di poco superiore a 150.000,00 Euro (si pensi alla concessione del servizio di distribuzione automatica di cibi e bevande), risultava sproporzionato un obbligo di esternalizzazione dell'80%. Gli obblighi di esternalizzazione per quote così elevate hanno infatti ragion d'essere per le concessioni di rilevanti importo e durata, come quelle autostradali. È in relazione ad esse che, storicamente, è sorta l'esigenza di un obbligo ex lege di esternalizzazione, cosicché un'estensione illimitata anche per importo modesto non risultava del tutto proporzionata (De Nictolis, 2059).

Quanto al secondo presupposto (sub b), nel silenzio della legge, la collocazione sistematica dell'art. 186 nell'ambito della Parte II del Libro IV del Codice depone per la sua applicazione alle sole fattispecie in esso regolate.

In altri termini e come anticipato (supra par. 3.2) gli obblighi di esternalizzazione di cui all'art. 186 non si applicano alle fattispecie escluse dall'applicazione della Parte II del Libro IV del Codice dei contratti pubblici in virtù dell'art. 181 (al cui commento si rinvia).

Di conseguenza, anche alla luce di quanto era in passato riportato dalle Linee Guida ANAC n. 11, essi non appaiono operare con riguardo alle seguenti fattispecie:

– servizi non economici di interesse generale (art. 181, comma 1);

– concessioni affidate in house o mediante cooperazione fra enti pubblici (cfr. art. 181, comma 2 e artt. 10 e 17 della Dir. 2024/23/UE; vedasi commento all'art. 7 del Codice);

– concessioni affidate in virtù di un diritto esclusivo (cfr. art. 181, comma 2 e art. 10 Dir. 2024/23/UE; vedasi commento all'art. 56 del Codice);

– alcune particolari concessioni nel settore delle comunicazioni elettroniche e nel settore idrico (rispettivamente artt. 11 e 12 Dir. 2024/23/UE, richiamati all'art. 181, comma 2, del Codice; vedasi commento all'art. 56 del Codice);

– quelle a imprese collegate e in joint venture nei settori speciali (rispettivamente, artt. 13 e 14 Dir. 2024/23/UE, richiamati all'art. 181, comma 2, del Codice; vedasi commento all'art. 142 del Codice);

– le concessioni nei settori speciali aventi per oggetto attività direttamente esposte alla concorrenza, ove tale apertura sia stata accertata dalla Commissione europea (cfr. art. 181, comma 2, e art. 16 Dir. 2024/23/UE; vedasi commento all'art. 143 del Codice);

– quelle aggiudicate in base a norme internazionali (cfr. art. 181, comma 2 e art. 10 Dir. 2024/23/UE; vedasi commento all'art. 56 del Codice);

– alcune ulteriori concessioni di specifica tipologia (cfr. art. 181, comma 2, e art. 10, par. 8, Dir. 2024/23/UE; vedasi commento all'art. 56 del Codice).

Le esclusioni appena elencate appaiono peraltro coerenti sul piano sistematico: nella logica riequilibratrice sopra segnalata, infatti, sarebbe irragionevole imporre procedure di gara a titolari di rapporti concessori sottratti all'ambito di applicazione della disciplina quando lo stesso Codice, in relazione a tali fattispecie, testimonia l'attuale estraneità o impermeabilità alle regole dell'evidenza pubblica.

Riguardo poi al terzo presupposto (sub c), gli obblighi di affidamenti a terzi non riguardano le concessioni aggiudicate con la formula del project financing (art. 1, lett. gg, della legge delega n. 78/2016) e quelle affidate con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea (v., a contrario, art. 186, comma 2).

Sul quarto presupposto, di natura temporale, si rinvia al successivo par. 3.4.

Ambito temporale

L'art. 186, comma 2, circoscrive espressamente la propria operatività esclusivamente alle concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del Codice e quindi a quelle stipulate in data antecedente al 1° aprile 2023.

Ciò sulla base dell'implicito presupposto che per le nuove concessioni l'affidamento dovrebbe sempre avvenire mediante procedure di evidenza pubblica.

Tuttavia, un tale assunto non tiene in considerazione che anche nella vigenza del nuovo Codice potrebbero configurarsi situazioni patologiche di affidamento di concessioni senza gara, in cui dovrebbe quindi operare l'obbligo di esternalizzazione nella logica, di cui si è detto, di rimedio di riequilibrio postumo «a valle» della mancanza di concorrenza «a monte» (De Nictolis, 2058).

Le attività e i contratti dei concessionari riconducibili agli obblighi di cui all'art. 186, commi da 2 a 6

Una volta individuate, sulla base dei suesposti criteri (v. supra, par. 3), le tipologie di concessioni attratte nella sfera di operatività degli obblighi di esternalizzazione in esame, è necessario stabilire quali siano le attività e i contratti dei concessionari soggetti a tali obblighi e da inserire nella base di calcolo per la definizione del raggiungimento delle percentuali di dismissioni tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture stabilite convenzionalmente dal concedente e dal concessionario.

In questa prospettiva, il limite delle soglie di rilevanza europea deve essere riferito al valore della concessione e non all'importo dei singoli contratti oggetto di esternalizzazione.

Sul piano quantitativo, quindi, assume rilievo ai fini dell'applicabilità o meno dell'art. 186 il valore della concessione e non quello dei singoli contratti oggetto di esternalizzazione.

Sul piano qualitativo, poi, l'obbligo di esternalizzare mediante procedura ad evidenza pubblica opera sia per i lavori che per i servizi e forniture (cfr. art. 186, comma 2).

Occorre tuttavia comprendere se in tale definizione confluiscano tutte le prestazioni esternalizzate dal concessionario ovvero, come si ritiene, solo quelle connesse alla concessione.

Il dubbio potrebbe infatti sorgere in ragione del fatto che mentre nel previgente codice del 2016 era espressamente specificato che si dovesse trattare di contratti « relativi alle concessioni » (art. 177, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), una siffatta precisazione non è stata invece ripresa nell'art. 186, comma 2, del vigente Codice del 2023.

Ciononostante, si ritiene che, anche nell'attuale assetto normativo, debbano essere ricompresi in tale definizione i contratti che riguardano in via diretta le prestazioni oggetto della concessione e sono quindi necessari per l'esecuzione della stessa.

Innanzitutto, depongono in questo senso almeno due elementi testuali e sistematici ricavabili dallo stesso art. 186.

Il primo riguarda la circostanza che la quota tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture debba essere “stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario ” tenendo conto, tra l'altro, “dell'epoca di assegnazione della concessione, della sua durata residua, del suo oggetto, del suo valore economico e dell'entità degli investimenti effettuati”. Il fatto che, per un verso, la quota sia stabilita convenzionalmente con l'ente concedente e che, per altro verso, debba tenersi conto a tal fine delle caratteristiche della concessione conferma dunque il necessario legame tra i contratti soggetti all'obbligo di esternalizzazione e l'oggetto della concessione.

Il secondo elemento si rinviene nella previsione secondo cui, in caso di “comprovata indivisibilità delle prestazioni di servizi dedotte in concessione ”, l'obbligo di esternalizzazione cede il passo all'onere per il concessionario di corrispondere all'ente concedente un importo compreso tra il minimo del 5 per cento ed il massimo del 10 per cento degli utili previsti dal piano economico finanziario (art. 186, comma 3). Appare evidente che essendo ancorato il citato meccanismo sostitutivo alle ipotesi di indivisibilità delle prestazioni dedotte in concessione ”, anche l'obbligo di esternalizzazione in generale debba necessariamente essere riferito solo a quei contratti strettamente legati e funzionali all'esecuzione del contratto di concessione.

Ulteriore conferma di tale ricostruzione emerge poi in maniera limpida dal criterio direttivo della legge delega n. 78/2022 che riferisce espressamente gli obblighi di esternalizzazione in esame ai soli contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle medesime concessioni” (art. 1, comma 2, lett. gg).

Di conseguenza, non assumono rilevo e non concorrono alla base di calcolo delle percentuali individuate dall'art. 186 i contratti stipulati per la gestione dell'attività del concessionario nel suo complesso quali, ad esempio, i contratti per l'acquisto di buoni pasto per i dipendenti, per le utenze, per la manutenzione degli immobili, se utilizzati promiscuamente con altre attività svolte dal concessionario.

Sicché, per i concessionari di per sé non qualificabili come amministrazioni aggiudicatrici, l'esternalizzazione di attività estranee all'oggetto della concessione potrebbe invece avvenire iure privatorum, senza dover quindi necessariamente seguire le regole dell'evidenza pubblica. Tale conclusione sembra trovare conferma nei principi espressi dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 1° agosto 2011, n. 16, con riguardo agli appalti non strumentali ai c.d. settori speciali affidati da imprese pubbliche non qualificabili come organismi di diritto pubblico, i quali, mutatis mutandis, appaiono quindi valere anche in relazione alla fattispecie in esame.

Si pongono inoltre una serie di ulteriori problemi in ordine alle attività da considerare nella base di calcolo su cui individuare la soglia – stabilita convenzionalmente tra concedente e concessionario nell'ambito della forchetta del 50-60% – soggetta all'obbligo di esternalizzazione mediante procedure ad evidenza pubblica.

Il primo attiene alla riferibilità della soglia a ciascuna delle tipologie di prestazioni oggetto di affidamento (lavori, servizi o forniture) considerate partitamente oppure nel loro complesso.

La soglia deve essere riferita al valore dei contratti complessivamente considerati e non alle singole prestazioni (lavori, servizi e forniture).

Oltre agli argomenti testuali (la quota è declinata dalla disposizione al singolare e con riferimento indistinto a tutte le tipologie di appalto), depongono in questo senso diverse considerazioni ispirate al criterio della ragionevolezza complessiva della previsione: difatti il necessario rispetto del principio di stretta proporzionalità nell'imposizione di prestazioni di facere che in qualche modo incidono sulle scelte organizzative e di autonomia imprenditoriale, tanto che, ad evitare di incorrere nella violazione dell'art. 41 della Costituzione, devono essere interpretate in maniera assolutamente restrittiva.

Sempre in relazione al «monte prestazioni» sul quale computare la quota soggetta ad obbligo di esternalizzazione, si potrebbe ritenere che tale percentuale debba avere a riferimento non già il totale delle prestazioni oggetto dell'originaria concessione comprensive del valore delle prestazioni effettuate in proprio (poiché altrimenti il concessionario verrebbe espropriato persino della propria operatività), ma le sole prestazioni che il concessionario non è capace di svolgere direttamente e per le quali sia già intervenuta, o si intenda adottare, una esternalizzazione a mezzo di contratti di appalto stipulati con società in house, collegate o comunque con altri soggetti privati. Secondo questa tesi, l'art. 186 si limiterebbe a sancire un obbligo di evidenza pubblica per la sola attività che il concessionario, nell'ambito della propria autonomia imprenditoriale, abbia deciso di esternalizzare, disponendo quindi una esclusione oggettiva dall'art. 186 delle prestazioni eseguite in proprio o tramite società in house, controllate o collegate.

Tuttavia, allo stato attuale, tale ricostruzione, pur se condivisibile nella sostanza, non appare sostenibile ponendosi in evidente distonia con il criterio di delega di cui alla lett. gg) del comma 2 dell'art. 1 della l. n. 78/2022, che prevede l'obbligo di affidare “a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, parte dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle medesime concessioni ” (in termini, pur se con riguardo al previgente art. 177, ma con considerazioni che mantengono la loro attualità, parere Cons. St. 20 giugno 2016, n. 1582; nonché parere Cons. St. 30 marzo 2017, n. 782).

Peraltro, anche a voler prescindere dalla già decisiva considerazione che il tenore letterale della norma non lascia dubbi sull'intenzione del legislatore, è dirimente la considerazione che in tal modo la finalità perseguita dalla norma finirebbe per essere irragionevolmente rimessa alla sola volontà del concessionario, senza che siano stati neppure vagamente indicati i criteri, oggettivi e inequivoci, cui tale volontà dovrebbe essere improntata per il rispetto degli interessi pubblici in gioco (Cons. St. V, n. 5097/2020).

Modalità di individuazione della quota soggetta ad obblighi di esternalizzazione

Come anticipato (par. 3.1) l'art. 186 ha inteso recepire le indicazioni fornite dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2021 di declaratoria di illegittimità costituzionale del previgente art. 177, commi 1, 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016.

Come pure anticipato (par. 3.3), in questa prospettiva, è stata innanzitutto innalzata la soglia del valore delle concessioni soggette all'obbligo di esternalizzazione in esame. Si è infatti passati dal valore (invero risibile) di euro 150.000 previsto dal previgente art. 177 del d.lgs. n. 50/2016, all'importo di rilevanza europea attualmente fissato in euro 5.382.000 fino al 31 dicembre 2023 (valore, come noto, aggiornato con cadenza biennale da appositi regolamenti europei).

Si è inoltre recepita la necessità di differenziare e graduare l'obbligo, in ragione dell'interesse alla concorrenza, considerando: a) le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario; b) l'epoca di assegnazione della concessione; c) la sua durata; d) il suo oggetto; e) il suo valore economico (art. 186, comma 2).

Difatti, è sulla base di tali elementi che la quota soggetto all'obbligo di esternalizzazione, comunque contenuta in una forchetta tra il 50% e il 60%, dovrà essere stabilita convenzionalmente stabilità tra il concedente e il concessionario.

Le modalità operative e concrete di calcolo delle quote di cui comma 2 dell'art. 186 sono riportate nella Delibera ANAC n. 265 del 20 giugno 2023, ai cui contenuti si fa dunque rinvio..

Soluzione alternativa all'esternalizzazione

In caso di comprovata indivisibilità delle prestazioni di servizi dedotte in concessione, in sostituzione dell'obbligo di esternalizzazione previsto dal comma 2, il concessionario corrisponde all'ente concedente un importo compreso tra il 5% e il 10% degli utili previsti dal piano economico-finanziario, tenendo conto dell'epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto, del suo valore economico e dell'entità degli investimenti (art. 186, comma 3).

Tale previsione risponde alle necessità di tener conto che: a) per cui taluni servizi possono essere indivisibili e quindi anche nell'ipotesi di percentuali molto basse di obbligo all'esternalizzazione potrebbero ricadere in quella sproporzione già censurata dalla Corte costituzionale (si consideri, ad esempio, il caso dei servizi di gestione di parcheggi in concessione già costruiti e funzionanti che hanno come possibile esternalizzazione la sola gestione); b) non è possibile presupporre astrattamente in ogni comparto dei servizi l'esistenza di un mercato a valle, ovvero l'esistenza di un mercato efficiente (Relazione Illustrativa del Consiglio di Stato allo schema del nuovo Codice).

Disciplina specifica per le concessioni autostradali

Si prevede inoltre una particolare specifica per i concessionari autostradali. Nello specifico, viene espressamente stabilito per legge che le modalità di calcolo delle quote di cui al comma 2 dell'art. 186 in rassegna sono individuate sulla base degli importi risultanti dai piani economici finanziari annessi agli atti convenzionali e sulla base del piano complessivo dei lavori, servizi e forniture presentato dai concessionari al concedente.

Inoltre, viene previsto che la verifica del rispetto delle quote in questione avvenga con cadenza quinquennale ad opera del concedente; ove si riscontri una situazione di squilibrio, è garantita la possibilità per l'ente concedente di richiedere la presentazione di una garanzia fideiussoria (che sarà svincolata in sede di aggiornamento del piano economico finanziario nel caso in cui venga accertato il risanamento dello squilibrio). Tale previsione assicura maggiori garanzie a tutela dell'equilibrio contrattuale in favore del concedente anche in considerazione della durata particolarmente estesa delle concessioni autostradali (Relazione Illustrativa del Consiglio di Stato allo schema del nuovo Codice).

Questioni applicative

1) Termine di adeguamento agli obblighi ex art. 186, commi da 2 a 6.

Le concessioni di cui al comma 2 già in essere si adeguano all'art. 186, comma 2, e agli obblighi di esternalizzazione ivi previsti entro sei mesi dall'entrata in vigore del Codice, quindi entro il 1° ottobre 2023, essendo il Codice entrato in vigore il 1° aprile 2023 (art. 186, comma 4).

Come rilevato in passato con riguardo al previgente art. 177 del d.lgs. n. 50/2016, si dovrebbe ritenere che l'obbligo di evidenza pubblica sia comunque immediatamente operativo e il termine di adeguamento indicato dalla norma sia soltanto un termine finale entro cui deve essere raggiunta l'aliquota minima dei contratti affidati con gara. Pertanto, man mano che i contratti già affidati vengono a scadenza, i nuovi contratti devono sin da subito essere affidati mediante gara (Cons. St. V, n. 3703/2017).

La ratio del termine per l'adeguamento al nuovo rapporto di equilibrio tra prestazioni esternalizzate ed eseguite in proprio previsto dall'art. 186 risiede nella necessità di programmazione e revisione dei piani economico-finanziari che l'adeguamento alle nuove disposizioni impone (relazione AIR alle Linee Guida ANAC n. 11).

Occorre tuttavia rilevare che il termine di adeguamento risulta condizionato all'adozione del provvedimento attuativo dell'ANAC chiamata a stabilire le concrete modalità di individuazione e calcolo delle quote soggette ad onere di esternalizzazione (art. 186, comma 5).

Appare quindi necessario che la definizione convenzionale tra concedente e convenzionale della quota da applicare al caso concreto avvenga a seguito della pubblicazione di tale provvedimento attuativo, che dovrebbe avvenire entro il 30 maggio 2023 (vale a dire entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del Codice).

2) Modalità di verifica degli obblighi di esternalizzazione.

La disposizione in commento si limita a prevedere che la verifica del rispetto delle quote minime di esternalizzazione mediante procedure di evidenza pubblica previste dalla disciplina in esame venga effettuata: in linea generale, dall'ANAC (art. 186, comma 5); con specifico riferimento alle concessioni autostradali, anche dall'ente concedente con cadenza quinquennale (art. 186, comma 6).

Si impongono sul tema alcune considerazioni di carattere generale e sul piano operativo.

Quanto al profilo generale, si ritiene che le verifiche possano essere svolte anche dall'ente concedente (in linea del resto con quanto previsto sia dalla disciplina previgente, sia dall'attuale previsione dettata specificatamente per le concessioni autostradali). Ciò che si pone peraltro in sintonia con il principio generale di vigilanza dell'ente concedente sugli obblighi imposti al concessionario sia contrattualmente che dalla normativa generale di riferimento.

Sul piano operativo, l'art. 186 non prevede le concrete modalità attraverso cui svolgere la verifica del rispetto degli obblighi in questione, che dovrebbe dunque essere dettata dall'Autorità preposta (ANAC) in attuazione dei propri poteri (sia generali che specifici) di vigilanza e controllo.

Occorre inoltre osservare che l'attuale assetto normativo, a differenza del previgente art. 177 del d.lgs. n. 50/2016 e della relativa disciplina attuativa (Linee Guida ANAC n. 11) non prevede un regime sanzionatorio per le eventuali situazioni di squilibrio rispetto agli obblighi di esternalizzazione in esame.

La mancanza di un espresso regime sanzionatorio potrebbe dunque essere foriera di un potenziale disincentivo al rigoroso rispetto dell'art. 186 in rassegna.

Problemi attuali

Regime processuale applicabile agli affidamenti dei concessionari

Si è visto che i concessionari non sono necessariamente riconducibili nella nozione di amministrazione aggiudicatrice (in particolare nella specie dell'organismo di diritto pubblico), con la conseguenza che, sempreché affidatari della concessione mediante procedura concorsuale, non sono tenuti all'applicazione di alcuna disposizione del Codice per l'affidamento a terzi di servizi e forniture (cfr. supra par. 2). Una tale circostanza, oltre che sul piano sostanziale, ha rilevanti conseguenze anche sul piano processuale, posto che le controversie in relazione a tali tipologie di affidamento sono tendenzialmente escluse dalla giurisdizione amministrativa essendo invece attratte in quella ordinaria (art. 133, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 104/2010).

Diversa è tuttavia l'ipotesi in cui anche al concessionario privato diverso dall'organismo di diritto pubblico sia imposto il rispetto di procedure ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione Europea per l'affidamento a terzi di servizi e forniture ai sensi dell'art. 186 qui in esame.

In tali particolari ipotesi, l'assoggettamento del concessionario alla disciplina pubblicistica per la scelta del contraente comporta la giurisdizione del giudice amministrativo (T.A.R. Veneto II, n. 127/2020; T.A.R. Veneto II, n. 1135/2018).

Bibliografia

De Nictolis, I nuovi contratti pubblici. Appalti e concessioni dopo il d.lgs. 56/2017, Bologna, 2017.

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