Istanza per l'autorizzazione del matrimonio tra parenti ed affini (art. 87 c.c.)

Giuseppe Buffone
Aggiornato da Francesco Bartolini

Inquadramento

In alcune ipotesi, l'impedimento a contrarre matrimonio tra parenti è dispensabile all'esito di una valutazione del Tribunale in camera di consiglio, chiamato a rendere la relativa autorizzazione con decreto.

Formula

TRIBUNALE DI ... [1]

RICORSO EX ART. 87 C.C.

(PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO, ARTT. 737 SS. C.P.C.)

(AUTORIZZAZIONE A CONTRARRE MATRIMONIO)

IL SOTTOSCRITTO:

Nome Cognome ... (C.F. ...), nato il ..., in data ..., cittadinanza: ..., residente in ..., alla via ..., elettivamente domiciliato in ..., alla via ..., presso lo studio legale dell'Avv. ..., C.F. ..., del Foro di ..., che lo rappresenta e difende in forza di mandato alle liti esteso in calce al presente atto; con dichiarazione di voler ricevere ogni comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata ... @ ...;

E

LA SOTTOSCRITTA:

Nome Cognome ... (C.F. ...), nata il ..., in data ..., cittadinanza: ..., residente in ..., alla via ..., elettivamente domiciliato in ..., alla via ..., presso lo studio legale dell'Avv. ..., C.F. ..., del Foro di ..., che la rappresenta e difende in forza di mandato alle liti esteso in calce al presente atto; con dichiarazione di voler ricevere ogni comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata ... @ ...;

PREMESSO CHE

- tra i ricorrenti sussiste il seguente vincolo di parentela/affinità ... [2] .

- è intenzione dei ricorrenti contrarre matrimonio per i seguenti motivi: ....

P.Q.M.

chiedono che, sentito il Pubblico Ministero, siano autorizzati a contrarre matrimonio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 87 c.c.

Allegano:

1. estratto dell'atto di nascita dei ricorrenti;

2. stato di famiglia delle parti;

3. certificato di residenza dei richiedenti;

4. certificati da cui risulta il vincolo ex art. 87 c.c.

5. altra documentazione utile ai fini della domanda.

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

PROCURA

Delego a rappresentarmi e difendermi con riguardo alla redazione del presente atto l'Avv. ..., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ..., via ... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge.

Per autentica della sottoscrizione

Firma Avv. ...

[1] 1. La domanda deve essere proposta al Tribunale del luogo di residenza degli  interessati al matrimonio o di uno di essi.

[2] 2. Indicare: zio e nipote; zia e nipote; affini in linea retta nei casi in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo; affini in linea collaterale in secondo grado.

Commento

Rito applicabile

Il d.lgs. n. 149/2022 ha modificato il codice di procedura civile prevedendo, in particolare, nuove disposizioni nel libro II, titolo VI-bis ove sono state introdotte: «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», c.d. pPMF). Quanto al campo di applicazione del nuovo rito unitario – che non è più un procedimento speciale – l'art. 473-bis c.p.c. prevede che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del Giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito.

Alcune delle fattispecie cui non si applica il rito della famiglia sono espressamente indicate dallo stesso articolo 473-bis. Esse riguardano, in particolare, i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità e alla adozione dei minori nonchè i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea.  Altre fattispecie cui non si applica il rito della famiglia sono da reperire tra quelle per le quali la legge stabilisce espressamente forme procedurali diverse dal rito familiare, pur se le materie cui si riferiscono rientrano tra quelle in senso lato riguardanti la famiglia. Esse sono costituite soprattutto dai casi in cui la normativa stabilisce che si proceda in camera di consiglio, rito che resta disciplinato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. pur dopo la riforma processuale di cui al d.lgs. 149/2022. La riforma introduttiva del rito familiare, infatti, fa salvo quanto diversamente previsto; e l’art. 87 c.c. dispone espressamente che il tribunale procede nelle forme camerali. Nell’interpretazione corrente, inoltre, le forme del processo per le controversie familiari si applicano unicamente ai “giudizi” e non anche alle procedure di volontaria giurisdizione, tradizionalmente soggette al più semplice rito camerale.

La giurisprudenza ha escluso che per le procedure di giurisdizione volontaria il ricorrente debba munirsi di un difensore. In esse, infatti, non si applica il disposto dell’art. 82 c.p.c. che riferisce l’obbligo della difesa tecnica ai giudizi: per essi da intendersi i procedimenti caratterizzati da cognizione piena ed esauriente, aventi ad oggetto rapporti giuridici e diritti soggettivi, non riconducibili alla pronuncia di provvedimenti sostanzialmente amministrativi (Cass. I, n. 5770/1997; Cass. n. 5814/1987; Cass. 2015/1983).

In virtù dell'impedimento disciplinato dall'art. 87 c.c., non possono contrarre matrimonio fra loro: 1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta; 2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini; 3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili; 5) gli affini in linea collaterale in secondo grado; 6) l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti; 7) i figli adottivi della stessa persona; 8) l'adottato e i figli dell'adottante; 9) l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato.

Questo impedimento è parzialmente dispensabile ma esclusivamente riguardo a: a) lo zio e la nipote, la zia e il nipote; b) gli affini in linea retta, nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo; c) gli affini in linea collaterale in secondo grado.

La ratio del divieto posto dall'art. 87 c.c., è nella proibizione dell'incesto, la cui violazione, nel concorso del pubblico scandalo, assume anche rilevanza penale ai sensi dell'art. 564 c.p. Il divieto è pure posto a presidio della serenità nelle relazioni familiari ed è volto a evitare il turbamento dell'ambiente sociale in cui vive la famiglia. La disposizione, nella sua rubrica, menzionava anche l'affiliazione: questo istituto, però, è stato abrogato dalla l. 184/1983 e, pertanto, il riferimento ad esso è stato rimosso dal d.lgs. n. 154/2013. Questa novella, peraltro, ha anche apportato modifiche sostanziali all'art. 87 c.c., eliminando ogni distinzione tra famiglia “legittima” e “naturale” (essendo venuta meno la distinzione per la equiparazione dei figli matrimoniali e non).

Anche gli impedimenti segnati dall'art. 87 c.c., rispondono a principi di ordine pubblico e, pertanto, la   norma si applica anche riguardo agli stranieri. In virtù dell'art. 51 del d.P.R. n. 396/2000, chi richiede la pubblicazione deve dichiarare «se tra gli sposi esiste un qualche impedimento di parentela, di affinità o di adozione a termini dell'art. 87 c.c.». L'ufficiale dello stato civile deve verificare l'esattezza della dichiarazione de qua e può acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza di impedimenti alla celebrazione del matrimonio.

L'impedimento ex art. 87 c.c., deve ritenersi sussistente anche in caso di filiazione non riconoscibile: la dottrina perviene a tale conclusione argomentando in base al testo dell'art. 279 c.c. Se è possibile agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione, l'educazione nonché gli alimenti in ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, a maggior ragione deve essere possibile far valere la filiazione non riconoscibile per impedire le nozze tra soggetti legati da vincolo di sangue.

La dispensa, nei casi in cui è ammessa, deve essere richiesta al Tribunale di residenza di uno degli sposi o di entrambi: il procedimento è di volontaria giurisdizione ed è definito nelle forme camerali, ex art. 737 c.p.c. La domanda va presentata da entrambi i nubendi: ove sia presentato da uno solo, il tribunale può assegnare termine perché alla domanda aderisca formalmente anche l'altro. In difetto, il ricorso non ha ragione di essere accolto per difetto di interesse: l'assenza dell'altro sposo, infatti, rende inutile l'eventuale dispensa posto che questi non ha manifestato, con l'adesione all'istanza altrui, l'intenzione di contrarre matrimonio (per una applicazione di questo principio, seppur in fattispecie differente, v. Trib. Milano IX civ., 24 settembre 2015). Il Collegio definisce il procedimento con decreto, dopo aver sentito il Pubblico Ministero: in caso di accoglimento della istanza, può autorizzare il matrimonio concedendo la dispensa. Il decreto è notificato agli interessati e al Pubblico Ministero e contro di esso può essere proposto reclamo, con ricorso alla Corte d'Appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione. La Corte d'Appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. Il decreto acquista efficacia quando è decorso il termine di dieci giorni, senza che sia stato proposto reclamo. Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l'autorizzazione ai sensi del comma 4 dell'art. 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione (v. art. 117 c.c.).

Contro gran parte della dottrina la giurisprudenza, peraltro in non numerose decisioni,  si è schierata nel senso che per tutti i procedimenti aventi natura di volontaria giurisdizione e da trattarsi nelle forme della camera di consiglio il ministero del difensore non è obbligatorio. L’art. 82, si è affermato, stabilisce l’obbligo difensivo unicamente in relazione ai “giudizi” e tali non sono le procedure camerali suddette (Cass. n. 5770/1997; Cass. 5814/1987; Cass. 2015/1983). Secondo il principio coì enunciato anche il ricorso per l’autorizzazione al matrimonio può essere presentato direttamente dall’interessato, naturalmente nelle forme dei ricorsi informatici.

Nell'ordinamento canonico è richiesta, a pena di nullità, la dispensa anche nell'ipotesi di nozze tra figli di cugini o di procugini. La Suprema Corte, al riguardo, ha affermato che un contrasto con l'ordine pubblico italiano non è ravvisabile con riguardo alla sentenza ecclesiastica che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario per essere gli sposi figli di cugini, atteso che il maggior rigore con cui l'ordinamento canonico regola l'impedimento derivante dal grado di consanguineità, rispetto all'analoga previsione dell'ordinamento italiano, non incide sulle regole fondamentali che definiscono in quest'ultimo la struttura dell'istituto matrimoniale (Cass. n. 12671/1991).

L'istituto dell'affinità, ex art. 78 c.c., richiamato nella trama degli impedimenti, non è richiamato nella disciplina dell'unione civile. La dottrina è allo stato divisa con riguardo a tale mancato rinvio. Secondo l'opinione maggioritaria, tra la parte di un'unione civile ed i parenti dell'altra parte non sorge alcun vincolo familiare giuridicamente rilevante. Per conseguenza, l'affinità rimane, secondo la disposizione codicistica, «il vincolo tra un coniuge ed i parenti dell'altro coniuge», mentre non possono definirsi «affini» i parenti della parte dell'unione civile. Secondo altro indirizzo la scelta legislativa pare invece criticabile poiché «non trova riscontro nella coscienza sociale secondo la quale col formarsi della coppia, si realizza un ingresso a pieno titolo di ciascun membro nella famiglia dell'altro».

 

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