Autorizzazione al matrimonio in presenza di divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89 c.c.)

Giuseppe Buffone
Aggiornato da Francesco Bartolini

Inquadramento

L'art. 89 c.c., introduce un divieto temporaneo di matrimonio, per la donna, che non può contrarre matrimonio se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall'annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. In presenza di giustificati motivi, la donna può peraltro essere autorizzata a contrarre il nuovo matrimonio prima del decorso di tale termine.

Formula

TRIBUNALE DI ... [1]

RICORSO EX ART. 89 C.C.

(PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO, ARTT. 737 SS. C.P.C.)

(AUTORIZZAZIONE A CONTRARRE MATRIMONIO EX ART. 89, COMMA 2, C.C.)

La sottoscritta

Nome Cognome ... (C.F. ...), nata il ..., in data ..., cittadinanza: ..., residente in ..., alla via ..., elettivamente domiciliata in ..., alla via ..., presso lo studio legale dell'Avv. ..., C.F ..., del Foro di ..., che la rappresenta e difende in forza di mandato alle liti steso in calce al presente atto; con dichiarazione di voler ricevere ogni comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata ... @ ...;

PREMESSO CHE

- la Sig.ra ..., odierna ricorrente, ha contratto matrimonio con ..., in data ...;

- successivamente, in data ..., è intervenuta pronuncia (passata in giudicato) di divorzio/di annullamento del matrimonio/oppure è intervenuto il decesso del coniuge;

- rispetto a tale evento non sono ancora decorsi trecento giorni;

- è intenzione della ricorrente contrarre matrimonio con ..., da celebrarsi in data ... e, dunque, prima del decorso del termine previsto dall'art. 89 c.c.;

- è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza della ricorrente [2];

P.Q.M.

chiede che, sentito il Pubblico Ministero, sia autorizzata a contrarre matrimonio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 89, comma 2, c.c.

Allega:

1. certificati anagrafici;

2. sentenza passata in giudicato/certificato di morte;

3. certificato medico attestante che la ricorrente non è in stato di gravidanza;

4. altra documentazione utile ai fini della domanda.

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

PROCURA

Delego a rappresentarmi e difendermi con riguardo alla redazione del presente atto l'Avv. ..., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ..., via ... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge.

Per autentica della sottoscrizione

Firma Avv. ...

1. La competenza per territorio è demandata al Tribunale del luogo di residenza della donna.

2. Oppure risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la ricorrente nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Commento

Rito applicabile

Il d.lgs. n. 149/2022 ha modificato il codice di procedura civile prevedendo, in particolare, nuove disposizioni nel libro II, titolo VI-bis ove sono state introdotte: «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», c.d. pPMF). Quanto al campo di applicazione del nuovo rito unitario – che non è più un procedimento speciale – l'art. 473-bis c.p.c. prevede che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del Tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del Giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo. 

Queste ultime riguardano, in particolare, i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità e all’adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea.  Altre fattispecie cui non si applica il rito della famiglia sono da reperire tra quelle per le quali la legge stabilisce espressamente forme procedurali diverse dal rito familiare, pur se le materie cui si riferiscono rientrano tra quelle in senso lato riguardanti la famiglia. Esse sono costituite soprattutto dai casi in cui la normativa stabilisce che si proceda in camera di consiglio, rito che resta disciplinato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. pur dopo la riforma processuale di cui al d.lgs. 149/2022. La riforma introduttiva del rito familiare, infatti, fa salvo quanto diversamente previsto; e l’art. 87 c.c. dispone espressamente che il tribunale procede nelle forme camerali. Nell’interpretazione corrente, inoltre, le forme del processo per le controversie familiari si applicano unicamente ai “giudizi” e non anche alle procedure di volontaria giurisdizione, tradizionalmente soggette al più semplice rito camerale.

La giurisprudenza ha escluso che per le procedure di giurisdizione volontaria il ricorrente debba munirsi di un difensore. In esse, infatti, non si applica il disposto dell’art. 82 c.p.c. che riferisce l’obbligo della difesa tecnica ai giudizi: per essi da intendersi i procedimenti caratterizzati da cognizione piena ed esauriente, aventi ad oggetto rapporti giuridici e diritti soggettivi, non riconducibili alla pronuncia di provvedimenti sostanzialmente amministrativi (Cass. I, n. 5770/1997; Cass. n. 5814/1987; Cass. 2015/1983).

L'art. 89 c.c., introduce un divieto temporaneo di matrimonio, per la donna. In particolare, non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall'annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all'art. 3, n. 2, lett. b) ed f), della l. n. 898/1970, (separazione giudiziale dichiarata con sentenza passata in giudicato o ritualmente omologata; mancata consumazione del matrimonio), e, secondo il testo letterale dell’art. 89, nei casi in cui il matrimonio  è stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi. La disposizione non è stata aggiornata con le modifiche normative per le quali l’impotenza non è più e di per sé cagione di nullità del matrimonio; ne è causa per altro verso, quando  si traduce in un errore essenziale sulle qualità personali del coniuge: art.  122 ss. c.c.).

 

L'impedimento derivante dal dettato dell’art. 89 è tradizionalmente noto come “lutto vedovile” e la ratio viene individuata classicamente nell'esigenza di evitare la turbatio sanguinis in caso di nascita di un figlio entro un periodo temporale che possa far dubitare del soggetto cui ascrivere l’atto fecondativo e, dunque, per assicurare certezza nell'attribuzione della paternità. Sotto tale aspetto, l'impedimento in rassegna è finalizzato ad evitare il conflitto tra diverse presunzioni di paternità. Infatti, per la norma dettata dall’art. 231 c.c. è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio il marito della madre.  E in proposito interviene l'art. 232 c.c., in materia di presunzione di concepimento (come modificato dal d.lgs. n. 154/2013) per il quale: a) si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio; b) la presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al Giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi di annullamento/divorzio.

L'impedimento disposto dall'art. 89 c.c., è dispensabile; comunque, la sua violazione non determina la nullità né l'annullabilità del matrimonio. La conseguenza si risolve nell'applicazione di una sanzione pecuniaria. Infatti, ai sensi dell'art. 140 c.c.: «la donna che contrae matrimonio contro il divieto dell'articolo 89, l'ufficiale che lo celebra e l'altro coniuge sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 20 a Euro 82». Il divieto tipizzato nell'art. 89 c.c., non opera nel caso in cui il divorzio sia pronunciato per inconsumazione oppure in virtù di separazione protrattasi per tre anni, essendo in questo caso esclusa la possibilità di commixtio sanguinis. Il divieto ex art. 89 c.c., nemmeno opera là dove i coniugi siano pervenuti al divorzio a mezzo di negoziazione assistita ex art. 6, d.l. n. 132/2014 (conv. in l. n. 162/2014): come noto, anche la negoziazione assistita in materia di divorzio è ammessa nei casi di cui all'art. 3, comma 1, n. 2), lett. b), della l. n. 898/1970 e, per l'effetto, si applica l'art. 89, comma 1, secondo periodo, c.c. La convenzione di negoziazione, infatti, produce gli stessi effetti del provvedimento che sostituisce (la sentenza). L'impedimento è dispensabile su istanza presentata al Tribunale di residenza della donna. Il Tribunale definisce il giudizio con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero: può autorizzare il matrimonio solo quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il decreto acquista efficacia quando è decorso il termine di dieci giorni, senza che sia stato proposto reclamo. Il decreto è notificato agli interessati e al Pubblico Ministero e contro di esso può essere proposto reclamo, con ricorso alla Corte d'Appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione. La Corte d'Appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. Il matrimonio contratto in violazione dell'art. 89 c.c., non rientra tra quelli impugnabili ex art. 117 c.c.

Il divieto in rassegna è, comunque, superabile mediante dimostrazione che la donna interessata a contrarre nuovo matrimonio non è in stato di gravidanza (Trib. Milano 23 marzo 2016).

Il primo comma dell’art. 89 ricollega il termine ultimo del periodo temporale di divieto alla cessazione del rapporto in forza di una pronuncia di divorzio, di dichiarazione di nullità o di annullamento. Non è fatta alcuna menzione alla fattispecie di cessazione del vincolo per morte di uno dei coniugi; sennonché, l'art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 396/2000, espressamente prevede che «se si tratta di vedova o di donna nei cui confronti è stato dichiarato l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio, l'ufficiale dello stato civile deve accertare se ricorrono le condizioni previste dall'art. 89 c.c.» così inducendo a desumere, dal combinato disposto delle due norme, che il divieto in esame opera anche in caso di morte di uno degli sposi. L'estensione del divieto al caso della morte è coerente con la ratio della disposizione che, come noto, istituisce il c.d. lutto vedovile al fine di evitare la c.d. commixtio sanguinis. In tempi recenti, la giurisprudenza di merito si è pronunciata in questa direzione (Trib. Milano 1° febbraio 2016).

 

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