Domanda di separazione coniugale nella pendenza del giudizio di nullità (art. 126 c.c.)

Giuseppe Buffone
Aggiornato da francesco Bartolini

Inquadramento

Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il Tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (art. 126 c.c.). 

Formula

TRIBUNALE DI ... 1 PROCEDIMENTO N. ... / ...

ISTANZA PER LA PRONUNCIA DI SEPARAZIONE TEMPORANEA IN PENDENZA DEL GIUDIZIO (ART. 126 C.C.)

Il sottoscritto Avv. ... , nella sua qualità di difensore di ..., nel procedimento iscritto al n. ..., dell'anno ...;

PREMESSO CHE

- è pendente procedimento avente ad oggetto l'impugnazione del matrimonio contratto dalle parti in atti generalizzate;;

- il matrimonio è stato celebrato in data ...;

- il matrimonio è impugnato per i seguenti motivi ...;

CONSIDERATO CHE

- ai sensi dell'art. 126 c.c., quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il Tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio;

- nel caso di specie, la pronuncia di separazione è necessaria, essendo la convivenza dei coniugi divenuta intollerabile; si chiede che il Tribunale voglia anche assumere i seguenti provvedimenti provvisori: ...,

CHIEDE

al Tribunale adito di voler dichiarare la separazione personale dei coniugi, in via provvisoria, assumendo i seguenti provvedimenti temporanei: ....

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

[1] 1. Il  ricorso va proposto al giudice davanti al quale pende il procedimento per la dichiarazione di nullità del matrimonio.

Commento

Gli artt. 117-129-bis c.c. introducono norme tese a regolare la categoria della invalidità matrimoniale che nella rubrica della sezione V, del capo III del libro I, è denominata “Della nullità del matrimonio”. Come ha, però, chiarito la prevalente dottrina, il riferimento alla «nullità» è atecnico ed è stato utilizzato per effetto dell'attrazione esercitata dalla disciplina canonistica, la quale conosce ipotesi di nullità, ignorando l'annullabilità. Occorre poi considerare l'uso promiscuo della terminologia adottata dal legislatore: è, quindi, corretto aderire alla tesi per cui, caso per caso, occorre qualificare il tipo di azione esercitata, in ragione delle regole generali sottese alla validità dei negozi: nel caso di cui all'art. 120 c.c., ad esempio, l'opinione prevalente è nel senso che si tratti di una ipotesi di annullabilità. In punto di teoria generale, la dottrina suole distinguere: il matrimonio inesistente, in cui difettano i presupposti minimi per riconoscere il matrimonio come atto (si pensi al caso dell'unione celebrata dagli sposi senza l'ufficiale di stato civile); il matrimonio nullo, in cui si registra la violazione di una norma imperativa (si pensi al matrimonio celebrato senza stato libero); il matrimonio annullabile, in cui la violazione riguarda vizi sanabili (si pensi al vizio di volontà); il matrimonio irregolare, in cui la violazione della norma non afferisce al piano della validità (si pensi al matrimonio celebrato in violazione del divieto temporaneo di nuove nozze).

L'azione di invalidità potrebbe essere promossa mentre già pende l'azione di separazione. La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che la promozione del giudizio di nullità del matrimonio non incide sulla proponibilità o procedibilità della domanda di separazione personale dei coniugi, né determina l'obbligo di sospendere il relativo procedimento, ma spiega effetto su quest'ultimo solo quando, in pendenza dello stesso, anche in grado d'appello, sopravvenga una pronuncia definitiva che dichiari detta nullità. In tale situazione, per quanto riguarda i rapporti fra i coniugi, i quali non abbiano chiesto l'adempimento di alcuno degli obblighi che discendono dal matrimonio, si determina la cessazione della materia del contendere, tenuto conto, pure in ipotesi di conversione del rapporto nullo in matrimonio cosiddetto putativo, del difetto di un interesse giuridicamente apprezzabile a chiedere un accertamento della responsabilità della separazione (Cass. n. 259/1981). Per quanto riguarda, invece, i rapporti con la prole, il Giudice della separazione conserva il potere-dovere di provvedere sugli effetti che derivino da detto matrimonio putativo (Cass. n. 1762/1975).

Fuori dal caso prima considerato, quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il Tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti (art. 126 c.c.). La pendenza del giudizio di nullità del matrimonio è assunta dal legislatore come ragione sufficiente a giustificare la pronuncia di separazione temporanea dei coniugi, la quale riveste carattere cautelare ed efficacia interinale e condizionata, essendo destinata a rimanere assorbita dalla declaratoria di nullità del matrimonio, con la definitiva cessazione dell'obbligo di convivenza, ovvero ad essere caducata a causa del rigetto della domanda di nullità, con conseguente ripristino del vincolo in tutti i suoi aspetti, compreso l'obbligo della convivenza, salva la facoltà, in quest'ultima ipotesi, di promuovere l'azione ordinaria di separazione (Cass. n. 7594/2001).

La ratio di questa norma è evidente. Il giudizio di nullità deve essere portato a termine snodandosi attraverso le fasi processuali tipiche che possono anche richiedere atti d'istruzione probatoria e, comunque, comportare tempi di definizione non particolarmente contenuti. Ciò nonostante, in pendenza del giudizio, ben potrebbe accadere che la convivenza tra i coniugi sia divenuta intollerabile: questo presupposto, siccome legittimante la interruzione della coabitazione ex art. 151 c.c., abilita il Giudice del procedimento caducatorio ad autorizzare la separazione temporanea ai sensi dell'art. 126 c.c. La disciplina in rassegna è rimasta immutata dopo la riforma del diritto di famiglia e della sua sopravvivenza si è talora dubitato, a fronte del nuovo testo dell'art. 146, comma 2, c.c., che considera giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento del vincolo (v. in tal senso Cass. n. 5331/1977). Ad ogni modo, l'istituto costituisce una fattispecie particolare riconducibile, nonostante la peculiarità di alcuni profili, nell'ambito concettuale della separazione dei coniugi prevista dagli artt. 150 ss., c.c., stante il fondamento comune alle due fattispecie costituito dalla impossibilità della prosecuzione della convivenza (v. sul punto Cass. n. 2265/1978). Ne risulta che la fattispecie prevista dall'art. 126 c.c., si caratterizza per gli effetti limitati e provvisori cui è preordinata e per essere il compito del Giudice limitato all'accertamento della pendenza del giudizio di nullità del matrimonio (Cass. n. 7594/2001). Il provvedimento assunto dal Giudice presenta tutte le connotazioni tipiche caratterizzanti quello che sarebbe pronunciato dal Giudice della separazione, e, pertanto, può contenere le misure interlocutorie che regolamentano i rapporti personali e patrimoniali nonché, eventualmente, strumenti di protezione. I provvedimenti assunti ex art. 126, hanno natura squisitamente cautelare (Cass. S.U., n. 10064/2013). Il provvedimento ex art. 126 c.c., ha la forma dell'ordinanza e può essere richiesto insieme all'atto introduttivo del giudizio o con ricorso separato. Ci si è chiesti se la pronuncia possa essere resa anche là dove i coniugi abbiano già cessato la coabitazione. Nel suo risalente indirizzo, la Suprema Corte ha offerto soluzione affermativa sostenendo che anche quando, in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio, sia, di fatto, già cessata la coabitazione, sussista il diritto dei coniugi di ottenere la pronunzia della separazione temporanea di cui all'art. 126 c.c., per attribuire carattere legale a tale stato di fatto e far provvedere al regolamento dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi fra di loro e rispetto alla prole (Cass. n. 3618/1974).

La normativa sulle unioni civili, all'art. 1, comma 20, l. n. 76/2016, prevede una clausola generale di estensione delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi. Questa estensione però ha dei limiti. Infatti, in via generale, è previsto che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. In via di eccezione, tuttavia, è espressamente previsto che questa disposizione “non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge”. Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili. Occorrono, tuttavia, alcuni chiarimenti. Questa disposizione, infatti, abilita il Giudice a ordinare la separazione temporanea degli uniti in pendenza del giudizio invalidatorio. Agli uniti civilmente, però, l'istituto della separazione non è applicabile. L'art. 1, comma 24, l. n. 76/2016, c.d. Cirinnà prevede, infatti, lo “scioglimento” diretto dell'unione civile per effetto della domanda di scioglimento anticipata dalla dichiarazione di volontà resa tre mesi prima all'Ufficiale di Stato Civile. Il richiamo alle norme del titolo II, libro IV è fatto in quanto esse siano “compatibili”: non sono, dunque, richiamate, perché incompatibili, le disposizioni sulla separazione (artt. 706-711 c.p.c.) atteso che, nel caso di unione civile, è prevista la procedura di scioglimento diretto. Ciò risulta anche dalla relazione illustrativa all'originario d.d.l. n. 2081 ove espressamente si precisa che «lo scioglimento dell'unione civile è regolata dalle stesse disposizioni vigenti in materia di scioglimento del matrimonio». Ma che senso può avere allora l'applicabilità dell'art. 126? Si può ritenere che conservi rilevanza solo al fine di escludere l'applicabilità dell'art. 146 (richiamato anche per gli uniti).

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