Rifiuto di celebrazione del matrimonio (art. 112 c.c.)

Giuseppe Buffone
Aggiornato da Francesco Bartolini

Inquadramento

Ai sensi dell'art. 112 c.c., l'ufficiale dello stato civile può rifiutare la celebrazione del matrimonio per una causa ammessa dalla legge. Se la rifiuta, deve rilasciare un certificato con l'indicazione dei motivi.

Formula

COMUNE DI ... UFFICIO DELLO STATO CIVILE

Il Sottoscritto ... nella sua qualità di Ufficiale dello Stato Civile del Comune di ...

DICHIARA

ai sensi dell'art. 112 c.c., di rifiutare la celebrazione del matrimonio di: Sig. ..., Sig.na ..., sussistendo impedimento matrimoniale. In particolare, l'impedimento al matrimonio è costituito da: ....

Il presente certificato, coi motivi del rifiuto, è rilasciato ai sensi dell'art. 112, comma 2, c.c. e contro il rifiuto è ammesso opposizione davanti al Tribunale.

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

Commento

L'Ufficiale di Stato Civile richiesto di un adempimento ha il potere di rifiutarlo (v. art. 7, d.P.R. n. 396/2000 Ordinamento dello stato civile). Il potere di rifiutare l'atto del suo ufficio in materia matrimoniale è attribuito dall'art. 112 c.c., ove è previsto che “l'ufficiale dello stato civile può rifiutare la celebrazione del matrimonio (...) per una causa ammessa dalla legge”. Se la rifiuta, deve rilasciare un certificato con l'indicazione dei motivi. Contro il rifiuto è dato ricorso al Tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il Pubblico Ministero. Il rifiuto può essere opposto per una “causa ammessa dalla legge”, ossia per un impedimento alla formazione del vincolo matrimoniale stabilito espressamente dalla normativa vigente: l'età, lo stato di interdizione, la mancanza di stato libero, l'esistenza di legami parentali, adottivi o di affinità ostativi, il delitto ex art. 88 c.c., l'impedimento temporaneo alle nozze ex art. 89 c.c. Sono pure cause che giustificano il rifiuto quelle specificamente enucleate in disposizioni recanti ulteriori divieti o limiti: ad esempio, il decorso di centottanta giorni dalle pubblicazioni, la pendenza del giudizio di opposizione al matrimonio, la causa di impedimento conosciuta dopo le pubblicazioni. “Causa ammessa dalla legge” deve ritenersi anche lo stato di palese incapacità di intendere e volere di uno o entrambi i nubendi. Se non sussistono cause legittimanti il rifiuto, l'ufficiale è tenuto a celebrare il matrimonio: pertanto, nel caso in cui il rifiuto stesso sia arbitrario o la giustificazione opposta sia in malafede, si configura il reato di omissione o rifiuto di atti d'ufficio, ex art. 328 c.p.

Il potere di rifiutare atti del proprio ufficio è previsto, in via generale, dal ricordato art. 7 del d.P.R. n. 396/2000 il quale dispone che: «nel caso in cui l'ufficiale dello stato civile rifiuti l'adempimento di un atto da chiunque richiesto, deve indicare per iscritto al richiedente i motivi del rifiuto». A questa regola devono essere ricondotti i poteri previsti in capo all'ufficiale di Stato Civile da norme speciali o da altre previsioni (Trib. Milano 24 settembre 2015) con conseguente applicabilità del relativo regime impugnatorio, nel silenzio del legislatore serbato sul punto. Per quanto concerne l'impugnazione del rifiuto di celebrare un matrimonio, il riferimento normativo è duplice. Può farsi infatti applicazione del disposto degli artt. 95 e 96 del già citato d.P.R. n. 396/2000 per il quale avverso il diniego «dell'ufficiale dello Stato Civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione» è dato ricorso al Tribunale; il rifiuto dell'ufficiale di Stato civile è impugnabile dinanzi al Tribunale ordinario. Con norma pressoché identica l'art. 112 c.c., dispone che l'ufficiale di stato civile può rifiutare la celebrazione del matrimonio se sussiste una causa ammessa dalla legge; e aggiunge che il rifiuto è impugnabile dinanzi al Tribunale che procede in composizione collegiale, con rito camerale ex art. 737 c.p.c. È competente il Tribunale del luogo in cui ha sede l'ufficiale di Stato Civile. Il Tribunale deve sentire il Pubblico Ministero e provvede con decreto suscettibile di reclamo davanti alla Corte di Appello entro il termine di dieci giorni (art. 739 c.p.c.). La decisione conclusiva del procedimento è comunicata a cura della Cancelleria pure all'Ufficiale di Stato Civile anche se l'orientamento prevalente di Dottrina osserva che a tale adempimento debba procedere il ricorrente, una volta che il decreto decisorio sia divenuto definitivo.

Il termine per la proposizione della impugnazione deve desumersi in senso logico dal periodo di efficacia della pubblicazione: pertanto, potrà essere promosso entro il termine di 180 giorni dalla medesima. Contro il decreto del Tribunale è ammesso reclamo dinanzi alla Corte di Appello. La dottrina ritiene che avverso il provvedimento del Giudice superiore può essere esperito il ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. La Corte di Cassazione si è espressa in senso contrario in quanto la decisione non è definitiva: infatti, la richiesta all'ufficiale di stato civile può essere ripresentata(sent. n. 2400/2015).

Rito applicabile

L’art. 112 c.c. dispone che sul ricorso avverso il rifiuto della celebrazione del matrimonio decide il tribunale in camera di consiglio. Le controversie in materia matrimoniale sono attualmente sottoposte al rito uniforme familiare, di cui agli artt. 473-bis e seguenti c.p.c. che ha natura contenziosa e si conclude con sentenza. Le relative forme processuali non si applicano nel caso di specie.

Il d.lgs. n. 149/2022 ha modificato il codice di procedura civile prevedendo, in particolare, nuove disposizioni nel libro II, titolo VI-bis ove sono state introdotte: «Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie», c.d. pPMF). Quanto al campo di applicazione del nuovo rito unitario – che non è più un procedimento speciale – l'art. 473-bis c.p.c. prevede che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del Tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del Giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo. Queste ultime riguardano, in particolare, i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità, dei procedimenti di adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea. 

Altre fattispecie sono da reperire tra quelle per le quali la legge stabilisce esplicitamente forme procedurali diverse dal rito familiare, anche se le materie cui si riferiscono rientrano tra quelle in senso lato riguardanti la famiglia. Esse sono costituite soprattutto dai casi in cui la normativa stabilisce che si proceda in camera di consiglio, rito che resta disciplinato dalle disposizioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. pur dopo la riforma processuale di cui al d.lgs. 149/2022. La riforma introduttiva del rito familiare, infatti, fa salvo quanto diversamente previsto dalla legge; e l’art. 112 c.c. dispone espressamente che il tribunale procede nelle forme camerali. Nell’interpretazione corrente, inoltre, le forme del processo per le controversie familiari si applicano unicamente ai “giudizi” e non anche alle procedure di volontaria giurisdizione, tradizionalmente soggette al più semplice rito camerale.

La giurisprudenza ha escluso che per le procedure di giurisdizione volontaria il ricorrente debba munirsi di un difensore. In esse, infatti, non si applica il disposto dell’art. 82 c.p.c. che riferisce l’obbligo della difesa tecnica ai giudizi: per essi da intendersi i procedimenti caratterizzati da cognizione piena ed esauriente, aventi ad oggetto rapporti giuridici e diritti soggettivi, non riconducibili alla pronuncia di provvedimenti sostanzialmente amministrativi (Cass. I, n. 5770/1997; Cass. n. 5814/1987; Cass. 2015/1983).

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