Comparsa di costituzione e risposta nel giudizio intentato dal coniuge per il rendiconto dei frutti (art. 217 c.c.)

Gustavo Danise

Inquadramento

L'art. 217 c.c., è dedicato all'amministrazione dei beni nel regime di separazione. In considerazione del fatto che la separazione dei beni attribuisce a ciascun coniuge la proprietà esclusiva dei beni che acquista dopo il matrimonio, anche l'amministrazione di tali beni deve spettare esclusivamente a lui; questa regola generale è prevista nel comma 1. I commi successivi regolano le ipotesi in cui i beni di un coniuge siano amministrati dall'altro su procura con (comma 2) e senza (comma 3) obbligo di rendiconto; mentre l'ultimo comma disciplina gli effetti dell'amministrazione dei beni di un coniuge contro la volontà del titolare (comma 4). La norma si applica anche alle parti di un'unione civile ex art. 1, commi 13 e 20, l. n. 76/2016, se non hanno optato per un diverso regime patrimoniale.

Formula

TRIBUNALE CIVILE DI ... [1]

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [2]

Nel giudizio iscritto al numero ... del R.G.A.C. dell'anno ..., innanzi al Giudice Dott. ...,

PER

Sig. ..., nato a ... il ..., residente in ..., via ... n. ... C.F. ... [3], rappresentato e difeso, giusta procura in calce al presente atto (o a margine del presente atto), dall'Avv. ... (C.F. ... fax ... PEC ... ), presso lo studio del quale in ..., via ... elettivamente domicilia;

- convenuto -

CONTRO

Sig.ra ..., C.F. ..., rappresentata e difesa dall'Avv. ...;

- attrice -

FATTO

Con atto di citazione notificato in data ... la Sig. ... conveniva innanzi l'intestata autorità giudiziaria il Sig. ... al fine di vedere accolte le seguenti conclusioni: “a) obbligare il Sig. a rendicontare i frutti e proventi percepiti dall'amministrazione dei beni di proprietà dell'attrice; b) per l'effetto condannare il Sig. ... a versare all'attrice integralmente i frutti e proventi di cui al punto a) oltre interessi legali in misura di legge dal dì del dovuto al soddisfo; c) condannare il convenuto al pagamento delle spese di giudizio, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario delle spese generali”.

A sostegno l'attrice deduceva:

- di aver contratto matrimonio concordatario con il Sig. ... in data ..., optando i coniugi per il regime di separazione dei beni;

- di essere proprietaria esclusiva dei seguenti beni ..., donatigli dai genitori;

- di aver conferito al marito procura generale ad amministrare i predetti beni con obbligo di rendiconto dei frutti;

- che dopo anni di serena e felice convivenza, il rapporto coniugale si incrinava ed i coniugi decidevano di separarsi;

- che con ordinanza del ..., il Tribunale di ... omologava l'accordo di separazione consensuale tra le parti;

- di aver revocato con atto del ... la procura generale del marito ad amministrare i suoi beni;

- di aver comunicato la predetta revoca al marito, con raccomandata con ricevuta di ritorno chiedendogli al contempo il rendiconto dei frutti e proventi percepiti dall'amministrazione dei suoi beni;

- che il Sig. ... non dava alcun riscontro a tale richiesta.

***

Con la presente comparsa, si costituisce in giudizio il Sig. ... impugnando e contestando integralmente la domanda avversaria di cui chiede il rigetto per le seguenti ragioni di

DIRITTO

Durante la convivenza matrimoniale il Sig. ... chiese istruzioni alla moglie su come gestire i canoni di locazione e di affitto agrario percepiti sino a quel momento. La Sig.ra gli rispose che avrebbe dovuto investirli per conseguire un profitto elevato; pertanto, il comparente le propose l'acquisto di quote di un fondo comune di investimento che avrebbe garantito degli ottimi profitti a fronte però di un alto rischio di perdita finanziaria. La Sig.ra lo invitò a procedere con l'acquisto; ma l'odierno convenuto, che tra l'altro stava amministrando i beni in modo gratuito, non voleva accollarsi alcuna responsabilità circa le perdite che poteva subire il capitale se l'investimento si fosse rivelato fallimentare, per cui invitò la moglie a rifletterci attentamente. La Sig.ra lo invitò nuovamente a procedere all'investimento prospettato, pur in presenza dei rischi paventati e si impegnò a non richiedergli in futuro il rendiconto dei canoni locatizi così da sgravarlo da ogni responsabilità in merito al tracollo finanziario nel caso in cui l'investimento non avesse dato l'esito sperato. Di qui il motivo per cui il comparente non ha dato riscontro alla missiva della moglie in cui gli si chiedeva di rendere il conto dei frutti e proventi dei beni amministrati.

A completamento di quanto affermato nel punto precedente, il comparente ha investito tutti i canoni di locazione percepiti dagli immobili siti in ... e di affitto del terreno agricolo sito in ( ... ) nell'acquisto delle quote del fondo comune di investimento denominato ... che però si è dimostrato fallimentare in quanto l'intero capitale investito è andato perduto come si evince dall'estratto conto che si allega.

Tutto ciò considerato e premesso, la scrivente difesa rassegna le seguenti conclusioni.

VOGLIA IL TRIBUNALE

Disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa,

Rigettare integralmente la domanda dell'attore;

Condannare l'attrice alla rifusione delle spese di giudizio in favore del convenuto;

Con riserva di meglio precisare le richieste istruttorie nelle memorie ex art. 171-ter, c.p.c. si chiede sin d'ora espletarsi l'interrogatorio formale della Sig.ra sui seguenti capitoli “vero è che ... ”.

Si allegano i seguenti documenti:

....

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

PROCURA

Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio l'Avv. ..., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ..., via ... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge.

Per autentica della sottoscrizione

Firma Avv. ...

1. È competente il Tribunale ordinario del luogo della residenza coniugale.

2. Si rammenta che con DM del 7 agosto 2023, n. 110 recante “Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile” pubblicato in GU Serie Generale n.187 del 11-08-2023 ed entrato in vigore in data 26/08/2023 sono stati indicati dal Ministero della Giustizia i criteri di redazione degli atti processuali delle parti private e dei Giudici. Si precisa nell'art. 3 che l'esposizione deve essere contenuta nel limite massimo di: a) 80.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 40 pagine nel formato di cui all'articolo 6, quanto all'atto di citazione e al ricorso, alla comparsa di risposta e alla memoria difensiva, agli atti di intervento e chiamata di terzi, alle comparse e note conclusionali, nonché agli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione; b) 50.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 26 pagine nel formato di cui all'articolo 6, quanto alle memorie, alle repliche e in genere a tutti gli altri atti del giudizio; c) 10.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 5 pagine nel formato di cui all'art. 6, quanto alle note scritte in sostituzione dell'udienza di cui all'art. 127-ter c.p.c., quando non è necessario svolgere attività difensive possibili soltanto all'udienza. Nel successivo art. 5 si precisa che i suddetti limiti dimensionali possono essere superati se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti, ovvero nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, di una chiamata di terzo, di un atto di integrazione del contraddittorio, di un atto di riassunzione o di un'impugnazione incidentale. Altro importante criterio di redazione degli atti è contenuto nell'art.6 rubricato “tecniche redazionali” ove si invita l'utilizzo di caratteri di dimensioni di 12 punti; con interlinea di 1,5 e con margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri, con esclusione dell'inserimento di note.

3. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., in l. n. 111/2011).

Commento

È stato chiarito in sede di legittimità che l'art. 217 c.c., sull'amministrazione dei beni personali di un coniuge da parte dell'altro è inapplicabile in tutte le ipotesi in cui il godimento del bene da parte dell'altro coniuge è fondato su un rapporto diverso da quello disciplinato da dette norme, come nell'ipotesi di assegnazione, volontaria o giudiziale, al coniuge affidatario dei figli minori della casa di abitazione di proprietà dell'altro coniuge, atteso che il potere del primo non deriva né da un mandato conferito dal secondo, né dal godimento di fatto del bene (ipotizzante il necessario consenso dell'altro coniuge), ma da un atipico diritto personale di godimento sul bene (cfr. Cass. n. 1651/2010, la quale ha escluso nella fattispecie che l'obbligo di pagare l'ICI sull'immobile del padre, ricadesse sulla madre, cui l'immobile era stato assegnato nel giudizio di separazione personale per coabitarvi coi figli); principio ribadito in Ordinanza n. 7395/2019 motivando che il coniuge al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell'immobile di proprietà (anche in parte) dell'altro coniuge non è soggetto passivo dell'imposta per la quota dell'immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall'art. 3 del d.lgs. n. 504/1992, poiché con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale o di divorzio, viene riconosciuto al coniuge un diritto personale atipico di godimento e non un diritto reale, sicché in capo al coniuge non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti il presupposto impositivo del tributo.

Tale principio deve essere coordinato con l'obbligo che incombe su entrambi di contribuire ai bisogni della famiglia secondo l'indirizzo familiare concordato, che ne costituisce quindi un limite tacito ed intrinseco. Pertanto, se un coniuge mette un suo bene a disposizione della famiglia (ad es. l'immobile che viene adibito a casa familiare o l'autovettura di proprietà di uno dei coniugi che viene messa a disposizione anche dell'altro e dei figli), il suo godimento risulterà inevitabilmente limitato dalla condivisione del bene tra i componenti della famiglia; anche l'amministrazione ne sarà fortemente limitata, poiché il coniuge dovrà rispettare l'accordo sull'indirizzo familiare raggiunto con il coniuge; in particolare non potrà amministrare il bene assumendo decisioni che siano contrarie agli interessi ed ai bisogni della famiglia, come l'alienazione a terzi dell'immobile adibito a casa famigliare, senza provvedere in altro modo alla collocazione dei congiunti. Invero, il sistema delineato dal diritto di famiglia non attribuisce, in costanza di matrimonio, al coniuge non proprietario alcun potere sulla proprietà esclusiva dell'altro coniuge, né gli conferisce il potere di impedirgli il compimento degli atti di disposizione che non condivide, a meno che non si dimostri che tali atti comportino la concreta violazione degli obblighi di assistenza economico-materiale della famiglia incombenti sul coniuge proprietario (Cass. n. 6192/2007).

I successivi commi dell'art. 217 c.c., regolano le ipotesi in cui l'amministrazione dei beni di un coniuge sia affidata all'altro. Non si tratta di una previsione speciale, ma una normale applicazione ai rapporti interni tra i coniugi delle norme sulla rappresentanza negoziale volontaria (art. 1392 ss. c.c.) e sul mandato (art. 1703 c.c.). Il comma 2 richiama espressamente la procura ad amministrare conferita da un coniuge all'altro, configurando una fattispecie di mandato con rappresentanza, ma la disposizione è compatibile anche con un mandato senza rappresentanza. Il richiamo alle norme sul mandato non deve ritenersi integrale, ma in quanto compatibile con il vincolo di solidarietà e fiducia che caratterizza il rapporto coniugale: in tal senso sono sicuramente compatibili: l'art. 1708 c.c., che pone il divieto, salva autorizzazione, di compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione; l'art. 1710 c.c., che prevede che il mandatario è tenuto a eseguire l'incarico con la diligenza del buon padre di famiglia; l'art. 1718 c.c., che prevede l'obbligo di custodia delle cose in capo al mandatario fino alla consegna al mandante. Se nulla si prevede nella procura, il mandato deve presumersi gratuito, perché la onerosità sarebbe incompatibile con i principi di solidarietà del rapporto coniugale e del reciproco dovere di collaborazione. In tal caso deve trovare applicazione la previsione dell'art. 1710 c.c., in tema di mandato gratuito, secondo cui la colpa del mandatario nell'esercizio dell'incarico deve essere valutata con minor rigore. Per quanto riguarda l'obbligo di rendiconto (art. 1713 c.c.), che costituisce una delle obbligazioni principali del mandatario, può anche non trovare applicazione tra i coniugi, come previsto dal comma 3 dell'art. 217, a differenza del comma 2 che lo afferma. Pertanto, dalla lettura coordinata dei due commi si ricava agevolmente che il legislatore concede piena autonomia contrattuale ai coniugi in merito alla scelta di prevedere a carico del coniuge amministratore l'obbligo o meno di rendere conto dei frutti percepiti. Il mandato ad amministrare può, secondo le regole ordinarie, essere conferito in via generale su tutti i beni del coniuge titolare o con contenuto speciale riferito a singoli beni e cespiti. L'ultimo comma dell'art. 217 c.c., regola l'ipotesi dell'amministrazione di beni dell'altro coniuge invito domino, contro cioè la volontà del coniuge titolare e pone a carico del coniuge amministratore l'obbligo di risarcire all'altro i danni causati dalla mala gestio e dalla mancata percezione dei frutti. Poiché la previsione di tale responsabilità è fondata sulla colpa del coniuge amministratore, si è sottolineata la superfluità della norma, il cui disposto sarebbe ricavabile comunque dall'applicazione delle norme e dei principi codicistici in materia di responsabilità contrattuale. Si è rilevato che ai fini del risarcimento del danno da mancata percezione dei frutti, debba applicarsi il disposto dell'art. 1148 c.c., che pone a carico del possessore l'obbligo di rimborsare i frutti che avrebbe potuto percepire, usando la diligenza del buon padre di famiglia, tenendo come riferimento il criterio di redditività media dei beni. Il tenore della disposizione secondo cui il coniuge amministratore “risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti” induce a ritenere che questi debba risarcire ogni tipologia di danno causato al coniuge titolare dalla gestione non autorizzata dei suoi beni. L'opposizione all'amministrazione può essere espressa anche oralmente e per facta concludentia. Per quanto concerne i rapporti con i terzi, si ritiene comunemente che debbano trovare applicazione le norme sul mandato, per cui se il coniuge amministratore agisce come falsus procurator l'atto è inefficace salva la ratifica del coniuge dominus (art. 1398 c.c.); che in caso di alienazione di beni mobili senza l'autorizzazione del coniuge titolare, l'acquisto del terzo è fatto salvo, se sussistono tutti i presupposti dell'art. 1153 c.c.; e che il terzo che abbia eseguito il pagamento al coniuge sedicente amministratore, che dalle circostanze obiettive gli appariva essere legittimato a riceverlo, sarà liberato dall'obbligazione ai sensi dell'art. 1189 c.c. Quanto riferito in questo commento si estende alle parti di un'unione civile ex art. 1, comma 13, l. n. 76/2016, se non hanno optato per un diverso regime patrimoniale.

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