Comparsa di costituzione e risposta nel giudizio intentato da un coniuge di rivendica di beni (art. 219 c.c.)InquadramentoL'art. 219 c.c., è la disposizione di chiusura del regime di separazione dei beni e fornisce il criterio probatorio per risolvere i conflitti tra i coniugi in ordine alla proprietà dei beni personali. La norma prevede al comma 1 che ognuno dei due possa dimostrare “con ogni mezzo” (si tratta di un onere semplificato, assolvibile anche mediante presunzioni) la proprietà esclusiva dei beni. Il comma 2, che è un completamento del primo, pone la presunzione che i beni, dei quali nessuno dei coniugi dimostri la proprietà esclusiva, devono intendersi in comproprietà di entrambi. La norma si applica anche alle parti di un'unione civile ex art. 1, commi 13 e 20, l. n. 76/2016. FormulaTRIBUNALE CIVILE DI ... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA 1 Nel giudizio iscritto al numero ... del R.G.A.C. dell'anno ..., innanzi al Giudice Dr. ... PER Sig. ..., nato a ... il ..., residente in ..., via ... C.F. ... 2, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al presente atto (o a margine del presente atto), dall'Avv. ... (C.F. ... PEC ... ), presso lo studio del quale in ..., via ... elettivamente domicilia; - convenuto - CONTRO Sig. ..., C.F. ..., rappresentato e difeso dall'Avv. .... - attrice - FATTO Con atto di citazione notificato in data ..., la Sig.ra ... conveniva innanzi l'intestata autorità giudiziaria il Sig. ... al fine di vedere accolte le seguenti conclusioni: “a) condannare il Sig. ... a restituire alla Sig.ra la somma di Euro ... pari alla metà della somma depositata sul c/c bancario al momento della separazione, oltre interessi legali in misura di legge; b) condannare il convenuto al pagamento delle spese di giudizio”. A sostegno l'attrice deduceva: - di aver contratto matrimonio concordatario con il Sig. ... in data ..., optando i coniugi per il regime di separazione dei beni; - che i coniugi stabilivano la residenza coniugale nell'appartamento sito in ... di proprietà esclusiva del marito; - che i coniugi sono cointestatari, con firma disgiunta, del conto corrente bancario n. ... acceso su Banca ... s.p.a. su cui nel corso degli anni hanno depositato i proventi delle loro attività; - che dopo anni di serena e felice convivenza, il rapporto coniugale si incrinava ed i coniugi decidevano di separarsi; - che i coniugi comparivano dinanzi al Presidente del Tribunale di ... in data ..., sottoscrivendo l'accordo di separazione consensuale, che veniva omologato dal Tribunale con decreto del ...; - che dall'ultimo estratto conto, prima della separazione, relativo al c/c bancario n. ... cointestato ai coniugi, risultava un saldo attivo di Euro ...; - che subito dopo l'udienza di presidenziale di comparizione, il Sig. ... si era recato in banca prelevando l'intera liquidità ivi depositata, come si evince dal prospetto bancario che si allega; - che, non essendo possibile stabilire le somme di rispettiva titolarità esclusiva, attesa l'alternanza di depositi e prelievi continui nel corso degli anni, opera la presunzione di comproprietà in capo ad entrambi disposta dal comma 2 dell'art. 219 c.c., per cui le spetterebbe la metà della somma sopra indicata. *** Tutto ciò premesso, con la presente comparsa si costituisce in giudizio il Sig. ... impugnando e contestando integralmente la domanda avversaria di cui chiede il rigetto per le seguenti ragioni di DIRITTO È vero che l'art. 219, comma 2, c.c. sancisce il principio di presunzione di comproprietà indivisa di tutti i beni mobili rinvenuti in disponibilità dei coniugi, di cui nessuno dei due riesce a provare la proprietà esclusiva; ma, d'altra parte, il comma 1 consente a ciascun coniuge di provare con ogni mezzo la titolarità di beni mobili che sono nella disponibilità di entrambi. Tra i mezzi di prova va considerata certamente anche la prova per presunzioni, anche semplici ex art. 2727 c.c. (Cass. n. 28839/2008). In una fattispecie speculare a quella oggetto di causa, la S.C. di Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui in caso di cointestazione di un conto corrente tra coniugi in regime di separazione di beni, sarà sufficiente per un coniuge provare, mediante allegazione di busta paga, di essere l'unico percettore di redditi in famiglia, riuscendo in tal modo a fornire la prova, per presunzioni appunto, che la liquidità sussistente sul conto corrente cointestato sia riconducibile a versamenti compiuti solo da lui e che quindi quel denaro è esclusivamente di sua proprietà (Cass. n. 1149/2004; e, in giurisprudenza di merito, Trib. Verona 8 aprile 1994). Questo principio si adatta perfettamente al caso di specie, in quanto il comparente è stato l'unico percettore di redditi nella coppia, avendo l'attrice svolto sempre l'attività di casalinga. Sul conto corrente cointestato veniva accreditato mensilmente soltanto lo stipendio del marito; la Sig.ra non vi ha mai versato alcunché come si evince agevolmente dagli estratti conto relativi agli anni ... che si allegano (All. 1). La cointestazione del conto con firma disgiunta fu stabilita dai coniugi esclusivamente per consentire alla Sig.ra ... di reperire risorse immediate per fronteggiare ad imprevisti relativi alla prole. Da quanto detto, consegue che il prelievo di tutto il denaro depositato sul conto corrente in oggetto, ad opera del comparente, dopo la separazione dalla Sig.ra ... è del tutto legittimo, perché quel denaro era di sua esclusiva proprietà. La cointestazione del conto è un dato meramente formale che non può andare ad inficiare la titolarità giuridica effettiva del denaro ivi depositato. Questo aspetto è stato ben evidenziato dalla Cassazione in sentenza n. 18777/2015, ove la S.C. ha evidenziato che “la cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto ai sensi dell'art. 1298, comma 2, c.c.; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell'onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti - dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa”. *** Tutto ciò considerato e premesso, la scrivente difesa rassegna le seguenti conclusioni. VOGLIA IL TRIBUNALE Disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, 1) Rigettare integralmente la domanda dell'attore; 2) Condannare l'attrice alla rifusione delle spese di giudizio. Con riserva di meglio precisare le richieste istruttorie nelle memorie ex art. 171-ter, c.p.c. Si allegano i seguenti documenti: 1) estratti conto bancari relativi agli anni ...; 2) ...; 3) .... Luogo e data ... Firma Avv. ... PROCURA Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio l'Avv. ..., eleggendo domicilio nello studio dello stesso in ..., via ... e conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge. Per autentica della sottoscrizione Firma Avv. ... [1] 1. Si rammenta che con DM del 7 agosto 2023, n. 110 recante “Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile” pubblicato in GU Serie Generale n.187 del 11-08-2023 ed entrato in vigore in data 26/08/2023 sono stati indicati dal Ministero della Giustizia i criteri di redazione degli atti processuali delle parti private e dei Giudici. Si precisa nell'art. 3 che l'esposizione deve essere contenuta nel limite massimo di: a) 80.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 40 pagine nel formato di cui all'art. 6, quanto all'atto di citazione e al ricorso, alla comparsa di risposta e alla memoria difensiva, agli atti di intervento e chiamata di terzi, alle comparse e note conclusionali, nonché agli atti introduttivi dei giudizi di impugnazione; b) 50.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 26 pagine nel formato di cui all'art. 6, quanto alle memorie, alle repliche e in genere a tutti gli altri atti del giudizio; c) 10.000 caratteri, corrispondenti approssimativamente a 5 pagine nel formato di cui all'art. 6, quanto alle note scritte in sostituzione dell'udienza di cui all'art. 127-ter c.p.c., quando non è necessario svolgere attività difensive possibili soltanto all'udienza. Nel successivo art. 5 si precisa che i suddetti limiti dimensionali possono essere superati se la controversia presenta questioni di particolare complessità, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti, ovvero nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, di una chiamata di terzo, di un atto di integrazione del contraddittorio, di un atto di riassunzione o di un'impugnazione incidentale. Altro importante criterio di redazione degli atti è contenuto nell'art. 6 rubricato “tecniche redazionali” ove si invita l'utilizzo di caratteri di dimensioni di 12 punti; con interlinea di 1,5 e con margini orizzontali e verticali di 2,5 centimetri, con esclusione dell'inserimento di note. [2] 2. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., in l. n. 111/2011). CommentoLa disposizione dell'art. 219, comma 1, c.c., mira a definire i conflitti petitori tra i coniugi relativi ai beni acquistati che sono nella loro disponibilità materiale durante la convivenza matrimoniale, e in proposito accolla alle parti un onere probatorio semplificato, assolvibile “con ogni mezzo”. La semplificazione probatoria prevista dall'art. 219, comma 1, c.c., operante solo nei rapporti interni tra i coniugi, si riferisce alla prova della proprietà esclusiva dei beni mobili, ed è volta principalmente a derogare, attraverso la presunzione posta nel comma 2, alla regola generale sull'onere della prova in tema di rivendicazione, mentre nessuna eccezione configura alla normale disciplina della prova dei contratti formali, in particolare degli acquisti immobiliari per cui, quando un immobile è intestato ad uno dei coniugi in virtù di idoneo titolo d'acquisto, l'altro coniuge, che alleghi l'interposizione reale, non può provarla con giuramento, né con testimoni, giacché l'obbligo dell'interposto di ritrasmettere all'interponente i diritti acquistati deve risultare, a pena di nullità, da atto scritto, salvo che nell'ipotesi di perdita incolpevole del documento e non anche, dunque, nel caso in cui si deduce un semplice principio di prova per iscritto (Cass. n. 18554/2013; Cass. n. 6589/1998; Cass. n. 11327/1997; Cass. n. 1482/1995; Cass. n. 2540/1990; Cass. S.U., n. 2494/1982; in sede di merito sulla necessità della prova scritta per provare la proprietà di diritti immobiliari v., tra le altre, Trib. Roma 1° febbraio 2008; Trib. Catania 11 luglio 1986; Trib. Milano 19 settembre 1983). La norma di cui all'art. 219 c.c., è destinata a trovare applicazione solo nei rapporti (e quindi nei giudizi) tra coniugi o tra un coniuge e gli eredi dell'altro o tra gli eredi di entrambi; non invece nei giudizi di rivendica di un bene instauratisi tra uno dei coniugi ed un terzo, ostandovi a ciò sia il dato letterale evidente ed univoco del comma 1 sia la ratio della norma. Quindi, ad es., un coniuge, che voglia dimostrare la sua proprietà esclusiva di un bene pignorato da un creditore dell'altro coniuge, non potrà giovarsi del regime probatorio semplificato di cui all'art. 219 c.c., ma, nel proporre opposizione di terzo all'esecuzione, ex art. 619 ss. c.p.c., sarà assoggettato ai limiti della prova testimoniale sanciti nell'art. 621 c.p.c. Il comma 2 dell'art. 219 c.c., dispone che laddove l'onere probatorio della proprietà esclusiva di uno o più beni non sia assolto, scatta la presunzione di comproprietà dei coniugi, sui beni medesimi, per quote paritarie, in regime di comunione ordinaria. Tale regola, secondo alcuni autori, si ispira alla solidarietà familiare che discende dal rapporto coniugale e soprattutto riecheggia la ratio ed i principi ispiratori della comunione legale tra coniugi, con particolare riguardo al principio secondo cui l'acquisto di beni in costanza di matrimonio è generalmente reso possibile dallo sforzo e dai sacrifici di entrambi i coniugi. La dottrina maggioritaria interpreta, invece, la presunzione del comma 2 dell'art. 219 c.c., come una soluzione equitativa in caso di irrisolvibile contrasto sull'accertamento della proprietà esclusiva di alcuni beni, rifiutando quindi ogni accostamento ai principi ispiratori della comunione legale. Il comma 2 dell'art. 219 c.c., rappresenta una norma eccezionale, innovativa, perché pone una deroga rilevante al criterio di riparto dell'onere della prova nei giudizi di rivendicazione: nel caso in cui il coniuge rivendicante non riesca a dimostrare la proprietà esclusiva del bene, la sua domanda non sarà interamente rigettata, ma ne sarà considerato contitolare in regime di comproprietà indivisa, laddove neppure il coniuge convenuto riesca a dimostrare la proprietà del bene. La norma quindi ripartisce in misura paritaria su entrambi i coniugi il rischio relativo al mancato raggiungimento della prova della proprietà esclusiva dei beni mobili, e, se da un lato costituisce una deroga ai principi probatori che governano i giudizi di rivendicazione, dall'altro costituisce una conferma, un'espressione, una proiezione applicativa, in ambito probatorio, del principio di parità giuridica tra coniugi. La presunzione non opera nei giudizi tra un coniuge ed un terzo che agisca per rivendicare la proprietà del bene. Si ipotizzi ad esempio il conflitto che investe la proprietà di un bene mobile ceduto da un coniuge ad un terzo, di cui l'altro coniuge invochi la proprietà esclusiva, potendola dimostrare in giudizio, o in subordine rivendichi almeno la comproprietà indivisa ai sensi dell'art. 219, comma 2, c.c. Deve ritenersi che l'acquisto del terzo è fatto salvo, se questi ha conseguito il possesso materiale del bene, ha agito in buona fede ed in virtù di titolo idoneo al trasferimento, per effetto del meccanismo di risoluzione dei conflitti stabilito dall'art. 1153 c.c. L'altro coniuge non avrà quindi alcuna possibilità di invalidare l'alienazione del bene mobile al terzo, ma potrà agire nei confronti del coniuge per conseguire l'intero prezzo, o la metà, ricevuto dal terzo acquirente dall'alienazione del bene, ove riesca nel primo caso a dimostrare la proprietà esclusiva del bene ovvero, nel secondo, se nessuno dei due dovesse riuscire ad offrire in giudizio tale prova. Quanto riferito in questo commento si estende alle parti di un'unione civile ex art. 1, comma 13, l. n. 76/2016. |