Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 176 - Effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affareEffetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare 1. L'apertura della liquidazione giudiziale della società determina lo scioglimento del contratto di finanziamento di cui all'articolo 2447-bis, primo comma, lettera b), del codice civile quando impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione. In caso contrario, il curatore, sentito il parere del comitato dei creditori, può decidere di subentrare nel contratto in luogo della società, assumendo, a decorrere dalla data del subentro, tutti i relativi obblighi. 2. Se il curatore non subentra nel contratto, il finanziatore può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato, sentito il comitato dei creditori, a realizzare o a continuare l'operazione, in proprio o affidandola a terzi; in tale ipotesi il finanziatore può trattenere i proventi dell'affare e può insinuarsi al passivo della procedura in via chirografaria per l'eventuale credito residuo. 3. Nelle ipotesi ai commi 1, secondo periodo e 2, resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 2447-decies, terzo, quarto e quinto comma, del codice civile. 4. Qualora, nel caso di cui al comma 1, non si verifichi alcuna delle ipotesi previste ai commi 1, secondo periodo e 2, si applica l'articolo 2447-decies, sesto comma, del codice civile. InquadramentoLa norma in commento (che, secondo quanto anticipato supra, attualizza alle disposizioni del nuovo Codice il testo dell’art. 72-ter l. fall.) disciplina invece la sorte dei contratti di finanziamento destinati ad uno specifico affare qualora avvenga la liquidazione giudiziale della società stipulante, stabilendo che tali contratti restano condizionati da circostanze in certa misura «esterne» rispetto alla procedura e che allora, come era già stato notato da parte della dottrina formatasi durante la vigenza della legge fallimentare, si tratta di contratti non inquadrabili fra quelli che restano sospesi (ex art. 72 l. fall., e ora ai sensi degli artt. 172 e 173 del Codice), né fra quelli che proseguono «automaticamente» (Vattermoli, 1024). DisciplinaLa norma in rassegna prevede che lo scioglimento del contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare non si determina in automatico a seguito all’apertura della liquidazione giudiziale della società stipulante, ma soltanto se essa impedisce la realizzazione o la prosecuzione dell’affare specifico. Sì che, se la liquidazione giudiziale non ostacola il compimento dell’affare (e si ricordi al riguardo che la regola generale introdotta dall’art. 211, primo comma del Codice è ora nel senso – formalmente opposto a quello della legge fallimentare – che «l’apertura della liquidazione giudiziale non determina la cessazione dell’attività d’impresa» quando ricorrano le condizioni previste dai commi 2 e 3 della stessa disposizione), il contratto resta in una condizione di sospensione fino a quando non si verifichino le condizioni previste dalla norma qui in commento. In dottrina si è fatto l’esempio della società che con il finanziamento destinato abbia realizzato un’opera e l’abbia poi concessa in affitto a terzi e che dunque si limiterà alla percezione dei relativi canoni (Campobasso, 1471). La sospensione rileva, in particolare, rispetto al decorso del termine massimo per il rimborso di cui all’art. 2447-decies, secondo comma, lettera h) c.c., che verrà riattivato per il tempo ancora a scadere in seguito alla decisione del curatore, ovvero del finanziatore o di un terzo, di procedere nell’esecuzione dell’operazione (Santosuosso, 389). Il secondo comma della norma in esame, infatti, consente la possibilità di subentro nel contratto, «assumendone i relativi oneri», da parte del curatore il quale dovrà acquisire il parere del comitato dei creditori. E tuttavia, anche laddove il curatore non subentri nel contratto, il finanziatore può chiedere al giudice di essere autorizzato a proseguire comunque l’affare per proprio conto, ovvero ad affidarlo a terzi. In siffatta ipotesi, la legge prevede che il finanziatore possa trattenere i proventi e insinuarsi al passivo per l’eventuale credito residuo. Nel caso in cui l’operazione prosegua con il subentro del curatore o del finanziatore, sopravvivono gli effetti della separazione dei proventi di cui ai commi terzo, quarto e quinto dell’art. 2447-decies c.c.; se invece l’operazione non prosegue trova applicazione il sesto comma dell’art. 2447-decies c.c., al commento del quale, dunque, si rinvia. Sospensione del contratto di finanziamentoNon è agevole individuare quale disciplina trovi applicazione sinché non venga sciolta la riserva da parte del curatore (ovvero del finanziatore a chiedere al giudice di essere non di meno autorizzato) a proseguire o meno il contratto di finanziamento. La scelta di proseguire sembra rappresentare una ipotesi di esercizio provvisorio dell’impresa, con conseguente applicazione delle regole già previste dall’art. 104 l. fall. e ora disciplinate, nella logica (formalmente opposta) prevista oggi dall’art. 211 c.d.c. Tuttavia, occorre osservare che il periodo di sospensione del contratto di finanziamento, dunque il momento della scelta del curatore, in concreto potrebbe essere decisamente lungo (Comporti, 440), in considerazione della delicata verifica della realizzabilità dell’operazione e della conseguente responsabilità che la scelta di proseguire il contratto di finanziamento inevitabilmente comporta. Anche per tali considerazioni, parte della dottrina (Vattermoli, 1026) ritiene condivisibilmente che il curatore possa prendere la decisione in rassegna con l’ausilio del comitato dei creditori, in coerenza con quanto previsto a proposito dell’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito. V’è da chiedersi se, in ragione della diversa formulazione prevista in termini generali nell’art. 211 del Codice, se l’esecuzione del contratto di finanziamento debba o meno proseguire nel periodo di tempo che occorre al curatore per compiere gli accertamenti necessari; la dottrina – pur nella vigenza del principio previsto dall’art. 72 della previgente legge fallimentare – propende in ogni caso per la soluzione negativa, ossia della sospensione del contratto (Vattermoli, 1031; Dimundo, 897). Quanto al controllo e alla sindacabilità della scelta effettuata dal curatore, va osservato che la legge non individua i parametri ai quali il curatore deve attenersi nell’effettuare la decisione di proseguire o meno il contratto di finanziamento (Dimundo, 896); e tuttavia i criteri della scelta non dovrebbero essere diversi da quelli oggi previsti nei commi 2 e 3 dell’art. 211. La prosecuzione del contratto di finanziamentoSe il curatore subentra nel contratto e se l’affare specifico al quale è destinato il contratto di finanziamento integra un’attività complessa, come si è visto, troverà applicazione anche la disciplina dell’esercizio provvisorio dell’impresa insolvente (in vario senso si vedano Vattermoli, 1030; Campobasso, 1473; Dimundo, 898; Comporti, 442; Pasquariello, 356; Santagata De Castro 491; Manferoce, 1363). Con specifico riferimento al parere del comitato dei creditori, la dottrina ne ha sottolineato il rilievo anche in considerazione della circostanza che, per effetto del subentro nel contratto di finanziamento, il curatore assume - si precisa oggi: «dalla data del subentro» - il compito di conservare la contabilità delle operazioni che riguardano l’affare posto che ciò è funzionale al mantenimento della separazione patrimoniale prevista dal penultimo comma della norma in commento; il che avvalora, almeno indirettamente, anche la tesi della sospensione del contratto prima di tale decisione. In proposito si ritiene che il parere del comitato dei creditori, anche in questo caso, è vincolante per il curatore (Fimmanò, 786; Giannelli, 798; Campobasso, 1473. Contra Pasquariello, 360; Santagata De Castro, 499). Se il curatore non intende subentrare nel contratto di finanziamento, la prosecuzione dello stesso non è preclusa, dal momento che il finanziatore può essere autorizzato dal giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, a realizzare o continuare l’operazione oggetto del finanziamento. Il finanziatore dovrà presentare una proposta compatibile con gli interessi e le necessità sottese alla procedura di liquidazione giudiziale ed eventualmente indicare il terzo a cui intende affidare la gestione. La norma non individua le modalità necessarie per lo svolgimento dell’affare affidato al finanziatore o al terzo e ciò induce a ritenere che il legislatore abbia inteso lasciare ampio spazio all’autonomia dei privati. Tuttavia, dal momento che la legge consente al finanziatore di trattenere i proventi dell’affare, si è osservato che tale facoltà sarebbe in contrasto con l’adozione di modalità sostanzialmente autonome di esercizio dell’affare (Scarafoni, 1000). È stato suggerito che, entro questi limiti, l’interesse del finanziatore a proseguire in proprio l’operazione sussisterebbe anzitutto nella misura in cui l’affare possa produrre proventi utili a consentire un rimborso, almeno parziale, del finanziamento. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il percorso scelto mirerebbe a dare il tempo necessario al finanziatore di ricercare e, eventualmente, individuare, un soggetto disposto a subentrare nell’affare e nel rapporto di finanziamento, così da consentirne il rimborso (Niutta, 331). Questa disciplina (permettendo la sopravvivenza di un finanziamento che il mercato, su iniziativa del finanziatore, ritenga in grado di generare ricchezza), appare coerente con la concezione «europeizzata» del diritto della crisi (Minervini 1, 11), la quale postula una lettura armonizzata delle procedure di regolazione della crisi d’impresa con i princìpi normativi posti a presidio del corretto funzionamento del mercato interno, di matrice euro-unitaria (e dunque sovraordinati). Tale esigenza, già ricavabile per via interpretativa anche nel regime della legge fallimentare (Minervini 2, passim; Libertini, 9) deve ritenersi oramai acquisita a seguito del recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023 (cd. Insolvency) all’interno del Codice ((Minervini 1, 25 ss.). Insinuazione al passivoLa norma in commento, al terzo comma, stabilisce la possibilità di insinuazione al passivo, in via chirografaria, nel caso in cui, a seguito della realizzazione dell’affare, al finanziatore residui un credito da soddisfare. Quanto all’individuazione del credito, parte della dottrina lo ha identificato nel capitale apportato dal finanziatore in esecuzione del contratto, al netto di quanto già ottenuto con i proventi dell’operazione (Comporti, 445; Vattermoli, 1033; Scarafoni, 1000). Secondo altri Autori, invece, il credito residuo del finanziatore potrebbe consistere esclusivamente nel valore delle eventuali garanzie offerte dalla società sul patrimonio generale in quanto, continuandosi ad applicare la regola della separazione anche in sede di liquidazione giudiziale, solo il patrimonio separato risponderebbe del debito di rimborso del finanziamento (Campobasso, 1475; Pasquariello, 356). La specificazione che l’insinuazione debba avvenire in via chirografaria ha portato alcuno (Vattermoli, 1034) a ritenere che, a seguito della richiesta del finanziatore di continuare in proprio l’operazione, si verifichi la novazione oggettiva dell’obbligazione originaria, con la conseguente estinzione delle cause di prelazione relative al credito originario e tale soluzione sarebbe almeno indirettamente confermata anche dalla considerazione che nella ipotesi di scioglimento del contratto di finanziamento, l’ultimo comma della norma in commento, non fa alcun riferimento alla circostanza che l’insinuazione del finanziatore debba avvenire in via chirografaria. I proventiIl quarto comma sancisce che, nel caso in cui si seguiti nella realizzazione dell’operazione, si continuano ad applicare le disposizioni relative agli effetti della separazione patrimoniale, secondo la disciplina stabilita nell’art. 2447-decies, commi terzo, quarto e quinto). I proventi derivati dall’operazione di finanziamento devono essere separati dal patrimonio sociale e sono destinati, in via esclusiva, al rimborso del finanziamento; il finanziatore, quindi, avrà diritto di soddisfarsi sui proventi e sui frutti del finanziamento che, continuando a confluire nel patrimonio separato, non possono essere pregiudicati da azioni esecutive dei creditori sociali. Lo stesso accade anche per i beni strumentali alla realizzazione dell’operazione, sui quali potranno essere esercitate esclusivamente azioni conservative. ScioglimentoQualora non sia possibile proseguire (o realizzare) l’affare si dispone, naturalmente, lo scioglimento del contratto di finanziamento nonché la cessazione delle limitazioni patrimoniali e la possibilità, da parte del finanziatore, di insinuarsi al passivo per il suo credito in via chirografaria, al netto di quanto percepito a titolo di proventi o frutti prima della liquidazione giudiziale. Tale ultimo profilo assume notevole rilievo. Invero, sebbene la legge disponga che in sede di continuazione dell’affare i proventi dell’affare siano di spettanza del finanziatore nei limiti previsti dal contratto, non è chiaro cosa accada invece ai proventi nel caso in cui, invece, l’affare non prosegua. In proposito è stato sostenuto (Pescatore, 480; Salamone, 74) che nel caso in cui i proventi siano stati correttamente contabilizzati ed accantonati della società, ma non ancora distribuiti alla data di dichiarazione della liquidazione giudiziale, essi spetterebbero ai finanziatori in base ad un vero e proprio diritto di assegnazione e ciò per effetto della disciplina di cui all’art. 2447-decies c.c. che si riferisce a proventi e frutti dell’affare, qui espressamente richiamata. Nella ipotesi in cui il conseguimento dei proventi avvenga successivamente alla dichiarazione di liquidazione giudiziale, essi spetterebbero ugualmente, in via esclusiva, ai finanziatori. Tale soluzione è stata argomentata dalla dottrina con l’osservazione che, diversamente opinando, si finirebbe per ammettere che l’attribuzione dei proventi al finanziatore dipenda esclusivamente dalla possibilità di continuare l’operazione, con la conseguenza che la scelta del curatore di non subentrare nel contratto «consentirebbe al fallimento [ora alla procedura] di incassare proventi non ancora distribuiti o conseguiti al momento del fallimento della società» (Pescatore, 481). Per effetto infine della previsione recata dall’ultimo comma della norma in commento, qualora non si opti per la prosecuzione dell’affare, i beni strumentali perdono il beneficio della separazione e tornano a far parte del patrimonio sociale, a garanzia di tutti i creditori sociali (Dimundo, 902; Vattermoli, 1028; Manferoce, 1365; Scarafoni, 1001). Altre procedure concorsualiRispetto alla disciplina da applicare in caso in cui la società sia sottoposta ad altre procedure concorsuali è da segnalare la mancanza di espliciti riferimenti normativi. Nel caso della liquidazione coatta amministrativa si era ritenuto di dover applicare l'art. in commento in considerazione del rinvio presente nell'art. 201 l. fall, con conseguente sostituzione delle figure (l'autorità amministrativa incorpora i poteri del tribunale e del giudice delegato, il commissario liquidatore sostituisce il curatore ed il comitato di sorveglianza prende il posto del comitato dei creditori). Tale conclusione può valere ancora oggi, posto che l'art. 304 c.c.i.i. ricalca il testo dell'art. 201 l. fall. Quanto all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese merita di essere sottolineata l'osservazione di parte della dottrina, secondo cui il debito di rimborso del finanziamento andrebbe conteggiato rispetto a i limiti dimensionali per l'ammissione alla procedura, così come previsto dall'art. 2, primo comma, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 e dall'art. 1 d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (Campobasso, 1476), che non hanno subito modifiche di rilievo a seguito dell'entrata in vigore del Codice. Da ultimo, riguardo al concordato preventivo, in dottrina era stata sostenuta la possibilità di prosecuzione del rapporto di finanziamento destinato in quanto la disciplina dei contratti pendenti in sede di fallimento non era richiamata dalla disciplina sul concordato (Salamone, 910). Tale conclusione, già desumibile dall'art. 169-bis l. fall., risulta ad oggi confermata dall'art. 97 c.c.i.i. il quale, con riferimento all'elenco dei contratti in corso di esecuzione la cui sospensione o risoluzione può essere autorizzata dal giudice delegato, esclude espressamente il finanziamento destinato (si veda in particolare il comma tredici dell'art. 97 c.d.c., ai sensi del quale «le disposizioni del presente articolo non si applicano[fra gli altri] ai contratti di cui[all'articolo] 176»). In questo senso, quindi, anche durante la procedura di concordato si mantiene la separazione patrimoniale al fine di garantire in via esclusiva il rimborso del finanziamento. Al riguardo si è sottolineato che la disciplina va coordinata anche con quanto previsto dal cd. concordato con continuità aziendale, che consente la prosecuzione dell'attività d'impresa qualora vi siano tutti i requisiti di legge (Campobasso, 1477): nel regime anteriore, quelli previsti dall'art. 186-bis l. fall. e ora, nel nuovo Codice, dagli artt. 47, lett. b) 84, 86, 95 e 112. A tal riguardo la dottrina non ha mancato di evidenziare che i presupposti di continuità aziendale si ampliano nel nuovo Codice, essendo espressamente previsto che il concordato con continuità aziendale debba mirare – oltre alla soddisfazione dei creditori – anche alla « conservazione dei valori aziendali » (art. 47, comma 1, lett. b) e che a tal fine è sufficiente che l'attestatore confermi che il piano, oltre a superare lo stato di crisi e insolvenza dell'impresa, garantisca a ciascun creditore « un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale » (art. 87, comma 3); e che, anche in caso di opposizione del creditore (che ritenga non conveniente la proposta), il piano è comunque omologato dal Tribunale ogni qual volta « il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale » (non essendo richiesto, invece, che sia soddisfatto in misura uguale o superiore: art. 112, comma 3) e che, nel giudizio di appello contro l'omologazione, la Corte, su richiesta delle parti, può confermare la sentenza di omologazione « se l'interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale sull'interesse del reclamante, riconoscendo a quest'ultimo il risarcimento del danno (art. 53, comma 5-bis). Si supera, in tal modo, il principio previgente, proprio della legge fallimentare, in base al quale il piano di concordato doveva garantire in ogni caso il « miglior soddisfacimento dei creditori » , mentre si dà ora espresso rilievo e protezione anche agli interessi dei lavoratori e alla conservazione dei posti di lavoro (per tutti Ambrosini, 770 ss.).
BibliografiaAmbrosini, Fattibilità del piano e trattamento non deteriore dei creditori nel concordato preventivo, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, a cura di S. Ambrosini, Bologna, 2023, 768 ss.; Campobasso, Sub art. 2447-decies, in Il codice civile, commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2013; Comporti, Sub art. 72-ter, Effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Torino, 2006, 438 ss.; Dimundo, Sub art. 72-ter, in Codice commentato del fallimento, diretta da Lo cascio, Milano, 2013, 783 ss.; Fimmanò, Prove tecniche di esercizio provvisorio riformato, in Giur. comm., 2007, VI, parte 1, 756; Giannelli, I finanziamenti destinati ad uno specifico affare e il contenimento del rischio di impresa, in Riv. Dir. soc. 2008, IV, 785 ss.; Libertini, Crisi d’impresa e diritto della concorrenza, in Merc. conc. reg., 2021, I, 9 ss.; Manferoce, I patrimoni destinati, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, 2016, cap. IX, par. VI.; Minervini, Dalla legge fallimentare alla Direttiva Insolvency. Il diritto della crisi come strumento per la costruzione e il corretto funzionamento del mercato interno, in Giur. comm., 2023, III; Minervini, Insolvenza e mercato – Itinerari per la modernizzazione delle discipline sulla crisi d’impresa, Napoli, 2018; Niutta, Patrimoni destinati e procedure concorsuali (a seguito della riforma che ha interessato il diritto fallimentare), in Dir. Fall., 2008, III-IV, 299 ss.; Pescatore, Sub art. 72-ter, in Maffei Alberti, Commentario alla legge fallimentare, Bologna, 2013; Santagata De Castro, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il codice civile, commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2014; Pasquariello, Sub art. 2447-decies, in Patrimoni destinati ad uno specifico affare, a cura di Manes e Pasquariello, Bologna, 2013, 345 ss.; Salamone, I “finanziamenti destinati” tra separazione patrimoniale e garanzia senza spossessamento, in Nuovo dir. Soc. I, diretto da Abbadessa e Portale, 2006, 877 ss.; Salamone, I patrimoni destinati a specifici affari nella s.p.a. riformata: insolvenza, esecuzione individuale e concorsuale, in Riv. Esec. Forz., 2005, I, 97 ss.; Santosuosso, I finanziamenti destinati di società nel nuovo diritto concorsuale, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2007, III, 383 ss.; Scarafoni, Sub art. 72-ter, Effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Bologna, 2014, 993 ss.; Vattermoli, Sub art. 72-ter, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2010. |