L’operatore di Poste Italiane spa addetto alla raccolta del risparmio è un incaricato di pubblico servizio?

20 Ottobre 2025

È configurabile il delitto di peculato a carico del dipendente di Poste Italiane spa che si appropri del denaro depositato o investito dai clienti nell’ambito dell’attività di raccolta del risparmio gestita da quella società? Le motivazioni delle Sezioni Unite.

Questione controversa

La questione controversa attiene alla qualifica soggettiva da attribuirsi al dipendente di Poste Italiane Spa che svolga attività di raccolta e gestione del risparmio: si tratta di attività che, nonostante la trasformazione dell'ente in una società per azioni, ha conservato connotazioni pubblicistiche, o essa ha oramai natura privatistica, del tutto identica a quella svolta dalle banche?

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo e maggioritario orientamento, il dipendente di Poste Italiane spa rivestirebbe la qualità di incaricato di pubblico servizio in relazione all'attività di raccolta del risparmio postale, specificamente prevista dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, in quanto tale attività, per legge direttamente ed univocamente finalizzata al perseguimento di primari interessi pubblici, ha una peculiare connotazione pubblicistica.

Ad avviso dei sostenitori di questo orientamento, la trasformazione dell'assetto giuridico e organizzativo dell'Amministrazione postale, divenuta dapprima ente pubblico economico e successivamente società per azioni, non ha influito sulla natura pubblicistica dei servizi erogati, tra i quali la raccolta del risparmio attraverso i libretti di risparmio postale e i buoni fruttiferi postali, strumenti di investimento "prudenziali", assistiti dalla garanzia dello Stato e suscettibili di immediata liquidabilità, senza perdite in conto capitale o penalizzazioni, oggetto di monopolio legale.

Viene, inoltre, valorizzato il testo tuttora vigente dell'art. 12 d.P.R. n. 156/1973 (codice postale e delle telecomunicazioni), secondo cui «Le persone addette ai servizi postali e di bancoposta, anche se dati in concessione ad uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformità degli articoli 357 e 358 del codice penale»: il fatto che, dopo la trasformazione di Ente Poste in società per azioni, il d.lgs. n. 259/2003 abbia modificato l'art. 12 cit. limitandosi a sopprimere, sia nella rubrica che nel testo dell'articolo, il solo riferimento ai servizi di telecomunicazione dimostrerebbe la perdurante operatività della norma attributiva della qualifica di pubblico agente all'esercente i servizi di bancoposta.

Le più recenti pronunce di legittimità a sostegno di questo orientamento hanno, altresì, sottolineato che l'attività in concreto svolta dagli operatori di bancoposta, laddove riguardi la raccolta e la gestione del risparmio attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, attiene a bisogni di pubblico interesse, il cui soddisfacimento è perseguito istituzionalmente con capitali pubblici e secondo modalità e forme determinate da regolamentazione di natura pubblicistica, così da rientrare nell'alveo della prestazione di pubblico servizio, quale definita dall'art. 358 c.p. (1).

Secondo l'opposto orientamento, l'attività di raccolta e gestione del risparmio svolta da Poste Italiane Spa avrebbe natura privatistica, non diversamente da quella svolta dalle banche, non potendo avere rilievo la circostanza che l'ente operi per conto di Cassa Depositi e Prestiti, essendo quest'ultima equiparabile ad un comune azionista che non interviene personalmente nei rapporti con la clientela, la quale intrattiene rapporti, regolati esclusivamente dal diritto civile, con Poste Italiane Spa: riservare ai dipendenti di quest'ultima che svolgano servizi di bancoposta un trattamento penale più rigoroso di quello applicabile ai dipendenti degli istituti di credito, malgrado l'identica natura dall'attività svolta, integrerebbe una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

Ad avviso dei sostenitori di questo orientamento, non può avere rilievo il testo dell'art. 12 d.P.R. n. 156/1973, emesso nel contesto della disciplina antecedente alle riforme dei settori postale e bancario, e, dunque, incentrato su una serie di disposizioni che afferiscono al nucleo originario dei compiti istituzionali dell'ente, relativi essenzialmente alla gestione della corrispondenza: le attività di bancoposta trovano compiuta regolamentazione in una distinta normativa di settore, occorrendo fare riferimento principalmente al d.P.R. n. 144/2001 e al d.lgs. n. 261/1999, dai quali si evince l'assimilazione tra l'attività di raccolta del risparmio svolta da Poste Italiane spa e quella svolta da un qualsiasi istituto di credito privato, non potendo rinvenirsi alcuna norma che preveda o lasci intendere che Poste Italiane spa, nello svolgimento di attività di tipo bancario, abbia condizioni di esercizio diverse da quelle ordinarie delle banche (2).

(1Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2024, n. 22280; Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2023, n. 44146; Cass. pen., sez. VI, 22 giugno 2022, n. 28630; Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2018, dep. 2019, n. 993; Cass. pen., sez. VI, 13 gennaio 2017, n. 14227; Cass. pen., sez. VI, 23 novembre 2016, dep. 2017, n. 10875; Cass. pen., sez. VI, 23 novembre 2016, dep. 2017, n. 10875; Cass. pen., sez. V, 13 febbraio 201, n. 31660.

    

(2Cass. pen., sez. VI, 31 maggio 2018, n. 42657; Cass. pen., sez. VI, 21 ottobre 2014, dep. 2015, n. 10124; Cass. pen., sez. VI, 30 dicembre 2014, dep. 2015, n. 18457.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. VI, 29 maggio 2024, n. 31605

I giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione del dipendente di Poste italiane spa condannato per il delitto di peculato per essersi appropriato delle somme di denaro rivenienti dal riscatto di buoni fruttiferi postali di un cliente, destinate ad essere investite in altri strumenti finanziari.

Il ricorrente deduceva, tra l'altro, l'erronea qualificazione giuridica dei fatti, evidenziando che la stessa Suprema Corte, nell'annullare l'ordinanza coercitiva emessa nei suoi confronti durante le indagini preliminari, aveva rilevato l'insussistenza della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio, venendo in rilievo attività ed operazioni riconducibili alla ordinaria attività bancaria, che ha natura privatistica (Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2015, dep. 2016, n. 3940).

La Sesta Sezione, dopo aver illustrato il descritto contrasto interpretativo, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, sottolineando la sua adesione al secondo orientamento, ritenendo «incontroverso che l'attività bancaria abbia natura privatistica, seppure non priva di aspetti di pubblico interesse».

Si evidenzia, in particolare, che «l'affermazione per cui la raccolta del risparmio postale attraverso buoni postali e libretti di risparmio emessi per conto di CDP si distingue dalle altre attività di bancoposta perché oggetto di una specifica disciplina pubblicistica risente .. di una indebita confusione di piani. Non è dubbio che costituisca esercizio di potestà pubbliche la decisione adottata dallo Stato ... e da altri enti pubblici di acquisire risorse dal mercato facendo debito mediante la emissione di titoli del debito pubblico .. Altra cosa è, invece, la fase successiva, di negoziazione e gestione degli indicati strumenti finanziari, che, nel caso dei prodotti finanziari del risparmio postale, risulta demandata a Poste Italiane Spa, società ad ampia partecipazione pubblica (il 65% del capitale è posseduto da MEF e CDP) che agisce per conto di Cassa, ma pur sempre secondo le regole del diritto civile»: ed infatti  «i rapporti che scaturiscono dal collocamento dei titoli di risparmio postale sono regolati da norme privatistiche».

Dunque, argomenta la Corte, «se i rapporti con i risparmiatori hanno natura privatistica, non si comprende la ragione per la quale la negoziazione dei titoli, finalizzata ad immettere liquidità sul mercato, ancorché avvenga per il perseguimento di interessi generali, e la successiva loro gestione, fuoriescano da tale dimensione privatistica».

Inoltre, osserva la Corte, «La tesi maggioritaria, una volta ritenuto che la raccolta del risparmio postale costituisca un servizio pubblico, non dubita che soggetti posti in ruoli quale quello del ricorrente, rivestano qualifica pubblicistica svolgendo attività inquadrabile nell'ambito degli artt. 358 o 357 c.p. Anche sotto tale profilo si ritiene di dissentire. A voler aderire alla tesi del servizio pubblico non è dato comprendere - e la giurisprudenza non lo chiarisce - in che modo l'operatore di Poste Italiane Spa, addetto ai rapporti con il cliente per la vendita e gestione di detti titoli, ponga in essere attività tipiche dell'incaricato di pubblico servizio o del pubblico ufficiale»; si sottolinea, in proposito, che «al di là della attività di consulenza, quella della liquidazione dei titoli o della effettuazione dei pagamenti, in una gestione ampiamente dematerializzata, resa possibile dalla generale diffusione degli strumenti telematici, ha connotazioni essenzialmente esecutive, non richiede specifiche competenze e sembra essere priva del carattere di autonomia», né risulta che il dipendente di Poste Italiane spa sia munito di poteri certificativi, dovendosi in proposito rammentare che «l'art. 2699 c.c. prevede che sia atto pubblico (con funzione certificativa secondo il concetto che ci interessa) quello emanato da un soggetto "autorizzato ad attribuirgli fede", autorizzazione che deve derivare da una norma di legge».

La Sesta Sezione ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, formulando il seguente quesito: «Se, nell'ambito delle attività di “bancoposta” svolte da Poste Italiane spa, la “raccolta del risparmio postale”, ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata per conto della Cassa depositi e prestiti, abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l'operatore di Poste Italiane spa addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all’esito della camera di consiglio del 29 maggio 2025, hanno risolto la questione controversa enunciando i seguenti principio di diritto:

«La raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, effettuata da Poste Italiane s.p.a. per conto della Cassa depositi e prestiti, ha natura pubblicistica».

«L’operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2025, n. 34036
  • La Corte ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo di riferimento, rilevando che, per favorire l'efficace contrasto alle più gravi forme di criminalità, il legislatore ha sovvertito il tradizionale assetto codicistico, «secondo cui è il pubblico ministero a “ripetere” la competenza dal giudice»: ed invero, nei casi indicati dall'art. 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, c.p.p. (ad es. procedimenti di criminalità organizzata, ovvero per delitti commessi con finalità di terrorismo, ovvero di criminalità informatica), le funzioni inquirenti sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; per effetto della conseguente modifica dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., anche le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice per l'udienza preliminare, sono state assegnate, in relazione ai medesimi procedimenti, al medesimo magistrato.
  • Il quadro è completato dall'art. 27 c.p.p., secondo il quale «le misure cautelari disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli articoli 292,317 e 321», e dall'art. 291, comma 2, c.p.p., che attribuisce al giudice che dichiari la propria incompetenza per qualsiasi causa il potere di disporre con lo stesso provvedimento la misura richiesta, «quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l'urgenza di soddisfare taluna delle esigenze previste dall'articolo 274».
  • Dopo aver illustrato i due orientamenti che si contrappongono nella più recente giurisprudenza di legittimità, le Sezioni unite hanno aderito a quello tradizionale e tuttora maggioritario, rilevando innanzitutto che il dictum della richiamata sentenza Giacobbe non può influire sulla risoluzione del caso di specie: ed invero, in quella occasione (così come nelle precedenti sentenze De Lorenzo: Cass. pen., sez. un., 20 luglio 1994, nn. 14 e 19) l'operatività del procedimento previsto dagli artt. 291, comma 2, e 27 c.p.p. «è stata affermata in relazione a casi di manifesta incompetenza ravvisata in concreto (prima sentenza De Lorenzo e sentenza Giacobbe) ovvero di manifesta infondatezza della eccezione d'incompetenza (seconda sentenza De Lorenzo)»; dunque, i principi enunciati nelle tre citate sentenze «non hanno alcun riflesso sulla questione in esame, riguardante la sussistenza o meno dell'obbligo in capo al giudice della cautela di rilevare l'incompetenza del giudice per le indagini preliminari qualora sia esclusa la gravità indiziarla per un'aggravante o per un reato che radichi la sua competenza ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis (o 1-quater), del codice di rito».
  • Le conclusioni dell'orientamento minoritario, osservano le Sezioni unite, «si pongono in contrasto con un principio da lungo tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la competenza del giudice distrettuale va radicata in base alla iscrizione della notitia criminis e tale regola prevale rispetto a quelle fissate in materia di connessione dall'art. 16 c.p.p., ciò anche quando i reati connessi non rientranti nella competenza del giudice distrettuale siano più gravi, e opera anche quando venga esclusa la gravità indiziaria per il reato o la circostanza aggravante di cui al catalogo ex art. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies, del codice di rito»: la Corte ha, ad esempio, ripetutamente statuito che, ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis, c.p.p., permane la competenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale quando lo stesso, in un procedimento incardinato per delitti indicati nell'art. 51 comma 3-bis, c.p.p.  e per altri reati attratti per connessione, emetta ordinanza applicativa di misura cautelare personale per reati privi della contestazione dell'aggravante del metodo mafioso (Cass. pen., sez. I, 14 settembre 2022, n. 45488), ovvero escluda la gravità indiziaria in relazione alla suddetta circostanza aggravante (Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2007, n. 45215), qualora la stessa rimanga comunque inclusa nella notizia di reato iscritta nel registro di cui all'art. 335 c.p.p.; ad analoghe conclusioni la Corte è pervenuta quando una tale decisione sia stata assunta dal tribunale del riesame, dovendosi quindi escludere la legittimità di una declaratoria d'incompetenza da parte dello stesso tribunale (Cass. pen., sez. I, 10 maggio 2013, n. 27181).
  • Quelle conclusioni si pongono, altresì, in contrasto con «il dato testuale delle disposizioni normative rilevanti: gli artt. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies e 328, commi 3-bis, 3-quater, c.p.p., al fine di determinare la legittimazione della procura distrettuale e la conseguente competenza del giudice per le indagini preliminari (e per l'udienza preliminare) distrettuale, fanno riferimento ai “procedimenti” riguardanti i delitti indicati nel primo articolo. Il procedimento a carico di un determinato soggetto sorge con l'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro, ai sensi dell'art. 335 c.p.p., cosicché, sino a quando permanga l'iscrizione per un titolo di reato “qualificante” e si “proceda” anche per il suo accertamento, deve restare ferma la deroga al criterio ordinario di attribuzione della competenza, attratta in sede distrettuale, a prescindere dalle decisioni assunte nella fase cautelare, in quanto detto riferimento è chiaramente diretto al procedimento principale e quindi al delitto per il quale si procede. La competenza “derivata” del giudice per le indagini preliminari distrettuale, in deroga agli ordinari criteri di attribuzione della competenza, dunque, è insensibile alle vicende del subprocedimento cautelare. Il giudice distrettuale resta il “giudice naturale” per quel procedimento, perché il fatto per cui si procede è quello corrispondente alla notizia di reato, così come iscritta nell'apposito registro di cui all'art. 335 c.p.p., e non quello eventualmente qualificato in modo diverso dal giudice del procedimento cautelare incidentale».
  • A diverse conclusioni deve addivenirsi solo nel caso in cui «il pubblico ministero aggiorni l'iscrizione della notizia di reato, mutando la qualificazione giuridica del fatto o circostanziandolo diversamente (art. 335, comma 2, c.p.p.) sicché il nuovo reato iscritto, a seguito della riqualificazione del fatto o della diversa indicazione delle circostanze, non rientri più nel catalogo di cui all'art. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies, c.p.p. La competenza derogatoria del giudice per le indagini preliminari viene meno anche qualora il reato “qualificante” sia oggetto di stralcio o di archiviazione: in questo caso cade la vis attractiva sui fatti connessi e da ciò discende una riespansione delle regole ordinarie di attribuzione della competenza, come già affermato da questa Corte (Cass. pen., sez. I, 9 luglio 2019, n. 43953, Gip Trib. Messina, Rv. 277499 - 01; da ultimo Cass. pen., sez. VI, 19 dicembre 2024, n. 4534, dep. 2025, ED., non mass. sul punto). Risulta evidente la differenza fra l'ipotesi in cui, a seguito di un provvedimento di archiviazione, venga meno il reato che radicava la competenza del giudice distrettuale da quella in cui in sede cautelare cada l'originaria imputazione in ordine a tale reato che di per sé non è ostativa alla prosecuzione delle indagini preliminari in ordine al reato “qualificante”. Qualora, invece, il delitto “qualificante” sia stato commesso in un diverso distretto ovvero ivi sia stato commesso il reato più grave fra quelli compresi nel catalogo di cui all'art. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies, c.p.p. troveranno applicazione gli artt. 291, comma 2, e 27 c.p.p.».
  • Da ultimo, rilevano le Sezioni unite, la soluzione ermeneutica privilegiata è coerente con «il carattere provvisorio che connota la decisione sulla richiesta di applicazione di una misura cautelare, che di regola si inserisce nella fase delle indagini preliminari, suscettibili di ulteriori sviluppi e approfondimenti, che, in ipotesi, potrebbero corroborare l'assunto e l'impostazione della pubblica accusa quanto alla sussistenza della gravità indiziaria. Va rimarcata, dunque, l'autonomia funzionale del procedimento cautelare, quale è regolato dal codice di rito, che non può avere riflessi sulla competenza del giudice distrettuale, esclusivamente legata alla pendenza del procedimento per determinati delitti. Una declaratoria d'incompetenza conseguente alla valutazione del giudice per le indagini preliminari o del tribunale del riesame che escluda la gravità indiziaria per un reato o una circostanza “qualificante” esporrebbe il processo a una perenne instabilità, proprio in ragione del carattere provvisorio delle decisioni assunte nella fase cautelare e dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, adottati sulla base di una cognizione sommaria e allo stato degli atti, nonché ad un giudizio solo probabilistico di colpevolezza, che - come ricordato di recente anche dalle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 30 novembre 2023, n. 15403, dep. 2024, Galati, Rv. 286155 - 01, in motivazione) - trovano la loro esclusiva base di legittimazione nell'urgenza di soddisfare finalità di prevenzione di specifiche esigenze processuali o extraprocessuali distinte dalle finalità proprie della sanzione penale».
  • Dunque, tanto l'autonomia del procedimento cautelare rispetto al processo di cognizione, quanto la naturale fluidità dell'imputazione e il fisiologico arricchimento del patrimonio conoscitivo nella fase delle indagini preliminari, impongono di risolvere il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità dando continuità all'orientamento tradizionale.
  • Alla luce delle considerazioni che precedono, le Sezioni unite hanno risolto la questione controversa statuendo il seguente principio di diritto: «L'esclusione, nell'ambito di una procedura cautelare, della gravità indiziaria in ordine ai reati o alle circostanze aggravanti ricompresi nel catalogo di cui all'art. 51, commi 3-bis, 3-quater, 3-quinquies c.p.p. non determina l'incompetenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale ex art. 328, commi 1-bis, 1-quater, c.p.p.».

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