La revoca del componente del collegio consultivo tecnico nominato dalla stazione appaltante: profili di giurisdizione

06 Dicembre 2024

La pronuncia in commento ha inteso indagare i profili di giurisdizione afferenti all'atto con cui la stazione appaltante ha revocato il precedente atto di nomina del componente del collegio consultivo tecnico concludendo, sotto tale aspetto, per l'inammissibilità del ricorso. A parere del giudice amministrativo, sussiste, infatti, la giurisdizione del giudice ordinario in luogo di quella del giudice amministrativo, in quanto il rapporto tra la parte pubblica e il componente del collegio consultivo tecnico è riconducibile al contratto di mandato ex art. 1703 e ss. cc. e, pertanto, viene il rilievo la posizione giuridica di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.

Massima

Il rapporto tra la stazione appaltante e il componente del collegio consultivo tecnico dalla stessa nominato, essendo riconducibile al contratto di mandato di cui agli artt. 1703 e ss. c.c. e sottendendo la posizione giuridica di diritto soggettivo, fonda la giurisdizione del giudice ordinario e non invece quella del giudice amministrativo.

Il caso

La revoca del componente del collegio consultivo tecnico nominato dalla stazione appaltante.

La stazione appaltante nominava, per quanto di propria spettanza, un componente (di parte) per la costituzione del collegio consultivo tecnico in materia di appalti pubblici. Successivamente, la stessa parte pubblica, all'esito della “valutazione dell'interesse pubblico”, peraltro priva di qualsivoglia motivazione, disponeva la revoca della precedente nomina.

Il componente revocato impugnava tale ultimo atto dinanzi al giudice amministrativo che, in accoglimento dell'eccezione pregiudiziale di rito sollevata dalla stazione appaltante, lo dichiarava inammissibile per difetto di giurisdizione. E ciò in quanto l'atto con cui la stazione appaltante nomina o revoca il componente di parte del collegio consultivo tecnico deve essere qualificato quale atto paritetico e, segnatamente, ricondotto al contratto di mandato ex art. 1703 e ss. cc. Con la conseguenza per la quale la posizione giuridica di diritto soggettivo sottesa alla vicenda di cui alla pronuncia in commento è idonea a fondare la giurisdizione del giudice ordinario.

La questione

L'atto di revoca del componente del collegio consultivo tecnico, da parte della stazione appaltante, è espressione di esercizio del pubblico potere?

In ordine all'atto di revoca, posto in essere dalla stazione appaltante, del componente del collegio consultivo tecnico dalla stessa nominato si prospettano due tesi.

Secondo la prima, si tratterebbe di un atto che, essendo frutto della rivalutazione dell'interesse pubblico originario, dovrebbe essere qualificato quale provvedimento amministrativo di secondo grado e, come tale, espressione del potere di autotutela di cui all'art. 21-quinquies L. 241/1990.

La tesi opposta opina, invece, per la natura paritetica dell'atto in esame, escludendo qualsivoglia forma di esercizio di pubblico potere e inquadrando l'atto de quo all'interno delle facoltà privatistiche dell'Amministrazione.

Le soluzioni giuridiche

Il rapporto che si instaura tra il componente del collegio consultivo tecnico nominato dalla stazione appaltante e quest'ultima è riconducibile al contratto di mandato.

La sentenza in commento aderisce alla tesi da ultimo proposta, precisando che l'Amministrazione, nella scelta del componente di parte da indicare per il costituendo collegio consultivo tecnico, non esercita un potere pubblicistico, bensì una facoltà di natura privatistica.

Le medesime considerazioni valgono anche nel caso di revoca di tale atto, qualora il rapporto di fiducia venga meno, trattandosi pur sempre di atto paritetico che, come tale, è sottratto alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Osservazioni

Le vicende costitutive del collegio consultivo tecnico.

Il collegio consultivo tecnico assolve alla finalità di risolvere, stragiudizialmente, le controversie che potrebbero insorgere durante la fase esecutiva del contratto d'appalto e quindi di soddisfare l'interesse pubblico alla celere realizzazione e al completamento delle infrastrutture pubbliche.

Se la sussistenza del predetto interesse pubblico, da un lato, potrebbe indurre a ritenere che gli atti della stazione appaltante che investono tale organo siano sempre e comunque espressione dell'esercizio del pubblico potere, dall'altro, deve essere osservato come la fase genetica del collegio consultivo tecnico, soprattutto se di tipo obbligatorio, consti di due momenti ontologicamente ben distinti tra loro.

Il primo di essi, di rango pubblicistico, si traduce nell'esercizio del potere vincolato teso alla costituzione obbligatoria del collegio consultivo tecnico (si tratta di appalti pubblici per lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e di forniture e servizi di importo pari o superiore a un milione di euro), in quanto tale costituzione, ancorché successiva al contratto, non costituisce una libera scelta dell'operatore economico e quindi non è espressione di esercizio di autonomia contrattuale. In altre parole, la stazione appaltante è tenuta a procedere, in tal senso, sulla base della disciplina pubblicistica contenuta nel nuovo codice dei contratti pubblici. Gli atti adottati dall'Amministrazione in tale fase, pertanto, dialogano con l'interesse legittimo e fondano la giurisdizione del giudice amministrativo.

Il secondo momento, che trae il proprio abbrivio in seguito alla decisione della stazione appaltante di costituire il collegio consultivo tecnico, si dipana a valle dell'esercizio del potere vincolato della stessa, perché esso non attiene all'an, ma al quomodo, ossia alle vicende esecutive dell'oramai deliberata costituzione dell'organo stragiudiziale in esame, con conseguente consumazione del potere.

Ebbene, in tale ottica, la stazione appaltante si comporta come qualunque soggetto privato che sia tenuto, mutatis mutandis, a instaurare un arbitrato. Infatti, l'art. 1, comma 2, Allegato V al D. Lgs. 36/2023 – nel prevedere che “i componenti del Collegio possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti, individuati anche tra il proprio personale dipendente ovvero tra persone a esse legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa in possesso dei requisiti previsti dal comma 1, e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte” – contempla la possibilità che la stazione appaltante stipuli accordi con l'appaltatore (le parti scelgono di comune accordo i componenti del Collegio), ovvero che ciascuna di esse proceda alla nomina di uno o più componenti di parte. È, tra l'altro, evidente, in tale ultimo caso, il carattere fiduciario della scelta.

Né, a conclusioni opposte, può addivenirsi in ragione del fatto che il collegio consultivo tecnico sia, come sopra detto, funzionalizzato al perseguimento del pubblico interesse.

Sotto tale aspetto, non sussiste più dubbio alcuno che l'Amministrazione possa perseguire il fine pubblico mediante strumenti privatistici e che l'attività di diritto privato di tal fatta venga ritenuta attività amministrativa in senso lato.

Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento all'atto di revoca del componente del collegio consultivo tecnico, trattandosi di contrarius actus e quindi di atto pur sempre espressione di autonomia negoziale.

Alla luce di quanto precede, deve essere condivisa la soluzione giuridica esposta nella pronuncia in commento.

Sotto altro e diverso, seppure contiguo profilo, giova osservare come la sentenza in commento non affronti - in quanto tale aspetto esulava dal thema decidendum - il caso della nomina, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (di seguito breviter anche “MIT”), del presidente del collegio consultivo tecnico, a fronte del disaccordo delle parti.

Anche in tale ambito, si riprospetta la dicotomia di cui sopra si è detto.

Tuttavia, sembra ragionevole ritenere che il MIT - in analogia con la funzione svolta dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 810 c.p.c. nell'ambito della disciplina dell'arbitrato rituale - funga da meccanismo di chiusura del sistema, in quanto consente, in definitiva, la costituzione e quindi il funzionamento del collegio consultivo tecnico. Con la conseguenza per la quale l'intervento di un soggetto terzo, nella fase costitutiva del collegio consultivo tecnico, assolve al mero scopo di integrare la volontà negoziale delle parti.

Del resto, l'intervento sostitutivo / integrativo in parola è subordinato, dall'art. 1, comma 2, Allegato V.2, al caso in cui “le parti non trovino un accordo sulla nomina del presidente entro il termine indicato al comma 1 dell'articolo 2”.

Se tali premesse risultano corrette, si deve allora inferire che l'eventuale inerzia del MIT, in ordine alla nomina del presidente del collegio consultivo tecnico, in caso di disaccordo delle parti, non potrà essere impugnata dinanzi al giudice amministrativo, bensì stigmatizzata dinanzi al giudice ordinario.

Guida all'approfondimento

  • Raffaele Tuccillo, Nuovo codice dei contratti pubblici, Questioni attuali sul D. Lgs. n. 36/2023, Collegio consultivo tecnico, pp. 415 e ss., Milano.
  • Christian Corbi, Brevi riflessioni sul collegio consultivo tecnico, alla luce del nuovo Codice degli appalti (D. Lgs. n. 36/2023), in italiaappalti.it.
  • AA.VV., Arbitrato, Commentario diretto da Federico Carpi, Bologna, 2007, p. 217.

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