Intervento del cointeressato nel processo amministrativo: presupposti e limiti

20 Dicembre 2024

Nella pronuncia in commento l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato si sofferma su due temi controversi: l'ammissibilità di un intervento adesivo-dipendente da parte del cointeressato decaduto dall'esercizio dell'azione di annullamento; l'ammissibilità di un intervento dinanzi all'Adunanza plenaria da parte del cointeressato per ottenere una pronuncia a sé favorevole da far valere nel distinto giudizio da questi tempestivamente instaurato avverso il medesimo provvedimento.

Massima

L'art. 28, comma 2, c.p.a. va interpretato nel senso che – nel giudizio proposto da altri avverso un atto generale o ad effetti inscindibili per una pluralità di destinatari – è inammissibile l'intervento adesivo-dipendente del cointeressato che abbia prestato acquiescenza al provvedimento lesivo. (i)

Qualora sia pendente innanzi all'Adunanza plenaria un giudizio nel quale si faccia questione di profili di illegittimità di un atto generale regolatorio, avente effetti nei confronti di una intera categoria di operatori economici, è inammissibile l'intervento davanti all'organo nomofilattico di chi abbia impugnato il medesimo atto con un ricorso ancora pendente in primo grado, ancorché la relativa decisione sia stata rinviata in attesa della pronuncia dell'Adunanza plenaria. (ii)

Il caso

Le società di gestione del servizio idrico e gli oneri finanziari non coperti dalla tariffa regolatoria

In un primo giudizio una società incaricata della gestione del servizio idrico aveva impugnato la delibera dell'Arera di approvazione del metodo tariffario per il periodo regolatorio 2016-2019. In una seconda controversia un'analoga società aveva contestato la successiva delibera della medesima Autorità, relativa agli anni 2020-2023. La questione centrale in entrambe le liti concerneva il tema del riconoscimento degli oneri finanziari sostenuti dagli operatori economici del settore a causa del differimento biennale della corresponsione dei conguagli relativi ai costi ammessi e non coperti dalla tariffa dell'anno regolatorio di riferimento. Il Tar della Lombardia aveva accolto la prima impugnativa, mentre aveva respinto la seconda.

Le parti soccombenti hanno dunque proposto appello e la sezione seconda del Consiglio di Stato, a cui sono stati assegnati entrambi i ricorsi, rilevato un contrasto giurisprudenziale rispetto alla questione contesa tra le parti, ha rimesso le cause all'Adunanza plenaria.

Prima dell'udienza di discussione un'altra società, pure incaricata della gestione del servizio idrico, è intervenuta in entrambi i processi, aderendo alle conclusioni della parte appellata nel primo e a quelle della parte appellante nel secondo. A fondamento della legittimazione ad intervenire, tale società ha dedotto di avere parimenti impugnato dinanzi al Tar la delibera dell'Arera relativa al periodo regolatorio 2016-2019 (la cui decisione è stata rinviata dal giudice di primo grado in attesa della pronuncia dell'organo nomofilattico); quanto all'altro giudizio (relativo alla successiva delibera concernente gli anni 2020-2023), la società ha prospettato che l'eventuale conferma da parte dell'Adunanza plenaria dell'indirizzo giurisprudenziale sfavorevole al riconoscimento degli oneri finanziari lederebbe “in via mediata e indiretta” i suoi interessi.

L'organo nomofilattico ha quindi deciso la questione relativa all'ammissibilità degli atti di intervento, mentre ha disposto un supplemento istruttorio relativamente al tema controverso di diritto sostanziale.

La questione

Facoltà difensive del cointeressato nei processi da altri promossi

A parte le questioni di carattere sostanziale sottese al giudizio (su cui il presente contributo non si sofferma), gli atti di intervento hanno posto due interrogativi:

(i) se ‒ in pendenza del secondo grado di un giudizio amministrativo avente per oggetto la legittimità di un atto generale, avente effetti nei confronti di una intera categoria di operatori economici ‒ sia ammissibile l'intervento adesivo-dipendente proposto dal cointeressato, che non abbia impugnato a sua volta il medesimo atto generale;

(ii) se ‒ in pendenza del secondo grado di un giudizio amministrativo avente per oggetto la legittimità di un atto generale, avente effetti nei confronti di una intera categoria di operatori economici ‒ sia ammissibile, dopo la rimessione della causa all'esame dell'Adunanza plenaria, l'intervento del cointeressato, che abbia impugnato lo stesso atto generale con un autonomo ricorso, il cui giudizio, pendente ancora in primo grado, sia stato sospeso (o comunque rinviato) in attesa della decisione dell'organo nomofilattico.

Le soluzioni giuridiche

L'Adunanza plenaria conferma le tesi restrittive

Sulla prima questione l'organo nomofilattico ha ribadito il tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui il cointeressato decaduto dall'esercizio dell'azione non può spiegare né l'intervento litisconsortile – il che è pacifico ex art. 28, co. 2, c.p.a. per evitare l'elusione dei termini processuali – né quello adesivo-dipendente. Invero, in quest'ultimo caso, anche se la ratio di impedire l'aggiramento del termine di decadenza sembrerebbe non ricorrere (l'interventore non propone alcuna domanda, ma si limita a “supportare” la posizione processuale di un'altra parte), rilevano in senso ostativo due argomenti. Il primo, di ordine letterale, è che l'art. 28 c.p.a. prevede l'inammissibilità dell'intervento di colui che sia decaduto dall'esercizio dell'azione senza svolgere alcuna distinzione tra l'intervento litisconsortile e quello adesivo-dipendente. Il secondo, di carattere sistematico, si correla invece alla necessità di mantenere distinta la delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento da quella dei limiti soggettivi del giudicato. Invero, quand'anche il cointeressato possa beneficiare in via di fatto dell'espunzione dal traffico giuridico di un atto da altri impugnato (sui possibili effetti erga omnes, a certune condizioni, della sentenza di annullamento, vd. Cons. Stato, Ad. plen., 27.2.2019, n. 4), l'autorità del giudicato, con i suoi vincoli ordinatori e conformativi, pertiene soltanto alle parti (art. 2909 c.c.; vd. Cons. Stato, sez. VI, 1.12.2017, n. 5634). Di talché – ed è questo il punto centrale – se al cointeressato decaduto dall'esercizio dell'azione fosse consentito di fare ingresso nel processo mediante un intervento adesivo-dipendente (con conseguente estensione nei sui confronti dei limiti soggettivi della pronuncia), verrebbe parimenti frustrata quell'esigenza di stabilità e certezza dei rapporti giuridici sottesa alla previsione di rigorosi termini decadenziali per la proposizione dell'azione di annullamento. Tanto perché, se si ammettesse per l'appunto l'intervento del cointeressato decaduto, questi ‒ divenuto parte del giudizio ‒ potrebbe azionare gli effetti conformativi del giudicato di annullamento, con evidente elusione dei termini decadenziali in tutte le ipotesi in cui il dovere conformativo dell'Amministrazione non comporti necessariamente l'obbligo in capo alla parte pubblica di modificare le situazioni giuridiche soggettive di parti rimaste estranee al giudizio.

Anche con riguardo alla seconda questione l'Adunanza plenaria ha confermato la consolidata posizione di rigore che esclude l'ammissibilità di interventi dinanzi ad essa di chi chieda l'affermazione di un principio di diritto per sé favorevole, da invocare in un separato giudizio (Cons. Stato, Ad. plen., 9.11.2021, n. 18; 26.10.2020, n. 23; n. 4/2019 cit.; 30.8.2018, n. 13; 4.11.2016, n. 23; 23.11.1971, n. 17). Diversamente ragionando, rammenta l'organo nomofilattico, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione. Tale soluzione – chiosa l'organo nomofilattico – deve valere anche nella peculiare ipotesi in cui il separato giudizio non sia stato deciso in attesa del pronunciamento dell'Adunanza plenaria, senza che possa in alcun modo configurarsi una violazione del diritto di difesa. Invero, l'eventuale sospensione impropria in senso lato di tale processo potrebbe avvenire soltanto con il consenso delle parti (vd. Cons. Stato, Ad. plen., 22.3.2024, n. 4); inoltre, il precedente dell'organo nomofilattico non vincolerebbe in modo assoluto il giudice del separato giudizio, davanti al quale la parte potrebbe dunque far valere le proprie ragioni ed esercitare le facoltà difensive senza pregiudizio alcuno (se trattasi di giudice d'appello, sollecitando una nuova rimessione all'Adunanza plenaria; nel caso di Tar, prospettando le ragioni che imporrebbero di non seguire l'insegnamento dell'organo nomofilattico, a cui il giudice di primo grado non è giuridicamente vincolato ai sensi dell'art. 99 c.p.a.).

Osservazioni

L'intervento adesivo-dipendente del cointeressato.

L'ammissibilità dell'intervento in giudizio del cointeressato è da sempre un tema particolarmente controverso anche nell'ipotesi in cui il terzo, decaduto dall'esercizio dell'azione di annullamento, intenda fare ingresso nel processo soltanto per aderire alle conclusioni formulate dal ricorrente senza alcuna pretesa di ampliamento del thema decidendum.

Se la giurisprudenza assolutamente prevalente ha sposato sin dagli albori la tesi negativa, nel dibattito dottrinale sono da tempo emerse numerose e autorevoli voci a sostegno dell'ammissibilità, soprattutto in ragione del rilievo che l'intervento adesivo-dipendente sarebbe intrinsecamente privo dell'attitudine a eludere il termine di decadenza per l'azione di annullamento; ratio, questa appena riferita, sottesa all'art. 28, co. 2, c.p.a., che, per l'appunto, esclude dalla facoltà di proporre l'intervento chi “sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni”.

La sentenza dell'Adunanza plenaria replica con argomentazioni pregevoli a tali osservazioni critiche, ponendo in risalto che l'esigenza di ordine pubblico processuale di evitare l'aggiramento del termine decadenziale è presente anche nel caso dell'intervento adesivo-dipendente del cointeressato. Per dimostrare tale assunto la pronuncia, con una fine argomentazione di carattere sistematico, osserva che la predetta elusione si verificherebbe anche nel caso di mero ampliamento dei limiti soggettivi del giudicato, ciò che avviene nell'ipotesi di intervento adesivo-dipendente. Invero, sebbene in taluni casi eccezionali la sentenza del giudice amministrativo possa in via di fatto produrre effetti ultra partes, rimane che il giudicato, per giurisprudenza costante, può essere “azionato” – cioè può fondare una pretesa esecutiva – soltanto dalle parti, dai loro eredi e dagli aventi causa. L'inclusione del terzo cointeressato decaduto dall'esercizio della relativa azione tra le parti del giudizio comporterebbe dunque un'analoga violazione del termine di decadenza, giacché questi sarebbe per tale via legittimato a chiedere in proprio favore la realizzazione di tutti gli effetti promananti dalla sentenza; posizione che, invece, non è riconosciuta a coloro che siano rimasti estranei al processo, quand'anche la pronuncia possa in via di fatto, e per ragioni di coerenza dell'ordinamento, comunque produrre limitati effetti nei loro confronti.

A ben vedere, forse anche questi rilievi sono suscettibili di qualche ulteriore considerazione. Invero può dubitarsi che chi non abbia proposto domande in giudizio, pur essendone parte – è per l'appunto il caso dell'interventore adesivo-dipendente – possa assumere iniziative processuali che trovino nel giudicato il loro fondamento. La posizione di tale parte è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della corrispondente parte principale e dunque essa si gioverebbe del giudicato soltanto se e nella misura in cui ciò risulti necessario per dare alla parte necessaria tutto ciò di cui ha diritto in base al dictum (ciò che dunque si verificherebbe a prescindere dall'ingresso nel processo).

Il punto è che probabilmente l'intervento adesivo-dipendente del cointeressato andrebbe comunque escluso giacché esso manifesta una frattura tra situazione sostanziale e interesse fatto valere in giudizio. In altri termini, il cointeressato non può, in questa prospettiva, proporre un intervento adesivo-dipendente perché non si trova rispetto al provvedimento in una posizione derivata da quella della parte principale, bensì equi-ordinata. Di talché, l'interesse prospettato in giudizio – quello di sostenere le ragioni del ricorrente – è privo di giuridica consistenza, perché non trova alcun fondamento e riscontro nella realtà sostanziale (semmai si fa valere un interesse di mero fatto a “coltivare” una decisione che poi possa produrre effetti ultra partes, mentre il titolare del diritto dipendente ha interesse a ché il ricorrente vinca, perché, per ragioni di diritto sostanziale e non di mero fatto, se viene meno la situazione pregiudiziale, cade automaticamente anche quella dipendente). Alla fin fine vi è che nella sistematica dell'istituto dell'intervento le vari classificazioni si operano a partire dalla situazione sostanziale e non dalla tipologia di “domande” rivolte al giudice; queste ultime ne sono soltanto una conseguenza per il nesso di necessaria strumentalità che deve sussistere tra diritto sostanziale e processo.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala: M. RAMAJOLI – R. VILLATA (a cura di), L'intervento nel processo amministrativo, Milano, 2023.

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