In tema di reati tributari, non sono confiscabili le somme acquisite dalla curatela per effetto dell’azione di responsabilità

30 Dicembre 2024

Secondo la Corte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta ex art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, non può essere disposto sulle somme di denaro confluite sul conto corrente intestato alla curatela fallimentare per effetto di transazione da quest'ultima stipulata con i sindaci e i revisori legali della società fallita a seguito dell'azione di responsabilità ex art. 146, comma 2, l. fall.

Massima

In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere disposto sulle somme di denaro confluite sul conto corrente intestato alla curatela fallimentare per effetto di transazione da quest'ultima stipulata con i sindaci e i revisori legali della società fallita a seguito dell'azione di responsabilità ex art. 146, comma 2, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, posto che le predette somme non costituiscono profitto dei reati tributari precedentemente commessi dai legali rappresentanti della fallita.

Il caso

La vicenda da cui trae origine la sentenza qui commentata si riferisce ad una pronuncia del tribunale del riesame di Bari che confermava il decreto del giudice per le indagini preliminari di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, del profitto di una serie di reati tributari, commessi dagli amministratori di una società fallita.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il curatore fallimentare, deducendo, con il primo motivo, la violazione dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74/2000 e la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla legittimità del provvedimento di sequestro.

Ciò in ragione del fatto che non sarebbe stato applicato, al denaro acquisito dalla curatela fallimentare alla massa attiva della procedura, il limite di cui alla norma menzionata, che esclude l'applicabilità della confisca sui beni costituenti profitto o prezzo del reato tributario, qualora essi appartengano a persona estranea al reato.  

Secondo il ricorrente, invero, il curatore non sarebbe un mero gestore-detentore dei beni del fallimento, la cui titolarità rimarrebbe in capo al fallito, ma al medesimo apparterrebbero, così come affermato da Cass., sez. un., n. 45936/19, che ha riconosciuto la legittimazione dello stesso a richiedere la revoca del sequestro preventivo in forza del potere di fatto e della relazione sostanziale con i beni fallimentari.

Quanto al secondo motivo, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 321, comma 2, c.p.p. e 12-bis del d.lgs. n. 74/2000, nonché la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla dedotta illegittimità del provvedimento di sequestro preventivo, in quanto le somme sequestrate, facenti parte della massa attiva, non potevano considerarsi profitto dei reati tributari commessi dai legali rappresentanti della società fallita.

In particolare, il ricorrente rilevava che alla data di apertura della procedura concorsuale la società fallita non disponeva di alcun attivo patrimoniale. Soltanto mesi dopo la dichiarazione di fallimento, la curatela, in conseguenza dell'azione di responsabilità ex art. 146, comma 2, l. fall. proposta nei confronti dei sindaci e dei revisori della società, aveva acquisito le somme oggetto di sequestro, che derivavano da un accordo transattivo raggiuto con le controparti.

Tale denaro, derivando da un'azione di recupero dei crediti esperibile unicamente dal curatore fallimentare, non poteva considerarsi profitto del reato tributario; circostanza che escludeva la confiscabilità delle somme in parola.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, cui veniva assegnata la trattazione del ricorso, disponeva il rinvio della decisione in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite sul seguente quesito: «Se, in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente alla adozione di provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell'apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero, se, invece, il sequestro debba comunque prevalere attesa la obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta».

La questione

Le questioni sottoposte al vaglio della Suprema Corte avevano ad oggetto, in primo luogo, l’applicabilità del limite di cui all’art. 12-bis d.lgs. 74/2000, in forza del quale non è ammessa la confisca dei beni, profitto o prezzo del reato tributario, se appartenenti a persona estranea al reato, anche al curatore quale detentore dei beni appartenenti alla massa fallimentare.

In secondo luogo, l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme acquisite, successivamente alla dichiarazione di fallimento e all’esito dell’azione di responsabilità, esperita dalla curatela fallimentare, nei confronti di sindaci e revisori legali della fallita.

Le soluzioni giuridiche

Nel dichiarare infondato il primo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione richiamava la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 40797 del 22 giugno 2023), nel frattempo intervenuta.

Come noto, le SS.UU. si sono positivamente pronunciate sulla possibilità di disporre o mantenere il vincolo del sequestro preventivo finalizzato alla confisca in relazione ai reati tributari nel caso di avvio della procedura fallimentare, affermando il seguente principio di diritto: «l'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari».

Nella propria pronuncia le Sezioni Unite hanno esaminato anche la questione proposta dal ricorrente nel sopra menzionato primo motivo di ricorso, ovverosia la possibilità di qualificare il curatore quale persona estranea al reato, con conseguente applicazione del limite di cui all'art. 12-bis d.lgs. 74/2000.

Come noto, il primo comma della norma citata prevede che: «Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».

Le Sezioni Unite hanno affermato che l' “appartenenza a persona estranea al reato”, condizione che impedirebbe l'adozione del provvedimento ablatorio della confisca, non si realizza a seguito di dichiarazione di fallimento, in quanto la titolarità dei beni rimane in capo al fallito; il curatore si identifica in un gestore-detentore degli stessi, sino al momento della vendita fallimentare o del riparto dell'attivo.

La Terza Sezione, aderendo ai principi espressi dalle SS.UU. ha, pertanto, ritenuto infondato il primo motivo di ricorso non potendosi considerare il curatore quale “persona estranea al reatoex art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000.  

Quanto al secondo motivo di ricorso, la Terza Sezione, pur prendendo atto del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite e sopra richiamato, ha ritenuto di dover verificare se il medesimo fosse applicabile al caso sottoposto al suo vaglio.

I Giudici di legittimità, innanzitutto, si sono soffermarti sulla nozione di profitto nei reati tributari, precisando che, secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, questo si identifica nel risparmio di spesa conseguente all'omesso versamento delle imposte, tanto che la confisca diretta del denaro presente sul conto corrente intestato alla persona giuridica è ammessa purché sia relativo all'attività societaria.

Nel caso in esame, tuttavia, i Giudici hanno rilevato che, alla data di apertura della procedura concorsuale, la fallita non disponeva di alcun attivo patrimoniale e che la quasi totalità del denaro sequestrato, rinvenuto sul conto corrente del fallimento, era frutto di un accordo transattivo stipulato dalla curatela con alcuni sindaci e revisori legali.

Tale transazione, peraltro, non solo era successiva al decreto di sequestro, ma trovava la sua fonte nell'azione ex art. 146 l. fall., esperibile solo dal curatore fallimentare e proposta per garantire alla fallita un risarcimento per il danno subito dai sindaci e dai revisori legali, che «non hanno impedito, vigilando, il compimento degli illeciti compiuti dagli amministratori, fra cui i reati tributari contestati, e non può, pertanto, ritenersi profitto dei reati ascritti agli imputati, come tale passibile di sequestro finalizzato alla confisca».

In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, il denaro sequestrato, non essendo frutto dell'attività sociale, ed essendo «ontologicamente incompatibile con la nozione di profitto nel reato tributario, costituito dal risparmio di spesa conseguito dall'omesso versamento dei tributi», non era assoggettabile alla misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

Per tali ragioni la Corte, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, annullava senza rinvio l'ordinanza impugnata e il decreto di sequestro preventivo, limitatamente alla somma rivenuta sul conto corrente bancario intestato alla curatela fallimentare.

Osservazioni

La giurisprudenza si è confrontata in numerose occasioni sulla possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni costituenti la massa patrimoniale della procedura concorsuale, una volta dichiarato il fallimento della persona giuridica.

In una prima pronuncia, le Sezioni Unite (sent. n. 29951 del 24 maggio 2004,) avevano sostenuto che, nell'ipotesi di provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, giustificata dalla pericolosità della res, gli interessi dei creditori del fallimento erano secondari rispetto alle finalità proprie del provvedimento ablatorio, necessario ad arginare la pericolosità intrinseca del bene. Pertanto, la res doveva essere sottratta alla massa fallimentare. Al contrario, nelle ipotesi in cui la confisca non era obbligatoria ex lege, le Sezioni Unite riconoscevano in capo al giudice un potere discrezionale finalizzato a ponderare gli interessi coinvolti.

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite nel 2004 non era stata ritenuta ultimativa, in relazione alle ipotesi nelle quali il sequestro preventivo veniva disposto per la confisca obbligatoria non avente per oggetto res pericolose, come, ad esempio, la confisca del profitto derivante dalla commissione degli illeciti tributari.

Nel corso del tempo, poi, il dibattito giurisprudenziale si è concentrato sul rapporto tra misure ablatorie penali e sottoposizione alla procedura fallimentare del soggetto destinatario della misura, e, in particolare, sulla legittimazione del curatore a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo dei beni della fallita.

La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 45936 del 13 novembre 2019, con cui hanno riconosciuto la legittimazione del curatore fallimentare a richiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini della confisca, sulla scorta dell'orientamento della giurisprudenza civilistica, secondo cui il curatore si identifica come detentore dei beni del fallimento.

Tuttavia, sulla scorta di tale decisione, si è formato un nuovo orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 non poteva essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto con la dichiarazione di fallimento veniva meno il potere del fallito di disporre del proprio patrimonio, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Cass., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 47299; Cass., sez. II, 19 maggio 2022, n. 1968; Cass., sez. III, 8 luglio 2022, n. 26275).

Da ultimo, con la richiamata sentenza n. 40797 del 22 giugno 2023, le Sezioni Unite hanno aderito all'orientamento meno favorevole per la curatela fallimentare, affermando la generica prevalenza del sequestro preventivo finalizzato alla confisca sulla procedura, con conseguente possibilità di confiscare tutto ciò che rientra nella massa patrimoniale attiva.

Con la sentenza in commento, tuttavia, la Sezione Terza ha voluto precisare che, nonostante la prevalenza, nei termini indicati dalle SS.UU. 40797/23, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca sulla procedura fallimentare, residua la possibilità per la curatela del fallimento di dedurre cause ostative alla confiscabilità dei beni.

Causa ostativa che, nel caso in esame, era stata evidenziata nell'impossibilità di ricondurre a profitto del reato il denaro ricevuto dal curatore in forza di una transazione dal medesimo stipulata.

In definitiva, la misura ablatoria, seppur prevalente rispetto agli interessi dei creditori sociali, non può travolgere, in modo indiscriminato, ogni bene rientrante nella massa fallimentare; dovendo comunque essere valutata, caso per caso, la provenienza dei beni e la loro eventuale connessione con i reati tributari commessi dagli amministratori.

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