Confisca di prevenzione e tutela del credito del terzo derivante dal fatto illecito del proposto

17 Novembre 2025

Ai sensi dell'art. 52, comma 1, del codice antimafia la confisca di prevenzione non deve pregiudicare «i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro»: ci si chiede se, quando il credito derivi da un fatto illecito del proposto, la tutela riguardi tutti i crediti sorti anteriormente al sequestro, o solo quelli che prima dell'ablazione siano stati oggetto di un accertamento giudiziale definitivo. Le motivazioni della Sezioni Unite.

Questione controversa

La giurisprudenza di legittimità ritiene che i crediti derivanti da fatti illeciti del proposto rientrino tra quelli suscettibili di tutela ai sensi dell'art. 52 del codice antimafia; vi è, tuttavia, contrasto sull'individuazione di cosa debba avere «data certa anteriore al sequestro»: è sufficiente che il diritto del terzo sia sorto prima che, nel procedimento di prevenzione, sia stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca, ovvero è necessario che quel credito sia divenuto certo, liquido ed esigibile in conseguenza di un accertamento giudiziale definitivo?

Possibili soluzioni
Prima soluzione Seconda soluzione

Secondo un primo orientamento, «In tema di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini dell'ammissione al passivo dei crediti dei terzi aventi natura extracontrattuale, l'esistenza delle posizioni creditorie in data antecedente al sequestro deve risultare accertata in un separato giudizio di cognizione, in quanto il giudice della prevenzione è tenuto alla mera verifica, ex art. 59 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, delle condizioni di ammissione del credito sulla base dei documenti attestanti il fatto illecito che vi ha dato luogo» (Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 2022, n. 22222): dunque, in assenza di una pronunzia definitiva che accerti, in sede civile o in sede penale, l'esistenza del credito risarcitorio, lo stesso non può essere fatto valere nella procedura di prevenzione, mancando il presupposto della “certezza" (ossia di un documento avente data certa anteriore al sequestro), avendo il giudice delegato, ai sensi degli articoli 57,58 e 59 del codice antimafia, poteri di mera verifica, e non già di accertamento del credito.

I sostenitori di questa linea esegetica ritengono che la formulazione letterale delle disposizioni normative di riferimento imponga di ritenere che l'an del credito, così come la sua tendenziale quantificazione, debbano risultare da “documenti giustificativi” che il creditore istante è tenuto a produrre in sede di domanda ai sensi dell'art. 58, comma 2, lett. c) del codice antimafia: dunque, in caso di illecito extracontrattuale, il documento giustificativo non può che essere una decisione cognitiva di accertamento della sussistenza dell'illecito e della sua ascrivibilità al proposto (1).

Secondo un diverso orientamento, «In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la disposizione di cui all'art. 52, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che esclude che la confisca pregiudichi i diritti di credito dei terzi risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, deve intendersi nel senso che il relativo diritto sia sorto antecedentemente all'applicazione della misura cautelare, non rilevando che esso sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo. (In motivazione, la Corte ha precisato che nel caso di diritto di credito derivante dalla commissione di un fatto illecito l'insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell'illecito, e che la successiva sentenza di condanna, pur non definitiva, svolge una funzione di mero accertamento)» (Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2023, n. 13474).

Si evidenzia, in proposito, che l'art. 52 del codice antimafia non prevede affatto che nel procedimento di  prevenzione i diritti di credito dei terzi possano essere tutelati solo a condizione che siano divenuti "liquidi e certi" in epoca anteriore alla data di adozione del provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione, richiedendo unicamente che si tratti di diritti risultanti «da atti aventi data certa anteriore al sequestro»: dunque, ritenere tutelabile il solo credito definitivamente accertato da una sentenza anteriore al sequestro di condanna significherebbe confondere i requisiti di "certezza" e "liquidità" del diritto - intesi come non controvertibilità della sua esistenza e del suo contenuto, nonché del suo ammontare, cui fa riferimento l'art. 474 c.p.c. per indicare le caratteristiche che deve possedere un diritto affinché il relativo titolo esecutivo possa dar luogo ad una esecuzione forzata - con il requisito di certezza “probatoria” richiesto dall'art. 52 del codice antimafia, che è collegato, invece, esclusivamente alla collocazione cronologica dell'atto da cui deve risultare l'esistenza di quel diritto.

Peraltro, nell'ipotesi di credito derivante da fatto illecito, il diritto al risarcimento del danno o alla restituzione sorge nel momento della commissione dell'illecito, rispetto al quale la successiva sentenza di condanna svolge una mera funzione di accertamento, non potendo dunque, ai fini che qui interessano, avere rilievo il momento in cui la sentenza diventa definitiva ed acquisisce la veste di titolo esecutivo.

A fondamento dell'orientamento assunto, la citata  sentenza n. 13474/2023 ha citato il principio espresso da Cass. pen., sez. V, 7 marzo 2022, n. 22618, che, pur intervenendo nel differente ambito delle obbligazioni derivanti da un atto o da un negozio lecito - ha precisato che il giudice delegato investito della verifica dei diritti di credito dei terzi nei confronti dei beni confiscati, in funzione dell'accertamento della ricorrenza della data certa dei crediti anteriore al sequestro ex art. 52 del codice antimafia, deve tener conto di tutte le ipotesi di rilevanza probatoria contemplate dall'art. 2704 c.c. e, dunque, non solo dei fatti tipici, quali la registrazione o la riproduzione in atto pubblico, ma anche di tutti quei fatti non previsti dalla norma che consentano di stabilire, in modo certo, l'anteriorità della formazione di un documento (2).

(1Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 2022, n. 22222, Cass. pen., sez. VI, 13 ottobre 2015, n. 45115.

        

(2Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2023, n. 13474.

Rimessione alle Sezioni Unite

Cass. pen., sez. V, 3 dicembre 2024, n. 47294

La Corte era chiamata a scrutinare il ricorso presentato dalla vittima del furto perpetrato dal proposto, la cui domanda di ammissione allo stato passivo del credito era stata rigettata dal giudice delegato, poiché la sentenza penale che aveva riconosciuto la responsabilità del proposto e lo aveva condannato al risarcimento del danno in suo favore era divenuta irrevocabile dopo l'esecuzione del sequestro di prevenzione finalizzato alla confisca.

Impugnando il provvedimento di rigetto dell'opposizione presentata avverso quel diniego, il terzo si doleva dell'erronea applicazione degli artt. 52,58 e 59 del codice antimafia, invocando l'applicazione al caso di specie del principio di diritto statuito da Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2023, n. 13474.

La Corte ha analiticamente illustrato i due orientamenti in contrasto, evidenziando che essi «individuano in modo contrastante il momento rilevante, per i crediti derivanti da fatti illeciti del proposto, affinché il credito possa essere ammesso nella procedura di prevenzione patrimoniale in quanto fondato su atto di data certa anteriore al sequestro di prevenzione. Tale contrasto è immediatamente rilevante nella fattispecie in esame nella quale il fatto illecito è stato commesso prima del sequestro di prevenzione ed è stato accertato e liquidato dall'autorità giudiziaria solo successivamente».

Ha, altresì, rilevato che «Sullo sfondo delle posizioni contrapposte espresse dai richiamati precedenti si staglia ... la più generale problematica della latitudine dei poteri del giudice delegato all'ammissione dei crediti nella procedura di prevenzione patrimoniale, ovvero se detto giudice abbia soli poteri di verifica di tali crediti o più ampi poteri di accertamento degli stessi»: ed invero, mentre una parte della giurisprudenza di legittimità ritiene che, ai fini dell'ammissione allo stato passivo, il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento, è vincolato agli esiti dell'accertamento civile su an e quantum del credito, salvo il potere di verifica della sua strumentalità rispetto alla attività illecita e dell'insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore (così, ex plurimis, Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2020, n. 4691), in plurime recenti occasioni la Corte ha ritenuto che il giudice delegato disponga di «una serie di rilevanti poteri di accertamento, anche in ordine all'individuazione della data certa dell'atto ai fini del vaglio sull'anteriorità dello stesso rispetto al sequestro di prevenzione», riconoscendogli, ad esempio, il potere di rilevare d'ufficio la prescrizione presuntiva del credito relativamente al quale sia stata avanzata istanza di ammissione (cfr. Cass. pen., sez. VI, 14 novembre 2023, n. 48472, Cass. pen., sez. II, 13 settembre 2023, n. 46099, Cass. pen., sez. V, 7 marzo 2022, n. 22618 e Cass. pen., sez. II, 1 aprile 2022, n. 24311).

La Corte ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione del quesito che è stato così formulato: «Se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l'art. 52, comma l, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 - in forza del quale la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi derivanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro - debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell'ammissione allo stato passivo del credito del terzo derivante da fatto illecito commesso dal proposto, il relativo diritto debba essere sorto antecedentemente all'applicazione della misura cautelare, anche se accertato e liquidato in un momento successivo, ovvero nel senso che debba essere anteriore al sequestro anche l'accertamento giudiziale del credito».

Informazione provvisoria

Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 29 maggio 2025, hanno risolto la questione controversa statuendo il seguente principi di diritto.

«Il credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno dal proposto deve essere sorto antecedentemente all'applicazione della misura cautelare e deve essere accertato dal giudice della cognizione entro il termine previsto per l'ammissione ordinaria o tardiva al passivo. L'accertamento suddetto deve, in sede penale, essere definitivo mentre, in sede civile, è sufficiente che sia provvisoriamente esecutivo».

Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2025, n. 37200
  • Le Sezioni unite hanno preliminarmente ricostruito il contesto normativo di riferimento, chiarendo che l'art. 52 del codice antimafia, nel prescrivere che la confisca di prevenzione non può pregiudicare i diritti di credito dei terzi, fa senz'altro riferimento anche ai diritti di credito da responsabilità extracontrattuale, in coerenza con quanto previsto dalla Direttiva 2024/1260/UE del 24 aprile 2024 («gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l'esecuzione delle misure di confisca previste dalla presente direttiva non pregiudichi il diritto delle vittime di ottenere un risarcimento») e dall'art. 104-bis comma 1, disp. att. c.p.p., a mente del quale in tutti i casi di sequestro preventivo e confisca restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno: ed invero, la circostanza che l'art. 52 sia formulato in termini che appaiono calibrati sulle obbligazioni aventi fonte in un atto negoziale «non giustifica l'esclusione dei terzi titolari di crediti derivanti da fatto illecito dalla platea dei soggetti legittimati all'insinuazione al passivo. Anche tali creditori, infatti, allorquando vedano annullata la garanzia patrimoniale dell'obbligato a seguito dell'esproprio statale, vantano certamente un interesse all'inserzione della posta creditoria nel procedimento di prevenzione. In assenza di una espressa preclusione normativa, quindi, i crediti derivanti da fatto illecito del proposto devono ritenersi inclusi fra quelli astrattamente tutelabili, attraverso la procedura di verifica».
  • Sempre in via di premessa, le Sezioni unite hanno ricordato che l'art. 52 del codice antimafia tutela i soli diritti che risultino da atti aventi data certa anteriore al sequestro, e che, quando il diritto di credito è originato da un fatto illecito del proposto, occorre fare riferimento alla data di commissione dell'illecito, e non alla data del suo accertamento: rileva, dunque, il momento in cui l'obbligazione viene giuridicamente ad esistenza, e non quello in cui essa sia accertata in sede giudiziale o stragiudiziale, poiché «una diversa interpretazione introdurrebbe nella norma un requisito di ammissione allo stato passivo ad essa estraneo, ossia l'anteriorità al sequestro della sentenza che accerta il diritto», essendo, peraltro, quest'ultima verifica notoriamente «correlata a contingenze del tutto imprevedibili, dipendenti dall'iniziativa delle parti, oltre che dall'imponderabile durata del procedimento».
  • È, dunque, necessario tenere distinto l'aspetto dell'insorgenza del credito da quello relativo alla sua concreta esigibilità: come già rilevato da Cass. pen., sez. VI, 21 marzo 2023, n. 13474, «non vanno confusi i requisiti di "certezza" e "liquidità" del diritto, intesi come non controvertibilità della sua esistenza e del suo contenuto, nonché del suo ammontare, cui fa riferimento l'art. 474 c.p.c. per indicare le caratteristiche che deve possedere un diritto affinché il relativo titolo esecutivo possa dar luogo ad una esecuzione forzata, con il requisito di certezza “probatoria” richiesto dall'art. 52, comma 1, d.lgs. cit., che è collegato esclusivamente alla collocazione cronologica dell'atto da cui deve risultare l'esistenza di quel diritto».
  • Ed allora, concludono le Sezioni unite, «l'anteriorità del titolo o dell'acquisto del credito rispetto al momento del sequestro, di cui al menzionato art. 52, indica la necessità che sia accertato che il relativo diritto sia sorto - in ragione tanto di un atto o un negozio lecito, quanto di un fatto illecito - prima dell'applicazione della misura cautelare del sequestro di prevenzione, e ciò indipendentemente dal fatto che quel diritto sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo. Nel caso di atto lecito il problema è quello dell'efficacia probatoria della relativa documentazione comprovante l'atto costitutivo o traslativo del diritto; nel caso, invece, di atto illecito, l'insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell'illecito».
  • L'effettiva ammissione allo stato passivo, tuttavia, presuppone non solo che l'illecito sia stato commesso anteriormente all'ablazione, ma anche «che il credito sia accertato giudizialmente e, quindi, esigibile; il credito extracontrattuale, infatti, per sua natura non è evincibile ex actis ed è incerto nell'an e nel quantum»: il diritto di credito deve, dunque, essere stato accertato necessariamente prima della scadenza del termine previsto per l'ammissione ordinaria o tardiva al passivo, poiché «il fatto generatore della responsabilità aquiliana, la sua riconducibilità al proposto ed il pregiudizio economico per il danneggiato necessitano di riscontro giudiziale, finalizzato alla formazione di un titolo avente efficacia esecutiva».
  • Tale riscontro deve essere stato fornito dal giudice della cognizione, e non può certo essere richiesto al giudice della prevenzione, che «è chiamato ad una mera verifica delle condizioni di accesso del credito alla liquidazione concorsuale, alla stregua dei parametri dettati dall'art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011», e che mantiene unicamente poteri di controllo della strumentalità del credito rispetto all'attività illecita, e dell'insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore: ne costituisce riprova la circostanza secondo cui all'udienza di verifica dei crediti (art. 59 del codice antimafia) non sono ammessi incombenti istruttori, né tantomeno l'assunzione di prove orali, considerata la natura essenzialmente documentale delle prove richieste per la dimostrazione dei presupposti per l'ammissione dei diritti di credito; dunque, «se il diritto è controverso, il giudice della prevenzione non può sostituirsi al giudice della cognizione e, in mancanza di una pronuncia sul punto, la domanda di ammissione al passivo non può essere accolta».
  • In conclusione, puntualizzano le Sezioni unite, «il procedimento di prevenzione non garantisce l'accertamento della pretesa del creditore», poiché la verifica demandata al giudice della prevenzione presuppone che il redito sia già stato accertato in un giudizio di cognizione: «il giudice della confisca, in assenza di una disposizione di legge che estenda in modo generalizzato il suo ambito di intervento, è vincolato agli esiti del necessario accertamento in sede civile (o in sede penale, in caso di esercizio dell'azione civile nel processo penale) sull'an e sul quantum del credito, salvo il potere di verifica sia della strumentalità di tale credito rispetto all'attività illecita sia dell'insussistenza delle condizioni di incolpevole affidamento del creditore».
  • Quanto alle scansioni temporali di questo prodromico accertamento, oggetto della questione controversa loro sottoposta, le Sezioni unite hanno ritenuto che abbia «rilevanza decisiva il termine stabilito per la domanda di ammissione del credito dall'art. 57, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011; termine perentorio, fissato dal giudice delegato per la proposizione delle istanze dei creditori, non superiore a sessanta giorni a far data dal deposito del decreto di confisca in primo grado. L'art. 58, comma 5, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede altresì che, successivamente, e, comunque, non oltre il termine di un anno dal decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse ove il creditore provi di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile. L'accertamento del credito, di conseguenza, deve intervenire in tempo utile per consentire l'ammissione della domanda, ossia entro il termine perentorio fissato dall'art. 57, comma 2, ovvero - qualora il creditore dimostri che la durata del giudizio non abbia consentito il tempestivo deposito dell'istanza - entro il termine decadenziale stabilito dall'art. 58, comma 5, per le domande tardive».
  • L'introduzione di limiti temporali invalicabili, hanno notato le Sezioni unite, realizza il necessario «bilanciamento tra i contrapposti interessi: da un lato, quelli dei creditori del proposto all'ammissione dei propri titoli; dall'altro lato, sul versante pubblicistico, la necessaria speditezza del procedimento incidentale di verifica dei crediti, a sua volta strumentale alla devoluzione allo Stato dei beni definitivamente confiscati “liberi da oneri e pesi” (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011), che non si potrebbe conciliare con l'assenza di un termine massimo certo per il deposito delle domande tardive di ammissione dei crediti».
  • Quanto al grado di stabilità dell'accertamento richiesto ai fini dell'ammissione al passivo, ossia se il credito derivante da un fatto illecito, così come qualsiasi credito controverso, debba risultare da una pronuncia definitiva, oppure sia a tal fine sufficiente un titolo provvisoriamente esecutivo, le Sezioni unite hanno chiarito che l'ammissione è possibile solo ove sia intervenuta una pronuncia definitiva, puntualizzando che «la soluzione si presenta differente a seconda che l'accertamento del credito derivante da fatto illecito commesso dal proposto avvenga in sede penale ovvero in sede civile»: nel primo caso, il diritto della vittima al risarcimento del danno è subordinato al definitivo accertamento della responsabilità penale dell'imputato, «in quanto il principio di non colpevolezza sancito dall'art. 27 Cost. implica la certezza processuale della condotta illecita»; quando l'azione risarcitoria sia stata, invece, proposta in sede civile, «ai fini dell'ammissione al passivo non è necessario che il credito ... sia accertato in via definitiva; è sufficiente che esso sia certo, liquido ed esigibile ("incontrovertibile" ai sensi dell'art. 474 c.p.c.) in virtù di un titolo esecutivo. Poiché sono titoli esecutivi le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (art. 474, comma 2, n. 1, c.p.c.), a prescindere dalla definitività del titolo giudiziale, può ritenersi che, qualora la legge riconosca la provvisoria esecuzione della pronuncia di condanna al pagamento (ad esempio, sentenze di primo grado; ordinanze ai sensi degli artt. 186-bis, ter e quater, c.p.c.), il credito sia accertato e legittimi l'ammissione allo stato passivo. Tale conclusione, sempre nell'ottica del bilanciamento dei contrapposti interessi, limita per i creditori del proposto gli effetti sfavorevoli conseguenti all'aleatorietà dei tempi del processo, circoscrivendoli alla formazione del titolo provvisoriamente esecutivo e non estendendoli a quelli necessari per il giudicato».
  • Resta inteso che, qualora quel titolo giudiziale venga successivamente caducato, in tutto o in parte, verrà a determinarsi la «sostituzione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio in virtù della disposizione sulla surrogazione legale di cui all'art. 1203 c.c., dato che al creditore subentra lo Stato, il quale può esercitare la pretesa contro il debitore - reo per conseguire le somme che non ha potuto acquistare perché destinate al creditore; analogamente, lo Stato - acquisito il bene confiscato, libero da oneri e pesi - potrà agire nei confronti del creditore del proposto per la ripetizione di somme versate sulla base di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo, la cui caducazione sia successiva alla ammissione allo stato passivo».
  • Infine, le Sezioni unite hanno affrontato la questione relativa alla possibilità di ammettere allo stato passivo anche il credito relativo alle spese processuali riconosciute al danneggiato: «la condanna alle spese giudiziali in favore della parte civile costituisce un profilo accessorio della domanda risarcitoria, ma del tutto autonomo, rispetto ad essa, con la conseguenza che il momento genetico del relativo credito coincide necessariamente con la decisione, basata sul principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., in assenza di motivi di compensazione. Le spese liquidate dal giudice costituiscono, infatti, per il soggetto condannato, un debito di valuta, che ha fondamento nella sentenza, e non rappresentano una componente del danno da risarcire; l'obbligazione risarcitoria da illecito aquiliano è, invece, un debito di valore, ed è comprensiva del pregiudizio derivante dalla mancata disponibilità della somma equivalente al danno subito nel tempo intercorso tra l'evento lesivo e la liquidazione, proprio per la scissione temporale fra il fatto illecito - fonte dell'obbligazione - e l'accertamento delle conseguenze pregiudizievoli in termini patrimoniali. Ai fini, dunque, dell'ammissione al passivo del credito per le spese processuali riconosciute al danneggiato, sarà necessario che la liquidazione di tali spese sia contenuta in una decisione intervenuta prima dell'applicazione della misura del sequestro».

   

Alla luce delle considerazioni che precedono, le Sezioni unite hanno risolto la questione controversa statuendo che, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, ai fini dell'ammissione allo stato passivo:

«il credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno deve essere sorto antecedentemente all'applicazione della misura cautelare e deve essere accertato dal giudice della cognizione entro il termine previsto per l'ammissione ordinaria o tardiva al passivo. L'accertamento suddetto deve, in sede penale, essere definitivo, mentre, in sede civile, è sufficiente che sia provvisoriamente esecutivo»;

«il credito per le spese giudiziali riconosciute al danneggiato deve essere liquidato in una decisione intervenuta prima dell'applicazione del sequestro di prevenzione».

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