Le Sezioni Unite sull’estensione del diritto dell’imputato alloglotto alla traduzione degli atti
Michele Toriello
28 Novembre 2025
Nel processo a carico di un imputato straniero che non comprenda la lingua italiana, quali sono le conseguenze della mancata traduzione della sentenza e del decreto di citazione a giudizio in appello? Le motivazioni delle Sezioni Unite.
Questione controversa
Le questioni controverse attengono ai vizi ravvisabili in relazione alla omessa traduzione di alcuni atti processuali in favore dell'imputato alloglotto: in particolare, essa comporta una mera irregolarità del decreto di citazione a giudizio in appello, o è causa di una nullità a regime intermedio? Ed ancora, l'omessa traduzione della sentenza causa il solo slittamento del termine per impugnarla, o è causa di una nullità generale a regime intermedio?
Possibili soluzioni - Prima questione
Prima soluzione
Seconda soluzione
Secondo un primo orientamento, l'obbligo di traduzione degli atti, previsto dall'art. 143 c.p.p., non è diretto solo ad informare l'imputato dell'accusa a suo carico, ma è anche, e soprattutto, funzionale a garantire l'effettività della sua partecipazione al procedimento e l'esplicazione della difesa in forma diretta e personale: dunque, l'omessa traduzione del decreto di citazione a giudizio in appello integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, anche nel caso in cui l'alloglotto abbia eletto domicilio presso il proprio difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di tradurli.
Si evidenzia, in proposito, che il decreto di citazione a giudizio in appello, è atto di impulso processuale indispensabile per garantire la consapevole partecipazione dell'imputato al procedimento, e che non appare rilevante che esso non contenga un preciso riferimento all'accusa, dal momento che l'art. 143 c.p.p. prescrive che siano tradotti atti che non contengono la formulazione dell'accusa (ad esempio, l'informazione di garanzia e le informazioni sul diritto di difesa) ed atti che sono emessi quando l'imputato è già stato informato dell'accusa (ad esempio, le sentenze), sicché l'obbligo di traduzione deve ritenersi funzionale non tanto ad informare l'imputato dell'imputazione elevata contro di lui, quanto a garantirgli la consapevole partecipazione al processo (1).
Secondo l'opposto orientamento, il decreto in questione non deve essere obbligatoriamente tradotto nella lingua dell'alloglotto, trattandosi di atto che contiene solo i requisiti funzionali all'individuazione dell'imputato, del procedimento e della data di trattazione del giudizio di appello, senza alcuna indicazione relativa all'accusa, che è peraltro già ben nota all'imputato.
Si osserva, inoltre, che il diritto dell'imputato di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze è già esaurientemente garantito dall'assistenza dell'interprete.
Non può, dunque, rilevarsi una violazione del diritto di difesa nella mancata traduzione di un atto che non contiene informazioni decisive ai fini del consapevole esercizio del diritto di difesa (2).
(1) Cass. pen., sez. VI, 30 novembre 2023, dep. 2024, n. 3993; Cass. pen., sez. V, 1° marzo 2023, n. 20035; Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 44421.
(2) Cass. pen., sez. II, 7 aprile 2022, n. 20394; Cass. pen., sez. VI, 4 novembre 2021, n. 46967; Cass. pen., sez. V, 26 gennaio 2015, n. 32251.
Possibili soluzioni - Seconda questione
Prima soluzione
Seconda soluzione
Secondo un primo orientamento, l'omessa traduzione della sentenza in favore dell'imputato alloglotto integra una nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., in quanto viola il diritto di difesa funzionale all'esercizio consapevole dell'impugnazione, il cui termine di decorrenza rimane conseguentemente sospeso fino alla notifica all'interessato della sentenza tradotta in lingua a lui nota.
Si è sottolineato che l'obbligo di traduzione sussiste ogniqualvolta emerga la mancata conoscenza in capo all'imputato della lingua italiana, anche in assenza di una sua richiesta in tal senso, e che l'affermazione secondo cui la mancata traduzione non integra un'ipotesi di nullità della sentenza, ma comporta un mero slittamento dei termini per impugnare, non è più sostenibile dopo la pronuncia delle Sezioni Unite Niecko (n. 15069 del 26 ottobre 2023, dep. 2024), che, sebbene riferita all'ordinanza cautelare, ha individuato il fondamento della garanzia della traduzione in favore dell'alloglotto nel diritto di difesa di cui agli artt. 24 Cost. e 6, par. 3, lett. a), CEDU e la correlativa sanzione, pur in mancanza di una espressa previsione nella disposizione di cui all'art. 143 c.p.p., in quella della nullità a regime intermedio.
In conseguenza della sua qualificazione come nullità a regime intermedio, il vizio è deducibile solo nel corso del procedimento di cognizione, ed è sottoposto al regime di deducibilità e decadenza che emerge dal combinato disposto degli artt. 180 e 182 c.p.p. (1).
Secondo altro orientamento, la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotto non integra un'ipotesi di nullità; se, tuttavia, vi è stata specifica richiesta della traduzione, i termini per impugnare la sentenza decorrono, per l'imputato, dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota, sicché, nel caso in cui la traduzione, pur se disposta dal giudice, non sia stata effettuata, i termini per l'impugnazione proponibile dall'imputato non iniziano a decorrere, senza alcun onere a carico di quest'ultimo di assumere iniziative finalizzate a far cessare l'inerzia dell'amministrazione.
In conseguenza della sua qualificazione come violazione di legge che genera unicamente lo slittamento, eventualmente sine die, del termine per impugnare, il vizio - incidendo sulla perfezione del titolo esecutivo - può essere eccepito con l'incidente di esecuzione (2).
(1) All'indomani della richiamata sentenza Niecko delle Sezioni Unite, Cass. pen., sez. VI, 2 maggio 2024, n. 20679.
(2) All'indomani della richiamata sentenza Niecko delle Sezioni Unite, Cass. pen., sez. I, 4 giugno 2024, n. 29253, e Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 2024, n. 24730.
Rimessione alle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. II, 14 febbraio 2025, n. 9900
La Corte, chiamata a valutare il ricorso con il quale l'imputato alloglotto aveva dedotto tanto la nullità della sentenza di primo grado, che non era stata tradotta nella lingua a lui nota, quanto la violazione del suo diritto di partecipare consapevolmente al secondo grado di giudizio, poiché non gli era stato tradotto neppure il decreto di citazione a giudizio in appello, ha preso atto del contrasto insorto in merito ad entrambe le questioni.
Illustrati i divergenti orientamenti sostenuti dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte ha rilevato, quanto alla prima questione controversa che «la riforma c.d. "Cartabia" ha arricchito il contenuto del decreto di citazione a giudizio in appello. Questo deve ora somministrare anche gli avvisi in ordine alla possibilità di accesso alla giustizia riparativa (art. 601, comma 3, c.p.p., che richiama l'art. 429, comma d-bis), c.p.p.): non può non rilevarsi, rispetto a tale novità, che, ove la possibilità di accesso alla giustizia riparativa non sia segnalata all'imputato nella lingua da lui compresa, si profila una ulteriore (ed inedita, prima della riforma) limitazione delle sue prerogative processuali».
Quanto alla seconda questione controversa, la Corte ha ricordato che le Sezioni Unite Niecko hanno «ampiamente valorizzato la matrice costituzionale e convenzionale del diritto alla traduzione, richiamando la sentenza n. 10 del 1993 della Corte costituzionale secondo cui l'obbligo di traduzione trova il suo fondamento sistematico nell'art. 24, comma 2, Cost., che assicura la difesa come “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, prefigurando un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile dall'imputato o dall'indagato alloglotto», ma ha al contempo sottolineato che, secondo l'impostazione del massimo consesso nomofilattico, l'imputato alloglotto che si dolga dell'omessa traduzione della sentenza ha l'onere, in coerenza con la natura generale a regime intermedio della nullità, di indicare l'esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale, mentre, secondo la differente impostazione seguita da altre pronunce di legittimità, l'imputato che non ha ancora preso cognizione del contenuto del provvedimento non è in grado di rappresentare correttamente al difensore le ragioni del pregiudizio eventualmente subito, né il difensore potrebbe sostituirlo in tale valutazione, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegarne compiutamente i motivi, sicché non è necessario che l'imputato eccepisca l'esistenza di un concreto e reale pregiudizio alle sue prerogative, poiché esso in realtà è già presente e permane fino all'adempimento dell'obbligo di traduzione.
Ha segnalato, altresì, un altro fronte del contrasto ermeneutico: ed invero, alcune pronunce hanno ritenuto che, per riconoscere la violazione di legge che genera lo slittamento del termine per impugnare, è necessaria la specifica richiesta di traduzione da parte dell'imputato alloglotto; tale richiesta, invece, non è ritenuta necessaria - in quanto l'obbligo di traduzione incombe sul giudice, che deve disporla ex officio - dall'indirizzo che ritiene che la sua omissione generi una nullità: «si tratta - annota la Corte - di una incongruenza interpretativa di rilievo, in quanto incide sulla definizione degli oneri della parte e del giudice in materia di tutela del diritto fondamentale dell'alloglotto alla partecipazione consapevole al processo».
La Corte ha, dunque, rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, per la risoluzione dei quesiti che sono stati così formulati:
«Se il decreto di citazione per il giudizio di appello debba essere tradotto in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana».
«Se la mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana integri una nullità generale a regime intermedio ovvero determini il solo differimento per l'imputato della decorrenza del termine per l'impugnazione».
Informazione provvisoria
Le Sezioni Unite, all'esito della camera di consiglio del 29 maggio 2025, hanno risolto le questioni controverse statuendo i seguenti principi di diritto.
«Il decreto di citazione per il giudizio di appello deve essere tradotto in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana».
«La sentenza deve essere tradotta in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana».
«La mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio dello stesso ove riguardante le indicazioni di cui al combinato disposto degli artt. 601, comma 6, e 429, comma 1, lett. f), c.p.p.».
«La mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all'imputato che non conosca la lingua italiana comporta la nullità generale a regime intermedio della “sentenza-documento”, con conseguente rinvio al giudice del grado precedente per la traduzione stessa».
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. pen., sez. un., 29 maggio 2025, n. 38306
Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, interno e sovranazionale, le Sezioni Unite hanno sottolineato lo stretto collegamento che avvince la traduzione degli atti fondamentali del processo penale ed il diritto di difesa, e ne hanno enunciato i principali caratteri: la traduzione non richiede alcuna richiesta della parte interessata; va eseguita entro un termine congruo, tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa; va effettuata in forma scritta, ovvero, quando ricorrono particolari ragioni di urgenza, in forma orale; deve essere integrale, salvo che non si tratti di uno degli «altri atti» per i quali l'art. 143 comma 3, c.p.p. consente una traduzione parziale.
Quanto alle sentenze emesse nel giudizio di cognizione, non è in discussione che esse rientrino tra gli atti fondamentali che devono essere necessariamente ed integralmente tradotti qualora l'imputato non conosca la lingua italiana, poiché «essenziale per l'imputato è non solo comprendere il significato della decisione, ma anche delle ragioni su cui la decisione è fondata, al fine di poter valutare, personalmente e consapevolmente, se e come esercitare il diritto di impugnazione».
Quando può dirsi che l'imputato non conosce la lingua italiana? In relazione a tale aspetto, le Sezioni Unite hanno rilevato, in via generale, che l'obbligo di tradurre un atto processuale «non insorge per il solo fatto che l'imputato non sia un cittadino italiano, ma necessita dell'accertamento che lo stesso non conosca la lingua italiana», ed altresì che «l'accertamento di cui all'art. 143 c.p.p. circa la conoscenza, da parte dell'imputato, della lingua italiana, non esige che ad effettuarlo sia direttamente l'autorità giudiziaria, in quanto trattasi di una verifica di qualità e circostanze ... che può anche basarsi su elementi risultanti da atti di polizia giudiziaria, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti»; con particolare riferimento alla sentenza, le Sezioni Unite hanno rilevato che «il giudice, quando la emette, già ha avuto modo di verificare che l'imputato parli o meno la lingua italiana e la comprenda, avendo, se presente al giudizio, provveduto alla nomina di un interprete .. Quindi l'obbligo di traduzione scritta della sentenza viene ad emergere prima della fase decisoria».
Ciò posto, le Sezioni Unite si sono concentrate sui temi oggetto del rilevato contrasto interpretativo.
Quanto all'individuazione del momento in cui può considerarsi integrata l'omissione della traduzione della sentenza, occorre riempire di contenuti concreti la generica formula dell'art. 143 comma 2, c.p.p., secondo cui la traduzione deve essere disposta «entro un termine congruo tale da consentire l'esercizio dei diritti e della facoltà della difesa».
Ad avviso delle Sezioni Unite, «i tempi tecnici della traduzione non possono essere predeterminati», poiché «correlati ad una molteplicità di fattori tra loro eterogenei (quali, ad esempio, la complessità del provvedimento che deve essere tradotto o l'elevato numero dei soggetti coinvolti nelle operazioni di traduzione) che spetta al giudice di merito valutare».
L'unico adempimento le cui cadenze temporali possono essere ricostruite con certezza è quello relativo al conferimento dell'incarico per la traduzione della sentenza: poiché la necessità della traduzione, come si è già detto, emerge nel corso del giudizio, «deve ritenersi … che la procedura di traduzione vada attivata (con il conferimento dell'incarico) al più tardi al momento in cui la “sentenza-documento" in lingua italiana è effettivamente depositata. In tal modo l'imputato e la sua difesa sono posti in condizione di verificare l'adempimento tempestivo da parte del giudice dell'obbligo di traduzione, in vista dell'esercizio delle prerogative di impugnazione. Quindi, se nessun incarico per la traduzione della sentenza risulti conferito entro tale spazio temporale, già si è realizzata la violazione del disposto dell'art. 143, comma 2, c.p.p.».
Quanto alle conseguenze della omessa traduzione, le Sezioni Unite, in linea con le riflessioni già sviluppate a proposito delle ordinanze coercitive dalla richiamata sentenza Niecko, hanno concluso nel senso che la sentenza non tradotta è affetta da nullità generale a regime intermedio, non potendo essere condiviso l'orientamento secondo cui l'omissione comporterebbe solo il mancato decorrere dei termini per l'impugnazione del provvedimento.
Ed invero, rilevano le Sezioni Unite, «la soluzione dello slittamento sine die della decorrenza del termine di impugnazione per il solo imputato può determinare non solo un processo diacronico, con giudicati contrastanti e con disfunzionali duplicazioni di procedimenti impugnatori, ma si pone anche in evidente frizione con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo penale, esponendone l'esito ad una indefinita instabilità»; peraltro, «sostenere che l'interessato non possa tempestivamente dedurre la violazione di tale prescrizione nel corso del processo viene ad esporre l'imputato ad un provvedimento che, indipendentemente dalla sua definitività o dalla sua esecuzione, è comunque idoneo a produrre effetti pregiudizievoli sia all'interno del processo sia al di fuori di esso. La sentenza di condanna, benché non definitiva, nell'ambito del medesimo procedimento penale viene in considerazione, ad esempio, per l'adozione delle misure cautelari personali e per l'efficacia della custodia cautelare (artt. 275,300,303,307 c.p.p.) o costituisce il presupposto per la condanna ad una provvisionale immediatamente esecutiva (art. 540 c.p.p.); mentre può rilevare per valutare la personalità o la pericolosità sociale della persona in altri procedimenti (non solo penali). È pertanto interesse dell'imputato difendersi “nel processo” da un provvedimento che viene ad incidere sulla sua sfera di diritti».
E', dunque, affetta da nullità la sentenza resa nei confronti di soggetto alloglotto e non tradotta nella lingua a lui conosciuta (essa «va equiparata, nei confronti dell'imputato alloglotto, ad una sentenza priva di motivazione e quindi affetta da nullità»), indipendentemente da ogni considerazione relativa alle concrete modalità con le quali deve essere esercitato il diritto di impugnazione: non va, invero, dimenticato che, anche quando la legge richieda la necessaria rappresentanza tecnica del difensore (cfr., ad esempio, quanto prescritto dall'art. 613 c.p.p. in tema di ricorso per cassazione), è sempre e comunque l'imputato ad avere la titolarità sostanziale del diritto di impugnazione. Dunque, l'omessa traduzione pregiudica le prerogative difensive del soggetto processuale che ha la titolarità sostanziale di quel diritto, e si riflette anche sulla facoltà di impugnazione riconosciuta al suo difensore.
«La soluzione dell'inquadramento nella categoria della nullità della violazione conseguente all'omessa traduzione della sentenza – rilevano le Sezioni Unite - garantisce l'effettività del diritto dell'imputato alla partecipazione personale e consapevole al procedimento rispetto ad un atto del processo di cui è prevista la traduzione obbligatoria»: la nullità, puntualizza la Corte, non incide né sul giudizio, né sulla decisione consacrata nel dispositivo, ma travolge il momento procedimentale successivo alla deliberazione, sicché, proprio come nel caso di sentenza priva di motivazione, «comporta l'annullamento della "sentenza-documento" e la restituzione degli atti al giudice a quo, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della "sentenza-documento" che deve essere nuovamente depositata, con l'effetto che i termini di impugnazione decorreranno ... dalla notificazione e comunicazione dell'avviso di deposito della stessa sentenza».
La nullità che viene in rilievo rientra tra quelle a regime intermedio, poiché coinvolge il diritto di difesa dell'imputato, pregiudicandone la «partecipazione attiva e cosciente» alla vicenda processuale, l'effettivo esercizio dei diritti e delle facoltà di cui lo stesso è titolare.
L'alloglotto che deduca la nullità in oggetto non è tenuto ad allegare alcun elemento ulteriore alla omessa traduzione: ed invero, notano le Sezioni Unite, «deve escludersi in via di principio che, in presenza della traduzione omessa della sentenza, la parte sia tenuta ad allegare un concreto ed attuale pregiudizio, in quanto è inesigibile per il difensore illustrare i profili di doglianza prospettabili dall'imputato personalmente, visto che quest'ultimo è impossibilitato all'esame diretto dell'atto perché non tradotto in una lingua allo stesso comprensibile. Quindi l'omessa traduzione della sentenza produce in re ipsa un concreto e reale pregiudizio alle prerogative difensive, non potendo chiedersi al difensore di sostituirsi all'imputato nella valutazione del pregiudizio subito, dal momento che solo il diretto interessato è in condizione di dargliene conto e spiegargliene compiutamente i motivi».
L'allegazione dovrà esservi solo nel caso in cui l'alloglotto si dolga di una traduzione effettuata con modalità non conformi a quelle prescritte dagli artt. 143 c.p.p. e 51-bis disp. att. c.p.p. («ad esempio in un termine non congruo, in modo incompleto ovvero in forma orale»).
Quanto alla seconda questione controversa, le Sezioni Unite hanno ritenuto che analogo onere di traduzione sussista anche per il decreto di citazione per il giudizio di appello, documento «fondamentale» che svolge «la funzione di garanzia dell'equo processo e della partecipazione dell'imputato al processo»: ed invero, «l'art. 601 c.p.p. assegna alla citazione per il giudizio di appello una funzione informativa strumentale all'esercizio di prerogative difensive, da ultimo ampliata dalle novelle ad opera del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e del d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31»; l'art. 601 c.p.p. prescrive, altresì che determinate informazioni debbano esservi contenute a pena di nullità (l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza; l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora dell'udienza; l'avvertimento all'imputato che potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede), sicché «l'impossibilità per l'imputato, che non conosce la lingua italiana, di comprendere il contenuto, ritenuto dal legislatore essenziale per la validità dell'atto di citazione, non può quindi che determinare la medesima sanzione processuale».
L'omessa traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello, puntualizzano da ultimo le Sezioni Unite, non determina una ipotesi di omessa citazione dell'imputato, causa di nullità assoluta e insanabile, «bensì dà luogo ad una nullità tra quelle contemplate dagli artt. 178, comma 1, lett. c) e 180 c.p.p., la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza ed è sanata dalla comparizione della parte».
Alla luce delle considerazioni fin qui illustrate, le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
«L'omessa traduzione della sentenza di primo grado all'imputato alloglotto che non comprende la lingua italiana integra una nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p.».
«L'omessa traduzione del decreto di citazione in appello all'imputato alloglotto che non comprende la lingua italiana integra una nullità di ordine generale a regime intermedio, ove riguardante l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza, ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dall'art. 429, comma 1, lett. f), c.p.p.».
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