Il cram down dei crediti fiscali e contributivi nel concordato in continuità: approfondimenti normativi e applicativi e controversie dottrinali

Filippo Lamanna
09 Luglio 2025

Le recenti modifiche all’art. 88 c.c.i.i., introdotte dal Correttivo-ter, hanno significativamente ridefinito la disciplina del cram down (omologazione coattiva) dei crediti di natura pubblica. Questa evoluzione normativa mira a fornire un meccanismo più robusto e trasparente per la gestione del dissenso manifestato dall’Amministrazione finanziaria e dagli enti previdenziali, in particolare nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale.

Criteri di valutazione e distinzione tra tipologie di concordato ai fini del cram down

A seguito delle modifiche all'art. 88 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza introdotte dal Correttivo-ter, una prima innovazione sostanziale si riscontra nel comma 3, che impone una valutazione rigorosa e oggettiva della proposta concordataria.

Sia il giudizio di convenienza, tipico del concordato liquidatorio, sia il giudizio di trattamento non deteriore, peculiare del concordato in continuità, devono essere formulati con riferimento esplicito all'alternativa della liquidazione giudiziale (e non più a qualunque alternativa liquidatoria). Questa standardizzazione del parametro di confronto garantisce maggiore certezza giuridica e coerenza nella valutazione della proposta.

Il secondo periodo del comma 4, inoltre, sembra stabilire una netta distinzione disciplinare ai fini del cram down introducendo una normativa innovativa e specifica per l'omologa forzosa nel concordato in continuità aziendale.

La precedente disciplina del cram down, originariamente contenuta nel comma 2-bis (ora trasfusa, con mere rettifiche formali, nel comma 3), dovrebbe continuare perciò a trovare applicazione solo per il concordato liquidatorio.

Questa differenziazione riflette la diversa natura e le finalità delle due procedure, ma, come ho già avuto modo di evidenziare in altra sede (F. Lamanna, Il terzo correttivo al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Commento al d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, Milano, 2024) ne risulta anche un conflitto tra norme di ardua soluzione; profilo che avrò modo di ripercorrere e segnalare con maggior dettaglio anche in un prossimo contributo.

Il meccanismo della ristrutturazione trasversale quale strumento suppletivo per l’omologa del concordato in continuità

Il principio fondamentale per l’omologa del concordato in continuità rimane l’adesione unanime di tutte le classi di creditori.

Tuttavia, la legge prevede una deroga attraverso il meccanismo della ristrutturazione trasversale (cross class cram down), come disciplinato dall’articolo 112, comma 2, lett. d), c.c.i.i.

Questo meccanismo consente l’omologa anche in assenza di unanimità, purché siano soddisfatte determinate condizioni:

  • approvazione a maggioranza delle classi: la proposta deve essere approvata dalla maggioranza delle classi di creditori, e almeno una di queste classi deve essere composta da creditori titolari di diritti di prelazione;
  • approvazione a minoranza (golden class): anche in assenza della maggioranza delle classi, l’omologa può essere pronunciata se la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che, sulla base delle previsioni del piano, possano essere considerati “interessati” e “svantaggiati”.

Le due nuove ipotesi di cram down per i crediti pubblici (art. 88, comma 4)

Il secondo periodo del comma 4 dell'art. 88 c.c.i.i. introduce due ipotesi alternative di omologa forzosa nel concordato in continuità, specificamente applicabili in caso di mancata adesione dei creditori pubblici (Amministrazione finanziaria e/o Enti previdenziali), e in entrambi i casi con riferimento alla mancanza della maggioranza delle classi come previsto dall'art. 112, comma 2, lett. d).

Prevede dunque il secondo periodo del comma 4, anche se con una fraseologia alquanto tortuosa, che se la proposta di concordato in continuità risulta non deteriore, il tribunale può omologare comunque il concordato se l'adesione «è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1. In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d)), numeri 1 e 2, l'adesione dei creditori pubblici deve essere espressa».

Cerchiamo ora di semplificare al massimo quest'involuto linguaggio, per quanto non sia certo impresa agevole, data la complessità ed oscurità del meccanismo articolato dalla norma.

Il primo punto fermo da cui partire è la nota e già sopra ricordata regola-base, secondo cui per l'omologa del concordato in continuità è necessario il consenso unanime di tutte le classi.

Tuttavia, come ricordavo poc'anzi, in deroga a tale criterio-base, è possibile comunque procedere — in tal caso forzosamente — all'omologa stessa, anche in difetto di unanimità, con il meccanismo della ristrutturazione trasversale. Con tale meccanismo il concordato può essere omologato anche in presenza solo della maggioranza delle classi e finanche sulla base di una risicatissima minoranza.

In particolare, l'omologa del concordato in continuità può pronunciarsi quando la proposta sia stata approvata dalla maggioranza delle classi ed almeno una di esse sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione [art. 112, comma 2, lett. d)]. Non solo: se non ricorre nemmeno questa maggioranza (maggioranza delle classi di cui una formata da creditori con prelazione), il concordato può essere omologato ugualmente qualora la proposta sia approvata da almeno una classe di creditori che possano considerarsi, alla stregua delle previsioni del piano, “interessati” e “svantaggiati” ovvero “maltrattati” ​(perché ad essi è offerto un importo non integrale del credito o perché sarebbero soddisfatti in tutto o in parte qualora si applicasse l'ordine delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione).

Ebbene, il secondo periodo del comma 4 dell'art. 88 sembra ora prevedere due ipotesi alternative ai fini dell'omologa forzosa del concordato in continuità quando manchi l'adesione del Fisco e/o degli Enti previdenziali, ma in entrambi i casi solo con riferimento alla mancanza della maggioranza prevista dall'art. 112, comma 2, lett. d).

.

La “determinanza” dell'adesione dei creditori pubblici

Con la prima ipotesi, esposta nell'abbrivio del secondo periodo del comma 4, si prevede che il concordato in continuità possa essere omologato, anche quando manchi tale adesione, se essa risulti determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dall'art. 112, comma 2, lett. d).

L'espresso riferimento alla «maggioranza» (delle classi) è indice inequivoco — come ho sopra evidenziato — che l'ipotesi si riferisce soltanto alla prima parte dell'art. 112, comma 2, lett. d), in cui appunto una maggioranza è prevista, e non riguarda invece l'omologazione forzosa che può pronunciarsi in presenza della minoranza costituita da una sola classe favorevole svantaggiata [di cui ai numeri 1) e 2) della lettera d)]. In tale ultimo caso, infatti, il cram down semplicemente non può operare rispetto ai crediti fiscali/previdenziali, in quanto, a tenore dell'ultimo periodo del comma 4, «In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d), numeri 1 e 2, l'adesione dei creditori pubblici deve essere espressa».

In altri termini, solo quando la classe dei creditori pubblici sia svantaggiata ed esprima un voto favorevole questo potrà (essere utile e) bastare a fare omologare il concordato “a minoranza”; mentre, quando sia sfavorevole (espressamente o tacitamente) non potrà valere né al fine di integrare tale minoranza, né — di conseguenza, e per implicito — potrà essere considerato utile per l'omologa forzosa, che non può operare in tal caso proprio in quanto l'unico modo perché il solo voto della classe svantaggiata del creditore pubblico possa sorreggere l'omologa a minoranza è quando sia espressamente favorevole.

Ciò precisato, la fattispecie di cui al numero 1) in esame è dunque questa: computando il voto negativo (espresso o tacito) dei creditori pubblici, la maggioranza delle classi non risulta raggiunta (quindi le classi sfavorevoli, compresa quella dei creditori pubblici, risultano in maggioranza, oppure, pur essendovi la maggioranza delle classi, manca il voto favorevole di almeno una classe di creditori con prelazione, rammentandosi al riguardo che anche i creditori con prelazione possono votare quando ne sia previsto il pagamento oltre 6 mesi dopo l'omologazione oppure, se si tratta di lavoratori subordinati, oltre un mese dopo l'omologazione, come previsto dall'art. 109, comma 5).

Affinché il concordato sia omologato ugualmente occorre che il voto adesivo dei creditori pubblici sia determinante.

Lo sarà, quando la maggioranza di cui si è detto possa considerarsi raggiunta solo computando come positivo il voto negativo (o la mancata adesione) dei suddetti creditori pubblici.

Il meccanismo opera infatti nel senso che è proprio il carattere determinante del voto (sempre che — beninteso — sussista anche il concorrente requisito della “non deteriorità”) a consentire al tribunale di trasformare (forzosamente) il dissenso espresso o la non adesione in voto adesivo, con una sorta di paranormale trasfigurazione.

Se il voto non è determinante, invece, tale meccanismo trasfigurativo non opera, perché cade eo ipso, evidentemente, la ragione per procedere ad un'omologa forzosa:

a)  o perché c'è già l'unanimità delle classi;

b)  o perché la maggioranza già sussiste anche senza il voto favorevole della classe del Fisco e/o degli Enti previdenziali;

c) o perché manca la maggioranza e tale difetto non può essere superato nemmeno conteggiando come positivo il voto negativo dei creditori pubblici ​(l'ipotesi comprenderà anche il caso in cui manchi almeno una classe di privilegiati pregiudicati che voti favorevolmente);

d) o perché non rileva il voto a maggioranza perché ricorre l'ipotesi sussidiaria dell'approvazione “a minoranza” in presenza di una classe favorevole pregiudicata e favorevole che da sola permetta l'omologazione.

In disparte il primo, il secondo e il quarto caso [lett. a), b) e d)], in cui proprio non occorre procedere ad omologa forzosa, perché già sussiste l'unanimità o sussiste comunque la maggioranza o la minoranza idonea, deve rilevarsi, quanto al caso sub c ) in cui la maggioranza non ricorre, che, secondo la variabile casistica che può registrarsi nella prassi concreta, per valutare se sussista il carattere determinante del voto occorre considerare:

  • sia il caso in cui all'esito delle operazioni di voto vi sia stata una maggioranza di voti sfavorevoli;
  • sia il caso in cui vi sia stato un pareggio, vale a dire che le classi sfavorevoli siano risultate pari a quelle favorevoli. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, la necessaria maggioranza delle classi favorevoli non risulta raggiunta.

L'ipotesi sub 1), che stiamo ora considerando, ha il suo naturale modo di operare in entrambi i casi, mentre la seconda, che esamineremo di seguito sub 2), solo nel secondo caso.

La prima ipotesi prevede dunque che il concordato in continuità possa essere omologato, anche in difetto dell'adesione dei creditori pubblici, qualora tale adesione risulti determinante per il raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dall'art. 112, comma 2, lett. d).

Il concetto di “determinanza” si riferisce alla capacità del voto negativo (espresso o tacito) dei creditori pubblici, una volta “trasfigurato” in voto adesivo per effetto dell'intervento coattivo del tribunale, di consentire il raggiungimento della suddetta maggioranza.

Per l'ipotesi sub 1), dunque, il carattere determinante sussisterà tutte le volte in cui le classi che votano sfavorevolmente superino le classi favorevoli per un numero pari a quello delle classi composte da creditori pubblici.

Per stabilire la “determinanza” del voto, si deve quindi considerare la composizione dei voti.

Qualche semplice esempio può essere utile a comprendere meglio il meccanismo.

  • Ad esempio: se votano 7 classi, delle quali 4 (compresa la sola classe di creditori pubblici votanti) votano sfavorevolmente e 3 a favore, il voto della classe dei creditori pubblici sarà determinante, visto che la differenza è pari ad una classe, cioè allo stesso numero di classi dei creditori pubblici (che è appunto una sola). Infatti il risultato finale sarà che 4 classi risulteranno ora favorevoli e solo 3 contrarie (4 meno 1=3).
  • Ma se votano 8 classi, delle quali 5 a favore (compresa la sola classe di creditori pubblici votanti) e 3 contro, il voto della classe dei creditori pubblici non sarà determinante, visto che la differenza è pari a due classi, cioè ad un numero maggiore rispetto a quello delle classi dei creditori pubblici (che è una sola). Infatti il risultato finale in questo caso sarà che 4 classi risulteranno ora sfavorevoli (5 meno 1=4) ma sempre solo 3 saranno le classi favorevoli.

In genere, il voto sarà determinante tutte le volte in cui vi sia un numero dispari di classi, vi sia una sola classe di creditori pubblici e la differenza tra voti favorevoli e contrari sia di una sola classe: allora, infatti, il voto della classe dei creditori pubblici sarà sempre determinante, mentre, se la differenza fosse di due classi a vantaggio dei voti sfavorevoli, il voto della classe dei creditori pubblici, anche se trasfigurato da negativo in positivo, non sarebbe determinante.

Sarà altresì determinante, come dicevo poc'anzi, qualunque sia il numero di classi votanti (pari o dispari, non fa differenza), tutte le volte in cui vi siano due o più classi di creditori pubblici votanti sfavorevolmente, e la differenza tra classi favorevoli e contrarie sia pari al loro numero, poiché allora la trasformazione del loro voto in positivo diventerà ugualmente determinante: ad esempio, se votano 7 classi, delle quali votano sfavorevolmente 4 classi (comprese le due classi di creditori pubblici votanti) e 3 votano a favore, il voto delle due classi dei creditori pubblici sarà determinante, visto che la differenza sarà pari a due classi (4 meno 2=2), cioè allo stesso numero di classi dei creditori pubblici (che sono appunto due), con una prevalenza (3+2=5) delle classi favorevoli (il risultato finale sarà 5 a 2). E così via.

Solo nel caso-limite, che appare in certo senso anomalo, in cui vi siano solo due classi (ammesso e non concesso che ciò in concreto sia possibile) e tutte e due le classi votino a sfavore, il voto negativo della classe dei creditori pubblici non sarebbe determinante, poiché, anche trasformandolo in positivo (2 meno 1=1), vi sarebbe tutt'al più un pareggio (1 a 1), e non una maggioranza.

Le conclusioni non cambiano nemmeno se l'esito del voto sia un pareggio, poiché anzi, a maggior ragione, nelle ipotesi casistiche sopraindicate sarà determinante il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi in presenza delle stesse condizioni, visto che allora quel voto varrà il doppio.

  • Ad esempio, se le classi votanti siano 10 e l'esito del voto sia di 5 classi sfavorevoli (di cui una di crediti fiscali/contributivi) e di 5 classi favorevoli, il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi sarà determinante, poiché il risultato finale, calcolando detto voto come positivo, sarà di 6 classi favorevoli (5+1=6) contro le 4 sfavorevoli (5 meno 1=4), con una differenza di classi favorevoli che adesso è doppia rispetto al voto della (unica) classe dei crediti fiscali/contributivi. E così via.
  • Nel già segnalato caso-limite in cui vi siano solo due classi e la classe dei creditori pubblici si esprima sfavorevolmente mentre l'altra si esprima a favore, con un pareggio, il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi, diventando da negativo a positivo, farebbe scattare la maggioranza di voti favorevoli (1+1=2) (con un risultato di 2 a zero), sì che questa volta il voto sarebbe determinante.

Per completezza occorre però fare una postilla.

Quando il voto della classe dei creditori pubblici può fare la differenza ai fini del raggiungimento della maggioranza, occorre anche, come si è detto poc'anzi, perché possa procedersi ad omologa forzosa, che tra le classi favorevoli ve ne sia almeno una di creditori muniti di prelazione.

Si pone dunque il quesito circa il se, in tale ipotesi, la stessa classe dei creditori pubblici possa, ove relativa a crediti fiscali/contributivi muniti di prelazione — qualità privilegiata che peraltro hanno quasi sempre — integrare il requisito maggioritario in questione.

Il quesito, a mio modesto parere, merita una risposta positiva.

La soluzione favorevole viene infatti implicitamente confermata — a ben vedere — proprio dalla già sopra richiamata precisazione contenuta alla fine del medesimo comma 4 dell'art. 88, laddove si legge che «In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall'articolo 112, comma 2, lett. d), numeri 1 e 2), l'adesione dei creditori pubblici deve essere espressa».

Il riferimento limitativo ai soli numeri 1) e 2) della lettera d) induce infatti a concludere che l'adesione tacita, avendo carattere meramente presuntivo, non possa valere come voto positivo ai fini del cram down soltanto nel caso in cui l'omologa potrebbe pronunciarsi in base alla minoranza di cui ai predetti numeri 1) e 2), vale a dire limitatamente al solo caso in cui la classe dei creditori pubblici fosse l'unica classe svantaggiata votante favorevolmente, ma non anche nel diverso caso in cui il suo voto (possibile, per la parte privilegiata, in quanto se ne preveda il pagamento ultrasemestrale) possa servire a raggiungere, quale classe di creditori con prelazione, la maggioranza di cui alla prima parte della lettera d).

.

L'ipotesi dell'esclusione dal computo delle classi dei creditori pubblici

In base alla seconda possibile ipotesi di omologa forzosa contemplata dal secondo periodo del comma 4 dell'art. 88, che, stando al tenore letterale della suddetta disposizione, dovrebbe ricorrere in via alternativa alla prima («oppure»), l'omologa può essere pronunciata anche quando la stessa maggioranza [ossia la maggioranza delle classi prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d)] viene raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1 (ossia le classi dei creditori pubblici che si siano espressi sfavorevolmente o non abbiano prestato adesione).

Tenuto conto di quanto siamo andati fini qui precisando sul meccanismo con cui opera l'omologa forzosa, vale a dire sulla necessità che il voto dei creditori pubblici sia determinante, l'ambito naturale in cui può avere rilievo tale regola è solo quello in cui l'esito del voto sia stato un pareggio.

Ove vi sia invece un esito che veda prevalere a maggioranza i voti sfavorevoli, questa seconda ipotesi «alternativa» non può trovare applicazione, considerato che il voto (negativo) della classe formata da creditori pubblici non potrebbe mai risultare determinante se non lo si computa affatto, qualunque sia il significato che si voglia attribuire alla non chiarissima disposizione.

Essa può intendersi, infatti, in due sensi diversi (anche se, come appena detto, non ne possono effettivamente derivare divergenti conseguenze e in ogni caso nessuna delle due possibili letture può condurre ad un'omologa forzosa a causa del difetto di carattere determinante del voto non computato), a seconda di che cosa si intenda per esclusione dal computo:

i) secondo una prima possibile lettura, in particolare, le classi dei creditori pubblici non dovrebbero già in partenza considerarsi come classi votanti (l'incidenza è quindi sul numero delle classi ammesse al voto);

ii) in base ad una seconda possibile alternativa lettura, invece, pur dopo averle considerate tra le classi votanti, del loro voto non si dovrebbe tener conto (l'incidenza è quindi successiva al voto cui le classi sono ammesse).

Ma, appunto, proprio perché sia in un caso che nell'altro non si prevede che il voto della classe dei creditori pubblici possa essere trasfigurato in voto positivo mediante l'intervento forzoso del tribunale, ma se ne prevede semplicemente il «non computo», e quindi di fatto il suo annullamento, esso non potrà mai essere determinante.

In caso di voto prevalente delle classi sfavorevoli, infatti, in un sistema che prevede la maggioranza del 50% + 1 delle classi, e dove quindi a fare la differenza, ad essere cioè determinante, è una prevalenza di voti sfavorevoli pari al numero delle classi dei creditori pubblici votanti sfavorevolmente, il carattere determinante del voto può sussistere soltanto se il voto negativo possa trasfigurarsi in positivo, mentre non può sussistere affatto se il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi venga semplicemente non computato (sia al fine dell'individuazione delle classi da ammettere al voto, sia al fine del raggiungimento del quorum).

  • Si consideri ad esempio il caso in cui votino 7 classi, delle quali 4 (compresa la sola classe di creditori pubblici votanti) votino sfavorevolmente e 3 a favore: se il voto della classe dei creditori pubblici non verrà computato, esso non sarà mai determinante, visto che i voti sfavorevoli diventeranno pari a quelli favorevoli (7 meno 1=6; 6: 2=3), con un semplice pareggio finale (3 a 3).
  • Ma lo stesso accadrà anche se voteranno 8 classi, delle quali 5 a favore (compresa la sola classe di creditori pubblici votanti) e 3 contro, poiché anche in tal caso se il voto della classe dei creditori pubblici non viene conteggiato, esso non sarà determinante (infatti i voti sfavorevoli saranno comunque 4 contro i 3 favorevoli).

Viceversa, quando l'esito del voto sia un pareggio, il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi potrà essere determinante anche se non computato.

  • Proseguendo con gli esempi: se le classi votanti siano 10 e l'esito del voto sia di 5 classi sfavorevoli (di cui una di crediti fiscali/contributivi) e di 5 classi favorevoli, e non viene computato il voto della classe dei crediti fiscali/contributivi, esso sarà determinante, poiché il risultato finale che si ottiene senza considerare tale voto sarà di 5 classi favorevoli contro le 4 sfavorevoli (5 meno 1=4), con una differenza di classi favorevoli pari al numero delle classi sfavorevoli dei crediti fiscali/contributivi non computate (in tal caso un'unica classe). E così via.
  • Anche qui, peraltro, può ricorrere il caso limite, anomalo, in cui vi siano solo due classi e vi sia la classe dei creditori pubblici espressasi sfavorevolmente mentre l'altra si sia espressa a favore, con un pareggio, poiché in questa (sola) ipotesi (di un numero pari minimale di classi votanti e di un pareggio) anche il non computo del voto negativo fa diventare maggioritario l'unico voto favorevole che rimane (con un risultato di 1 a zero).

Considerazioni conclusive e prospettive

Le nuove disposizioni, pur apportando maggiore specificità alla disciplina codicistica, presentano complessità applicative e interpretative che hanno inevitabilmente animato il dibattito nella dottrina.

In generale, il cram down fiscale e previdenziale è visto come uno strumento che, pur necessario per il risanamento delle imprese e per superare l’inerzia del creditore istituzionale, solleva ancora questioni legate al principio di indisponibilità del credito tributario e al bilanciamento tra l’interesse pubblico alla riscossione e l’interesse privato alla conservazione dell’impresa.

La giurisprudenza di merito, poi, ha iniziato solo da poco a delineare le prime interpretazioni ed applicazioni pratiche, ma la complessità dell’interazione tra le diverse norme richiede ancora un’attenta analisi per evitare interpretazioni contrastanti.

In linea generale, alcuni commentatori (tra cui Andreani e D’Aquino), hanno accolto con favore le nuove disposizioni, ritenendole un passo avanti nella gestione del cram down fiscale, pur evidenziandone le complessità applicative.

Un Autore (Mercuri) ha sottolineato la vaghezza dei presupposti del cram down e la varietà delle soluzioni che ne derivano, riflettendo sulle difficoltà interpretative e applicative delle nuove norme.

Vi è anche chi (Giuffrida e Turchi), pur in un contesto di poco precedente, hanno analizzato il rapporto tra il diniego di transazione fiscale e il cram down evidenziando come la questione del consenso del creditore pubblico sia centrale e spesso conflittuale tra l’interesse pubblico alla riscossione e la possibilità di risanamento dell’impresa.

Infine, è stata criticata l’eccessiva flessibilità del sistema, temendo che possa sacrificare indebitamente la tutela dei creditori (Nardecchia), mentre secondo un’altra opinione (Raucci) andrebbe posto l’accento sulla necessità di bilanciare le esigenze di continuità aziendale con i principi costituzionali in materia tributaria.

A parte queste valutazioni di carattere generale, e scendendo sul piano esegetico-applicativo, un primo profilo problematico sensibile riguarda il se, il sistema di cram down fiscale/contributivo disciplinato nel comma 4 solo per il concordato in continuità, possa applicarsi anche in caso di concordato liquidatorio.

Secondo il mio modesto parere, ciò è da escludere radicalmente, non essendo una soluzione interpretativa possibile neppure in via di integrazione analogica, dato l’operare rispetto a tale seconda tipologia di concordato di un sistema di voto a maggioranza del tutto diverso.

Su questo punto, del resto, anche la dottrina è in prevalenza concorde nell’affermare che l’art. 88 comma 4, si riferisca specificamente al concordato in continuità, mentre l’art. 88 comma 3 (ex art. 2-bis) resti applicabile al concordato liquidatorio.

Non mancano tuttavia Autori che, pur nella vigenza delle precedenti disposizioni, hanno ritenuto superflua una disciplina ad hoc per il concordato in continuità, stante il più comprensivo operare della ristrutturazione trasversale per qualsiasi tipo di crediti.

In concreto, il precedente e ora abrogato comma 2-bis, laddove prevedeva che «Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 109, comma 1, .... », era stato da molti interpretato come se riguardasse solo il concordato liquidatorio, stante l’inciso «ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 109, comma 1, atteso che l’art. 109, comma 1, riguarda appunto solo il concordato liquidatorio. Ma, come dicevo, non è mancato chi ha ritenuto superflua una disciplina ad hoc dedicata al cram down fiscale/contributivo per il concordato in continuità aziendale, stante il più comprensivo operare in tal caso della possibilità di omologa forzosa mediante ristrutturazione trasversale contemplata dall’art. 112, comma 2, con riferimento a qualsiasi tipo di crediti.

Il punto cruciale è però indubbiamente soprattutto la conferma circa il se, ai fini dell’omologa a minoranza (art. 112, comma 2, lettera d), numeri 1 e 2), l’adesione dei creditori pubblici debba essere espressa.

Alcuni autori (come Zanichelli), hanno ritenuto che la precisazione sull’adesione espressa della “golden class” sia sostanzialmente ultronea, poiché l’inversione del voto omesso o contrario è ammissibile solo se contribuisce a raggiungere la maggioranza delle classi favorevoli, mentre nella fattispecie della “golden class” il valore particolare della classe si evidenzia solo in mancanza dell’approvazione a maggioranza delle classi.

Sta di fatto che, a delimitare oggettivamente la possibilità di regolazione eteronoma mediante omologa forzosa in caso di voto negativo della classe del creditore pubblico titolare di crediti fiscali/previdenziali, contribuisce sensibilmente proprio la fattispecie — desumibile in via di inferenza logica dal tenore dell’ultimo periodo del comma 4 — in cui la classe dei creditori pubblici sia l’unica classe «interessata» e «maltrattata» ad esprimere un voto favorevole, caso in cui si richiede, perché sia utile a valere come minoranza vittoriosa, che esso sia espresso.

In tale ipotesi, in buona sostanza, il meccanismo presuntivo del cram down, tale per cui il voto contrario del creditore pubblico s’intenderebbe favorevole per effetto della valutazione positiva effettuata dal tribunale al posto della classe dissenziente, non è considerato compatibile con l’eccezionale possibilità di omologare il concordato anche in difetto di una maggioranza (e per il solo voto favorevole di una classe).

Dunque, solo quando vi sia l’espressa adesione della classe svantaggiata del creditore pubblico è possibile omologare il concordato in base alla regola che considera sufficiente a tal fine il voto favorevole espresso da una sola classe interessata/maltrattata; mentre, se tale classe fosse l’unica a potersi considerare interessata/maltrattata, ma mancasse la sua adesione, di talché esclusivamente per effetto della sostituzione presuntiva effettuata mediante cram down potrebbe trasformarsi in voto favorevole (sostituzione non a caso vietata), all’omologa non potrebbe procedersi. In tale circostanza, l’assenza di un consenso esplicito precluderebbe al tribunale di “sostituirsi” alla volontà del creditore pubblico con una presunzione di favorevolezza.

Questa eccezione, sia pur solitaria, all’eccezionale possibilità di cram down prevista anche in caso di difetto di maggioranza di classi favorevoli (costituente, a sua volta, un’eccentrica ed indigeribile eccezione — per quanto considerata ammissibile dalla direttiva 2019/1023 — alla regola dell’unanimità di voto favorevole delle classi, unanimità peraltro a sua volta «farlocca», in quanto suscettibile di realizzarsi in forza di un semplice voto relativamente maggioritario all’interno di ciascuna classe), sia pure solo limitatamente al voto dei creditori pubblici per i crediti fiscali/previdenziali, è a mio avviso da approvare pienamente, ridimensionando essa, sia pur de minimis, ma vivaddio almeno in parte de qua, il suddetto scandaloso meccanismo di incondizionato favor del Codice per il debitore, esteso fino al punto da consentire l’omologa della proposta anche se soltanto una sparuta classe di creditori si dichiari d’accordo con essa, introducendo un elemento di bilanciamento - sia pure solo parziale - nel sistema giusconcorsuale.

Pur riconoscendo la validità del cross class cram down (ammesso anche dalla direttiva 2019/1023), l’esigenza di un’adesione espressa per i crediti pubblici in contesti così specifici rappresenta infatti un temperamento al favor debitoris per realizzare una maggiore effettività del consenso qualificato da parte di creditori (quelli pubblici) di rilevanza sistemica.

Bibliografia Essenziale

  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), come modificato dal D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. Correttivo-ter).
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, all’esdebitazione e alle interdizioni e alle misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione.
  • G. Andreani, F. D’Aquino, Nel concordato in continuità omologa anche con dissenso, in Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2023.
  • G. Andreani, F. D’Aquino, Cram down fiscale anche nel concordato in continuità, in Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2023.
  • D. Giuffrida,  A. Turchi, Diniego di transazione fiscale e cram down tra dottrina e giurisprudenza, in dirittodellacrisi.it, 20 maggio 2021.
  • F. Lamanna, Il terzo correttivo al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Commento al d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, Milano, 2024.
  • G. Mercuri, Il cram down fiscale alla ricerca di nuovi limiti: vaghezza dei presupposti e varietà di soluzioni, in Riv. tel. dir. trib., 14 ottobre 2023.
  • G. Nardecchia, Il cram down nel concordato preventivo: profili critici e prospettive, in Il Fallimento, 2023, 2, 201 ss.
  • L. Raucci, Il cram down fiscale nel codice della crisi: tra continuità aziendale e tutela dell’interesse erariale, in Studium Iuris, 2023, 6, 699 ss.
  • V. Zanichelli, Il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità aziendale, in Riv. dir. fall., 2023, 3, 109 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario