Inammissibilità del PRO liquidatorio “post-correttivo”: note a margine di un provvedimento del Tribunale di Roma

14 Luglio 2025

Viene commentata la pronuncia del Tribunale di Roma che, con una importante inversione di tendenza rispetto alla giurisprudenza pregressa, ha dichiarato inammissibile una domanda di omologazione del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis c.c.i.i. (c.d. PRO) avente contenuto meramente liquidatorio.

Massima

Anche per effetto delle modifiche apportate al codice della crisi d’impresa dal d.lgs. n. 136/2024, non è ammissibile un piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione avente natura meramente liquidatoria e che preveda la cessazione dell'impresa senza alcuna continuità aziendale.

La questione

La pronuncia del Tribunale di Roma afferma un principio, di natura sistematica, estremamente importante, in quanto inteso a chiarire quanto, per vero, già desumibile dalla disciplina del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (PRO) scaturita dal decreto legislativo attuativo n. 83/2022 della direttiva dell'Unione europea n. 1023/2019.

Si allude alla natura e funzione del PRO, strumento di regolazione della crisi compatibile soltanto con la funzione conservativa dell'impresa realizzabile, alternativamente, con il risanamento o con la cessione dell'azienda in esercizio; di qui l'inammissibilità di un piano ex art. 64-bis CCII di natura esclusivamente liquidatoria.

La questione assume una sua particolare importanza anche in considerazione del fatto, di cui la sentenza in commento dà nelle premesse esplicitamente atto, che le (poche) sentenze di omologazione adottate dai giudici del merito hanno ritenuto ammissibili, nella vigenza della normativa ante riforma conseguita al d.lgs n. 136/2024, i piani ex art. 64-bisCCII di natura meramente liquidatoria, previa valorizzazione:

  • del richiamo operato dalla norma di cui all'art. 64-bis, comma 9, all'art. 84, comma 8, inerente soltanto al concordato liquidatorio, nonché all'art. 87, commi 1 e 2, che si riferisce ai contenuti del piano, sia che essi siano funzionali alla conservazione dell'impresa, sia che essi siano di natura liquidatoria;
  • della riscontrata mancanza di una previsione normativa che espressamente limitasse la possibilità di proporre alle classi dei creditori un PRO alle soluzioni che prevedessero la continuità, diretta o indiretta, dell'impresa.

La soluzione giuridica

Le motivazioni delle pronunce in discorso hanno completamente ignorato ciò che la sentenza in commento ha invece correttamente evidenziato, cioè che la disciplina del PRO sia stata introdotta in attuazione dell'art. 11, paragrafo 1, e del secondo considerando della direttiva insolvency, «in un contesto diretto a favorire la ristrutturazione anticipata favorendo la continuità (diretta o indiretta) dell'impresa…con la conseguenza che una lettura che ammettesse la presentazione di PRO meramente liquidatori potrebbe esporre le norme che tale istituto hanno previsto ad un vizio di incostituzionalità per eccesso di delega» (così il tribunale di Roma sul punto specifico).

Non v'è dubbio che la questione si sia riproposta con maggior forza con l'introduzione della nuova disciplina del PRO scaturita dal d.lgs. n. 136/2024.  

Quest'ultimo ha infatti inciso significativamente sulla disciplina dell'istituto, non soltanto con l'introduzione di una specifica regolamentazione del trattamento dei tributi erariali e dei contributi amministrati dagli enti di gestione di forme di previdenza, assistenza e assicurazione obbligatorie (la disciplina ricalca quella dettata dall'art. 88 c.c.i.i. a proposito del concordato preventivo, con la differenza che, nel caso del PRO, la proposta del debitore deve necessariamente precedere la presentazione della domanda di omologazione e non è contemplato il cram down fiscale, per l'evidente ragione che quest'ultimo è incompatibile con uno strumento di regolazione della crisi che richiede, perché possa intervenire l'omologazione, l'approvazione unanime delle classi dei creditori); con l'eliminazione dell'aggettivo «mera» premesso a «ritualità della proposta», nella norma che regola la natura del controllo esercitato dal tribunale nella fase filtro (la disciplina ricalca quella dettata dall'art. 88 c.c.i.i. a proposito del concordato preventivo, con la differenza che, nel caso del PRO, la proposta del debitore deve necessariamente precedere la presentazione della domanda di omologazione e non è contemplato il cram down fiscale, per l'evidente ragione che quest'ultimo è incompatibile con uno strumento di regolazione della crisi che richiede, perché possa intervenire l'omologazione, l'approvazione unanime delle classi dei creditori); con la specificazione del parametro del confronto, in punto convenienza della proposta per il creditore dissenziente che si sia opposto all'omologazione [parametro integrato da quanto il dissenziente «potrebbe ricevere nel caso di apertura della liquidazione giudiziale alla data della domanda di omologazione» (art. 64-bis, comma 8)]; infine con la modifica che ha introdotto un'esplicita disciplina giuridica del trasferimento dell'azienda o del ramo di azienda [si chiarisce che al trasferimento si applica il principio dell'effetto purgativo, con conseguente esclusione della solidarietà del cessionario per le obbligazioni anteriori alla cessione, fermo quanto previsto dall'art. 2112 c.c., e che il tribunale abbia l'obbligo di verificare che il trasferimento sia rispettoso del principio di competitività nella selezione dell'acquirente (art. 64-bis, comma 9-bis)]; ma altresì con la novità che maggiormente merita di essere evidenziata, perché foriera di possibili equivoci interpretativi e applicativi, concernente proprio la questione affrontata dalla sentenza in commento.

Si allude al nuovo testo dell'art. 64-bis, comma 9, c.c.i.i. che, nel richiamare, in quanto compatibili, le norme che regolano l'omologazione e l'esecuzione del concordato preventivo, da un lato ha soppresso il richiamo all'art. 84, comma 8, dall'altro ha escluso dal richiamo non solo le norme di cui all'art. 112, ma anche quelle di cui all'art. 114-bis.

Queste ultime regolano, nel concordato con continuità aziendale, la cessione dell'azienda in esercizio quando l'acquirente non sia già individuato nel piano e la liquidazione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell'impresa nella cd. continuità mista.

Da tale modifica, considerata in uno col fatto che l'art. 64-bis, comma 9, mantiene il richiamo all'art. 114 che, al contrario dell'art. 114-bis, disciplina l'ipotesi della cessione dei beni nell'ambito di un concordato esclusivamente liquidatorio, potrebbe prima facie evincersi che il PRO possa essere (anche) uno strumento funzionale alla mera liquidazione del patrimonio del debitore.

Senonchè, la tesi deve ritenersi insostenibile, e il tribunale di Roma lo ha colto perfettamente.

È anzitutto contraddetta dallo stesso legislatore, che qualifica il PRO esplicitamente come strumento che può avere l'esclusiva «funzione di favorire la ristrutturazione delle imprese risanabili, con continuazione dell'attività sia diretta che indiretta, mediante un procedimento meno formalizzato e caratterizzato da minori controlli e con la predisposizione di un piano esentato dal rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione» (così si legge a pagina 53 della Relazione illustrativa del decreto correttivo n. 136/2024).

Il chiarimento operato dal legislatore in astratto non sarebbe stato necessario, sol considerando il nome dello strumento («Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione») e il fatto che, come correttamente evidenziato anche dalla sentenza in commento, sia espressamente previsto che «dalla data della presentazione della domanda e fino all'omologazione l'imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale…» (art. 64-bis, comma 5, c.c.i.i.). 

S'è già detto, peraltro, che il PRO è stato introdotto esclusivamente per dare attuazione alla direttiva (cd. i nsolvency) n. 1023/19, ispirata all'esigenza di aumentare l'efficienza dei “quadri di ristrutturazione preventiva”.

L'intervento del correttivo n. 136/2024 è invero riconducibile proprio alla riscontrata, impropria utilizzazione dell'istituto, nel periodo successivo all'entrata in vigore del c.c.i.i., anche per finalità esclusivamente liquidatorie, improprietà avallata, come anticipato, da diverse pronunce dei tribunali.

Osservazioni

A sostenere la correttezza della soluzione adottata dal tribunale di Roma sono diversi ulteriori argomenti, di natura eminentemente sistematica, in quanto tali particolarmente significativi.

La logica normativa che caratterizza l'attuale disciplina della crisi d'impresa vuole che lo strumento concorsuale (caratterizzato, appunto, dall'apertura del concorso dei creditori) funzionale alla liquidazione dell'intero patrimonio dell'imprenditore insolvente sia la liquidazione giudiziale.

La regola prevede un'unica eccezione, quella del concordato preventivo, ma in questo caso a condizione che la proposta preveda un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il dieci per cento l'attivo disponibile per il soddisfacimento dei creditori concorsuali, e che al ceto creditorio chirografario sia assicurata una percentuale di soddisfacimento non inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo dei crediti.

In sostanza, quindi, la possibilità che l'imprenditore “soprasoglia” fruisca dell'effetto esdebitativo riconducibile all'omologazione di un piano liquidatorio viene riservata al concordato preventivo, ma a condizione che la liquidazione del patrimonio del debitore sia accompagnata dalla destinazione ai creditori di risorse esterne a quest'ultimo e che il totale dei flussi derivanti dalla cessione del patrimonio e dalle risorse esterne consenta di soddisfare il ceto chirografario nella misura minima del venti per cento dei crediti.

Sfuggirebbe ad ogni logica consentire all'imprenditore di eludere le disposizioni che impongono le viste soglie di ammissibilità del concordato per cessione dei beni, con la proposizione di un piano ai sensi dell'art. 64-ter c.c.i.i., specie ove si consideri il favor espresso dal legislatore stesso per  uno strumento, il PRO, che prescinde dalla necessaria applicazione dei principi generali della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), nonché di quelli che regolano i criteri di distribuzione delle risorse del debitore ai creditori concorsuali (artt. 2741 e segg. c.c.), favor che può trovare giustificazione  soltanto nella funzione tipica dell'istituto, che è quella di assicurare il risanamento dell'impresa o, alternativamente, la conservazione di quest'ultima per il tramite della cessione di un'azienda in esercizio o di pronta riattivazione.   

La possibile obiezione che fosse imperniata sulla considerazione della disciplina degli accordi di ristrutturazione che, come noto, non esclude che essi possano essere il portato di un piano di natura esclusivamente liquidatoria, non resiste a fronte della valutazione della peculiarità dello strumento degli accordi che, a differenza degli altri, non apre il concorso dei creditori e mantiene una forte connotazione negozial-privatistica, il che riduce la necessità di un controllo giurisdizionale sulla proposta e sul piano sottostante, dal momento che il creditore dissenziente, non firmando l'accordo, ne resta estraneo e ha diritto al soddisfacimento integrale.

Ancora, sarebbe del tutto incongruo consentire l'utilizzo del PRO quale procedura di mera regolazione dell'insolvenza irreversibile (attraverso la liquidazione di tutti i beni del debitore), svincolata dall'obbligatorietà dell'esistenza di un piano funzionale alla conservazione dell'impresa, senza che sia prevista la stessa responsabilità del debitore per le ipotesi di reato concorsuale previste dal codice della crisi in caso di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo.

Infatti il codice della crisi, al contrario di quanto espressamente contemplato per il concordato preventivo (art. 341, comma 2, c.c.i.i.), non dispone che la domanda di accesso allo strumento del PRO integri la condizione obiettiva di punibilità dei reati concorsuali.

Vanno inoltre rimarcate le forti analogie tra la disciplina del PRO e quella del concordato preventivo con continuità, proprio nelle norme che rappresentano il portato della volontà del legislatore di favorire le soluzioni conservative dell'impresa.

Si allude sia alla definizione del concetto di convenienza come di non inferiorità del trattamento proposto al singolo creditore (che abbia formulato opposizione all'omologazione) rispetto a quanto a quest'ultimo deriverebbe dalla liquidazione giudiziale, sia alla disciplina della transazione fiscale nel PRO che, nel subordinare la legittimità dell'accordo con l'erario o l'ente previdenziale, assistenziale o assicurativo alla circostanza che da esso discenda un trattamento dei creditori non deteriore rispetto a quanto a questi ultimi deriverebbe dall'ipotesi liquidatoria, replica quanto previsto dagli artt. 63 e 88 c.c.i.i., che a loro volta prevedono il criterio del trattamento non deteriore in caso di piano in continuità, ed il diverso criterio della convenienza nelle ipotesi in cui il piano sottostante agli ADR o al concordato sia liquidatorio.

La stessa disciplina della fase filtro del PRO, caratterizzata da un controllo giurisdizionale inerente alla ritualità della proposta, è quella prevista per il concordato preventivo con continuità, e non quella dettata per il concordato preventivo liquidatorio, in cui la norma prevede un (maggiormente intenso) controllo di ammissibilità della proposta.

Infine va valorizzato che il più favorevole regime dell'approvazione da parte delle classi dei creditori, con la previsione del quorum deliberativo dei due terzi dei crediti di titolarità dei votanti, è a sua volta ritagliato esattamente su quello del concordato preventivo con continuità, sempre in un'ottica di favor per le soluzioni che assicurano il risanamento o la conservazione dell'impresa con la cessione di un'azienda in esercizio.

Resta quindi da “fare i conti” con il mancato richiamo dell'art. 114-bis da parte dell'art. 64-bis, comma 9, che a questo punto sembrerebbe stridere, oltre che con l'esplicitazione della natura dell'istituto esplicitata in relazione illustrativa, anche con tutte le anzidette considerazioni di carattere sistematico.

A tal proposito la sentenza del tribunale di Roma suggerisce una lettura del mancato richiamo, secondo cui esso non potrebbe che essere inteso nel senso che il tribunale non “possa” ma “debba” procedere in questo caso alla nomina di uno o più liquidatori e debba determinare le modalità di liquidazione attenendosi a tale disciplina e non a quella dell'art. 114-bis

Riterrei maggiormente corretto attribuire al mancato richiamo altro significato: che nel PRO, laddove siano presenti, o un'azienda in esercizio senza che nel piano vi siano l'individuazione e l'indicazione di un cessionario, o dei beni estranei al perimetro aziendale, in quanto tali non funzionali alla prosecuzione dell'impresa, le relative cessioni vadano effettuate dal debitore stesso, senza che possano applicarsi i principi generali che governano le vendite coattive, il che è perfettamente coerente con la fluidità ed elasticità che caratterizza il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, i cui possibili contenuti derogatori delle norme imperative di cui agli artt. 2740 e 2741 e segg c.c. sono il portato di una voluta, potenziata autonomia negoziale del debitore.

Quanto poi al generale richiamo delle norme che regolano l'omologazione e l'esecuzione del concordato preventivo, tra le quali sono comprese quelle di cui all'art. 114 («Cessione dei beni»), non v'è dubbio che con riguardo a queste ultime debba applicarsi la clausola di incompatibilità con la disciplina del PRO che in ogni caso condiziona, espressamente, l'applicazione del richiamo di cui all'art. 64-bis, comma 9, stante che non si avrebbe ristrutturazione ove il piano si limitasse a prevedere l'acquisizione di risorse esclusivamente previa la cessione dei beni che non fossero parte di un complesso organizzato per l'esercizio dell'impresa.

Non resta che l'auspicio di un generale adeguamento della giurisprudenza dei tribunali ai principi per la prima volta affermati dal giudice capitolino, in attesa che anche la Corte di cassazione possa consolidarli.

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