Ragionevole durata delle procedure concorsuali: la pronuncia della Corte costituzionale
15 Luglio 2025
La Corte costituzionale ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), sollevate, in riferimento agli artt. 3,24 e 117 primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalla Corte d'appello di Venezia, nella persona del giudice designato ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile)» Nel caso di specie, la Corte d'appello di Venezia era stata investita da alcuni creditori di un fallimento dalla richiesta dell'indennità prevista dalla l. n. 89/2001 per l'irragionevole durata della procedura concorsuale, essendosi questa protratta per ben undici anni. Il comma 2-bis dell'art. 2 della l. n. 89 del 2001, infatti, fissa in sei anni la ragionevole durata delle procedure concorsuali. Dalla pronuncia si apprende che la considerevole durata della procedura era dovuta ad una particolare complessità della stessa, derivante dalla pendenza di operazioni di bonifica e di molteplici cause di revocatoria fallimentare e procedure esecutive intentate dal curatore. La Corte d'appello rimettente ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione al richiamato comma 2-bis, sottolineando quanto segue: i) la norma sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto contenente (secondo l'interpretazione fornita da «numerose pronunce della Corte di cassazione») un termine perentorio; essa «sarebbe irragionevole nella parte in cui non permette di considerare i ritardi causati da impedimenti oggettivi, non ascrivibili agli organi della procedura, o comunque riconducibili a soggetti che non fanno parte dell'organizzazione della giustizia, come sarebbe avvenuto nel caso in esame». Secondo il giudice rimettente «L'irragionevolezza segnerebbe a monte la scelta legislativa di avere accomunato, quanto alla durata, procedure di complessità diversa», introducendo un automatismo in forza del quale, una volta superato il termine di sei anni, la durata della procedura risulterebbe sempre irragionevole, così svuotando di significato il disposto del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 89/2001 (secondo cui, ai fini dell'accertamento della violazione, il giudice dell'equa riparazione deve valutare la complessità del caso, l'oggetto del procedimento e il comportamento dei soggetti coinvolti). Questo tanto più «nelle procedure in cui si renda necessario il promovimento di giudizi “recuperatori”, che a loro volta possono protrarsi per più gradi di giudizio», ove «il rispetto del termine di sei anni sarebbe impossibile “in fatto e in diritto”». ii) «La norma censurata si porrebbe in contrasto altresì con l'art. 24 Cost., in quanto indurrebbe gli organi della procedura a non promuovere giudizi recuperatori, per rispettare il termine di ragionevole durata e non incorrere in responsabilità, con conseguente pregiudizio dei diritti dei creditori concorsuali»; iii) «La previsione del termine fisso sarebbe comunque incompatibile, per il tramite dell'art. 117, primo comma, Cost., con l'art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, secondo cui la ragionevolezza della durata del processo deve essere valutata alla luce delle circostanze del caso concreto». La Corte costituzionale ha ritenuto non fondate nel merito le questioni sollevate dalla Corte d'appello di Venezia. 1- Quanto alla violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., la Corte segnala che la giurisprudenza di legittimità consolidata ammette, secondo lo standard ricavato dalle pronunce della Corte EDU, un temperamento alla norma contenuta nel comma 2-bis, ritenendo “tollerabile”, nel caso di procedura concorsuale di notevole complessità, una durata di sette anni. Da ciò discende l'errore di ricognizione del giudice a quo nell'aver imputato al diritto vivente di avere inteso il termine di sei anni in modo rigido, come operante in modo “automatico”. Inoltre, dai precedenti della stessa Corte costituzionale (sentenze n. 36 del 2016 e n. 205 del 2023) «discende il principio che, se il termine di ragionevole durata fissato dal legislatore nazionale è modellato sulla giurisprudenza della Corte EDU, non sono ravvisabili violazioni del parametro convenzionale. Questa conclusione ridonda sul giudizio di compatibilità costituzionale del termine di volta in volta sottoposto a scrutinio anche sotto il profilo della ragionevolezza». 2- Del resto il termine di ragionevole durata delle procedure concorsuali, indicato nel comma 2-bis, risulta in linea con lo standard della Corte EDU e non produce alcun automatismo, posto che il diritto all'equo indennizzo non sorge per il solo effetto del superamento dei termini di durata (la Corte richiama a tal proposito le disposizioni dell'art. 2, commi 2, 2-quinquies e 2-sexies, e dell'art. 2-bis della l. n. 89/2001). 3- Anche quanto al denunciato vulnus all'art. 24 Cost., la Corte ritiene che esso muova da un presupposto erroneo: «La responsabilità degli organi della procedura per il ritardo con cui siano stati soddisfatti i creditori concorsuali ovvero, in caso di incapienza, sia stata chiusa la procedura, esula dalle finalità perseguite dai rimedi avverso la violazione del termine di ragionevole durata del processo di cui all'art. 6, paragrafo 1, CEDU. Essa trova appropriata ed effettiva risposta nel ricorso ad altre azioni e in altre sedi, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 249 del 2020, ove si accertino condotte gravemente negligenti, e dunque non consegue per il solo oggettivo ritardo». |