Infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 l. fall.

04 Agosto 2025

Il commento ripercorre l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 147 l. fall. fornita dalla Corte costituzionale, in tema della fallibilità di un ente non astrattamente fallibile e corrispondente obbligo del giudice di convocarne i soci illimitatamente responsabili sin dal giudizio che accerta il loro possibile fallimento in estensione.

Massime

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 sollevate in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione dal Tribunale ordinario di Matera.

I soci palesi di una società semplice hanno diritto di essere convocati nel giudizio sul fallimento della società, che indirettamente accerta la loro fallibilità sostanziale, anche se nel medesimo giudizio non è stato chiesto il loro fallimento in estensione. In mancanza, l'accertamento della loro fallibilità non è opponibile nel giudizio di cui all'art. 147 della legge fallimentare, salvo che, di fatto, abbiano già esercitato rispetto a tale accertamento il loro diritto di difesa.

Il caso

Il Tribunale di Matera dichiarava il fallimento di una società semplice agricola. La Corte d'Appello di Potenza rigettava il proposto reclamo, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di fallimento.

 Il curatore, successivamente, instava per l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, i quali, costituitisi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda di estensione  eccependo – per quello che qui più importa – la violazione del diritto di difesa per mancata integrazione del contraddittorio nei loro confronti – asseritamente litisconsorti necessari - nella fase prefallimentare, che avrebbe impedito di dimostrare l'insussistenza dei presupposti di fallibilità della società, la cui natura doveva considerarsi agricola, così come quella dei soci illimitatamente responsabili.

Questi ultimi chiedevano, in subordine, qualora l'accertamento in fatto fosse stato precluso dal meccanismo disciplinato dall'art. 147 l.fall., il rinvio pregiudiziale del procedimento alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (Diritto ad un equo processo) e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., poiché, tale disposto, consentendo ai soci di contestare solamente la loro qualità di soci o di soci illimitatamente responsabili o il superamento del termine annuale dallo scioglimento del loro rapporto sociale, pregiudicava in fatto il loro diritto di difesa e l'automatica estensione del fallimento della società ai soci, che non aveva eguali in nessun altro ordinamento giuridico.

Il Tribunale di Matera giudicava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 r.d. n. 267/1942 in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., e disponeva la rimessione della questione alla Corte costituzionale.

La questione e le soluzioni giuridiche

È noto che l'art. 147 l. fall. (il cui titolo è: «Società con soci a responsabilità illimitata») prevede che il fallimento delle (sole) società in nome collettivo, in accomandita semplice ed in accomandita per azioni comporti anche il fallimento (in estensione) dei soci illimitatamente responsabili. Il fallimento (automatico, ex lege) dei soci illimitatamente responsabili prescinde dalla loro insolvenza, ma deriva esclusivamente dalla (sola) loro qualità di socio.

Ampio e complesso è stato il dibattito che ha riguardato l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili non potendo certamente passare sotto silenzio il fatto che venisse operata un'evidente forzatura del principio che vuole che il soggetto fallibile sia solo e soltanto l'imprenditore commerciale (art. 1 l. fall.). È, infatti, evidente che il soggetto imprenditore commerciale è solo ed unicamente la società e non i soci che sono tra loro legati da un contratto di società, obliterando, di tutta evidenza, anche la non trascurabile evenienza per cui nessuno scrutinio venisse fatto circa lo stato d'insolvenza dei soci illimitatamente responsabili i quali, in ipotesi, potrebbero essere del tutto solvibili ma, ciononostante, dichiarati ugualmente falliti. Puntualizzava, infatti, la risalente dottrina che l'stensione automatica del fallimento ai soci illimitatamente responsabili dispensasse il tribunale dall'esaminare se sussistessero per ciascuno socio individualmente i due estremi essenziali per la loro fallibilità: qualità commerciale e cessazione dei pagamenti. Che esistano o meno tali due fattispecie, i soci illimitatamente responsabili sono dichiarati falliti, solo perché soci a responsabilità illimitata (Bonelli, Del fallimento, Milano, 1923, III, 231).

È pur vero che molti hanno sempre sostenuto che i soci fallirebbero perché plures mercatores unam mercantiam gerentes e, altresì, perché la responsabilità illimitata sarebbe il riflesso del potere di gestione che loro compete sull'impresa collettiva. Tuttavia, tale orientamento dottrinale sarebbe stato smentito dal definitivo recepimento nel nostro ordinamento giuridico della società a responsabilità limitata unipersonale prima e dalla società per azioni unipersonale dopo, con l'ovvia conseguenza che non appare davvero ulteriormente sostenibile che vi siano differenze marcate tra l'imprenditore individuale e il socio/amministratore unico di una società di capitali unipersonale, al di là degli obblighi sostanziali di conferimento dell'intero capitale sociale e di quelli pubblicitari, che, una volta adempiuti, pongono il predetto socio/amministratore unico al riparo sia dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sia, soprattutto, dal fallimento personale. 

Dunque, l'estensione del fallimento si spiega solo con il carattere eccezionale della norma, per ragioni di opportunità, finalizzata a costringere i soci a pagare i debiti sociali prima della dichiarazione di fallimento della società ed al fine di evitarne il fallimento (Galgano, Il fallimento delle società, in Trattato di diritto commerciale e Diritto Pubblico dell'Economia, Padova, 1988, X, 45). 

Anche la giurisprudenza recente si è, infine, sostanzialmente allineata a quest'ultima interpretazione, affermando che il significato dell'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili va ricercato nella volontà di potenziare la garanzia generale delle obbligazioni contratte dalla società attraverso il patrimonio individuale dei soci (Cass. 12 novembre 2008, n. 27013 in Giur. comm., 2009, II, 301, con nota di Buonocore).

Il Tribunale di Matera, uniformandosi alla giurisprudenza consolidata, precisava che nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi all'estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l'eventuale estraneità alla compagine sociale, tanto più che l'eventuale integrazione del contraddittorio – in ipotesi - non poteva nemmeno essere disposta d'ufficio dal Tribunale e, qualora fosse stato domandato il fallimento simultaneo della società e dei soci illimitatamente responsabili, questi ultimi non avrebbero potuto, in ogni caso, interloquire sui requisiti di fallibilità della società.

L'ordinanza del Tribunale di Matera prendeva posizione anche sull'eccezione d'inapplicabilità dell'art. 147 l. fall. ai soci illimitatamente responsabili di società semplice (in funzione dell'asserita prevalenza di attività agricola su quella commerciale), in quanto questa tipologia di società non è richiamata dalla già menzionata norma, sottolineando che alla società semplice è precluso per legge lo svolgimento di attività commerciale e questo è il motivo per cui l'art. 147 l. fall. non ne fa menzione ma, quand'anche una società semplice dovesse svolgere attività commerciale, alla stessa si dovrà applicare, secondo un insegnamento assolutamente pacifico, la disciplina della società in nome collettivo.

Il Tribunale, dopo aver preso atto che la giurisprudenza assolutamente consolidata, da considerarsi, a tutti gli effetti, diritto vivente, avrebbe imposto la dichiarazione di fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili (i) sia perché questi ultimi non sono legittimati ad interloquire sui requisiti di fallibilità della società (ii), sia perché è esclusa un'ipotesi di litisconsorzio necessario (iii), sia perché, infine, i soci non sono legittimati a reclamare la sentenza di fallimento della società, riteneva che – al di là delle diverse dichiarazioni di incostituzionalità dell'art. 147 l. fall., tutte avvenute prima della sua riforma con la novella del 2006 e, dunque, non applicabili al caso di specie – un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma avrebbe dovuto prevedere che i soci illimitatamente responsabili, ove fosse stata avanzata richiesta del loro fallimento in estensione, avessero potuto interloquire sui requisiti di fallibilità della società, quantomeno al fine di evitare il loro fallimento, atteso – giova ripeterlo – che la giurisprudenza di legittimità e di merito unanimemente nega tale possibilità, forse, sempre secondo l'ordinanza in esame, trascurando che i soci illimitatamente responsabili subiscono gravissime conseguenze giuridiche e personali che discendono dalla dichiarazione di fallimento, a fronte del quale la possibilità di dimostrare di non essere socio o socio illimitatamente responsabile, oltre che all'ipotesi di decadenza dall'azione per il superamento dell'anno dall'interruzione del rapporto sociale, appare sostanzialmente poco significativa e statisticamente irrilevante, dato il numero esiguo di casi, quasi da scuola.

Fatte queste debite premesse, la Corte costituzionale ha innanzitutto precisato che il thema decidendum riguarda la ritenuta illegittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall. nella parte in cui non prevede la inopponibilità ai soci illimitatamente responsabili di una società semplice dell'accertamento della loro fallibilità, indirettamente effettuato nel giudizio sul fallimento della società, nella quale i soci, benché palesi, non sono stati convocati. Detto in parole più semplici, rileverebbe l'impossibilità per i soci illimitatamente responsabili di difendersi nel giudizio che, attraverso l'accertamento della natura commerciale della società semplice, ha attribuito loro una qualifica sostanziale diversa da quella formale: da soci di una società semplice non fallibile a soci fallibili soggetti alla disciplina della società in nome collettivo irregolare.

Il Giudice delle leggi ha ribadito un principio assolutamente noto e pacifico: se una società semplice agricola esercita, in concreto, un'attività commerciale, essa deve essere assoggettata alla disciplina prevista per le società in nome collettivo, con la conseguenza che l'ente non va più esente dal fallimento e i suoi soci illimitatamente responsabili sono esposti al fallimento in estensione, benché l'art. 147 l. fall., per ovvie ragioni, non menzioni al primo comma la società semplice. Ne deriva che, se di norma il presupposto per applicare l'art 147 della l. fall. è che i soci illimitatamente responsabili partecipino a una società rientrante in uno dei tipi societari indicati al primo comma, nel caso della società semplice occorre un accertamento sostanziale circa la prevalente attività commerciale svolta dalla società che può superare ciò che risulta dal dato formale.

La Corte continua precisando che, poiché tale accertamento viene effettuato nel giudizio sul fallimento della società, non si può far gravare sui soci, non convocati in quel medesimo giudizio, l'onere di verificare sul registro delle imprese l'eventuale fallimento di un ente che normalmente non fallisce, con la conseguenza che la possibilità per i soci illimitatamente responsabili di difendersi rispetto alla loro fallibilità sarebbe, infatti, affidata alla facoltà di impugnare la sentenza dichiarativa del fallimento della società entro 30 giorni dalla sua iscrizione nel registro delle imprese e comunque entro il termine di cui all'art. 327, primo comma, c.p.c., sul presupposto che essi siano tenuti a verificare l'eventuale fallimento di un ente che, in quanto società semplice, non dovrebbe fallire.

Dunque, ha concluso la Corte costituzionale, ove sia proprio il giudizio sul fallimento della società ad accertare la fallibilità dell'ente e, quindi, dei soci, si deve ritenere che il giudice debba convocare questi ultimi, ai sensi dell'art. 147, terzo comma, l. fall., sin dal giudizio che accerta il loro essere esposti al fallimento in estensione; né tale convocazione va ad inficiare il diritto dei soci illimitatamente responsabili di essere convocati anche nel giudizio in cui si domanda il loro fallimento in estensione, ex art. 15, comma 3, l. fall.

Secondo la sentenza in commento, dunque, l'art. 147, comma 3, l. fall. deve essere interpretato nel senso che “prima di dichiarare il loro fallimento” (dei soci illimitatamente responsabili di società semplice agricola), essi devono essere stati convocati non solo nel giudizio in cui viene dichiarato il loro fallimento, ma anche in quello che accerta, per ragioni sostanziali, la fallibilità dell'ente, che costituisce presupposto della fallibilità dei soci.

In conclusione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la questione, così come proposta dal Tribunale di Matera non meritasse accoglimento perché il “sistema” concepito dall'art. 147 l. fall. (e 256 c.c.i.i.) nei confronti di società in nome collettivo, in accomandita semplice ed in accomandita per azioni (con ovvia esclusione della società semplice alla quale è interdetto lo svolgimento di attività commerciale, se non nel ristretto ambito di cui all'art. 2135 c.c.) e dei soci illimitatamente responsabili, fosse sufficientemente “garantista”, essendo riconosciuta a questi ultimi una tutela successiva, consistente nella facoltà di impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento davanti alla Corte d'appello competente, con onere a loro carico di verificare sul registro delle imprese un'eventuale dichiarazione di fallimento della società, in quanto consapevoli di essere soggetti al fallimento in estensione.

Invece, nel caso di specie, con una interpretazione costituzionalmente orientata, la Corte costituzionale si è chiaramente espressa a favore della necessità che, qualora si controverta circa la fallibilità di un ente non astrattamente fallibile – come nel caso di una società semplice agricola – e, quindi, dei soci, il giudice debba convocare questi ultimi, ai sensi dell'art. 147, comma 3, l. fall., sin dal giudizio che accerta il loro possibile fallimento in estensione.

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