La gestione interinale dell'impresa
Come accennato al paragrafo precedente, l'art. 64-bis, comma 5, c.c.i.i. prevede che dalla data della presentazione della domanda (anche con riserva, ex art. 44) e fino alla omologazione, l'imprenditore conserva la gestione, ordinaria e straordinaria, dell'impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale.
L'imprenditore deve gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori.
Tale precetto, richiamato espressamente dall'art. 64-bis, comma 5 rientra fra i tipici doveri del debitore con riferimento a qualsiasi strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, nei termini fissati dall'art. 4, comma 2, lett. c), c.c.i.i.
Lo stesso precetto viene declinato dal codice della crisi in modo diverso nell'ambito della composizione negoziata della crisi (che non rappresenta uno strumento di regolazione della crisi): in tal caso le regole sono dettate dall'art. 21, comma 1, c.c.i.i.
Detta norma, dopo avere disposto - sotto un profilo generale - che nel corso delle trattative l'imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa, prevede che, qualora lo stesso si trovi in una situazione di crisi, deve gestire l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell'attività.
Qualora, invece, nel corso della composizione risulti che l'imprenditore sia (o sia divenuto) insolvente, sempreché non siano venute meno le condizioni per perseguire il risanamento, lo stesso deve gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori.
L'art. 64-bis, comma 6, c.c.i.i. disciplina l'ambito della vigilanza del commissario giudiziale, prevedendo quanto segue.
L'imprenditore deve preventivamente informare il commissario, per iscritto, circa il proprio intendimento di compiere atti di straordinaria amministrazione, nonché di effettuare pagamenti che non siano coerenti rispetto al piano di ristrutturazione.
Il commissario giudiziale, se ritiene che tali operazioni possano arrecare pregiudizio ai creditori e/o non appaiano coerenti rispetto al piano, segnala la circostanza, per iscritto, all'imprenditore ed all'organo di controllo, ove nominato.
Qualora l'imprenditore compia l'atto e/o il pagamento nonostante la segnalazione del commissario, quest'ultimo ne informa immediatamente il tribunale, secondo quanto previsto dall'art. 106 in ambito di concordato preventivo.
Tale norma disciplina i cd. atti in frode, prevedendo che se il commissario accerta che il debitore abbia occultato e/o dissimulato l'attivo, dolosamente omesso di denunciare crediti e/o esposto passività inesistenti o commesso altri atti in frode, ne riferisce immediatamente al tribunale, il quale procede ai fini della revoca del decreto di apertura, ex art. 47, ovvero del provvedimento di concessione dei termini, in caso di domanda con riserva, ex art. 44, comma 2.
Il tribunale, in tal caso, può dar corso all'apertura della liquidazione giudiziale, ove siano pendenti relative istanze.
Vi è una chiara correlazione fra l'iter previsto dall'art. 64-bis, comma 6 e l'iter previsto dall'art. 21, commi 2-3, in ambito di composizione negoziata della crisi.
In entrambi i casi, il commissario, nel PRO, l'esperto, nella CNC, se ritengono che l'operazione prospettata possa essere di pregiudizio per le ragioni dei creditori e/o appaia non coerente con il piano, segnala la circostanza, per iscritto, al debitore ed all'organo di controllo, ove nominato.
Al di là di tale analogia, sussistono, tuttavia, differenze sostanziali fra i due ambiti, per quanto riguarda le conseguenze legate all'eventuale inosservanza da parte dell'imprenditore delle segnalazioni del commissario/esperto. Nel caso del PRO, il commissario è tenuto ad informare tempestivamente il tribunale: ciò può condurre, come visto, alla revoca del procedimento ed all'eventuale apertura della liquidazione giudiziale. Nel caso della CNC, l'esperto, nei dieci giorni dalla comunicazione con la quale l'imprenditore informa d'aver compiuto l'operazione, può iscrivere il proprio dissenso al Registro imprese; tale iscrizione è obbligatoria se l'atto pregiudica gli interessi dei creditori (art. 21, comma 3). Quando siano state concesse misure protettive e/o cautelari, l'esperto, dopo avere iscritto il dissenso, segnala la circostanza all'autorità giudiziaria ai fini dell'eventuale revoca delle misure concesse ovvero della riduzione della relativa durata (art. 19, comma 6, c.c.i.i.).
L'art. 64-bis, comma 2, ultimo periodo, prevede che alla domanda di omologazione del PRO si applichino le disposizioni di cui all'art. 46, commi 4-5, c.c.i.i.
Ne consegue che, anche in ambito di piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione:
- i crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dall'imprenditore, sia ordinari, sia straordinari, sono prededucibili;
- nessun creditore può acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salve autorizzazioni da parte del tribunale;
- le ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti la pubblicazione della domanda sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori.
Quanto agli atti compiuti in esecuzione del PRO, l'art. 166, comma 3, lett. e), c.c.i.i., prevede, espressamente, che non sono soggetti alle azioni revocatorie, tanto “fallimentare”, quanto ordinaria, gli atti, i pagamenti e le garanzie sui beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis c.c.i.i., sempreché lo stesso venga omologato. Il ricordato art. 166, comma 3, lett. e), non richiama invece – a differenza del concordato preventivo e degli ADR – il piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, con riferimento alla esenzione dalle azioni revocatorie dei negozi posti in essere dopo il deposito della domanda e prima dell'omologazione. Ciò in quanto, nei confronti del proponente, una volta depositata la domanda di omologazione del PRO, non si produce alcun effetto di spossessamento, neanche attenuato: in mancanza di autorizzazioni giudiziali, gli atti compiuti nella fase precedente l'omologazione possono dunque essere oggetto di revocatoria, negli ordinari termini di legge.
In ambito penale, l'art 324 c.c.i.i., rubricato «Esenzioni dai reati di bancarotta», non menziona il PRO con riferimento alle condotte di bancarotta semplice e/o preferenziale. Il citato articolo fa esclusivo riferimento ai negozi compiuti in esecuzione del concordato preventivo, degli ADR omologati, degli accordi in esecuzione dei piani attestati, del concordato minore omologato, nonché degli atti autorizzati ex artt. 99, 100 e 101.
Come visto, in ambito di PRO, sono applicabili le norme previste dagli artt. 99 e 101 in materia di finanziamenti prededucibili. Pertanto, in caso di autorizzazioni concesse dall'autorità giudiziaria in conformità a tali due norme, i relativi atti sono “coperti” dalla esenzione con riferimento ai reati di bancarotta semplice e/o preferenziale.
Esulano, però, dal perimetro di applicazione del sopra citato art. 324 tutti gli altri atti eseguiti durante il procedimento volto ad ottenere l'omologazione del PRO.
Il legislatore ha ritenuto dunque di non attribuire alcuna rilevanza, ai fini “esentativi”, al caso in cui il PRO si concluda con l'omologazione, per quanto, in realtà, ciò consegua ad un'accertata conformità dello strumento alle norme di legge, secondo l'eseguito vaglio del tribunale.
Un'ultima annotazione.
Prima del d.lgs. n. 136/2024 (Correttivo-ter), nell'ambito dei piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione non era prevista alcuna autorizzazione giudiziale con riferimento alle ipotesi di cessione di azienda e/o di rami della stessa.
Il legislatore, con il citato d.lgs. n. 136/2024, ha introdotto, con efficacia dal 28 settembre 2024, all'interno dell'art. 64-bis, il comma 9-bis.
Secondo tale nuova disposizione, se il piano prevede il trasferimento, anche prima dell'omologazione, a qualunque titolo, dell'azienda ovvero di uno o più rami della stessa, il tribunale, su richiesta dell'imprenditore, verificata la funzionalità dell'atto rispetto:
- alla continuità aziendale (evitare la dispersione dei valori di funzionamento)
- al migliore soddisfacimento dei creditori (rispetto allo scenario liquidatorio),
può autorizzare il trasferimento, senza che - con ciò - si producano gli effetti previsti dall'art. 2560, comma 2, c.c.
Resta, peraltro, fermo l'art. 2112 c.c. (il rapporto di lavoro continua in capo al cessionario, rispondendo, per i debiti di lavoro ante cessione, sia il cedente, sia il cessionario).
In sede di autorizzazione, il tribunale dispone anche in ordine alle misure ritenute opportune, tenuto conto delle istanze delle parti interessate ed al fine di tutelarne gli interessi.
Il tribunale verifica altresì - dispone l'ultimo periodo del comma 9-bis - il rispetto, da parte dell'imprenditore, del principio di competitività nella selezione dell'acquirente.
Da tale ultima norma si evince, pur implicitamente, che condizione necessaria ai fini dell'autorizzazione circa il trasferimento è che il proponente abbia esperito congrue - per quanto non tipizzate - procedure finalizzate ad assicurare, all'operazione, trasparenza e competitività (es., pubblicità su PVP e siti specializzati, accordi di riservatezza, inviti a manifestare interesse ovvero a presentare offerte di acquisto, ecc.).
Come visto, l'art. 64-bis, comma 9-bis, c.c.i.i. prevede, in caso di concessa autorizzazione da parte del tribunale, una deroga con riferimento agli effetti di cui all'art. 2560, comma 2, c.c.
Tale norma codicistica prevede - com'è noto - che nel trasferimento di un'azienda commerciale risponda dei relativi debiti anche il cessionario, sempreché gli stessi risultino dai libri contabili obbligatori.
Ai sensi del citato comma 9-bis, il trasferimento aziendale può avvenire “in qualunque forma”: rientrano, dunque, nel perimetro di applicazione della norma tutti i negozi che comportino, sotto il profilo sostanziale, l'alienazione dell'azienda o di propri rami (prevalentemente, vendita e conferimento).
Non rientra, fra gli atti autorizzabili, l'affitto di azienda, trattandosi di trasferimento “a termine” (del resto, si ritiene che lo stesso art. 2560 c.c. non sia applicabile all'affitto d'azienda).
La deroga ex art. 64-bis, comma 9-bis, c.c.i.i., non opera neanche con riferimento ai “trasferimenti” conseguenti ad operazioni di concentrazione societaria, quali fusioni e scissioni, per le quali vige un regime diverso, in punto di responsabilità patrimoniale, da quello ex art. 2560, comma 2, c.c. (v. artt. 2504-bise 2506-quater c.c.).
Il trasferimento dell'azienda ex art. 64-bis, comma 9-bis, non è un atto giudiziale, bensì un negozio giuridico tipicamente “privatistico”, stipulato fra l'imprenditore ed il cessionario, iscrivibile al Registro delle imprese anche ai fini dell'opponibilità ai terzi.
In questa prospettiva, non trattandosi di vendita giudiziale, al trasferimento non sarebbe applicabile la norma ex art. 217, comma 2, c.c.i.i. (in ambito di liquidazione giudiziale, il GD, perfezionata la vendita, riscosso il prezzo, ordina la cancellazione delle formalità pregiudizievoli), salva la possibilità che all'effetto purgativo non si pervenga tramite un provvedimento ad hoc da parte del tribunale, quale “misura ritenuta opportuna”, ex art. 64-bis, comma 9-bis, penultimo periodo, c.c.i.i., norma mutuata dall'art. 22, comma 1, lett. d), c.c.i.i., in ambito di composizione negoziata della crisi.
Infine, l'autorizzazione giudiziale di cui all'art. 64-bis, comma 9-bis, opera non quale presupposto per la validità del trasferimento (lo stesso, se attuato senza autorizzazione, produce comunque i propri effetti), ma quale presupposto ai fini della operatività, in capo al cessionario, della ricordata deroga ex art. 2560, comma 2, c.c.