La risoluzione del concordato preventivo (dalla legge fallimentare al codice della crisi)
L'art. 119 c.c.i.i. riprende in larga parte la previgente disciplina contenuta nell'art. 186 l. fall. apportando, tuttavia, rilevanti modifiche che attengono alla legittimazione, oggi estesa al commissario giudiziale, al rapporto tra risoluzione e liquidazione giudiziale che, nel nuovo impianto normativo, è risolto secondo una scelta legislativa che segna una netta cesura rispetto all'assetto che, nella vigenza della legge fallimentare, la giurisprudenza di legittimità aveva conferito all'istituto e, infine, mantenendosi, invece, in una linea di continuità con i principi già affermati dalla giurisprudenza formatasi sul testo della legge fallimentare, prevedendo espressamente la necessaria instaurazione del contraddittorio con l'eventuale garante.
Le modifiche introdotte con il c.c.i.i. hanno un impatto sistematico di rilevante portata sia in chiave di concreta applicazione dell'istituto (soprattutto, con riferimento all'incidenza del decorso del termine, cfr. infra §.1.4.) che sul piano dell'inquadramento della sua natura, atteso che la reintroduzione della legittimazione del commissario giudiziale all'avvio del procedimento fa riemergere il dibattito circa la dicotomia privatistica/pubblicistica dell'istituto che, con l'entrata in vigore del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 – che aveva eliminato tale potere commissariale dal corpo della legge fallimentare – aveva condotto la dottrina a ritenere che l'istituto si fosse definitamente connotato in chiave privatistica (M. Vitiello, art. 186, in Codice comm., dir. G. Lo Cascio, Milano, 2017, 2552; M. Fabiani, in La riforma delle procedure concorsuali, a cura di A. Didone, Milano, 2016, 768).
La conferma di un reinnesto di funzioni latamente pubblicistiche sembra potersi trarre dalla Relazione illustrativa che precisa che la reintroduzione della legittimazione del commissario giudiziale assolve all'esigenza di eliminare concordati divenuti inefficienti in quanto incapaci di adempiere alla proposta e che, in ragione dell'inerzia dei creditori, disincentivati all'avvio del procedimento di risoluzione dai relativi costi, potrebbero protrarsi per anni.
Costituisce un problema aperto l'applicabilità della nuova disciplina ai concordati che, omologati sotto la vigenza della precedente legge fallimentare, si trovavano ancora, alla data di entrata in vigore del c.c.i.i. (15 luglio 2022), in fase di esecuzione.
L'elemento decisivo ai fini della soluzione è legato al concetto di pendenza della procedura (al momento dell'entrata in vigore del c.c.i.i.) da cui l'art. 390, comma 2, c.c.i.i. fa discendere l'applicazione della legge fallimentare, sicché, se si ritiene che la procedura di concordato si chiude (cessando, dunque, di essere pendente) col decreto di omologazione, si deve concludere che l'art. 119 disciplina i concordati che, indipendentemente dalla data del decreto di omologazione, al 15 luglio 2022 si trovino ancora in fase esecutiva (così, Trib. Ivrea 18 ottobre 2023; Trib. Cosenza 5 luglio 2023; App. Catania 7 giugno 2023; contra Trib, Avellino 20 febbraio 2024; Trib. Siracusa 30 gennaio 2024; Trib. Prato 17 gennaio 2023).
Al riguardo, va rilevato che la tesi favorevole a questa impostazione trova un punto di appoggio nella costante affermazione della Corte di Cassazione per cui il decreto di omologazione comporta la chiusura (come detto, cessandone, dunque, la pendenza ai fini dell'art. 390, comma 2) della procedura di concordato (cfr. Cass. civ., sez. I, 25 marzo 2025, n. 10307; Cass. civ., sez. un., 14 febbraio 2022, n. 4696).
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I presupposti dell'inadempimento
Presupposto centrale della risoluzione è l'inadempimento che, con disposizione a suo tempo introdotta nell'art. 186 l. fall. dal d.lgs. 169/07 e oggi riprodotta nel terzo comma dell'art. 119 c.c.i.i., non deve essere di scarsa importanza.
Restano, dunque, intatte le questioni già agitate nella vigenza dell'art. 186 tra le quali, a monte, la considerazione che il riferimento alla non scarsa importanza dell'inadempimento richiama principi contrattualistici ex art. 1455 c.c. (tale rinvio è reso esplicito dalla Relazione al d.l.gs. 196/07) che, tuttavia, devono essere adattati alle peculiarità della formazione del consenso in sede concordataria in cui l'espressione del voto dei creditori è collettiva e non è suscettibile di interpretazione ex art. 1362 c.c., con la duplice conseguenza che tale operazione ermeneutica viene incentrata esclusivamente sulla proposta del debitore (cfr. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2023, n. 1285) e che, nel giudizio di risoluzione del concordato, non possono trovare ingresso gli elementi di contenuto soggettivo propri della risoluzione ex art. 1453 c.c. tra cui quelli che attengono alla valutazione del sinallagma negoziale, come l'apprezzamento del comportamento delle parti o della tolleranza (Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346) o apprezzamenti incentrati su criteri di proporzionalità informati al principio di buona fede (Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010, n. 15363).
La questione dell'applicazione dei principi contrattuali ex art. 1453 ss. c.c. alla risoluzione concordataria (come detto, necessariamente nei limiti della compatibilità, cfr. La risoluzione per inadempimento del concordato con cessione dei beni, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) – ilfallimentarista, 1 agosto 2019; A. Silvestrini, La risoluzione del concordato preventivo, in Fall., 2015, 510) emerge, innanzi tutto, sotto il profilo dell'individuazione della dimensione dell'inadempimento e, segnatamente, se esso rilevi con riferimento alla sfera giuridica del ricorrente (o dei ricorrenti) o se la sua gravità debba esser apprezzata assumendo una prospettiva più estesa, riferita cioè all'intera massa dei creditori o, quantomeno, a una o più classi.
In dottrina, fermo restando che la funzione della norma è quella di delimitare l'azione di risoluzione a inadempimenti che non abbiano portata marginale (F. Di Marzio, Diritto dell'insolvenza, Milano, 2023, 588), è maggioritaria l'opinione che ritiene che, se richiesto, il tribunale possa estendere l'accertamento dell'inadempimento a crediti ulteriori rispetto a quello vantato dal ricorrente o a classi cui questi non appartiene (M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2014, 758 ss.; A. Penta, La revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo e la risoluzione del concordato, in Trattato delle procedure concorsuali, dir. L. Ghia, C. Piccininni, F. Severini, IV, Milano, 2011, 597; G. Fauceglia, in Fallimento e altre procedure concorsuali, dir. G. Fauceglia, L. Panzani, Milano, 2009, 1769; per la tesi opposta, cfr. G. Rago, La risoluzione del concordato, Padova, 1996, 1214; G.B. Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, in Fall., 2012, 260; S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, XI, I, Padova, 2008, 426 secondo cui, nel concordato in continuità, ciascun creditore può far valere soltanto inadempimenti riferibili alla classe in cui è collocato).
Altrettanto maggioritaria è l'opinione che, ai fini del complessivo apprezzamento dell'inadempimento, ritiene occorra considerare sia la proposta che il piano , nel senso che, ferma la decisiva rilevanza, ai fini della risoluzione, delle obbligazioni assunte con la proposta, l'inadempimento alle modalità esecutive previste dal piano (o la loro sopravvenuta impossibilità) può consentire, in chiave prospettica, di ritenere ragionevolmente non conseguibili i risultati promessi conducendo, pertanto, anticipatamente, alla risoluzione (M. Ferro, Il concordato preventivo, l'omologazione e le fasi successive, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, dir. A. Jorio, M. Fabiani, Bologna, 2010, 1124; D. Galletti, La risoluzione del concordato preventivo: violazione dei termini della proposta o anche del piano?, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista , l settembre 2014; F. Sacchi, Esecuzione, risoluzione e annullamento, in Crisi di impresa e procedure concorsuali, dir. O. Cagnasso, L. Panzani, I, Milano, 2025, 1937; Trib. Siracusa 14 marzo 2022, in Fall., 2022, 728; Trib. Siracusa 11 novembre 2011, in Fall., 2012, 477; Trib. Rovigo 30 novembre 2016, in Fall., 2017, 235).
La valutazione prospettica dell'esecuzione del piano concordatario deve chiaramente essere adattata caso per caso alle molteplici variabili con cui l'offerta di concordato può essere declinata tenendo sempre, quale centrale parametro di apprezzamento, l'adempimento della proposta (così, si è affermato che la mancata prestazione delle garanzie non necessariamente conduce alla risoluzione ove sia, comunque, prevedibile, in base ai risultati della liquidazione già acquisiti, il soddisfacimento dei creditori: Trib. Roma 15 luglio 2011, in Dir. Fall., 2012, 434; cfr. M. Maggiolo, La risoluzione per inadempimento nel Codice della crisi d'impresa e nel diritto comune: aderenze e dissonanze, in Procedure concorsuali e crisi d'impresa, 2023, 1333, secondo cui, invece, l'assenza nell'art. 119 di una previsione analoga a quella dell'art. 250 in materia di concordato nella liquidazione giudiziale, per cui la mancata costituzione delle garanzie è di per sé motivo di risoluzione, non osta all'estensione al concordato preventivo di tale principio).
Tuttavia, nell'interpretare sia la proposta che il piano occorre, da un lato, distinguere i risultati che il debitore effettivamente promette di realizzare da quelli meramente auspicati o rappresentati come possibili (A. Penta, op. cit., 602 ss., Trib. Rovigo 30 novembre 2016). In questa direzione, da un lato, assume rilevanza anche l'individuazione, sia da parte dell'attestatore che da parte del commissario ex art. 105 c.c.i.i., di potenziali rischi che, ove si verifichino effettivamente, incidendo sulle percentuali di soddisfacimento, in quanto accettati con l'espressione di voto, non possono dare luogo a risoluzione (Trib. Vicenza 7 maggio 2012, in Fall., 2012, 1479) e, dall'altro lato, l'indicazione di una percentuale di soddisfacimento non implica di per sé assunzione di una precisa obbligazione di raggiungimento di tale soglia a meno di un espresso impegno del debitore e, nondimeno, tale indicazione opera quale criterio di riferimento utile ad apprezzare l'importanza dell'inadempimento stesso (Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652; Trib. Catania 19 settembre 2019, in Fall., 2020, 141; Trib. Pistoia 29 ottobre 2015, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista con nota Concordato preventivo: percentuale minima di soddisfacimento dei chirografari; App. Genova 23 ottobre 2014, in Fall., 2015, 1233; App. Catania 28 giugno 2021, in Fall., 2022, 1, 137 secondo cui lo specifico impegno si può desumere dall'indicazione di un termine per l'esecuzione dell'ultimo pagamento in favore dei creditori da cui decorra il termine per l'azione di risoluzione; contra Trib. Bergamo 10 aprile 2014, secondo cui l'indicazione di una percentuale obbliga il debitore a realizzare quella soglia di soddisfacimento salvo diversa esplicita manifestazione di volontà).
Dall'altro lato, assume sicura rilevanza il tipo di concordato oggetto di proposta in quanto, nel concordato liquidatorio, il debitore, di norma, mette a disposizione dei creditori il proprio patrimonio limitandosi a indicare le possibili percentuali di soddisfazione con la conseguenza che l'alea della liquidazione si trasferisce sui creditori e, pertanto, l'eventuale scostamento dei valori attestati non può dar luogo a risoluzione (Cass. civ., Sez. I, 14 marzo 2014, n. 6022; Trib. Rovigo 3 febbraio 2016, in Fall., 2016, 492; Trib. Pistoia 20 dicembre 2017, in Fall., 2018, 735; G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2015, 693) salvi i casi in cui (i) non emerga che il corredo informativo fornito dal debitore ai fini della formazione del consenso dei creditori era inesatto o incompleto (ad esempio, è stata omessa un'informazione decisiva sullo stato di conservazione di un bene oggetto di liquidazione tale da incidere sul suo reale valore o non sono stati rappresentati i rischi connessi al recupero di un credito, come nel caso in cui il patrimonio del debitore del proponente il concordato presenti indici di insolvenza non adeguatamente rappresentati al ceto creditorio cfr. Trib. Bari 13 dicembre 2016, in Fall., 2017), (ii) nessuno dei chirografari riceve soddisfazione integrale o nella misura minima di cui all'art. 84, comma 3, c.c.i.i. (cfr. Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652; Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2011, n. 13446; App. Venezia 24 maggio 2017, in Fall., 2017, 1366; Trib. Prato 12 novembre 2018; Trib. Benevento 1 febbraio 2012; M. Giorgetti, Risoluzione di un concordato preventivo omologato, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 21 maggio 2021).
Nel concordato in continuità, invece, parte della giurisprudenza ritiene non esista alcun obbligo di indicare una percentuale di soddisfacimento che assuma valenza di certezza e garanzia pur ritenendo che i riferimenti in tal senso contenuti nel piano possano costituire parametri di valutazione dell'importanza dell'inadempimento (App. Venezia 28 settembre 2020, n. 2566, in Fall., 2021, 1017) mentre, di contro, altra parte della giurisprudenza e della dottrina attribuiscono valore vincolante alla percentuale indicata nella proposta (App. Roma 23 maggio 2016, n. 4947; Trib. Roma 14 aprile 2016; Trib. Trento 19 giugno 2014; cfr. L. Jeantet, A. Parziale, La controversa questione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 20 aprile 2015).
Nel nuovo contesto normativo del c.c.i.i., sia la giurisprudenza che la dottrina stanno condivisibilmente assegnando un rilievo centrale, anche ai fini della valutazione della non scarsa importanza in chiave risolutoria, all'esatta indicazione del valore di liquidazione ex art. 87, atteso che la sua rappresentazione, da un lato, è decisiva per la formazione del consenso dei creditori e, dall'altro lato, presiede alla distribuzione degli attivi secondo le cause legittime di prelazione determinando la misura della falcidia ex art. 84, commi 5 e 6 (Trib. Monza 17 luglio 2024; F. Casa-V. Albiero, Risoluzione e annullamento del concordato, in Crisi e insolvenza nel nuovo Codice, a cura S. Ambrosini, Torino, 2022, 808).
Sul versante del concordato liquidatorio, invece, il rafforzamento della garanzia di soddisfacimento dei crediti chirografari nella soglia minima del 20% attraverso la previsione del necessario apporto incrementativo dei valori dell'attivo nella misura del 10% ha indotto a ritenere che tali parametri numerici possano costituire indici rilevanti nella valutazione dell'inadempimento ex art. 119 (G.B. Nardecchia, La risoluzione, in Fall., 2020, 1332; cfr. Trib. Milano 21 gennaio 2010, in Fall., 2010, 625, che ritiene che la soglia da tenere presente per la valutazione di eventuali scostamenti ai fini del giudizio di non scarsa importanza dell'inadempimento è identificabile nella misura di un quarto).
Non è presupposto della risoluzione l'imputabilità dell'inadempimento, con la conseguenza dell'inapplicabilità al concordato della disciplina dell'impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. ss. ed esclusione del venir meno delle obbligazioni oggetto della proposta concordataria omologata in caso di eventi oggettivamente insuperabili con la dovuta diligenza o nel caso in cui la mancata realizzazione di quanto oggetto di proposta concordataria sia ascrivibile a responsabilità del liquidatore (Cass. civ., sez. VI, 18 maggio 2021, n. 13468, in Fall., 2022, 217 con nota di M. Arato, L'irrilevanza dell'elemento soggettivo nella risoluzione del concordato preventivo; Cass. civ., sez. VI, 22 giugno 2020, n. 12085; Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2020, n. 11344; Cass. civ., sez. I, 13 luglio 2018, n. 18738; Cass. civ., sez. I, 4 marzo 2015, n. 4398; Cass. civ., sez. I. 20 giugno 2011, n. 13446; Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2007, n. 13357; Trib. S. Maria Capua V. 11 gennaio 2022 in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista con nota Valutazione dell'inadempimento e risoluzione ex art. 186 l. fall. del concordato preventivo; Trib. Milano 29 settembre 2016, n. 10644; Trib. Forlì 19 marzo 2014, in Fall., 2014, 826; Trib. Firenze 25 settembre 2013, n. 214 in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista con nota di A. Mussa, La risoluzione del concordato preventivo, 3 settembre 2014; cfr. anche M. Vitiello, Art. 186, in G. Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, Milano, 2017, 2555; G. Bozza, La fase esecutiva del concordato con cessione dei beni, in Fall., 2012, 767; contra, Trib. Piacenza 19 giugno 2019, che ha escluso la risoluzione nel caso in cui il ritardo dei pagamenti fosse attribuibile agli organi della procedura i quali avevano tardato nella sostituzione del cessato liquidatore).
Tuttavia, nel nuovo contesto normativo, connotato da penetranti poteri commissariali suppletivi in caso di inerzia del debitore (cfr. art. 118, commi 4, 5, 6, c.c.i.i.), il mancato esercizio di tali iniziative può rilevare ai fini della sussistenza dei presupposti per la risoluzione (dubita che, nei casi in cui sussistano i presupposti per l'esercizio dei poteri suppletivi commissariali e sia configurabile un'inerzia, si possa procedere a risoluzione, A. Audino, Art. 119, in Commentario breve alle leggi su Crisi di impresa e insolvenza, Milano, 2025, 119).
Ulteriore presupposto della risoluzione è l'assenza di un effetto immediatamente liberatorio del debitore con assunzione degli obblighi da parte di un assuntore (art. 119, comma 5).
La ragione di tale disposizione, già contenuta nell'art. 186 l. fall., è da rinvenire nell'effetto novativo delle obbligazioni del debitore (Cass. civ., sez. V, 3 marzo 2000, n. 2400; G. D'Attorre, Manuale di diritto delle crisi e dell'insolvenza, Torino, 2021, 144) con conseguente residua possibilità, in caso di inadempimento alle proposte concordatarie omologate, di avviare un'azione nei confronti dell'assuntore (A. Audino, op. cit., 886; F. Sacchi, Esecuzione, risoluzione ed annullamento, op. cit., 1940).
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La legittimazione
Come si è anticipato, il c.c.i.i. risulta innovato rispetto all'art. 186 l. fall. (nel testo successivo alle modifiche apportate con il d.lgs. 169/2007) in quanto è stato reintrodotto il potere del commissario giudiziale di dare avvio all'azione di risoluzione.
In realtà, il potere non è autonomo ma necessita di una specifica istanza di uno o più creditori, il che pone una serie di interrogativi sulle ricadute applicative di tale legittimazione in rappresentanza e, in particolare, se l'istanza del creditore debba contenere l'indicazione degli specifici inadempimenti oggetto di contestazione e, in caso affermativo, se il commissario possa estendere le allegazioni formulate dal richiedente a fatti non dedotti e di cui sia, comunque, a conoscenza in ragione dei suoi poteri di vigilanza; se sia necessario che il commissario richieda un'autorizzazione ex art. 118, comma 4 (così ritengono F. Casa – V. Albiero, op. cit., 804) e, di fondo, se il commissario, una volta ricevuta un'istanza di risoluzione, debba valutarne preliminarmente la fondatezza o sia sempre tenuto a dar corso alla richiesta del creditore (uno spunto nel senso di riconoscere un potere di sindacare la fondatezza dell'istanza si rinviene, in motivazione, in Cass. civ., sez. un., 14 febbraio 2022, n. 4696). Non può, invece, dubitarsi, tenuto conto del tenore della disposizione, che il commissario possa solo instare per la risoluzione del concordato restando nella piena ed esclusiva legittimazione di ciascun creditore la richiesta, in caso di insolvenza, di apertura della liquidazione giudiziale (cfr. infra § 1.4).
Resta esclusa la legittimazione del liquidatore giudiziale al quale sono conferiti poteri limitati all'ambito del suo mandato e, perciò, confinati ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione, con la conseguenza che al liquidatore non compete alcun potere di proporre istanza di risoluzione del concordato (Cass. civ., sez. I, 9 gennaio 2023, n. 286; Cass. civ., sez. V, 5 settembre 2014, n. 18755).
Per quanto attiene ai creditori, la disposizione attribuisce a ciascuno di essi la legittimazione all'azione di risoluzione. L'ampia formulazione della norma consente di ritenere che anche coloro i quali non abbiano partecipato alla procedura concordataria per un vizio della stessa (es. incompletezza dell'elenco ex art. 39 c.c.i.i.) abbiano piena legittimazione (Corte Cost. 2 aprile 2004, n. 106; A. Audino, op. cit., 875).
Le questioni che maggiormente agitano dottrina e giurisprudenza attengono alla rilevanza della posizione del creditore sia sotto il profilo dell'interesse ad agire che su quello della dimensione dell'inadempimento rilevante.
La Corte di Cassazione ha affermato che la legittimazione all'azione di risoluzione discende dalla mera titolarità della qualità di creditore e che, più in particolare, non rileva, sotto il profilo dell'interesse ad agire, l'utilità economica che in astratto potrebbe ritrarsi dall'accoglimento della domanda di risoluzione (e, così, dalla liquidazione giudiziale e dalle azioni recuperatorie eventualmente esperibili dal curatore) (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2023, n. 1285).
Il creditore può, dunque, limitarsi a dedurre la propria qualità allegando il pregiudizio da esso concretamente subito. La legittimazione, pertanto, sorge, via via che i termini di adempimento del piano vengono a scadenza rendendo, per ciascuna classe di creditori il cui soddisfacimento non si è realizzato, attuale l'inadempimento deducibile ai fini della risoluzione (Trib. Forlì 3 febbraio 2016; Trib. Ravenna 7 giugno 2012). Una volta dedotti qualità e pregiudizio sofferto, poi, l'esame dell'inadempimento di non scarsa importanza può estendersi al complesso delle obbligazioni a quel momento scadute anche se non riferibili al creditore istante ma ad altri creditori e/o classi (Trib. Milano 23 settembre 2021; Trib. Forlì 19 marzo 2014, in Fall. 2014, 826).
Particolare rilevanza assume la pendenza di una contestazione del credito da parte del debitore in concordato che esclude la legittimazione ad agire in risoluzione in capo al creditore ove manchi un titolo che ne accerti l'esistenza o la misura (Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 2025, n. 4596; App. Venezia 28 novembre 2013; Trib. Reggio Emilia 24 giugno 2015, in Fall. 2015, 1259).
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Termini e procedimento
La novità più rilevante del c.c.i.i. è sicuramente legata alla centralità che il termine per l'avvio dell'azione di risoluzione ha assunto nel complesso raccordo tra concordato e liquidazione giudiziale.
Il quarto comma della disposizione in esame prevede, ripetendo la formulazione dell'art. 186 l. fall., che l'azione di risoluzione deve essere proposta entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato con ciò mantenendo attuali, anche nel nuovo tessuto normativo, gli approdi cui nel vigore della legge fallimentare si era pervenuti e le questioni rimaste aperte.
Così, restano fermi i principi per cui (i) se nel piano è stato indicato un termine finale occorre attendere la sua scadenza (Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27666; cfr.
M. Nicolai, Il termine per la risoluzione del concordato preventivo e i provvedimenti del Giudice Delegato, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) – ilfallimentarista, 16 ottobre 2014; (ii) laddove non sia stato indicato un termine esso decorre dal compimento dell'ultimo atto esecutivo o funzionale all'esecuzione del concordato (Cass. civ., sez. VI, 21 ottobre 2021, n. 29289; Cass. civ., sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27666; Trib. Ravenna 21 marzo 2014, in Fall. 2014, 807; A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare (e alle leggi sulle procedure concorsuali), Padova, 2013, 1319; critico circa l'applicabilità del termine nel caso in cui esso non sia stato indicato nel piano, M. Fabiani, Il concordato preventivo, op. cit., 766; è da escludere che ai fini dell'applicazione del termine possa rilevare il tipo di concordato proposto: cfr. Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2024, n. 15862); (iii) laddove non sia ancora iniziato a decorrere o non sia ancora spirato il termine annuale, la risoluzione è possibile nel caso in cui non vi siano ragionevoli prospettive di adempimento e possa, dunque, anticiparsi il giudizio di non scarsa importanza dell'inadempimento (Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2024, n. 15859; Cass. civ., sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 29632; Cass. civ., sez. I, 4 marzo 2015, n. 4398; Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2010, n. 7942; Trib. Prato 17 gennaio 2023, in Fall., 2023, 567; Trib, Milano 3 luglio 2018; Trib. Rimini 25 giugno 2018; Trib. Modena 20 aprile 2016, in Fall., 2016, 1010; App. L'Aquila 31 maggio 2012, in Fall., 2013, 59, con nota di F. Casa, Risoluzione del concordato preventivo e fallimento - interpretazioni (a)simmetriche dell'art. 186 l.fall.; App. Milano 16 dicembre 2021; Cfr. R. Amatore, Decorrenza del termine annuale ex artt. 137 e 186 l. fall. per la richiesta di risoluzione del concordato, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 7 marzo 2012) e, tuttavia, in tal caso non sussiste un dies a quo della decorrenza che possa computarsi dalla conoscenza da parte dei creditori dell'assenza di prospettive di adempimento in via anticipata rispetto al termine previsto dalla disposizione in esame (Cass. civ., sez. VI, 29 maggio 2019, n. 14601); (iv) il termine ha natura decadenziale e non processuale con conseguente non assoggettamento a sospensione feriale (Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2017, n. 22273; Trib. Perugia 7 febbraio 2019, n. 86 in Fall., 2019, 395, cfr. L. Gambi, Il termine per la risoluzione del concordato ha natura decadenziale, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 6 giugno 2018; F. Vignoli, Risoluzione del concordato preventivo e sospensione dei termini nel periodo feriale, ivi, 16 luglio 2015; e Trib. Milano, 22 marzo 2018, in Fall., 2018, 800 che dalla natura decadenziale del termine fa discendere la sua non rilevabilità d'ufficio).
Ma è il settimo comma dell'art. 119 a rappresentare la disposizione, non presente nella legge fallimentare, più rilevante in materia di risoluzione.
La norma stabilisce che la liquidazione giudiziale può essere aperta solo se il concordato sia stato risolto salvo che l'insolvenza non riguardi debiti sorti dopo il deposito della domanda.
Con tale disposizione il legislatore ha inteso dare soluzione al problema della risoluzione c.d. omisso medio che per lungo tempo ha impegnato giurisprudenza e dottrina con soluzioni che solo con la pronuncia a sezioni unite del 14 febbraio 2022
n. 4696 (confermata, da ultimo, da Cass. civ., sez. I, 23 febbraio 2025, n. 4748; Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2024, n. 15851) sono state ricondotte a unità.
La divergenza di impostazioni è, in via di estrema sintesi, riconducibile agli effetti che si ritiene il decreto di omologazione produca. Se, infatti, si attribuisce a tale provvedimento un effetto immediatamente esdebitatoro si deve, per coerenza, ritenere che occorra rimuovere il concordato tramite la sua risoluzione prima di poter accertare l'insolvenza e aprire la liquidazione giudiziale (così, S. Ambrosini, La risoluzione del concordato preventivo e (la successiva?) dichiarazione di fallimento: profili di ricostruzione del sistema, in ilcaso.it 2017; M. Ratti, A. Pezzano, L'irrealizzabile esecuzione del concordato preventivo: il fallimento senza risoluzione, Fall., 2018, 733; M. Fabiani, Il concordato, op. cit., 767; Trib. Ivrea 18 ottobre 2023; Trib. Ancona 20 giugno 2019, in Dir. fall., 2020, II, 848; App. Firenze 16 maggio 2019; App. Campobasso 28 dicembre 2016).
Se, invece, si ritiene che l'effetto esdebitatorio sia riconducibile alla corretta esecuzione del concordato, la risoluzione cessa di costituire presupposto necessario per l'accertamento dell'insolvenza (Cass. civ., sez. VI, 22 giugno 2020, n. 12085; Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002; Cass. civ., sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 29632; Trib. Cosenza 5 luglio 2023; Trib. S. Maria Capua V. 6 febbraio 2023, in Fall., 2023, 1459; Trib. Bergamo 24 giugno 2020; Trib. Napoli 16 aprile 2016, in Fall, 2016, 878; Trib. Napoli 13 aprile 2016, in Dir. fall., 2016, 1338 con nota di G. D'Attore, Concordato omologato e fallimento successivo; cfr. i precedenti citati nell'ordinanza di rimessione alle sezioni unite, Cass. civ. sez. I, 31 marzo 2021, n. 8919; sul tema, cfr. L. Jeantet, A. Auricchio, P. Stella, Fallimento omisso medio: il punto delle Sezioni Unite, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 30 maggio 2022; G. Simone, F. Giovannardi, Il fallimento c.d. omisso medio: evoluzione giurisprudenziale e possibili scenari futuri, ivi, 31 maggio 2022; per una ricostruzione del quadro dei diversi orientamenti, cfr. F. Rasile, Concordato inadempiuto ma non risolto e successivo fallimento omisso medio, ivi, 20 agosto 2019. Di sicura rilevanza è la lettura, che contemplava le due alternative di ricostruzione sistematica ritenendole entrambe ragionevoli ma rimesse alle scelte del legislatore, contenuta in Corte Cost. 2 aprile 2004, n. 106).
La pronuncia della S. Corte n. 4696/22 resa a sezioni unite è pervenuta a escludere che la risoluzione del concordato costituisca condizione per la dichiarazione di fallimento muovendo dalle seguenti premesse logico-giuridiche (i) l'omologazione non produce l'effetto esdebitatorio dell'insolvenza che è, invece, strettamente collegato alla corretta esecuzione delle obbligazioni oggetto della proposta concordataria; (ii) la generale fallibilità dell'imprenditore che versi in stato di decozione costituisce un principio che continua ad essere applicabile anche in caso di intervenuta omologazione del concordato; (iii) la risoluzione del concordato attiene esclusivamente alla misura dell'insolvenza e all'entità del credito fatto valere in quanto, se la dichiarazione di fallimento interviene dopo la risoluzione del concordato, viene meno l'effetto esdebitatorio e con esso la falcidia con la conseguenza che i crediti insoddisfatti possono essere fatti valere nella misura non modificata dal decreto di omologazione mentre, se l'azione di risoluzione non è più proponibile, pur potendosi dichiarare il fallimento, la falcidia è da ritenersi definitivamente consolidata.
Il settimo comma dell'art. 119 c.c.i.i. detta una diversa soluzione.
L'azione di risoluzione diviene necessaria per l'apertura della liquidazione giudiziale se l'insolvenza è riferibile a debiti sorti prima del deposito della domanda di apertura del concordato preventivo mentre non lo è per l'insolvenza che sia sorta successivamente.
La disposizione – che ha avuto opposta accoglienza in dottrina (soluzione irrazionale per F. Di Marzio, op. cit., 588 mentre V. De Sensi, Art. 119, in Il codice della crisi (commentario) a cura P. Valensise, G. Di Cecco, D. Spagnuolo, Torino, 2024, 701 vi ravvisa coerenza con la premessa logica, sopra richiamata, dell'effetto di falcidia collegato alla mera omologazione del concordato e non alla sua completa e corretta esecuzione) – ha diverse ricadute applicative di grande rilevanza.
In primo luogo, nel qualificare come necessaria la risoluzione essa fa riferimento allo stato di insolvenza riconducibile a debiti antecedenti al deposito della domanda di concordato distinguendolo da quello relativo a debiti sorti successivamente, lasciando, dunque, aperto il dubbio se il creditore antecedente (il quale, in tesi, è vincolato all'effetto esdebitatorio e alla falcidia riconducibili al decreto di omologazione) possa, comunque, far rilevare l'emersione di uno stato di insolvenza successivo (deducendo il mancato pagamento, ad esempio, di crediti prededucibili sorti successivamente), con ciò, ancorché in linea di principio il suo credito pertiene alla massa passiva definita con il decreto di omologazione, svincolando la propria istanza di apertura della liquidazione giudiziale dalla previa risoluzione del concordato.
In secondo luogo, la norma finisce con l'attribuire rilevanza centrale al termine dell'azione di risoluzione nel senso che, con riferimento all'insolvenza antecedente al deposito della domanda di concordato, il mancato tempestivo esercizio della risoluzione condiziona sia l'apertura della liquidazione giudiziale ma, va rilevato, richiamando la ricostruzione sistematica condotta dalla pronuncia a sezioni unite sopra richiamata (Cass. 4696/22), anche la misura del credito che, in eventuali azioni esecutive individuali (possibili, secondo parte della giurisprudenza, dopo l'omologazione definitiva del concordato: cfr. App. Catania 28 giugno 2021, in Fall., 2022, 137; Trib. Nola 17 marzo 2016, in Fall., 2017, 973 con nota di F. Casa, “Per la contraddizion che nol consente”: una critica ad una lettura anti-sistemica degli artt. 168 e 186 l.fall. che dà conto delle pronunce di segno opposto; sul punto, cfr. la recente Cass. civ., sez. I, 18 luglio 2025, n. 20175 che, nel solco dei principi affermati da Cass. 4969/2022 ha affermato che i creditori anteriori all’omologazione sono legittimati a promuovere azioni esecutive individuali solo quando, scaduti i termini indicati nella proposta per il soddisfacimento dei singoli crediti, intervenga l’insolvenza derivante dalla mandata esecuzione dell’accordo concordatario o il mancato pagamento dei crediti, seppur nella misura falcidiata) si può far valere (è soltanto al venir meno dell'effetto esdebitatorio per effetto della risoluzione, infatti, che può farsi discendere la riespansione dell'entità dei crediti nella misura non falcidiata: cfr. Cass. civ., sez. I, 29 maggio 2024, n. 15029; Cass. civ., sez. I, 11 dicembre 2023, n. 34391; Cass., civ., sez. VI, 22 giugno 2020, n. 12085; Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002; Cfr. L. Gambi, Fallimento omisso medio e valore del credito ai fini dell’istanza di ammissione al passivo, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 31 ottobre 2024).
In terzo luogo, la norma, distanziandosi dalla soluzione offerta al problema dalla pronuncia n. 4696/22, segna inevitabilmente uno spartiacque tra le procedure cui si applica l'art. 119 e quelle, invece, assoggettate alla legge fallimentare e, dunque, all'art. 186, il cui crinale è rappresentato dal principio della pendenza ex art. 390, comma 2, con i problemi applicativi e interpretativi già illustrati al § 1.1.
Le uniche disposizioni dedicate al procedimento sono contenute al comma secondo, che prevede la necessaria partecipazione al giudizio del garante, e al comma sesto, che richiama, quanto alle forme, gli artt. 40 e 42.
La partecipazione del garante era già prevista, attraverso il richiamo dell'art. 137, dall'art. 186 l. fall. e la giurisprudenza era pervenuta a ritenere il garante un litisconsorte necessario processuale (Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2019, n. 24441).
Nel giudizio di risoluzione sono possibili interventi da parte degli altri creditori (Trib. Ascoli Piceno 18 dicembre 2009) e non è possibile procedere a una qualificazione del tipo di concordato diversa da quella contenuta nel decreto di omologazione (App. Genova 23 ottobre 2024, in Fall., 2015, 371).
La pronuncia di risoluzione ha efficacia provvisoriamente esecutiva il che consente di dar immediato corso all'istanza di apertura della liquidazione giudiziale la cui decisione può anche essere contestuale (Cass. civ., sez. VI, 11 maggio 2022, n. 15044; muovendo dalla sua natura costitutiva, invece, parte della giurisprudenza di merito negava fosse provvisoriamente esecutiva, Trib. Arezzo 27 aprile 2021, in Fall., 2021, 1136; cfr. L. Rossi, Efficacia non immediatamente esecutiva della pronuncia (costitutiva) di risoluzione del concordato preventivo, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) - ilfallimentarista, 6 giugno 2021) e, in caso di rigetto, non è ricorribile per cassazione (Cass. civ., sez. I, 16 febbraio 2016, n. 2990).
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Gli effetti della risoluzione
Non vi sono ragioni contrarie al mantenimento, anche nel nuovo contesto normativo, dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di effetti della risoluzione e, segnatamente, (i) sono da ritenere legittimi e, come tali, intangibili, gli atti posti in essere dal debitore in conformità al decreto di omologazione (Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2018, n. 380) mentre, laddove posti in essere non in aderenza al decreto di omologazione o in violazione del principio della par condicio o dell'ordine delle prelazioni detti atti sono inefficaci (Cass. civ.se. I, 14 gennaio 2016, n. 508; Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2014, n. 16738) con conseguente ripetibilità dei pagamenti eventualmente eseguiti (Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2016, n. 509); (ii) in caso di apertura della liquidazione giudiziale, i crediti sorti in corso di concordato, in applicazione del principio di consecuzione delle procedure, possono essere fatti valere in prededuzione (Cass. civ. sez. I, 10 gennaio 2018, n. 380; Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2013, n. 5015); (iii) eventuali garanzie prestate in favore del concordato non possono essere escusse o azionate dal curatore della liquidazione giudiziale che dovesse essere aperta ma soltanto dai creditori concordatari e ciò in ragione del rapporto obbligatorio sorto tra il garante e la massa dei creditori (Cass. civ., sez. I, 4 novembre 2011, n. 22913).
Di rilevante portata è l'art. 116, quinto comma, c.c.i.i. che oggi afferma esplicitamente che, in caso di accoglimento dell'azione di risoluzione, gli effetti delle operazioni di ristrutturazione societaria compiute in esecuzione di un concordato non sono reversibili (il principio era stato già affermato, in tema di assegnazione ai creditori di partecipazioni, da Trib. Reggio Emilia, 16 aprile 2014, in Corr. Giur., 2015, 78).