Fuoco amico: le azioni di responsabilità esercitate dal liquidatore giudiziale nei concordati in continuità
Pier Giorgio Cecchini
09 Settembre 2025
Il correttivo 136/2024 consente ora al liquidatore giudiziale nominato in concordati misti o in continuità indiretta di esercitare incondizionatamente azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali, col rischio quindi di un vero e proprio friendly fire della società debitrice nei confronti di suoi amministratori e sindaci per il solo fatto di aver previsto nel piano in continuità alcune attività dismissive. Il presente articolo esamina i casi in cui l’eventualità si presenta.
Il presente contributo è tratto da un intervento dell’Autore in occasione del Convegno nazionale “Valori smarriti e valori ritrovati nella crisi d’impresa”, svoltosi a Udine il 16 e 17 maggio 2025.
Azioni di responsabilità: le ordinarie regole societarie
In sintesi, nella società per azioniin bonis l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori e sindaci è promossa dall'assemblea dei soci, dalla maggioranza del collegio sindacale (art. 2393 c.c.) e dai soci di minoranza (art. 2393-bis c.c.).
Invece nella società a responsabilità limitatain bonis l'azione è promossa dal singolo socio (art. 2476 c.c.), che però agisce nell'interesse della società, essendo questa beneficiaria del risarcimento, come si deduce dalla circostanza che essa è tenuta a rifondere al socio le spese di giudizio; pertanto, per la giurisprudenza il socio agisce quale sostituto processuale che fa valere in nome proprio un diritto della società, e questa è litisconsorte necessaria del giudizio.
Anche la società, oltre che il singolo socio, può esercitare l'azione sociale, sebbene l'art 2476 c.c. non contempli esplicitamente il caso, ma altrimenti non le sarebbe attribuita la facoltà di rinunciarla o transarla.
L'azione sociale è esercitata tramite il proprio legale rappresentante o, nel caso in cui l'azione sia rivolta contro di lui, tramite un curatore speciale.
L'azione sociale di responsabilità nelle società in bonis è esercitata nell'interesse dei soci, ed è sostanzialmente un fatto privatistico che non coinvolge l'interesse dei creditori; quando invece è quest'ultimo ad essere messo a repentaglio dalla crisi o insolvenza ed il debitore decide di risolverla col concordato preventivo, il legislatore ha opportunamente individuato un organo terzo che può esercitare l'azione, il liquidatore giudiziale (nel prosieguo anche “liquidatore”).
Confinare l'iniziativa ai soli soci è, infatti, spesso una soluzione subottimale per gli atteggiamenti di inerzia che inevitabilmente essi assumono quando rischiano di essere stessi destinatari dell'azione oppure non abbiano più valori da conservare per sé.
L'azione sociale nel concordato preventivo
Il secondo comma, primo periodo dell'art. 115 c.c.i.i. (nel prosieguo il riferimento alla fonte normativa del d.lgs. n. 14/2019 verrà obliterato ove superfluo) prevede che «Il liquidatore esercita oppure, se pendente, prosegue l'azione sociale di responsabilità».
L'azione può essere esercitata verso gli amministratori di diritto ed i sindaci, ma anche verso gli amministratori di fatto.
Nella S.r.l. in concordato non ci sono preclusioni a che il liquidatore eserciti l'azione sociale anche verso i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi ai sensi dell'art. 2476, comma 8, c.c.; disposizione che peraltro è espressamente richiamata dall'art. 255 c.c.i.i. in tema di azioni di responsabilità nella contigua liquidazione giudiziale.
Nella S.r.l., infatti, i soci hanno una generale competenza su tutti gli aspetti della vita sociale, e quindi rispondono delle decisioni ad essi imputabili; si tratta di una responsabilità esplicitamente in solido con gli amministratori, poiché questi ultimi hanno il potere-dovere di non dare esecuzione a decisioni pregiudizievoli dei soci e quindi non possono farsi scudo dell'imputabilità dell'atto dannoso all'altrui decisione.
La responsabilità dei soci di S.r.l. può manifestarsi quando essi siano formalmente investiti di particolari diritti amministrativi (art. 2468, comma 3, c.c.) oppure quando vengano formalmente delegati a decidere o autorizzare il compimento di atti dallo statuto, da amministratori o da almeno un terzo del capitale sociale (art. 2479 c.c.); ma la loro responsabilità si estende anche ai casi in cui siano stati di impulso al di fuori di istituzionali procedimenti di decisione e/o autorizzazione (Trib. Milano, 9 settembre 2019).
Il secondo comma dell'art. 115 c.c.i.i. prosegue col secondo periodo prevedendo che «Ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano sono inopponibili al liquidatore e ai creditori sociali».
Testualmente, i soli patti contrari o le diverse previsioni del piano o proposta che non paralizzano l'azione sociale del liquidatore sono quelli contenuti in tali documenti; per questo motivo, la dottrina ritiene che, se prima dell'accesso alla procedura i soci abbiano rinunciato all'azione o l'abbiano transatta con le maggioranze previste dagli artt. 2393 e 2476 c.c., la decisione resti vincolante anche per il liquidatore giudiziale (Fabiani, Spiotta, Zanardo).
È stato però ipotizzato che il liquidatore abbia titolo per impugnare tali rinunce o transazioni con l'azione revocatoria, considerato che l'art. 115, comma 1, gli riserva ogni azione finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni e al recupero dei crediti (Calandra; contraria Zanardo).
Mentre nelle S.p.A. in bonis l'azione sociale richiede la preventiva delibera assembleare o del collegio sindacale, e nelle S.r.l. la decisione dei soci, assembleare o meno, assunta entro la pronuncia della sentenza che definisce il giudizio (da ultimo Trib. Milano, 30 gennaio 2024), si ritiene che il liquidatore non necessiti di alcuna autorizzazione, poiché altrimenti verrebbe vanificata la portata applicativa della norma.
In effetti nella liquidazione giudiziale l'autorizzazione assembleare non è certamente dovuta, e tanto ha precisato anche la Cassazione; vero è che serve l'autorizzazione del giudice delegato (art. 255, che richiama l'art. 128), ma essa è richiesta pressoché per ogni giudizio che il curatore intende promuovere, e quindi la previsione non è utile a stabilire analogie.
Un'analogia utile è invece fornita dall'art. 2409 c.c., dove è pacifico che in caso di denunzia per gravi irregolarità l'amministrare giudiziario nominato dal tribunale può proporre l'azione di responsabilità a prescindere da qualunque autorizzazione dei soci.
Infine, è la stessa relazione illustrativa al d.lgs. n. 14/2019 del 10 gennaio 2019 ad escludere la necessità della delibera assembleare o di una decisione del collegio sindacale.
Il commissario giudiziale, invece, non è in alcun modo titolato all'esercizio dell'azione sociale, avendo solo poteri di sorveglianza e non potendo neppure costituirsi parte civile nei procedimenti penali per i reati “fallimentari”; potere che con la riforma è stato devoluto al liquidatore giudiziale (art. 347).
Il liquidatore è nominato dal tribunale in sede di omologazione nei casi indicati dagli artt. 114 per il concordato liquidatorio e 114-bis(quest'ultimo introdotto con il d.lgs. 136/2024) per il concordato in continuità con liquidazione di parte del patrimonio o dell'azienda; pertanto, in assenza di nomina dell'organo, l'azione sociale di responsabilità resta esercitabile solo dai soggetti individuati con le comuni regole societarie.
La designazione del liquidatore spetta in via esclusiva al tribunale, senza che il debitore possa più optare per una liquidazione “autogestita” o indirizzare la scelta verso una persona gradita (e talvolta compiacente); infatti né l'art. 114 né l'art. 114-bis c.c.i.i. presentano l'inciso, invece contenuto nell'art. 182 l. fall., «Se il concordato … non dispone diversamente, il tribunale nomina …».
L'art. 115 non precisa quando l'azione sociale possa essere esercitata dal liquidatore, ma non può che esserlo solo in fase esecutiva, perché in pendenza di procedura un liquidatore ancora non c'è.
Casi di nomina
Nel concordato liquidatorio, anche con cessione dei beni, il liquidatore giudiziale è un organo sempre necessario, perché tanto prevede l’art. 114, il quale recita che «il tribunale nomina nella sentenza di omologazione uno o più liquidatori». Quindi, il debitore non può escluderla in sede di piano.
Nel concordato in continuità, invece, il liquidatore giudiziale è un organo facoltativo, poiché l’art. 114-bis recita che «nella sentenza di omologazione il tribunale può nominare uno o più liquidatori» (enfasi aggiunta), e può farlo solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
il piano prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda e
l’offerente non è ancora individuato.
È importante definire l’ambito di applicazione delle due condizioni, perché la possibile presenza del liquidatore determina il rischio di azioni di responsabilità.
Quanto alla prima condizione, non vi sono ragioni di ordine sistematico o anche solo pratico per escludere la nomina del liquidatore in caso di cessione di un ramo di azienda, anziché dell’intera azienda (D’Attorre). Ciò completa il quadro e consente di affermare che il tribunale ha facoltà di nomina del liquidatore quando il concordato sia misto, cioè con prosecuzione dell’attività e cessione di beni o rami di azienda, oppure sia in continuità indiretta, cioè con cessione dell’unica azienda.
Pare altresì razionale ritenere che il tribunale, ravvedendone l’utilità, possa nominare il liquidatore anche quando la liquidazione riguardi solo una parte modesta o minimale del patrimonio.
Esula invece la nomina del liquidatore quando il trasferimento dei beni o dell’azienda avvenga tramite conferimento, scissione o fusione, trattandosi di operazioni straordinarie che, pur avendo effetti traslativi, non sono liquidatorie in senso stretto (mentre lo è la eventuale cessione della partecipazione successiva al conferimento).
Quanto alla seconda condizione, dal tenore del successivo l’art. 114-bis, comma 2, si comprende che il documento nel quale individuare l’offerente è il piano in continuità, e poiché esso può essere modificato fino a venti giorni prima dell’inizio delle votazioni (art. 105), questo è il termine ultimo per indicare l’offerente, così da sottrarre al tribunale la facoltà di nomina del liquidatore.
Proprio il secondo comma dell’art. 114-bis, impone, in caso di individuazione dell’offerente nel piano in continuità e quindi di omologazione senza nomina del liquidatore, di ricorrere alla procedura delle offerte concorrenti per a vendita di beni, aziende o suoi rami, e il richiamo desta qualche incertezza interpretativa, perché l’art. 91 prevede che la gara si debba concludere nei venti giorni che precedono il voto, quindi ben prima dell’omologazione, mentre l’art. 114-bis riguarda solo le gare da effettuare dopo l’omologazione. L’incertezza interpretativa va risolta ritenendo che la disciplina recata dall’art. 91 si applichi alle vendite post- omologazione in quanto compatibile.
Il complesso dei primi due commi dell’art. 114-bisva quindi inteso nel senso che nei concordati misti e in continuità indiretta, se c’è un offerente, la nomina del liquidatore non può essere disposta, perché la procedura delle offerte concorrenti, da applicare obbligatoriamente anche alle vendite post omologazione (in quanto compatibile, appunto), impone una modalità di esecuzione della procedura competitiva che assicura in ogni caso efficienza, celerità e rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza.
Se al contrario l’offerente non c’è, il tribunale ha facoltà di preporre un organo a presidio di una vendita che, se gestita privatisticamente, potrebbe non assicurare efficienza, celerità, pubblicità, trasparenza.
Il richiamo all’art. 91 comporta che l’offerta debba essere irrevocabile (comma 1), altrimenti è come se non esistesse un offerente e quindi il tribunale conserverebbe la facoltà di nominare il liquidatore, tenendo altresì presente che, ai sensi del comma 2, è equivalente alla presenza di un’offerta irrevocabile quella di un contratto preliminare.
Mancando un offerente originario, è evidente che la probabilità della nomina giudiziale del liquidatore diminuisce se il debitore delinea nella proposta un “serio” procedimento di liquidazione, strutturato passo per passo; in tal caso però, a fronte di una presenza meno invasiva e meno rischiosa per amministratori e sindaci che hanno tenuto condotte rimproverabili, il debitore deve rinunciare ad agevolare le cessioni tramite i benefici della vendita forzata richiamati dall’art. 114-bis comma 3 (benefici che secondo D’Attorre sussisterebbero anche in assenza di nomina del liquidatore, quando la cessione avvenga con la procedura delle offerte concorrenti).
Può quindi essere lo stesso debitore a favorire la nomina del liquidatore chiedendola nella domanda, e ciò non solo per rendere più commerciabili i beni ma anche per creare un maggiore affidamento proprio in coloro che devono votare il concordato, essendo indiscutibile che la presenza di tale organo giudiziario li rassicuri sull’adempimento della proposta.
Riassumendo, quindi, in caso di concordato liquidatorio il tribunale nomina certamente il liquidatore, lo nomina eventualmente in caso di concordato misto o in continuità indiretta e con offerente non individuato, non lo nomina certamente in caso di concordato in continuità puro.
Quanto ad altre forme spurie di concordato, cioè per assuntore, con garanzia o “in qualsiasi altra forma”, consentite dall’art. 84, comma 1, occorre valutare di volta in volta la disciplina di nomina applicabile in funzione delle attività dismissive previste.
Autonomia del liquidatore giudiziale
Come precisato, quando manchi la nomina del liquidatore giudiziale, l'azione sociale di responsabilità resta esercitabile solo dai soggetti individuati con le comuni regole societarie. Quando invece il liquidatore è nominato, l'art. 115, comma 2, gli attribuisce la facoltà incondizionata di iniziare o proseguire l'azione di responsabilità a prescindere da eventuali limitazioni del piano o della proposta.
Nel concordato liquidatorio è incontroverso che operi in modo pieno l'art. 2740, comma 1, c.c. su tutto il patrimonio, con l'eccezione delle risorse esterne, che possono essere distribuite ex art. 84, comma 4, c.c.i.i. senza il rispetto degli artt. 2740 e 2741 c.c. Pertanto, il risultato utile delle azioni risarcitorie – incondizionatamente esercitabili – è, al pari di ogni altro attivo, devoluto al soddisfacimento dei creditori.
Peraltro, nel senso della piena operatività dell'art. 2740 c.c. si esprime anche la relazione illustrativa iniziale al d.lgs. n. 14/2019, che non è fonte di diritto ma è certamente un utile strumento di indagine dell'intenzione del legislatore, nel commentare l'art. 115, all'epoca riferito solo alle azioni del liquidatore giudiziale in caso di cessione dei beni, cioè nel concordato liquidatorio.
Incidentalmente, il concordato liquidatorio è ammissibile quando vi è un apporto di risorse esterne che «incrementi di almeno il 10 per cento l'attivo disponibile al momento della presentazione della domanda» (art. 84, comma 4). Ci si è allora chiesto se una somma offerta in transazione da amministratori e sindaci possa colmare tale fabbisogno senza necessità di ulteriori dazioni da parte di soggetti esterni, e la risposta è sicuramente negativa.
Infatti, il credito risarcitorio sorge prima della domanda, cioè nel momento in cui si verifica il danno, ed a prescindere dal momento del suo accertamento; esso, quindi, fa già parte dell'attivo disponibile «al momento della presentazione della domanda»; pertanto, una eventuale somma messa a disposizione a titolo di accordo transattivo da organi sociali non può essere considerata una risorsa esterna e non assolve il relativo incombente (Zanardo).
Invece, nel concordato in continuità con liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda, il debitore deve certamente dare conto delle azioni risarcitorie [art. 87, lett. h)], ma apparentemente non è e non è mai stato obbligato a devolverle ai creditori, sin da quando, nel 2012, il legislatore ha recepito l'esistenza dell'istituto della continuità.
Che il debitore potesse parzializzare a propria discrezione il patrimonio da liquidare – patrimonio nella cui nozione rientrano certamente le azioni risarcitorie – già risultava dall'art. 186-bis l. fall., per il quale il piano in continuità poteva (ma non necessariamente doveva) prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa.
Che possa farlo anche oggi è confermato dall'art. 114-bis, perché l'inciso «Quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell'azienda …» affida al solo piano del debitore, e non alla decisione di un terzo, se e quanta parte del patrimonio debba essere devoluto ai creditori.
Questo assetto normativo non si traduce in un pregiudizio ingiusto per i creditori purché venga rispettato il principio cardine del no creditor worse off than liquidation di cui all'art. 87, comma 3, cioè che sia riconosciuto a ciascuno di essi un trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale.
A ulteriore tutela dei creditori dalla conservazione indebita di quote rilevanti del patrimonio in capo ai soci della debitrice esiste il presidio dell'art. 120-quater, che la costringe a distanziare fortemente i trattamenti fra classi aventi gradi di privilegio diverso, a partire dalle classi infime, per prevenire il dissenso e la caducazione della domanda, obbligando così la società a mettere a disposizione dei creditori molto valore anziché trattenerlo per sé.
Sulla base di questi presupposti, il liquidatore, se nominato nel concordato misto o in continuità indiretta, parrebbe avere - per così dire - le mani legate sull'azione sociale di responsabilità; ma, come visto, l'art. 115 si esprime in tutt'altro modo.
Come risolvere il conflitto fra la perentorietà dell'art. 115, che sembra autorizzare sempre l'azione, e la natura solo parzialmente devolutiva di alcuni concordati? Nella dottrina che si sta formando in questi mesi (non dimentichiamo che si tratta di norme introdotte o modificate a settembre 2024) si registrano già posizioni contrastanti.
Chi propende per l'ipotesi che il liquidatore possa esercitare l'azione sociale di responsabilità solo laddove il piano o la proposta prevedano la cessione ai creditori di questo credito risarcitorio, ritiene che in caso contrario si avrebbe un forte disincentivo a ricorrere al concordato in continuità (D'Attorre). Si tratta di una interpretazione orientata alle conseguenze, cioè ad incentivare strumenti di regolazione della crisi che preservino la continuità aziendale.
Con l'attuale tenore dell'art. 115 resta però il rischio che un liquidatore occasionalmente nominato per vendere alcuni asset avvii a sorpresa un'azione risarcitoria non prevista nel piano di un concordato misto; e non si tratterebbe di un'azione del tutto destituita di fondamento, anche tenuto conto, quanto ai criteri interpretativi, che la Cassazione ha più volte ribadito, anche a Sezioni unite, che in presenza di un dato testuale non ambiguo l'interpretazione letterale prevale su quella basata sulle intenzioni del legislatore (Cass. 2505/2020 e 8091/2020), e a me pare non essere affatto ambiguo l'art. 115 circa il libero esercizio da parte del liquidatore dell'azione sociale di responsabilità nonostante ogni patto contrario o ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano.
La circostanza è ancora più rilevante se si considera che, in occasione del terzo Correttivo, il legislatore ha trasferito il contenuto dell'art. 84, comma 8, nell'art. 114-bis, comma 1, modificandolo in modo da rendere da obbligatoria a facoltativa la nomina del liquidatore nel concordato in continuità con cessione di beni o aziende, mentre ha modificato l'art. 115, ma solo nella rubrica (che ora è «Azioni del liquidatore giudiziale», mentre prima era «Azioni del liquidatore giudiziale in caso di cessione dei beni»), in modo da estenderne la portata del suo raggio di azione, ed in particolare il libero esercizio delle azioni risarcitorie, a tutti i concordati in cui il liquidatore sia stato nominato.
A seguire l'iter di formazione dell'attuale assetto normativo viene da pensare che non soltanto il tenore letterale, ma anche la ricostruzione delle intenzioni del legislatore, portino nella stessa direzione interpretativa: di fatto, la conservazione di un potere incontrastato del liquidatore di esercitare l'azione sociale in tutti i tipi di concordato sembra il frutto di una scelta consapevole e non invece di una svista (Zanardo).
La soluzione pare coerente con quanti sostengono che l'art. 2740, comma 1, c.c. si applica anche alla continuità, sebbene non con le modalità tradizionali della immediata trasformazione in liquidità dei beni ad essa funzionali, trasformazione la quale impedirebbe la prosecuzione dell'attività (Galletti).
In conclusione, il debitore dovrà tenere conto del rischio di nomina del liquidatore quando formuli una proposta in continuità con cessione di beni non funzionali perché, se da un lato godrà del beneficio della disciplina delle vendite forzate (art. 114-bis, comma 3), dall'altro esporrà i suoi amministratori al rischio di una imprevista azione sociale di responsabilità.
Le azioni dei creditori sociali
L'azione dei creditori sociali è l'azione che il singolo creditore può esercitare ogni qualvolta il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento del proprio credito per effetto dell'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione della sua integrità.
L'azione può essere esercitata o proseguita da ciascun creditore anche in pendenza della procedura e nel corso della sua esecuzione, ai sensi dell'art. 115, comma 3. Quest'ultima disposizione richiama soltanto l'art. 2394 c.c. per le S.p.A., e non l'art. 2476, comma 6, c.c. in tema di S.r.l., ma è anch'essa una obliterazione a cui non dare peso, tenuto anche conto che invece l'art. 255 c.c.i.i. in tema di azioni di responsabilità nella liquidazione giudiziale richiama entrambe le azioni.
L'art. 115, comma 3, precisa che nonostante la nomina del liquidatore giudiziale i creditori conservano il diritto all'esercizio dell'azione di responsabilità verso gli amministratori; a maggior ragione tale diritto deve sussistere in ogni forma di concordato quando il liquidatore non sia stato nominato.
Infatti, come precisato dalla giurisprudenza, quella dei creditori sociali è un'azione diretta e non surrogatoria, nel senso che il risarcimento compete ai singoli creditori che promuovono l'azione e non alla società; in caso contrario, essi sarebbe fortemente disincentivati ad affrontare i costi di azioni giudiziali senza essere diretti beneficiari di un esito favorevole.
Inoltre, l'azione dei creditori colpisce il patrimonio degli amministratori, non quello della società debitrice, e non è vero, come aveva erroneamente sostenuto una isolata sentenza della Corte di appello di Bologna nel 2017, che gli amministratori beneficiano dello scudo protettivo dell'esdebitazione concordataria non essendo ricompresi tra i soggetti verso cui i creditori conservano impregiudicati i loro diritti (coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, art. 117): infatti gli amministratori sono radicalmente esclusi dalla falcidia concordataria in quanto soggetti terzi, il cui debito verso i creditori della debitrice si fonda su titolo e causa diversi rispetto al debito della società (Corte App. Venezia 9 gennaio 2019).
Poiché l'azione colpisce un patrimonio terzo e non quello della società, viene rimosso il principale ostacolo a ritenerne legittimo l'esercizio individuale nell'ambito del concordato preventivo: perché appunto il patrimonio destinato dal concordato alla soddisfazione dei creditori non subisce diminuzioni di valore.
Poiché con l'accesso alla procedura generalmente si assiste ad un arretramento dei diritti individuali dei creditori, mentre qui vengono confermati, e poiché l'integrità del patrimonio sociale è un diritto anche collettivo, come dimostrano l'art. 2394, comma 1, l'art. 2497 e l'art. 2476, comma 6, come novellato nel 2019, c.c., stabilendo che «gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale», si è affacciata in dottrina l'opinione che nel confermare la spettanza del diritto all'azione individuale, l'art. 115, comma 3, non abbia voluto smentire un possibile esercizio collettivo, nell'interesse della massa ed in concorrenza con la prima, ferma l'impossibilità di duplicazioni risarcitorie (Pagni).
D'altronde l'art. 115, comma 1, recita che il liquidatore esercita, o, se pendente, prosegue, ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti, e la formula è molto ampia.
Il che consente di superare i limiti alla legittimazione posti dall'art. 81 c.p.c., dal momento che l'espressione del primo comma può ricomprendere la reintegrazione della garanzia patrimoniale depauperata per effetto della condotta illecita degli organi sociali, visto che è la stessa relazione illustrativa a precisare che «la disposizione è coerente con l ' art. 2740 c.c. e dunque con la regola della garanzia patrimoniale generica» e l'obiettivo della reintegrazione del patrimonio è identico nell'azione dei creditori sociali, sia pure in correlazione a un diritto della massa e non a un diritto della società (Pagni).
Inoltre, la Cassazione ha definito a più riprese il liquidatore giudiziale un mandatario in nome del debitore ma per conto e nell'interesse della massa dei creditori (Cass. n. 286/2023), e quindi titolato ad esercitare azioni appunto di massa, cioè le azioni finalizzate alla ricostituzione del patrimonio a beneficio indistinto dei creditori.
Questa opzione interpretativa avrebbe il vantaggio di risolvere alcune inefficienze dell'esercizio di azioni separate.
Infatti, l'azione sociale di responsabilità e l'azione dei creditori comportano diversi risarcimenti del danno: mentre gli amministratori sono sempre responsabili verso la società per gli atti dannosi, lo sono verso i creditori sociali soltanto quando il patrimonio sia divenuto insufficiente al loro soddisfacimento.
Così, se l'attivo è 100 ed il passivo è di 50 e vi è una perdita di valore che porta l'attivo a 60, consterà la responsabilità verso la società di 40 ma non sussisterà la responsabilità verso i creditori, essendo il patrimonio netto ancora positivo per 10; viceversa qualora la mala gestio porti l'attivo da 100 a 30, sussisterà la responsabilità verso la società per 70 e quella concorrente verso i creditori sociali per 20. E proprio laddove la responsabilità è concorrente, le due azioni sono difficilmente coordinabili quando effettuate da soggetti diversi, anche per i rischi di ingiusta duplicazione del risarcimento.
Inoltre l'azione dei creditori sociali presenta altri vantaggi sotto il profilo della prescrizione e della quantificazione, che ne rendono appetibile l'esercizio da parte del liquidatore giudiziale.
Quanto alla prescrizione, l'azione sociale di responsabilità contro gli amministratori rimane sospesa fino alla cessazione della carica stessa e può essere esercitata entro i cinque anni successivi (art. 2393, comma 4, e art. 2941 n. 7, c.c.); in caso contrario essi potrebbero, ad esempio, ritardare ad arte la convocazione dell'assemblea che deve deliberare l'azione per far scadere i termini di prescrizione.
Invece all'azione di responsabilità dei creditori sociali si applica l'art. 2947, comma 1, c.c. per il quale il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato. Per giurisprudenza granitica, tale è momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale è divenuta oggettivamente conoscibile all'esterno (e non invece quando essa è stata effettivamente conosciuta); momento che solitamente coincide con la messa in liquidazione giudiziale e che sicuramento è successivo o al più contestuale alla cessazione della carica.
Spetta all'amministratore dimostrare che l'insufficienza si colloca in un'epoca antecedente, in modo da avvalersi dello spirare dei termini di prescrizione a lui più favorevoli. In tal senso potranno essergli utili il deposito di un bilancio che evidenzi un forte deficit patrimoniale, l'adozione di uno strumento di regolazione della crisi, la stipulazione di un affitto della propria azienda a terzi.
In ogni caso, se il fatto illecito che ha cagionato il danno è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile (art. 2947, comma 3, c.c.); deve però sussistere una identità tra i fatti contestati in sede civile ed i fatti contestati in sede penale.
Per la verità la norma richiama il danno da fatto illecito, cioè di natura extra-contrattuale, quale è l'azione dei creditori sociali, ma per giurisprudenza l'allungamento della prescrizione va riferito anche al danno da fatto illecito contrattuale, cioè opera anche nell'azione sociale di responsabilità, purché il fatto sia considerato dalla legge come reato (Cass. Sez. Un. n. 1479/1997).
Sotto il profilo della quantificazione, a ben vedere, la situazione di insufficienza patrimoniale è ben intercettata dall'art. 2484 n.4 c.c., cioè si verifica quando il capitale è perduto; in tal caso la determinazione del danno da insufficienza patrimoniale è predeterminata dalla legge, ed è il metodo dei netti patrimoniali dell'art. 2486 c.c., perché il presupposto della sua applicazione è che il patrimonio scenda sotto il limite dell'art. 2484 n. 4 c.c.; diventi, appunto, insufficiente.
Non occorrono sforzi particolari per dimostrare in modo rigoroso l'inadempimento, il danno ed il nesso causale che li lega, e neppure l'entità di quest'ultimo perché, quando il patrimonio è insufficiente, l'inadempimento dell'amministratore consiste nella prosecuzione stessa dell'attività e il danno è l'intero deficit realizzato nel periodo, la cui entità è determinabile col metodo dei netti patrimoniali.
E i netti patrimoniali potranno anche rappresentare un “pernicioso abbaglio” (Fabiani), perché suscettibili di obliterare alla vista tutti gli altri danni causati da atti di mala gestio, ma in fondo che altro si va cercando nelle aule dei tribunali, se non di vedersi riconosciute richieste di risarcimento fondate su basi solide e ragionevoli?
Ammettere la legittimazione da parte del liquidatore giudiziale all'esercizio dell'azione dei creditori sociali verso gli amministratori contribuisce a rendere più proficuo il suo operato; in tal senso l'art. 115, nella parte in cui conserva la legittimazione del creditore, lo fa per chiarire che quella legittimazione non è venuta meno, e non già per escludere una diversa legittimazione a far valere collettivamente i diritti della massa.
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