Concordato preventivo e nota di variazione in diminuzione IVA: gli ultimi chiarimenti dell'AdE
09 Settembre 2025
L'Agenzia delle Entrate ha risposto ad alcuni quesiti posti dalla creditrice di una società che, dopo la revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, ha chiesto ed ottenuto l'ammissione, prima, e l'omologa, poi, di un altro concordato preventivo in continuità aziendale. La creditrice chiede, in primo luogo, se le due procedure di concordato siano da considerarsi come due procedure a sé stanti, con conseguente non applicabilità del principio della consecutio tra procedure e “irrilevanza” della prima delle due. In ordine a tale questione, l'AdE ritiene che, nel caso descritto nell'interpello, non operi la consecutio e che per l'emissione della nota di variazione occorra avere riguardo alla data di avvio della seconda procedura che, nella specie, è successiva al 26 maggio 2021, con conseguente applicazione dell'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA), come modificato dall'art. 18 del d.l. 25 maggio 2021, n. 73 (Decreto Sostegni-bis). Detto principio si riferisce – infatti – alla ''confluenza'' di una procedura concorsuale, inizialmente attivata dall'imprenditore, nel successivo fallimento (oggi il principio si riferisce anche alla consecuzione tra i differenti strumenti di regolazione della crisi e la liquidazione giudiziale). A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha aggiunto che la consecuzione prescinde dalla mera successione cronologica tra procedure e richiede che venga riscontrata l'unicità di causa, che va accertata in concreto da parte dell'autorità giudiziaria. Unicità di causa assente nel caso descritto dalla istante. In secondo luogo, manifestata la propria decisione di non avvalersi della facoltà prevista dall'art. 26, comma 3-bis, del Decreto IVA e di voler attendere l'effettivo esito della procedura di concordato preventivo omologato, la creditrice chiede se sia possibile procedere con l'emissione della nota di variazione in diminuzione ai sensi dell'art. 26, comma 2, del medesimo decreto, per la parte di credito falcidiata in base all'omologa del piano concordatario a partire dal momento in cui la società debitrice avrà adempiuto agli obblighi assunti in sede di concordato e convalidati con l'omologa. In altre parole, si chiede se la conclusione della procedura di concordato preventivo, che attesta il definitivo mancato pagamento del corrispettivo, può costituire un autonomo presupposto per operare la variazione in diminuzione ex art. 26, comma 2, del Decreto IVA. L'AdE richiama la propria risposta ad interpello n. 485/E del 3 ottobre 2022 che, ad integrazione della circolare n. 20/E del 2021, ha chiarito che «laddove il cedente/prestatore, ritenendo di poter utilmente recuperare il proprio credito scegliesse di insinuarsi al passivo e di non avvalersi della facoltà prevista dal predetto comma 3bis, e la procedura si rivelasse infruttuosa, il medesimo potrebbe comunque avvalersi di quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 26…». Il comma 2 si riferisce infatti alla venuta meno in tutto o in parte, o alla riduzione dell'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione «e simili». Tra i casi “simili” è possibile dunque far rientrare «la definitività del piano di riparto infruttuoso, che attesta il definitivo mancato pagamento del corrispettivo», la quale «può costituire un autonomo presupposto per operare la variazione in diminuzione ex comma 2 dell'articolo 26». Sottolinea, tuttavia, l'Agenzia delle Entrate che «se il cedente decide di insinuarsi al passivo e di non emettere la nota di variazione in applicazione di quanto disposto dai commi 3bis e 10bisdell'articolo 26, deve attendere l'esito infruttuoso della procedura, restando in ogni caso preclusa la possibilità di emettere la nota di variazione una volta decorso il termine per l'esercizio del diritto alla detrazione correlato al ''dies a quo'' individuato dai predetti commi». |