Questioni dibattute e controverse in materia di processo civile telematico

12 Settembre 2025

Il contributo focalizza l'attenzione sulle questioni maggiormente dibattute in giurisprudenza e, segnatamente: a) le ipotesi di rimessione in termini nei depositi telematici degli atti; b) il deposito delle note scritte in sostituzione dell'udienza e la recentissima decisione delle Sezioni Unite; c) la produzione in giudizio della prova “cartacea” dell'avvenuta notifica degli atti di sollecito di pagamento attraverso posta elettronica certificata.

Premessa

Nel presente contributo si proverà a focalizzare le questioni più dibattute e controverse in materia di processo civile telematico.

Come noto il processo civile è oramai quasi del tutto digitalizzato. La legislazione emergenziale prima e la riforma cd. “Cartabia” dopo hanno certamente contribuito a rendere il processo civile dematerializzato e “online”. Le nuove norme in materia di notifica e comunicazioni, sui depositi telematici e sulla possibilità di tenere le udienze in forma “scritta” hanno fatto sorgere nuovi problemi applicativi che hanno costretto i giudici ad intervenire in telematico proprio su questioni relative alla corretta interpretazione delle norme sul PCT.

Le questioni maggiormente controverse in giurisprudenza, e che verranno trattate nei successivi paragrafi, sono le seguenti: a) le ipotesi di rimessione in termini nei depositi telematici degli atti; b) il deposito delle note scritte in sostituzione dell'udienza e la recentissima decisione delle Sezioni Unite; c) la produzione in giudizio della prova “cartacea” dell'avvenuta notifica degli atti di sollecito di pagamento attraverso posta elettronica certificata.

Il deposito degli atti processuali telematici e le ipotesi di rimessione in termini in caso di errore di uno dei messaggi PEC che scandisce il deposito telematico degli atti

La Cassazione civile, sezione seconda, con la decisione 18 ottobre 2022, n. 30514 ha affrontato una questione “particolare”  generata da uno dei messaggi PEC che scandisce il deposito telematico degli atti in Cancelleria.

Il D.M. n. 44/2011, sulle regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, rinvia (all'art. 34, comma 1) a "specifiche tecniche", stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Queste ultime (all'art. 14, comma 7) prevedono e codificano la seguente tipologia di possibili anomalie riscontrate dal gestore dei servizi telematici all'esito dei controlli automatici (formali) sulla busta telematica: " a) warn (warning): anomalia non bloccante: si tratta in sostanza di segnalazioni, tipicamente di carattere giuridico (ad esempio manca la procura alle liti allegata all'atto introduttivo); b) error: anomalia bloccante, ma lasciata alla determinazione dell'ufficio ricevente, che può decidere di intervenire forzando l'accettazione o rifiutando il deposito (esempio: certificato di firma non valido o mittente non firmatario dell'atto); c) fatal: eccezione non gestita o non gestibile (esempio: impossibile decifrare la busta depositata o elementi della busta mancanti ma fondamentali per l'elaborazione)". A sua volta, tale tipologia è articolata in una serie di messaggi di "esito atto", descritta a p. 80 ss., sezione 8.3. delle "Specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale" (versione 2.0.), adottate dal Ministero della Giustizia (D.G.S.I.A.) con riferimento al processo civile telematico.

Nel caso affrontato dalla Cassazione il legale dell'opponente depositava telematicamente la nota di iscrizione a ruolo e riceveva dal sistema tre comunicazioni PEC: la prima era di accettazione, la seconda era la “ricevuta di avvenuta consegna” di cui all'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012, mentre la terza PEC, relativa all'esito dei controlli automatici di deposito, recava l'annotazione che: “L'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna della notifica in proprio, sono necessarie verifiche da parte della cancelleria”. Solo dopo la scadenza del termine per la costituzione (precisamente in data 21 dicembre 2017), il legale riceveva comunicazione da parte della cancelleria (quarta PEC) che la busta telematica con l'iscrizione a ruolo dell'opposizione era risultata affetta da errore fatale.  Il difensore provvedeva, quindi, ad un secondo deposito unitamente al deposito di una istanza di rimessione in termini che veniva, tuttavia, rigettata dal Tribunale con conseguente dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione. La decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello. La Cassazione ha annullato la decisione del giudice di secondo grado rilevando che nel caso di specie sussisteva il presupposto della rimessione in termini, cioè il concreto verificarsi della causa non imputabile di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c., e ciò per due ragioni: a) il contenuto della terza PEC, relativa all'esito dei controlli automatici di deposito, ove la constatazione che "l'atto di citazione depositato non è presente tra gli allegati della ricevuta di avvenuta consegna" è stata accompagnata dalla previsione che sono "necessarie verifiche da parte della cancelleria"; b) la vigile premura dell'avvocato, che non avendo ricevuto la quarta PEC, relativa all'esito delle verifiche manuali, si è informato presso la cancelleria ricevendo "rassicurazioni". La Suprema Corte ha, in particolare, sottolineato che lo specifico contenuto della terza PEC ricevuta nel caso di specie non aveva la qualità di comunicazione di errore irrimediabile (Fatal). In considerazione di ciò, la terza PEC ha generato un affidamento giustificato nel tempestivo svolgimento di verifiche da parte della cancelleria e nella comunicazione del loro esito attraverso una quarta PEC. Ciò ha legittimato la parte depositante ad una attesa, il cui protrarsi oltre la scadenza del termine perentorio per il deposito si è ulteriormente basato sulle rassicurazioni ricevute in cancelleria. La decisione della Suprema Corte appare di particolare rilievo in quanto ritiene concretizzata la causa dell'evento non imputabile anche con l'affidamento riposto del difensore in rassicurazioni ricevute “informalmente” dal personale di Cancelleria. Si tratta, a parere dello scrivente, di una decisione coraggiosa che apre ad istanze di rimessioni in termine basate esclusivamente sulle rassicurazioni della Cancelleria, anche se generiche ed indefinite.

Il deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza nel rito del lavoro secondo Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 30 giugno 2025, n. 17603

Di recente la Cassazione, con la decisione a Sezioni Unite del 30 giugno 2025, n. 17603, ha stabilito che “con riferimento all'art. 127-ter c.p.c. in versione anteriore alle modifiche del 2024, il provvedimento con cui il giudice sostituisce l'udienza destinata alla discussione col deposito di note scritte è ammissibile, nel processo del lavoro, alle seguenti condizioni: i) che la sostituzione non riguardi l'udienza di discussione nella sua integralità, ma governi la sola fase processuale propriamente decisoria; ii) che nessuna delle parti si opponga alla sostituzione della discussione orale col deposito di note scritte; iii) che non si escluda che le note scritte contengano (o possano contenere), oltre alle conclusioni e alle istanze, anche gli argomenti a difesa, così da rispondere alla funzione tecnica sostitutiva della oralità; iv) che si tenga conto delle necessità collegate al contraddittorio, cosicché qualora l'iter processuale richieda chiarimenti in base alla situazione concreta, il dialogo tra le parti e il giudice sia ripristinato in funzione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.”.

L'udienza di discussione non potrà essere sostituita integralmente, considerata l'oralità che deve normalmente connotare il processo del lavoro, bensì esclusivamente la “sola” fase esclusivamente decisoria per cui il giudice non potrà sostituire le prime udienze (ex art. 420 c.p.c.), le udienze istruttorie e quelle destinate al giuramento dei consulenti tecnici d'ufficio. Le esclusioni anzidette appaiono giustificate dalla necessità che sia garantito un contraddittorio effettivo e non sfalsato e irregimentato come quello disciplinato dall'art. 127-ter c.p.c. 

Le Sezioni Unite hanno statuito anche in ordine alla possibilità per il giudice di fissare, oltre al termine per il deposito delle note scritte, l'orario del loro deposito. Sul punto la decisione ha affermato che “La violazione dell'orario di deposito indicato nel provvedimento non va considerata alla stregua di violazione del termine perentorio, per l'elementare ragione che la perentorietà del termine resta, nell'art. 127-ter, ancorata al giorno di deposito, non all'ora. Al giorno di deposito ovviamente definibile con riguardo all'orario di chiusura degli uffici di cancelleria. L'art. 127-ter stabilisce che con il provvedimento con cui sostituisce l'udienza "il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note". Si tratta di un termine giudiziale che, per disciplina di legge, è da considerare perentorio solo a giorni. Dall'art. 152 c.p.c. si ricava che i termini giudiziali sono di regola ordinatori, salvo che la legge li dichiari espressamente perentori o la perentorietà consegua allo scopo e alla funzione adempiuta (tra le molte Cass., sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1064). Sicché la natura di un termine fissato per l'esercizio di un diritto può desumersi perentoria in via interpretativa purché la legge stessa autorizzi tale interpretazione, e nei limiti in cui l'autorizzi (v. Cass., sez. un., 12 febbraio 2024, n. 3760). Nel caso concreto niente consente di dire che il termine, perentorio a giorni per norma di legge, fosse suscettibile di esser considerato dal giudice tale anche in relazione all'orario di deposito indicato nel provvedimento. Cosa che anzi la stessa Corte d'Appello ha mostrato di escludere ritenendo le memorie tempestive. Per contro va affermato il principio per cui il termine dato con specificazione di orario deve intendersi - nei giudizi ordinari - a giorni e limitato all'orario di apertura delle cancellerie fissato in via generale come da decreto dell'autorità giudiziaria competente. L'art. 162 della l. n. 1196/1960 (recante l'Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi) stabilisce che le cancellerie giudiziarie "sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali, secondo l'orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie e segreterie interessate". Specificamente le cancellerie delle corti di appello e dei tribunali ordinari sono aperte al pubblico almeno quattro ore nei giorni feriali, secondo l'orario stabilito dai rispettivi presidenti, sentiti i capi delle cancellerie interessate, salva la possibilità del presidente della Corte di stabilire che un tale orario sia diviso in due periodi. Anche in ragione del fine di consentire ai giudici l'attività di decisione necessaria per definire il giudizio al termine della discussione come sostituita cartolarmente, il termine perentorio di deposito delle note scritte sostitutive di cui all'art. 127-ter c.p.c. è quindi individuato nel giorno di scadenza in rapporto all'orario di apertura della cancelleria del giudice.”.  In definitiva dalla lettura della motivazione emerge che il giudice non può fissare l'orario di deposito delle memorie dovendo queste essere depositate esclusivamente con termini a giorni mentre l'orario è quello dell'apertura al pubblico delle Cancellerie.

La prova "cartacea" della notifica a mezzo PEC dei solleciti di pagamento

La Corte d'Appello di Milano, sezione prima, con una decisione del 7 aprile 2025, ha affrontato il tema della produzione in giudizio della prova “cartacea” dell'avvenuta notifica di atti di sollecito di pagamento attraverso posta elettronica certificata.

Il giudizio di appello scaturiva da un procedimento introdotto da una società che conveniva un ente locale al fine di ottenere il pagamento di diverse fatture aventi ad oggetto il corrispettivo per la fornitura di energia elettrica erogata in favore del Comune convenuto. In primo grado il tribunale ambrosiano accoglieva l'eccezione di prescrizione e nel ricorso in appello la società rilevava che in primo grado non è stata valutata la documentazione attestante la prova dell'avvenuta notifica al Comune dei solleciti di pagamento, interruttivi della prescrizione. La Corte d'Appello ha confermato il giudizio di prime cure rilevando che “A tal proposito, quanto all'idoneità a documentare l'effettiva ricezione della documentazione di cui al file pdf, riproduttivo della ricevuta di accettazione - ferma comunque la tardività con la quale tale documento è stato prodotto - pare opportuno richiamare l'insegnamento della Suprema Corte di cassazione che - seppure in tema di notifica di un atto processuale - sul punto evidenzia che "In tema di notificazione a mezzo posta elettronica certificata, la violazione delle forme digitali previste dalla l. n. 53/1994, artt. 3-bis, comma 3 e 9, nonché dall'art. 19-bis delle "specifiche tecniche" date con Provv. 16 aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia - che impongono il deposito in PCT dell'atto notificato, delle ricevute di accettazione e consegna in formato ".eml" o ".msg" e dell'inserimento dei dati identificativi delle suddette ricevute nel file "datiAtto.xml" -, previste in funzione non solo della prova ma anche della validità dell'atto processuale (arg. ex art. 11 della stessa l. n. 53/1994), determina, salvo che sia impossibile procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'art. 3-bis legge cit. (nel qual caso l'avvocato fornisce prova della notificazione estraendo copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del d.lgs. n. 82/2005, art. 23, comma 1: l. n. 53/1994, art. 9, commi 1-bis e 1-ter), la nullità della notificazione: atteso, per un verso, che soltanto il rispetto delle predette forme (le quali permettono, attraverso l'apertura del file, di verificare la presenza dell'atto notificato nella disponibilità informatica del destinatario) consente di ritenere provato il raggiungimento dello scopo legale dell'atto processuale di notificazione che, a differenza della comunicazione, non ha la funzione di portare la semplice notizia di un altro atto processuale, ma la diversa funzione di realizzarne la tempestiva consegna, nella sua interezza, al destinatario per consentirgli di esercitare appieno il diritto di difesa e al contraddittorio; e considerato, per altro verso, che tale dimostrazione non è invece consentita ove il deposito dell'atto notificato a mezzo PEC e delle ricevute di accettazione e consegna avvenga in diverso formato (ad es. in formato PDF), salvo che, in tale ipotesi, la prova della tempestiva consegna sia desumibile ed in concreto desunta aliunde, sulla base delle circostanze emerse nella fattispecie concreta, nel qual caso la nullità è sanata per convalidazione oggettiva, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c." (Cass. civ., sez. III, n. 16189/2023, enfasi aggiunta). Alla luce di tali principi, deve rilevarsi che nel caso di specie non vi è prova dell'effettiva consegna delle diffide di pagamento datate 8 luglio 2016 e 18 marzo 2017 allegate dall'appellante (vd. docc. nn. 11-12 fasc. I grado) poiché, come già correttamente osservato dal giudice di primo grado, l'odierna parte appellante ha mancato di produrre le ricevute di accettazione e consegna in formato ".eml" o ".msg", che avrebbero potuto consentire di verificare, attraverso l'apertura del file, la presenza dell'atto notificato; invero, l'appellante si è limitata a produrre un file in formato pdf, sì che non è possibile risalire con certezza al contenuto degli allegati ad esso relativi, non essendovi neanche corrispondenza di date, poiché, la ricevuta di accettazione riprodotta nel file pdf di cui all'allegato 16, reca data 21.03.2017”.

Le decisione della Corte d'Appello appare particolarmente “forte” se si considera che parte appellante non aveva notificato un atto giudiziario per cui, a parere dello scrivente, ben poteva provare la notifica dei solleciti di pagamento a mezzo PEC anche con modalità diverse da quelle previste per gli atti processuali (vedasi, ad esempio, l'art. 2712 c.c.).

Conclusioni

Le decisioni anzidette, molto recenti, dimostrano che il processo civile telematico ha generato delle questioni processuali che sono ben lontane dal sopirsi e ciò dimostra che gli operatori del diritto e del processo ancora devono prendere piena padronanza degli strumenti che la tecnologia ha messo a disposizione di tutti.

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