Richiesta di fallimento in estensione dopo l’entrata in vigore del codice della crisi: si applica la legge fallimentare
12 Settembre 2025
Una volta dichiarato il fallimento di un soggetto sotto la vigenza della normativa contenuta nella legge fallimentare del 1942, non può applicarsi la disciplina del codice della crisi d'impresa al procedimento del fallimento in estensione della “supersocietà” di fatto, anche se promosso dopo il 15 luglio 2022. Secondo la corte, fondano questo approdo: a) il dato letterale dell'art. 390, comma 2, c.c.i.i. che, nel riferirsi alle «procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al primo comma» consente di fondare una interpretazione per cui «tutte le fasi e le sottofasi che originano dalla procedura “madre”, comprese le eventuali impugnazioni (concordati fallimentari, riaperture di fallimento), sono destinate ad essere regolamentate ratione temporis - sotto il profilo temporale - dalla normativa vigente rispetto alla procedura madre» b) il dato letterale dell'art. 256 c.c.i.i. («Società con soci a responsabilità illimitata») secondo il quale solo quando sia aperta una procedura di liquidazione giudiziale di una società regolata nei capi III, IV e VI del titolo V del codice civile o di un suo socio, può aprirsi la liquidazione giudiziale anche nei confronti di soci illimitatamente responsabili, non considerando, invece, l'ipotesi dell'estensione conseguente ad una precedente dichiarazione di fallimento c) infine, evidenzia la Corte che «l'applicazione della normativa contenuta nel CCII all'ipotesi di fallimento pregresso apertosi nel regime della vecchia disciplina determinerebbe l'irragionevole conseguenza di rendere difficoltosa la gestione unitaria (richiesta dall'art. 148 l.fall. o dall'art. 257CCII) delle procedure aperte prima e dopo il 15.7.22, a fronte della diversa di disciplina che caratterizza le stesse». |