Giustizia minorile: tra reato e rieducazione

22 Settembre 2025

Il nostro ordinamento per anni ha previsto che la giustizia minorile fosse regolata dalla stessa normativa prevista dal codice penale per gli adulti.

Solo nel 1988 con il d.P.R. n. 448 (Codice di procedura penale minorile) è stato disciplinato il diritto penale e il diritto processuale penale a favore dei minori. Il Decreto ha fatto sì che la finalità del diritto minorile penale fosse quella di educare il minore autore del reato piuttosto che punirlo. Invero, la giustizia penale minorile si basa su interventi mirati al reinserimento sociale del minore attraverso un procedimento di rieducazione.

Il focus propone un’analisi della normativa vigente nel sistema giudiziario minorile.

La giustizia minorile: definizione ed evoluzione in Italia

Che cos'è la giustizia minorile?

La giustizia minorile è definita dal Consiglio d'Europa in una Raccomandazione del 2003 (sul trattamento della delinquenza minorile) come una “componente formale di un sistema più ampio di trattamento della delinquenza giovanile”.

Il sistema di giustizia minorile comprende i Tribunali per i minorenni, varie strutture ed organismi ufficiali (la polizia, avvocati, giuristi e strutture penitenziarie) che collaborano strettamente con i servizi che operano nei settori educativi, della salute, sociale e tutela.

È importante rilevare che la giustizia minorile si differenzia nettamente dalla giustizia penale “generale” per l'approccio che ha nel trattamento della pena, finalizzata alla rieducazione, alla protezione e alla reintegrazione, piuttosto che alla punizione per il reato commesso.

Orbene, il percorso giuridico per giungere all'attuale modello del processo penale minorile in Italia è stato particolarmente lungo e caratterizzato da numerosi tentativi legislativi innovativi, che per la maggior parte non sono mai stati messi in pratica.

Con il codice penale promulgato dal Re Vittorio Emanuele II venne presa in considerazione l'età dell'autore del reato nel determinare la pena e la presunzione di responsabilità penale, venne concepita la capacità di discernimento cioè l'abilità di comprendere cosa è meglio fare o come è meglio agire con riguardo a delle situazioni e l'art. 88 del codice del 1930 riportava che “il minore di anni 14, quando abbia agito senza discernimento, non soggiacerà a pena” e che i minori (tra i 14 e i 18 anni) non dovevano essere sottoposti a pena di morte né ai lavori forzati, ma solo alla custodia.

Dunque, nel Codice Zanardelli il primo riferimento normativo che riguardava l'imputabilità del minore era a 9 anni anche se, tra i 9 anni e i 14 anni bisognava rilevare la capacità di discernimento attraverso un accertamento da parte del magistrato. Tra i 14 anni e i 18 anni, l'imputabilità veniva presunta e la mancanza di discernimento doveva essere debitamente provata.

Comunque, importante è dire che il Codice Zanardelli non prevedeva un organo ah hoc che fosse specializzato in materia penale minorile. Tuttavia, attraverso il Regolamento carcerario del 1891 vennero istituiti degli istituti per minorenni, i cd. riformatori, suddivisi per età.

A proposito di questi ultimi, nel 1907, con il r.d. n.  606 i riformatori vennero riorganizzati con una politica tendente più alla prevenzione e rieducazione che alla repressione e punizione.

Anni dopo, esattamente nel 1929, la Circolare n. 2236 ha disposto che in 10 capoluoghi di Corte d'Appello fossero create sezioni dei tribunali ordinari a cui il procuratore generale poteva rimettere l'istruttoria e il giudizio nei confronti del soggetto minorenne presso la Corte d'Appello stessa e si dispose la differenziazione tra i dibattiti per i minorenni e quelli per i maggiorenni.

Il nuovo Codice Penale entrò in vigore insieme al Codice di Procedura Penale e prevedeva l'innalzamento dell'imputabilità da 9 a 14 anni e l'abbassamento della piena imputabilità da 21 a 18 anni.

Il Tribunale per i minorenni venne istituito con il r.d.l. n. 1404/1934, convertito in l. n. 835/1935, presso ogni sede delle Corti d'Appello (si approfondirà nei successivi paragrafi).

Nei primi del ‘900 iniziò ad affermarsi la prospettiva che il soggetto minorenne, non doveva essere considerato come un oggetto di protezione ma come un titolare di diritti soggettivi e, per tale motivo, andava riformata la disciplina del 1934.

L'entrata in vigore della Carta Costituzionale definì lo sviluppo del sistema di protezione della personalità del minore, ai sensi dell'art. 31 e come manifestato dall'art. 27, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Passaggio fondamentale fu l'emanazione del D.P.R. n. 616/1977 con il quale vennero istituiti i servizi sociali degli enti locali.

Ad oggi, la materia risulta disciplinata ed integrata dal D.P.R. n. 448/1988 che è la fonte delle norme e dei principi in materia di processo penale minorile.

Con l'art. 1 del Decreto sono stati fissati il principio di sussidiarietà e adeguatezza applicativa: per effetto del primo, si applicano i principi contenuti nel codice di procedura penale anche se, nella sent. n.  323/2000 la Corte Costituzionale ha affermato l'applicazione del principio di prevalenza della disposizione codicistica sulla disposizione speciale in tutti i casi in cui la prima risultasse più favorevole rispetto alla seconda; per quanto concerne poi il principio di adeguatezza, il giudice ha il dovere di adattare e valutare l'adeguamento delle disposizioni applicabili al minore, tenendo conto della soluzione più favorevole per il minore.

Il Codice Rocco ha introdotto un sistema particolare applicabile al minore autore di reato, il sistema cd. doppio binario che prevede come conseguenza dell'illecito penale non solo la pena ma anche la misura di sicurezza, distinguendole. La pena ha la funzione retributiva e preventiva applicabile a soggetti imputabili mentre la misura di sicurezza deve essere applicata a soggetti particolarmente pericolosi. Entrambe trovano attuazione combinata.

Ebbene, il sistema prevede la possibilità di sottoporre il minore a misure di sicurezza irrogabili in caso di pericolosità sociale. Ora, ai sensi dell'art. 203 c.p. vengono definiti pericolosi i soggetti che, avendo già compiuto un reato, possono risultare predisposti al compimento di ulteriori fatti penalmente rilevanti, richiamando anche i parametri ex art. 133 c.p. .  Tale norma va letta in combinato disposto con quanto dettato dall'art. 37 co. 2 del DPR  488/1988 che consente l'applicazione delle misure di sicurezza solo se sussistenti le condizioni ex art. 224 c.p..

Inoltre, nessuna pena è applicabile al minore infraquattordicenne stante il principio ex art. 97 c.p. e ad oggi, le pene applicabili al reo minorenne sono pressochè identiche a quelle applicabili al reo maggiorenne, ad eccezione della pena dell'ergastolo.

Recente è il d.l. Caivano del settembre 2023 n. 123 recanti “Misure Urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”.

Il Decreto si compone di 4 capi:

  1. Interventi diretti al Comune di Caivano, a livello infrastrutturale, universitario e amministrativo;
  2. Tematiche di sicurezza e prevenzione alla criminalità minorile;
  3. Offerta educativa e supporto istituzioni scolastiche;
  4. Sicurezza digitale dei minori.

Più nel dettaglio, gli artt. 6, 8 e 9 si soffermano sul procedimento penale minorile, l'art. 27 bis ha introdotto il cd. “percorso di rieducazione del minore”.

Non va poi dimenticata la novità rilevante sul trasferimento presso un istituto penitenziario per adulti e la facoltà che il magistrato di sorveglianza ha nel disporre il trasferimento del detenuto che abbia compiuto 21 anni, presso istituti per adulti.

La minore età e la capacità di intendere e di volere

Ai sensi dell'art. 85 c.p.Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.”

Dalla norma emergono diverse considerazioni ossia la limitazione, l'esclusione e la diminuzione dell'imputabilità a causa di fattori patologici o esterni e come la mancanza (della capacità) possa far venir meno la responsabilità per il fatto dell'agente.

Entrando nello specifico, con riguardo all'imputabilità del minore autore del reato, ai sensi dell'art. 97 c.p. viene stabilita la non imputabilità automatica del minore di anni 14 e con il successivo art. 98 c.p. al comma 1, si prevede che al fine di comprovare l'imputabilità dei soggetti di età tra i 14 e i 18 anni, è necessaria la dimostrazione della sussistenza della capacità di intendere e di volere del minore stesso.

I caratteri della capacità di intendere e di volere si atteggiano in maniera diversa quando si parla di responsabilità del minore: la prima si manifesta nel possesso delle abilità cognitive che permettono la consapevolezza e la scelta dei comportamenti; la seconda attiene alla possibilità di limitarsi nella trasgressione delle norme.

Allora può affermarsi che il minore goda di una sorta di immunità?

Si. Invero, non è permessa l'imputabilità del minore entro certi limiti ed è altresì necessario verificare e concentrarsi sul fatto commesso, sulla capacità di intendere e di volere e sulle conseguenze della punibilità.

È inoltre da rilevare anche che lo stesso codice penale, all'art. 97, detta una presunzione assoluta di non colpevolezza nei confronti dei minori di 14 anni, data l'immaturità comportamentale e dall'altro lato, lo stesso ordinamento riconosce l'imputabilità al compimento del quattordicesimo anni poiché il minore risulterebbe capace di intendere e di volere, la cd. presunzione relativa.

Orbene, l'accertamento della corretta età dell'imputato in situazioni dubbiose fa sì che il giudice debba procedere con una perizia che chiarisca e che prenda in considerazione l'età, precedenti giudiziari e conoscenza con operatori sociali o penitenziari ma anche attraverso consulti medici per gli accertamenti di tipo.

La Corte costituzionale e la tutela del minore nel processo

In questo panorama giuridico è intervenuta la Corte Costituzionale con la sent. n. 25/1964, che ha sottolineato la necessità di dotare la giustizia minorile di una “particolare struttura in quanto diretta in modo specifico alla ricerca delle forme più adatte di rieducazione dei minori” nel rispetto del primario obiettivo ovvero, il recupero del minore.

Ancora attuale, la pronuncia si esprimeva anche sull'individuazione di un organo specializzato che analizzasse le particolarità dei soggetti di minore età e che fosse in grado di valutare con coerenza giuridica e psicologica le particolarità del minore.

In una successiva sentenza, la n. 46/1978, ha sancito il divieto di meccanismi “automatici” in campo minorile stante che la valutazione deve essere centralizzata al recupero del minore.

Necessario è soffermarsi su altre due pronunce della Corte Costituzionale.

Una è la sent. n. 76/2017 con la quale la Corte ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-quinqiues comma1-bis ord. pen. Nella parte in cui si escludeva l'applicazione della detenzione domiciliare per le madri condannate, garantendo alla madre la detenzione in istituti a custodia attenuata ovvero presso la propria abitazione.

Ne consegue un'attenzione al best interest of the child che adempie all'interesse del minore a fruire in modo continuativo dell'affetto e delle cure materne (…) e non sottrae ad un possibile bilanciamento con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono quelli della difesa sociale.

Peraltro, è allora necessario procedere ad una valutazione individualizzata volta alla considerazione delle conseguenze della sentenza, della figura del minore, del trattamento sanzionatorio e del contesto familiare, i bisogni e le esigenze educative.

L'altra sentenza, ad avviso di chi scrive, da tenere ben a mente quando si parla di minori e processo penale è la n. 90/2017. In essa è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 656 co. 9 lett. a) c.p.p. nella parte in cui prevedeva la concessione della sospensione dell'esecuzione di pena detentiva per i minori condannati per reati come la rapina aggravata, che rientrano nel catalogo dei reati ostativi alla sospensione.

La pronuncia, in linea con un sistema di giustizia minorile orientato al recupero del minore ha evidenziato come il sistema stesso debba basarsi su prognosi particolarmente individualizzate del minore e dell'esigenza di specifica individualizzazione e flessibilità che l'evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono.

Non va dimenticato che il ruolo attribuito alla pena detentiva minorile è decisivo.

Questo ha portato la Corte Costituzionale ad un'altra pronuncia, rigida nei confronti del legislatore, del 1988, la n. 450 che ha enunciato l'inerzia perdurante del legislatore nel dettare una normativa ad hoc e differenziata per l'esecuzione penale minorile così protraendo nel tempo l'estensione provvisoria ai condannati minori nell'ordinamento penitenziario generale”. La Corte stessa aveva censurato più volte tali norme che prevedevano preclusioni rigide ed automatiche per i minori, impedendo una valutazione flessibile ed individualizzata all'idoneità ed alle opportunità delle misure e dei benefici.

Il principio di minima offensività

Il processo penale, in generale, è volto all'accertamento sulla verità sul fatto di reato e alla tutela della società, accertando la responsabilità penale dell'imputato e, nel caso del processo minorile, senza tralasciare la tutela della personalità del minore, in ossequio alla minima offensività.

In relazione al principio di minima offensività, vi sono delle figure di rilievo nel processo penale minorile che ne permettono l'applicazione.

In particolare, il giudice deve adeguare le norme alla personalità del minore facendo in modo che l'obiettivo primario sia quello di non procurargli un danno.

La figura del giudice ha vasti poteri come ordinare in ogni tempo l'accompagnamento coattivo del minore per prendere cognizione della sua situazione familiare, personale e sociale. Il giudice deve altresì spiegare all'imputato minorenne qual è il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza.

Orbene, tale dovere è ascrivibile al principio di minima offensività.

Altra figura molto importante in relazione al suddetto principio, è il Pubblico Ministero il cui compito è quello sì di esercitare l'azione penale in funzione della pretesa punitiva da parte dello Stato ma è assolutamente rilevante la cooperazione che egli effettua con altri organi dello Stato, al recupero del minore, subordinando la pretesa puniva.

Ma attenzione, ciò non significa che il PM non debba effettuare indagini, sostenere l'accusa o non accertare la verità.

Semplicemente e più dettagliatamente, per spiegare il punto, il PM deve adottare alcune scelte in adempimento al principio di minima offensività. Un esempio potrebbe essere la richiesta di pene che non vadano a stigmatizzare il minore o addirittura chiedere l'irrilevanza del fatto, il perdono giudiziale o la messa alla prova e comunque favorire delle soluzioni e delle misure alternative alla detenzione che consentono al minore un rapido reinserimento nella società.

Durante la fase delle indagini preliminari, sempre in relazione all'applicazione del principio di minima offensività, ruolo importante svolge la polizia giudiziaria che ha il primo contatto con il minore subito dopo la commissione del reato.

Le sezioni specializzate di polizia giudiziaria, istituiti presso ogni Tribunale per i Minorenni, sono subordinate al Procuratore della Repubblica e possono svolgere indagini ed interrogatori su sua delega.

Ora, data la specializzazione di tali agenti si garantisce al minore un contatto con personale dotato di specifiche attitudini e preparazione in modo da non incidere negativamente sul reo minorenne e sul suo percorso educativo.

Vero è che il personale è altamente specializzato e che ha il primo contatto ma è anche vero che la prima fase è il momento più difficile e delicato poiché in questa fase si adottano le misure precautelari e cautelari che possono anche condizionare scelte future.

Da ultimo, ma non per importanza previsto dall'art. 12, d.P.R. 448/1988, il principio di minima offensività si realizza anche con la costante presenza dei genitori che, affiancati dai servizi sociali, curano l'assistenza affettiva e psicologica del minore (nel caso di conflitto di interessi o di assenza di genitori verrà nominato un curatore speciale dal Tribunale per i Minorenni).

Il tribunale per i minorenni e gli organi di giustizia minorile

Nel 1934 con il r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 venne denominato “Istituzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni”.

Vennero istituiti i Tribunali per i minorenni ed i Centri di rieducazione per i minorenni, i quali attualmente ancora ricoprono il ruolo centrale di esecuzione dei provvedimenti civili ed amministrativi del Tribunale per i minorenni. Nel nostro ordinamento, tale organo venne istituito con carattere esclusivamente penale e solo successivamente un'importante pronuncia della Corte costituzionale, la sent, Corte cost. n. 222 del 1983, ne rilevò il riconoscimento a livello costituzionale, affermando che la tutela dei minori è garantita dalla stessa Costituzione, includendo quindi anche il Tribunale per i minorenni stesso, tra gli istituti che la Repubblica deve favorire e sviluppare.”

Con particolare riferimento all'ambito penale, il Tribunale dei minorenni è l'organo competente in materia di responsabilità penale di un minore, nello specifico, spetta al tribunale la competenza per i reati commessi dai minori di anni 18 e al Tribunale insieme con il magistrato di sorveglianza, spetta la competenza fino al compimento del venticinquesimo anno d'età del soggetto che ha commesso il reato da minore.

Ai sensi dell'art.2, d.P.R. 448/1988, rubricatoOrgani giudiziari nel procedimento a carico di minorenni”, gli organi competenti nel corso del procedimento sono: il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per i minorenni, il tribunale per i minorenni, il procuratore generale presso la corte d'appello, la sezione di corte d'appello per i minorenni ed il magistrato di sorveglianza per i minorenni.

Il Tribunale è un organo collegiale specializzato, composto da 4 giudici, 2 togati e 2 onorari, selezionati tra biologi, psichiatri, pedagoghi e psicologi. La composizione collegiale togato-laica è mantenuta sia per l'unico rito predibattimentale, ossia il giudizio abbreviato, sia in quello dibattimentale, ossia il rito ordinario, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo, oltre che nell'udienza preliminare, attraverso il GIP.

Gli organi monocratici invece sono il GIP ed il magistrato di sorveglianza.

Gli artt.2,  e 3, d.P.R. 448/1988, enunciano rispettivamente gli organi giudiziari nel procedimento a carico di minorenni e la loro competenza e, il PM è il primo organo giudiziario con il quale il minore entra in contatto, in quanto indiziato di reato o comunque con la notizia di reato a suo carico.

Gli altri organi e il ruolo dei servizi sociali minorili (ussm)

Il nostro ordinamento prevede, oltre a quelli già sopra menzionati, altri organi di giustizia minorile.

In particolare nel regolamento di attuazione del d.P.R. 448/1988, il d.lgs. 272/1989, all'art. 8 si prevede che i centri di giustizia minorile, si avvalgano di determinate strutture ausiliarie, quali: gli uffici dei servizi sociali per i minorenni (USSM), istituiti a livello locali, gli istituti di semilibertà presso gli istituti carcerari, i servizi diurni e i centri di prima accoglienza, ossia strutture pubbliche in cui i minori vengono accolti fino all'udienza di convalida delle misure precautelari.

Il r.d.l. n. 1404/1934 prevedeva la costituzione del Servizio Sociale Minorile che poi venne attivato solo grazie alla l. n.  1085/1962   con   cui   si   istituì   il   ruolo   del personale   del   Servizio   Sociale rendendolo svincolato dalla magistratura minorile e attribuendogli funzioni di inchiesta e di trattamento psicologico-sociale.  

Come stabilito dagli artt. 6,9,12,18,19 del D.P.R. 448/1988 e dagli artt. 7, 8,13,24, 27, d.lgs. di attuazione n.272/1989 i Servizi Minorili si occupano di assistere psicologicamente minori compresi tra i 14 e 18 anni sottoposti a procedimenti penali e i minori, anche sotto la soglia dei 14 anni, che sono sottoposti a misura di sicurezza.  

Essi hanno un ruolo attivo in caso di messa alla prova, redigendo il progetto e favorendo la conciliazione con la vittima del reato e si occupano anche dell'esecuzione dei provvedimenti penali.  

I Servizi Minorili sono disciplinati da varie leggi tra cui la l. 328/2000 che rappresenta il punto di arrivo dell'assistenza a favore dei minori, poiché si pone come obiettivo quello di un intervento cd. di rete, intervenendo anche con la famiglia, la scuola, il tribunale e il servizio sanitario, per poter offrire così una concreta possibilità di superamento delle difficoltà che il minore incontra nella società e offrirgli reali opportunità educative e di reinserimento sociale nel contesto sociale di appartenenza.  

I servizi sociali sono soggetti necessari del processo.

La Corte di cassazione (Cass.Pen.Sez. II, 2 marzo 2004 n. 9571) ha sostenuto che la mancata comparizione dei Servizi Minorili al processo non sia da qualificarsi come nullità in ossequio al principio di   tassatività delle nullità di cui all'art. 177 c.p.p.

A parere dello scrivente, il Servizio Minorile deve essere sempre e comunque presente, per lo meno a livello cartaceo con la presenza delle relazioni agli atti.

Tornando gli USSM, questi collaborano con il Tribunale per i Minorenni e si occupano della presa in carico del minore autore del reato. Questo avviene attraverso la stesura di un progetto che garantisce assistenza completa al minore, con supporto in tutte le fasi del procedimento penale, promuovendo percorsi di crescita e responsabilizzazione.

Praticamente è un sistema di supporto all'autorità giudiziaria nelle varie fasi del procedimento.

L'iter procedimentale: le indagini preliminari

Già nella fase delle indagini preliminari vengono adottare delle misure a salvaguardia del minore. Dall'acquisizione, alla verifica della fondatezza della notizia di reato, seguono alcune attività che rinvengono la particolarità del rito minorile.

Più nel dettaglio, l'art. 7, d.P.R. 448/1988 prevede l'obbligo di notifica dell'informazione di garanzia anche a chi esercita la responsabilità genitoriale.

Orbene, come è stato rilevato all'inizio di questo scritto, è importante soffermarsi sull'età esatta dell'imputato al momento della commissione del reato, in quanto il Tribunale dei Minorenni è competente per i reati commessi dal minore di anni 18, anche se l'avvio del procedimento è successivo e l'imputato raggiunga la maggiore età.

Nel caso di incertezza sul tempus commis delicti o comunque sull'età al momento del compimento, intervengono l'art. 67 c.p.p. e l'art. 8 del d.P.R., norme destinate a far sì che il giudice disponga una perizia sull'imputato e, nel caso rimanga incertezza, il giudice si deve apprestare a pronunciare una sentenza di non luogo a precedere per effetto del favor minoris.

L'iter procedimentale: le indagini preliminari

Già nella fase delle indagini preliminari vengono adottare delle misure a salvaguardia del minore. Dall'acquisizione, alla verifica della fondatezza della notizia di reato, seguono alcune attività che rinvengono la particolarità del rito minorile.

Più nel dettaglio, l'art. 7, d.P.R. 448/1988 prevede l'obbligo di notifica dell'informazione di garanzia anche a chi esercita la responsabilità genitoriale.

Orbene, come è stato rilevato all'inizio di questo scritto, è importante soffermarsi sull'età esatta dell'imputato al momento della commissione del reato, in quanto il Tribunale dei Minorenni è competente per i reati commessi dal minore di anni 18, anche se l'avvio del procedimento è successivo e l'imputato raggiunga la maggiore età.

Nel caso di incertezza sul tempus commis delicti o comunque sull'età al momento del compimento, intervengono l'art. 67 c.p.p. e l'art. 8 del d.P.R., norme destinate a far sì che il giudice disponga una perizia sull'imputato e, nel caso rimanga incertezza, il giudice si deve apprestare a pronunciare una sentenza di non luogo a precedere per effetto del favor minoris.

Le misure precautelari: arresto e fermo

All'interno del d.P.R. 448/1988 sono comprese, da una parte, le misure c.d. precautelari, quindi, arresto e fermo e dall'altra, le misure cautelari.

Le misure precautelari si ritengono sempre facoltative, ammissibili nelle ipotesi di reati di una certa gravità e che contemplano soglie edittali particolarmente elevate, a differenza di quanto previsto per gli adulti.

  • arresto

Ai sensi dell'art. 16 d.P.R. 448/1988, la misura dell'arresto è consentita solo con riferimento ai delitti per i quali, a norma dell'art. 23 dello stesso decreto, può essere disposta la custodia cautelare, quindi per i delitti non colposi punibili con l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni, ovvero per alcune gravi fattispecie tassativamente elencate. La misura è sempre facoltativa e presuppone lo stato di flagranza, o quasi flagranza, come disposto dal co.1 Art. 16. Il potere discrezionale di disporre l'arresto va esercitato tenendo conto di tre parametri indicati dal co. 3 dello stesso articolo, ossia: gravità del fatto, tale da intendersi la condotta tenuta in concreto, l'età del minore e la sua personalità.

Per quanto concerne il computo della pena, vengono seguite le disposizioni cui all'art. 379 c.p.p., che rimanda all'art. 278 c.p.p., per cui, si individuano quindi gli stessi criteri che operano per gli adulti.

Cosa succede dopo l'arresto?

A seguito dell'avvenuto arresto, la polizia giudiziaria provvede alla comunicazione dello stesso, in primo luogo al PM affinché possa effettuare un controllo di legittimità e quindi proseguire il percorso giudiziario, poi informa poi l'esercente la potestà genitoriale o l'eventuale affidatario, per il sostegno a livello emotivo, ed infine, comunica la misura ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, per il supporto psicologico.

  • fermo

Con riguardo al fermo, questa misura è prevista per i casi in cui è ammesso l'arresto, tuttavia è necessaria la presenza di una condizione aggiuntiva, ossia che la pena minima edittale non sia inferiore a 2 anni di reclusione, ai sensi dell'art. 17 d.P.R. 448/1988. La disposizione della misura del fermo avviene se sussiste il pericolo di fuga e se la persona nei confronti della quale sia disposto sia un soggetto gravemente indiziato di un reato.

La misura precautelare del fermo si ritiene disponibile da parte sia del PM che della polizia giudiziaria, a differenza dell'arresto, che è invece atto della sola polizia giudiziaria. Per quanto concerne l'ambito minorile, si ritiene disponibile negli stessi casi e con le stesse modalità dell'arresto in flagranza, quindi tenendo conto della gravità del reato, dell'età e della personalità del minore, ovvero ai gravi indizi di colpevolezza. Si rileva tuttavia la differenza per quanto attiene i margini edittali dei reati per cui si procede, i quali oltre che essere punibili con la reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni e rientrare nelle fattispecie tassativamente indicate per il ricorso alla custodia cautelare, dovranno essere anche sanzionabili nel minimo con la reclusione non inferiore a 2 anni.

Le misure cautelari

L'art. 23 d.P.R. 448/1988 è rubricato “Custodia cautelare”, ciò che si rende immediatamente evidente è la mancanza della locuzione “in carcere”, diversamente da quanto previsto dall'articolo 285 c.p.p., con riguardo alla stessa misura cautelare applicata invece al processo a carico di imputati maggiorenni; questa differenziazione esiste proprio per il carattere particolare del sistema di giustizia minorile. L'ambito applicativo della custodia cautelare si è perfezionato con l'entrata in vigore del d.lgs. 12/1991, il quale amplia il novero degli illeciti per i quali si può ricorrere alla misura detentiva. Inizialmente la custodia cautelare veniva disposta solamente nel caso in cui si stesse procedendo per delitti che prevedevano la reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni e tale disposizione concordava con quanto indicato nel paragrafo 13 delle Regole di Pechino, ai sensi del quale “la custodia preventiva può essere una misura usata come ultimo mezzo” prevedendo inoltre la sua applicazione solo quando altre misure risultassero inefficaci.

Tuttavia, a seguito del suddetto ampliamento di reati per i quali è prevista l'applicazione della misura, l'idea dell'applicazione della stessa come extrema ratio diventò sempre più lontana e questa si affiancò al criterio quantitativo per l'individuazione dell'ambito applicativo di un provvedimento restrittivo, anche un criterio di tipo qualitativo.

Il ricorso alla custodia cautelare viene effettuato in relazione alla qualità della condotta, resta quindi inapplicabile per i fatti non gravi. Per le fattispecie di reato con massimi edittali al di sotto dei 5 anni, ossia anche in presenza limiti che giustificherebbero l'applicazione della misura, il giudice può sempre ricorrere ad una delle altre misure contemplate dall'ordinamento.

La misura della custodia cautelare si attua, ai sensi delle disposizioni di giustizia minorile, esclusivamente negli istituti penali per minorenni (IPM), che hanno il compito di seguire il percorso dei condannati minorenni, non solo per le pene detentive ma anche per questa particolare misura cautelare.

Il comma 2 dell'art. 23, d.P.R. 448/1988 sancisce particolari esigenze cautelari in vista dell'adozione della misura in questione, diverse da quelle stabilite per le altre misure, le quali per difetto di diversa disciplina, possono invece essere applicate quando ricorra una delle condizioni previste dall'art. 275 c.p.p., parimenti a quanto previsto nel procedimento a carico

di adulti. Si prevede in particolare, che per l'applicazione della custodia cautelare in carcere debba sussistere non solo il criterio della inderogabilità, ma anche quello della gravità, in linea con quanto predisposto dall'art. 3 lett. h della legge delega; tuttavia, prevedendo una disciplina più restrittiva di quella ordinaria, la lett. h) dell'art. 3 esclude che il pericolo di fuga possa giustificare l'adozione della misura di custodia cautelare e ciò entra in contrasto con quanto dispone la lett. B) dell'art. 23 comma 2. A tal proposito, si richiama qui una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 359/2000 che dichiarò illegittimità costituzionale dell'art. 23 comma 2 lett. b per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, statuendo che in ambito minorile si sarebbero violati i criteri della delega, consentendo il ricorso alla custodia in carcere per i minori in una ipotesi nella quale la delega non lo prevedeva”, da ciò se ne deduce quindi che il criterio del pericolo di fuga non possa giustificare l'applicazione della custodia cautelare ad un minorenne.

Poi, il comma, 3 dell'art. 23 stabilisce i termini della custodia cautelare, individuando che gli stessi applicabili nei confronti di imputati maggiorenni sono ridotti della metà per i reati commessi da minori di anni 18 e di due terzi per quelli commessi da minori di anni 16 e decorrono dal momento della cattura, dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento.

Riguardo ai termini, qualora non venga compiuto l'atto indicato dalla legge entro il termine precisato, il sottoposto sarà rimesso in libertà; viceversa, qualora l'atto sia compiuto, inizierà a decorrere un nuovo termine autonomo dal precedente. La durata della misura consegue alla gravità astratta del reato fino alla sentenza, la quale dipende dalla concreta pericolosità, individuata dalla quantità di pena inflitta.

Ebbene, nel novero delle misure cautelari concretamente applicabili ai minori, oltre alla custodia cautelare, rientrano le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità e la custodia cautelare, non essendo possibile un'applicazione delle stesse ai minori mutandole dal sistema per gli adulti, sia con riguardo alla tipologia sia con riguardo alle modalità delle stesse.

Tali misure cautelari sono inserite in un sistema scalare ad afflittività progressiva crescente, ciò significa che in caso di gravi e ripetute trasgressioni derivanti da ciascuna misura, il giudice potrà procedere ad applicare quella immediatamente più gravosa rispetto alla precedente.

E allora, per violazione delle prescrizioni, sarà applicata la permanenza in casa, per violazione degli obblighi o per allontanamento ingiustificato dall'abitazione, la permanenza in casa potrà essere sostituita con il collocamento in comunità, ovvero la violazione delle disposizioni previste per il collocamento in comunità potrà comportare la sostituzione di quest'ultimo con la

custodia cautelare, di durata non superiore a 1 mese e solo in caso in cui si proceda per un delitto per cui è prevista la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni.

Ai sensi degli artt. 291 e ss, sede naturale di disposizione delle misure cautelari è quella delle indagini preliminari, da parte del giudice con ordinanza motivata, sulla base della richiesta del pubblico ministero. La richiesta di quest'ultimo può essere successiva all'arresto o al fermo del minore, ovvero in un altro momento delle indagini o all'esito delle stesse.

Importante è dire che a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Caivano, d.l. n. 123/2023, per quanto attiene la soglia di applicabilità delle misure diverse dalla custodia cautelare, ai soggetti maggiori di anni 14, è stabilito che la stessa si abbassi da 5 a 4 anni.

Le prescrizioni

Rappresentano degli obblighi o dei divieti di fornire al ragazzo input uniti alla crescita dell'autostima e della personalità. Le prescrizioni durano diversi mesi e possono essere rinnovate una sola volta.

Durante le prescrizioni i Servizi di Giustizia Minorile monitorano l'adattamento del percorso e ne comunicano le variazioni al giudice che, nel caso di violazione ne dispone una più grave.

  • la permanenza in casa

Questa obbliga il minore a rimanere nella propria abitazione o in una casa privata, a seguito della valutazione del contesto abitativo e dei rapporti che intercorrono con i familiari.

Nel caso in cui la famiglia non sia atta a svolgere i compiti nei confronti del minore, il giudice può disporre la misura presso una comunità.

C'è una differenza con gli arresti domiciliari per gli adulti: il giudice qui, può autorizzare lo svolgimento di vita sociale del minore sulla base delle sue esigenze educative.

Anche qui, i Servizi Minorili monitorano il percorso e aggiornano l'autorità giudiziaria.

  • il collocamento in comunità

Prevede l'obbligo per il minore di risiedere in strutture dedicate alle problematiche giovanili ed organizzate secondo un modello di tipo familiare.

Al loro interno, il minore deve seguire le prescrizioni del giudice, ma può comunque partecipare a diverse attività scolastiche. I servizi Sociali qui si occupano di trasmettere al Servizio Tecnico ovvero all'area di protezione giuridica, prevenzione e recupero della devianza minorile, le informazioni necessarie per individuare la comunità che risponda nella maniera più adeguata alle esigenze del minore.

Una volta che è stata individuata questa comunità, l'assistente sociale del minore monitora il percorso del ragazzo e di occupa di informare l'autorità giudiziaria periodicamente, circa il suo andamento.

L'udienza preliminare

Quella dell'udienza preliminare è la fase con il momento più significativo del processo minorile.

Molti fattori incidono sull'udienza preliminare: di tale udienza deve averne avviso la persona offesa dal reato, i Servizi minorili che hanno svolto attività per il minore e chi esercita la potestà genitoriale (che ha l'obbligo di comparire, se non compare senza giustificato motivo può essere condannato al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende).

Ebbene, nell'udienza preliminare, il Tribunale dei Minorenni giudica composto da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna.

Nel prevedere una tale composizione il legislatore ha attuato una scelta che si pone a metà tra quella del processo ordinario, che affida al GIP la competenza dell'udienza preliminare, e l'altra di attribuire la stessa al tribunale per i minorenni.

Dunque, il GUP minorile costituisce un organo giudiziario diverso, rispetto al GIP, sia per la struttura che per la competenza: la differenza con il GUP ordinario (monocratico) è data dalla necessità di non escludere la componente laica rappresentata da due giudici onorari, giacchè nei procedimenti minorili la maggior parte viene definita in udienza preliminare grazie ad istituti quali ad es. “il non luogo a procedere”.

L'udienza preliminare è anche volta a definire la cd. devianza media con formule assolutorie, indulgenziali o con condanne a pene diverse dalla detenzione.

La definizione anticipata del processo è stata subordinata dalla l. 63/2001 al consenso del minore in modo da porsi in linea con il principio costituzionale del contraddittorio, per l'accertamento dei fatti, della responsabilità e del consenso dell'imputato (la Corte Costituzionale è intervenuta con una sentenza ablativa, la n. 195/2002, riguardo gli epiloghi proscioglitivi, escludendo la necessità del consenso dell'imputato in relazione alle sentenze di non luogo a procedere che non presuppongono un accertamento di responsabilità).

Infine, il GUP emetterà un provvedimento impugnabile grazie al particolare mezzo dell'opposizione che consente l'instaurazione del giudizio dibattimentale dinanzi al Tribunale per i Minorenni. A proporre opposizione sono legittimati l'imputato, il suo difensore munito di procura speciale e l'esercente la potestà genitoriale, entro un termine di 5 giorni. Tale opposizione non deve essere necessariamente motivata ma basta che vi sia una esplicita richiesta dello svolgimento della fase dibattimentale.

Sono ammessi i riti speciali?

L'art. 25 del d.P.R. 448/1988 opera una selezione di riti applicabili (i cd. riti speciali previsti dal codice di procedura penale) che risultano essere in linea con le esigenze del processo minorile.

La norma sancisce l'incompatibilità di alcuni riti speciali, invero, non è possibile chiedere la pena su richiesta e cioè il patteggiamento perché il minore ultraquattordicenne imputato, viene considerato come non dotato della capacità di valutazione e di decisione che al contrario richiedono una piena maturità e consapevolezza nella scelta.

La ragione, a parere dello scrivente, è che non si può presentare al minore una “pena da contrattare” in quanto sarebbe altamente diseducativo.

Sono invece ammessi, in quanto non esplicitamente esclusi, il rito abbreviato e il giudizio immediato. Quest'ultimo è precluso qualora vada a pregiudicare gravemente le esigenze educative del minore.

L'ammissione del rito direttissimo, invece, è consentita solo qualora il minore sia già conosciuto dai Servizi Sociali Minorili, sia sotto il profilo personale che familiare. La possibilità di ricorrere al giudizio direttissimo non è contemplata nel caso di arresto in flagranza o nell'ipotesi di accompagnamento e possono essere ammessi anche i minori che abbiano commesso delitti non colposi per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni.

Il dibattimento

Il dibattimento rappresenta il momento privilegiato del giudizio ma nel procedimento penale minorile, per tutte le ragioni sopra esposte, risulta residuale.

L'udienza dibattimentale si svolge a porte chiuse e l'esame dell'imputato è condotto direttamente dal presidente, anche su domande o contestazioni dal PM e dal difensore. Ne consegue che il minore imputato non è sottoponibile alla cross examination.

         

Gli IPM e l'esecuzione penale minorile

L'Art. 6 d.P.R. 448/1988 ed in particolare l'art. 8 delle disposizioni attuative, fanno rientrare nella nozione di servizi dei centri per la giustizia minorile, in primo luogo gli uffici di servizio sociale per minorenni e gli istituti penali per minorenni.

Gli IPM assicurano l'esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziari, tra cui la custodia cautelare e l'espiazione di pena dei minorenni autori di reato.

Essi si caratterizzano per la loro funzione di adempiere all'obiettivo di risocializzazione del minore autore di reato, così per come disposto dalle norme a tutela dei minori stessi, in un contesto che permette la valorizzazione delle attitudini dei giovani e che favorisce opportunità di reinserimento sociale, mediante particolari attività volte alla formazione professionale, ma anche culturale e sportiva. Tali istituti perseguono la finalità di rendere il percorso di responsabilizzazione del minore il più concreto possibile, non in un'ottica punitiva quanto piuttosto di consapevolezza e di opportunità di crescita individuale, mantenendo in ogni caso il rispetto del principio di non interruzione dei processi educativi in atto, ciò anche grazie a continui rapporti e legami con le figure più significative della vita di ciascun minore.

Solo con il d.lgs. n. 121/2018 sono state regolamentate sia l'esecuzione interna agli Istituti penali minorili, che quella esterna.

L'art. 1 comma 2 del Decreto prevede le finalità che la pena detentiva e le misure penali di comunità devono perseguire. È ovvio che l'obiettivo principale è quello di favorire i percorsi di giustizia riparativa, incentivando il minore alla responsabilizzazione e all'educazione, con particolare attenzione allo sviluppo psico-fisico e alla futura reintegrazione sociale con percorsi di istruzione e formazione lavorativa, attività culturali, sportive e di utilità sociale.

Ruolo fondamentale svolge l'Ufficio del Servizi Sociali per i Minorenni (USSM) che funge da collegamento con i vari servizi minorili e da referente istituzionale per l'autorità giudiziaria.

La Corte Costituzionale è intervenuta più volte in materia e sono da ricordare 3 sentenze:

  • La Corte cost. sent. n. 109/1977, che dichiarò l'inapplicabilità ai minori dell'art. 67, l. 689/1981, il quale vietava la concessione del beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali o della semilibertà a chi violava le prescrizioni relative alla semidetenzione o alla libertà controllata:
  • Le sent. n. 403/1997 e n. 450/1998 che dichiararono illegittimi i commi 4 alla lett. C) e 5 dell'art. 30-ter della l. n. 354/1975 che poneva limitazione alla concessione di permessi premio.

Numerosi sono stati nel corso degli anni i progetti di riforma.

Il primo vero progetto di riforma organica si ebbe il 6 agosto 2007, con il provvedimento n. 28650 dell'allora capo del Dipartimento di Giustizia, Carmela Cavallo. Venne istituito un gruppo di lavoro con il compito di elaborare una proposta per l'ordinamento penitenziario minorile in linea con gli ordinamenti europei e, nel 2010, il progetto fu presentato in Parlamento.

Il progetto, composto da 52 articoli, non si limitava a disciplinare la nuova materia dell'esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale dei minori condannati, ma soprattutto innovava la gamma di sanzioni che potevano essere irrogate al minore in caso di condanna.

Orbene, quanto alla tipologia di sanzioni sostitutive previste dal progetto, erano delineati 3 scaglioni di pena: se il Tribunale per i minorenni riteneva di dover irrogare una per detentiva entro il limite massimo di 2 anni,  poteva condannare alla semidetenzione o alla libertà controllata; se il limite massimo era di 1 anno, la sanzione applicabile era la permanenza domiciliare o l'obbligo di svolgere un'attività riparatoria a favore della persona offesa o danneggiata da reato oppure una prestazione di pubblica utilità; infine, se il limite massimo della pena da irrogare era di 6 mesi, il giudice poteva scegliere in alternativa, la permanenza domiciliare nei fine settimana o una condanna a sanzione interdittiva.

La sentenza della Corte costituzionale n.168 del 28 marzo 1994 dichiarò illegittimità costituzionale dell'applicazione della pena dell'ergastolo anche ai minori, ciò in virtù dell'incompatibilità della misura con la particolare situazione del soggetto minorenne e in vista di una prospettiva di futuro riqualificante e per una risocializzazione successiva.

Come si è avuto modo di sottolineare in precedenza, le pene principali, in materia di processo minorile, sono sempre accompagnate dall'attenuante generale della minore età, ai sensi dell'art. 98 c.p. e per quanto previsto dalle disposizioni degli artt. 63,65,67 e 69 c.p.

Tornando al D.Lgs menzionato all'inizio del paragrafo, l'Art. rubricato “Progetto di intervento educativo”, prevede una predisposizione del progetto educativo entro 3 mesi dall'inizio dell'esecuzione della pena, progetto elaborato mediante l'ascolto del condannato e l'aiuto di personale esperto, per l'individuazione del percorso più adatto a ciascun individuo minorenne. Invero, la detenzione non si propone come una misura volta ad isolare il minore, quanto piuttosto come un mezzo per ripristinare, nel sentimento della legalità, le relazioni che a seguito dell'espiazione della pena i detenuti troveranno una volta usciti. Il successivo Art.15 del D.lgs. 121/2018 disciplina poi le modalità di assegnazione nelle strutture detentive dei minori205, andando a riprendere le disposizioni circa i criteri oggettivi di assegnazione, previsti dalla legge di ordinamento penitenziario all'art. 14.

I detenuti sono suddivisi per età anagrafica, sesso, tipo di condanna subita e status giudiziario e penitenziario, sono separati dagli internati e gli imputati sono separati dai condannati. Tale separazione da una parte ed il raggruppamento dall'altra sono volti a mettere in pratica al meglio il progetto educativo, che contempla di per sé attività di socialità e di trattamento collettive; inoltre, con le suddivisioni si permette una migliore distribuzione delle risorse del personale dell'istituto stesso.

Il disciplinare n. 2 sugli istituti penitenziari minorili, allegato alla circolare n. 1 emanata dal Capo Dipartimento per la giustizia minorile, il 18 marzo 2013, richiamata nelle Linee di indirizzo per i servizi minorili e per l'esecuzione penale esterna per gli adulti”, del 17 gennaio 2017, sancisce che “la divisione dei detenuti deve essere garantita in determinati momenti della giornata, specialmente quelli riguardanti il pernottamento, la consumazione dei pasti, ovvero durante le attività ricreative.”

Il D.lgs. 121/2018 inserisce poi ulteriori disposizioni circa gli spazi all'interno degli istituti e in materia di permanenza all'esterno, istruzione e formazione professionale, colloqui e tutela dell'affettività, in particolare all'art. 19. Sono previste, infine, anche numerose regole di comportamento da rispettare all'interno degli istituti, ai sensi dell'art. 20, quindi l'osservanza di orari, cura dell'igiene personale, pulizia e ordine della camera, ovvero la partecipazione alle attività di istruzione, lavoro, cultura e sport. Ai sensi dello stesso art. 20 tali disposizioni sono volte a favorire la responsabilizzazione del minorenne o del giovane adulto, quindi ad agevolare l'adesione ai programmi di intervento educativo. La violazione di tali regole potrà dare luogo a responsabilità disciplinare solo nel caso in cui il fatto sia previsto come infrazione nell'apposito elenco contenuto all'art. 77 d.P.R. 230/2000; tra gli illeciti puniti, vi sono: il ritardo ingiustificato nel rientro dal permesso; il ritardo ingiustificato nel rientro dalla licenza del semilibero e quello dell'internato; il ritardo ingiustificato nel rientro serale del semilibero. Per quanto concerne le infrazioni disciplinari si prevedono le seguenti sanzioni: il rimprovero verbale o scritto del direttore dell'istituto; la previsione di attività atte a rimediare al danno cagionato; l'esclusione dalle attività ricreative per non più di 10 giorni ed infine l'esclusione dalle attività in comune per più di 10 giorni.

La diversation… e le procedure giudiziarie

Nel processo penale minorile, il principio cardine che ha orientato le scelte del legislatore è quello, come è stato ampiamente detto, della tutela del minore che in questo caso è realizzata con la rapida “uscita” dello stesso dal circuito penale.

Per questo nell’ordinamento sono stati inseriti dei meccanismi di cd. diversation o diversione dal processo o dalla pena, a seconda dell’istituto, finalizzati e sottrarre il minore all’apparato della giustizia penale e ad un epilogo sanzionatorio.

Ipotesi di diversation sono la rinuncia all’azione penale che porta alla sospensione anteriore del dibattimento, la possibilita di sostituire le pene con misure riabilitative sociali.

La mediazione penale e giustizia riparativa

Come ampiamento detto sopra, gli istituti del diritto penale minorile sono stati creati dal legislatore per rispondere ad esigenze educative del minore.

La giustizia riparativa è dunque un percorso di mediazione tra la vittima e il reo che permette di realizzare uno spazio all'interno del quale possono essere esprimessi sentimenti riguardo al fatto che li coinvolge e allo stesso tempo tale strumento potrebbe essere un responsabilizzante e utile alla rieducazione.

La mediazione penale nel nostro ordinamento è stata introdotta grazie a varie fonti internazionali (Convenzione ONU del 1985, Raccomandazione n. 20 del Consiglio d'Europa del 1987, Raccomandazione n. 19 del Consiglio d'Europa del 1999) e, entrando più nello specifico, la mediazione penale minorile è disciplinata dagli artt. 9, 27, 28 del d.P.R. 488/1988.

Ai sensi dell'art. 9 il PM può chiedere agli operatori dell'ufficio di mediazione, di assumere informazioni sul minore per valutare la possibilità di realizzare una mediazione tra il minore, autore del reato e la vittima. In questa fase, la mediazione è importante anche per la valutazione dell'applicazione della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.

Per l'esito della mediazione, è ovvio che non si riscontra alcun problema in caso di esito positivo e il minore si sia riconciliato con la vittima ed ha portato a termine il progetto di messa alla prova, verrà pronunciata la sentenza di estinzione del reato. Nel caso in cui, invece, l'esito della mediazione sia negativo, potrebbero nascere delle difficoltà del risultato della “riparazione” ai fini della messa alla prova.

Forme di giustizia riparativa possono essere quella della financial restitution to victim ovvero il risarcimento del danno provocato nell'ambito della messa alla prova, dove la vittima riceve parte del denaro che il minore percepisce durante le attività indicate nel programma e nel progetto; c'è anche il caso del personal service to victim ovvero la prestazione dell'attività lavorativa a favore della vittima di reati; infine, c'è la riappacificazione tra l'autore e la vittima del reato la cui procedura viene effettuata senza mediatore.

Le misure penali di comunità

Sono disciplinate dal Capo II del d.lgs. n. 121/2018 e vengono definite come misure alternative alla detenzione.

Le principali sono:

  1. L'affidamento in prova al servizio sociale;
  2. L'affidamento in prova con detenzione domiciliare;
  3. La detenzione domiciliare;
  4. La semilibertà.

a. L'affidamento in prova al servizio sociale

È una misura penale di comunità adottata nei casi in cui la pena detentiva da scontare non supera i 4 anni. Per essa è prevista la redazione di un programma di intervento educativo con diversi impegni da seguire, relativi alla giustizia riparativa, all'istruzione, alla formazione lavorativa o di utilità sociale.

Il minore, durante la durata della misura, viene seguito dal USSM ovvero dall'Ufficio del Servizio Sociale Minorile che fa da riferimento e collegamento con il Magistrato di Sorveglianza che verrà informato nel caso in cui vi siano delle modifiche da attuare.

b. L'affidamento in prova con detenzione domiciliare

Si verifica quando il Tribunale di sorveglianza garantisce al minore, affidato ai servizi sociali, di trascorrere alcuni giorni alla settimana presso la sua abitazione. Vengono così calibrate le esigenze educative e di sicurezza facendo emergere, in maniera evidente, la tutela delle attività che possono essere utili al minore per non interrompere i processi di sviluppo.

c. La detenzione domiciliare

Questa non prevede l'affidamento in prova ai Servizi Sociali ma solo la possibilità di scontare la pena presso la propria abitazione.

Il requisito è una pena inferiore ai 3 anni e viene utilizzato quando non sussistono le condizioni per l'affidamento in prova al servizio sociale o per l'affidamento in prova con detenzione domiciliare. Qui, gli USSM prevedono sempre delle attività utili dal punto di vista pedagogico, formativo e dell'inclusione sociale.

Ovviamente il minore non può allontanarsi dal luogo in cui sta scontando la pena, se non previa autorizzazione del magistrato.

d. La semilibertà

È adottata per coloro che hanno espiato almeno 1/3 della pena.

Ad essi viene garantito di trascorrere del tempo fuori dall'IPM per partecipare ad attività di istruzione, formazione lavorativa e utilità sociale.

In questo caso il minore verrà principalmente monitorato per gli orari di entrata e di uscita e sulle modalità di rapporto con la famiglia e con gli USSM.

L'educatore

Dopo quanto analizzato finora è emerso che il cambiamento che viene richiesto al minore deve essere necessariamente basato su un progetto da portare a termine, in quanto deve prospettarsi la possibilità di ricostruire la propria identità personale a fronte di nuove sollecitazioni e non modificando il proprio comportamento, basandosi sulle esperienze che già si possiedono.

Con l'introduzione del d.P.R. 448/1988 la previsione di una regolazione al procedimento penale a carico di minori, viene ancora più in rilievo la necessità di differenziazione tra giovani e adulti, prevedendo la correlazione e l'intervento mutuale di una larga schiera di soggetti, quali il minore stesso, la sua famiglia, ma anche l'ambiente in cui lo stesso è abituato a vivere, quindi la scuola o il lavoro e fondamentale, anche l'intervento degli stessi servizi sociali ministeriali, che, come si diceva, sono tenuti ad un dovere di assistenza psicologica ed affettiva, durante tutto il corso del procedimento.

Tale mutamento nel comportamento del minore trova la sua base nell' attuazione del progetto educativo. Emerge la relazione che viene a crearsi con l'educatore ovvero una figura che rappresenta il primo tassello di cambiamento nella ricostruzione identità del minore e che  rappresenta una fonte di sostegno in grado di impartire quella sicurezza che spesso è venuta a mancare nel giovane.

Il progetto educativo è basato sul continuo dialogo e sulla cooperazione nella realizzazione dello stesso da parte del minore, il quale è chiamato egli stesso a negoziare regole e norme sulle quali basare il percorso, maturando senso critico e capacità di autoregolarsi.

Nel corso di tutto il progetto educativo, l'educatore sostiene il minore, lo incoraggia verso le sue potenzialità, non lo sminuisce o lo colpevolizza per ciò che ha fatto.

In conclusione

Traendo le conclusioni da quanto affrontato nel focus, l’analisi del sistema di giustizia minorile ha permesso di mettere al centro dell’elaborato un tema sicuramente di grande complessità e di rilevanza sociale. Dal panorama storico e normativo è emerso che il sistema giudiziario penale minorile in Italia ha subito nel corso degli anni una significativa evoluzione. Ciò ha permesso di raggiungere una maggiore consapevolezza nell’importanza di considerare le specificità pedagogiche, sociali e soprattutto familiari dei giovani autori di reati.

Concludendo, l’introduzione del Codice di procedura penale minorile nel 1988 ha rappresentato un cambiamento fondamentale nel modo in cui il nostro ordinamento affronta la devianza minorile. Non si tratta più solo di punire ma soprattutto di comprendere, educare e offrire al minore una vera possibilità di cambiamento. Infatti la normativa attuale mette al centro la persona e il suo percorso di crescita, con l’obiettivo di favorire il reinserimento nella società e prevenire future condotte devianti.

Un approccio che riconosce il valore educativo della giustizia e l’importanza di investire sul futuro dei giovani.

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