Reclamo ex art. 51 c.c.i.i.: la contestazione della responsabilità del legale rappresentante
22 Settembre 2025
La vicenda è, in breve, la seguente. Con sentenza, il Tribunale di Vicenza ha dichiarato, l'8 febbraio 2024, l'apertura della liquidazione giudiziale di una società. Avverso tale pronuncia, la società stessa ha proposto reclamo ex art. 51 c.c.i.i., deducendo l'insussistenza dello stato di insolvenza. La Corte d'Appello, con provvedimento depositato il 27 giugno 2024, ha rigettato il reclamo e condannato con il medesimo provvedimento il legale rappresentante della società reclamante al pagamento delle spese processuali e agli oneri ex art. 51, comma 15, c.c.i.i., quale effetto della «manifesta infondatezza» del reclamo, per non avere agito con «diligente ponderazione circa l'inconsistenza delle ragioni di reclamo». Ha proposto ricordo per cassazione la società reclamante, deducendo, tra l'altro, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto «nella parte in cui la sentenza impugnata ha condannato anche il legale rappresentante in solido al pagamento delle spese processuali senza avere accertato la colpa grave del medesimo». La Corte ha ritenuto inammissibile il motivo, precisando in primo luogo che la norma ratione temporis rilevante per il caso di specie sia l'art. 51, comma 15, c.c.i.i. nella versione precedente alle novità apportate dall'art. 12, comma 9, lett. e), d.lgs. n. 136/2024 (applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 settembre 2024). La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto, da parte della corte d'appello, del reclamo avverso la pronuncia con cui è disposta l'apertura della liquidazione giudiziale, l'affermazione del presupposto della responsabilità del legale rappresentante di cui all'art. 51, comma 15, c.c.i.i. non discende dall'avere la società o l'ente dato causa a un giudizio infondato, bensì, secondo la formulazione della norma – applicabile alla fattispecie ratione temporis e precedente la novella del d.lgs. n. 136/2024 – dall'avere egli agito senza la normale prudenza (colpa grave) ovvero con mala fede, conferendo la procura per l'impugnazione; la conseguente condanna in solido al pagamento delle spese del giudizio e al raddoppio del contributo unificato (ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002), può essere censurata, mediante il ricorso per cassazione, unicamente dalla parte da essa incisa, così che, in assenza della relativa autonoma impugnazione, individualmente o anche congiuntamente alla società proposta, si forma il giudicato interno in relazione a tale capo della decisione; ne deriva che il relativo ricorso per cassazione proposto su tale capo della sentenza dalla sola società è inammissibile». Chiarisce, cioè, la Corte, che il legale rappresentante della società assoggettata a liquidazione giudiziale, il cui reclamo sia stato rigettato e per il quale sia stata accertata la responsabilità a termini dell'art. 51, comma 15, c.c.i.i., ha l'onere – benché non costituito nel giudizio di reclamo – di proporre impugnazione del capo di condanna alle spese processuali, pena la formazione di un giudicato interno. Se, come nella vicenda sottoposta al vaglio della Corte, il motivo viene proposto dalla sola società, lo stesso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. |