I presupposti per la concessione e la revoca delle misure protettive ex artt. 18-19 c.c.i.i. nella composizione negoziata della crisi d’impresa

23 Settembre 2025

Lo scritto analizza, alla luce della normativa vigente, dell’evoluzione giurisprudenziale e delle novità del Correttivo-ter (d.lgs. 136/2024), l’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 27 febbraio 2025, che ha rigettato l’istanza di conferma delle misure protettive ex artt. 18 e 19 c.c.i.i., a causa della carenza di un programma industriale e della mancata instaurazione di trattative per la falcidia del credito erariale.

Massima

Nell'ambito della procedura di composizione negoziata della crisi d'impresa, ai fini della conferma delle misure protettive ex artt. 18 e 19 c.c.i.i., è necessario che il Tribunale accerti la concreta perseguibilità del risanamento dell'impresa, anche alla luce dell'esito del test pratico e della reale rappresentazione dello squilibrio patrimoniale ed economico-finanziario. In difetto di un programma industriale strutturato e in assenza di trattative con il ceto creditorio, l'istanza di conferma della concessione delle misure protettive deve essere rigettata.

Il caso

Con l'Ordinanza del 27 febbraio 2025, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l'istanza di conferma della concessione delle misure protettive del patrimonio ex art. 18 e 19 c.c.i.i., nell'ambito della composizione negoziata della crisi d'impresa ex art. 12 e ss c.c.i.i., sul presupposto della non ragionevole efficacia del piano di risanamento prospettato dalla società ricorrente e, conseguentemente, del mancato raggiungimento dell'obiettivo di risanamento di impresa che, come si dirà nel prosieguo, non è stato ritenuto plausibile.

Per meglio comprendere la portata dell'Ordinanza in commento, si ritiene opportuno ripercorrere brevemente la vicenda da cui essa trae origine.

L'istante - società a responsabilità limitata, operante nel settore dei trasporti per conto terzi di merci su strada - ha depositato la domanda per la nomina dell'esperto ex artt. 12 e ss. c.c.i.i. e contestuale richiesta di conferma della concessione delle misure protettive del patrimonio nei confronti dell'intero ceto creditorio, ai sensi degli artt. 18 e 19 c.c.i.i.

All'esito dell'esame della documentazione prodotta e sulla base del parere reso dall'esperto nominato, il Tribunale, nel caso in esame, non ha ritenuto sussistere il profilo del fumus boni iuris .

In particolare, l'esperto, analizzata la documentazione riversata dalla ricorrente, alquanto carente, come si vedrà, ha evidenziato che le prospettive di superamento della crisi sarebbero risultate astrattamente percorribili, nell'ambito della composizione negoziata della crisi, solo in presenza dell'immediato avvio di un nuovo programma industriale, elemento che, tuttavia, non risultava contemplato nel progetto di risanamento de quo della ricorrente.

Al fine di decidere, il Giudice ha rilevato i seguenti motivi ostativi: (i) la limitata capacità dell'azienda di generare flussi operativi utili a servizio del debito, anche all'esito del test pratico a servizio delle imprese che accedono a questo strumento di regolazione della crisi, che ha restituito un indice pari a 6.6, quale punteggio espressivo di un grado di criticità elevato; (ii) l'assenza di dialogo e/o di trattative in corso con i principali creditori; (iii) la mancata rappresentazione della reale consistenza del patrimonio netto, anche confermata dall'esperto.

Tutte queste circostanze - unitamente alla carenza documentale e contenutistica del piano industriale presentato dalla ricorrente - hanno indotto l'esperto a esprimere un parere prudenzialmente favorevole circa la ragionevole perseguibilità degli obiettivi del piano di risanamento, subordinando la formulazione di un parere favorevole definitivo all'integrazione di tutta la documentazione ritenuta mancante/insufficiente e di tutti gli elementi che possano confermare/modificare le valutazioni preliminari.

Ciò nonostante, la ricorrente ha disatteso le indicazioni dell'esperto e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere reso edotto ha, in via definitiva, rigettato la domanda di conferma delle misure protettive stante l'insufficienza e l'inadeguatezza delle informazioni rese disponibili all'esperto, il quale non ha ritenuto sussistere i presupposti per addivenire al risanamento dell'impresa.

Questioni giuridiche

Il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento in relazione alle fattispecie in esame

La composizione negoziata della crisi. La pronuncia in esame affronta la questione inerente all’applicabilità delle misure protettive disciplinate dagli artt. 18 e 19 c.c.i.i. nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa.

Nello specifico, quest'ultima costituisce unostrumento stragiudiziale e volontario di risanamento introdotto dal legislatore al fine di fornire alle imprese in situazione di difficoltà, seppur risanabile, un'alternativa rispetto ai rimedi giudiziari rappresentati dalle procedure concorsuali.

La composizione negoziata, in vigore dal 15 novembre 2021 in forza della legge n. 147/2021, che ha convertito il d.l. n. 118/2021, è stata successivamente annessa al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza con il d.lgs. n. 83/2022, e da ultimo modificata dal c.d. Correttivo-ter (d.lgs. n. 136/2024).

A differenza degli strumenti concorsuali propriamente detti, l’accesso alla composizione negoziata è riservato alle imprese che versano in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, ma che si ritiene reversibile e, dunque, una difficoltà che si prospetta risanabile, mediante alcuni correttivi che si individuano, anche con l’esperto nominando.

La procedura, attivabile esclusivamente su iniziativa dell’imprenditore, si propone infatti di facilitare la conclusione di accordi con il ceto creditorio e le altre parti interessate.

L'imprenditore che intende attivare la procedura di composizione negoziata è tenuto a depositare sulla piattaforma telematica nazionale, accessibile alle imprese iscritte nel Registro delle imprese tramite i siti istituzionali delle Camere di commercio competenti per territorio, la documentazione completa e aggiornata, comprendente: (i) i bilanci degli ultimi tre esercizi o, in alternativa, le dichiarazioni fiscali; (ii) una situazione economico-patrimoniale e finanziaria aggiornata; (iii) un progetto di piano di risanamento redatto secondo le linee guida previste dall’art. 13 c.c.i.i., corredato da una relazione sintetica sull’attività esercitata e da un piano finanziario semestrale; (iv) l’elenco analitico dei creditori, dei debiti e delle garanzie; (v) una specifica dichiarazione circa l’assenza di ricorsi pendenti per liquidazione giudiziale o insolvenza e l’assenza di domande pendenti per altri strumenti di regolazione della crisi; (vi) le certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate, dall’INPS e dalla Centrale dei rischi gestita dalla Banca d'Italia.

Ricevuta l’istanza, essa viene trasmessa entro due giorni dal Segretario generale della Camera di Commercio, nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa, alla Commissione costituita presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dei capoluoghi di regione e delle province autonome. Entro i cinque giorni successivi, la predetta commissione seleziona un “esperto”, professionista risultante tra gli iscritti nell’apposito elenco regionale, il quale ha la funzione di facilitatore negoziale che coadiuva l’impresa verso la soluzione più idonea per il superamento delle condizioni di squilibrio, avendo a disposizione due giorni di tempo per accettare l’incarico, una volta nominato.

Per poter svolgere il suo incarico, l’esperto deve essere in possesso dei requisiti di professionalità, riservatezza, imparzialità ed indipendenza che gli consentano di presentarsi a tutte le parti interessate dal risanamento quale soggetto terzo, dotato delle specifiche competenze necessarie a condurre le trattative e ad individuare la soluzione più idonea al risanamento dell’impresa.

Successivamente all’accettazione dell’incarico della durata di 180 giorni, prorogabili per il medesimo periodo di tempo, verificata la propria indipendenza rispetto alle parti interessate e la propria disponibilità di tempo per svolgere l’incarico, egli convoca l’imprenditore per un primo colloquio volto a valutare la concretezza delle prospettive di risanamento.

Qualora vi sia una ragionevole probabilità di successo, l’esperto procede alla convocazione delle controparti e all’avvio delle trattative. In caso contrario, provvede a comunicarlo alla Camera di commercio per l’archiviazione dell’istanza.

Al termine della procedura, l’esperto redige una relazione finale, caricata sulla piattaforma e trasmessa alle parti coinvolte, con cui dà atto di come sono state condotte le trattative (se in buona fede) e quali sono le risultanze, al fine di aggiornare anche il Giudice che ha concesso medio tempore le misure protettive o cautelari.

Nel caso di archiviazione della procedura per mancato raggiungimento degli accordi transattivi con i creditori, l’imprenditore non può presentare una nuova istanza prima di dodici mesi, termine ridotto a quattro mesi se l’archiviazione è richiesta dallo stesso imprenditore entro i due mesi successivi all'accettazione dell’incarico da parte dell’esperto.

Brevi cenni al Correttivo-ter (d.lgs. n. 136/2024). Come ormai noto, il 15 luglio 2022, dopo oltre due anni di rinvii, è entrato in vigore il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, adottato con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e successivamente modificato, prima con il cosiddetto Correttivo (d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147), quindi con il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, attuativo della Direttiva UE 20 giugno 2019, n. 1023.

Il legislatore è nuovamente intervenuto per correggere e integrare diverse disposizioni del Codice con un ulteriore intervento correttivo – conosciuto come “Correttivo-ter” – rappresentato dal d.lgs. 13 settembre 2024, n. 136, pubblicato sulla G.U. n. 227 del 27 settembre 2024 ed entrato in vigore il giorno successivo.

Il nuovo intervento normativo si è preposto un duplice obiettivo: il primo, di correggere ed emendare disposizioni che avevano generato incertezze interpretative nella prima giurisprudenza applicativa; il secondo, di rafforzare la coerenza complessiva della disciplina nel novero dei molteplici strumenti di regolazione della crisi di impresa, al fine di scongiurare la liquidazione giudiziale / controllata.

In tale direzione, vengono rafforzati alcuni principi generali, tra cui il dovere di buona fede e di leale collaborazione, già applicabili al debitore e ai suoi creditori nei processi di ristrutturazione, e ora estesi anche ai terzi coinvolti nell’operazione.

Al contempo, viene rafforzato il principio dell’emersione tempestiva della crisi, in linea con le direttive europee.

Da ultimo, ma di non minore importanza, si segnala, all’interno della composizione, anche l’applicabilità dell’istituto della transazione fiscale.

Le misure protettive. Più nello specifico, facendo focus sul principale argomento, si segnala che le misure protettive ex artt. 18 e 19 c.c.i.i. consistono in un rimedio temporaneo richiesto dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare l’avvio e la prosecuzione delle trattative e, più in generale, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza (G. Guastella, Le misure protettive alla luce del nuovo codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza: quale la natura giuridica ed i presupposti di applicabilità?, in Salvis Juiribus, 2025).

Tali misure sono rivolte alla protezione di «patrimonio, beni e diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa», su istanza del debitore sia in pendenza del procedimento di composizione negoziata o in corso di una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

Le misure protettive limitano le possibilità di azione verso l’imprenditore ad opera dei creditori e precludono il pronunciamento di sentenze di fallimento o di stato di insolvenza fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata. Inoltre, i creditori dell’imprenditore sottoposto a misure protettive non possono acquisire diritti di prelazione, né iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio dell’impresa, salvo il consenso dell’imprenditore stesso.

Le misure possono essere richieste nei confronti di: (i) tutto il ceto creditorio; (ii) determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti; (iii) specifici creditori o (iv) categorie di essi. Tuttavia, i diritti di credito dei lavoratori rappresentano un’eccezione, in quanto esclusi dall’applicazione delle predette misure.

Il procedimento per la concessione delle misure protettive consiste in «un momento tipico di intervento giurisdizionale nel percorso di composizione», sebbene correlato ad un procedimento stragiudiziale (D. Bonaccorsi di Patti, La procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa: le misure protettive e cautelari, in Quotidiano Legale, 2025, 2). In tal senso si è espresso anche il Tribunale Brescia, sez. Fall. del 2 dicembre 2021, il quale ha affermato che «... se per il prodursi dei menzionati effetti protettivi è sufficiente che l’istanza dell’imprenditore che ne invoca l’applicazione venga pubblicata nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto, affinché questi si consolidino è necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria alla quale l’imprenditore già “schermato” ha l’onere di rivolgersi» (Trib. Brescia, sez. IV Civile, 20 dicembre 2021, in Ilcaso.it).

Le misure protettive possono essere richieste contestualmente alla domanda per la nomina dell'esperto o, in alternativa, con un’istanza successiva presentata ex art. 17 c.c.i.i.

L’imprenditore, con ricorso presentato al tribunale competente ai sensi dell’articolo 27 c.c.i.i., richiede l’applicazione delle misure protettive del patrimonio entro il giorno successivo alla pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto, chiedendo la conferma o la modifica delle stesse e, ove occorre, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative.

Il tribunale, entro dieci giorni dal deposito del ricorso, fissa, con decreto, l’udienza, ove si pronuncerà in merito alla revoca o modifica delle misure protettive.

Al fine di assumere la decisione, il tribunale deve verificare la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris, che consiste nella ragionevole prospettiva di risanamento, e del periculum in mora, dunque deve valutare il rischio che la mancata concessione delle misure possa pregiudicare la ristrutturazione dell’impresa.

Con riferimento al requisito del fumus boni iuris, secondo consolidata giurisprudenza, gli indici di idoneità delle misure al raggiungimento di un risanamento sono: (i) l’adesione alle trattative dai creditori che rappresentano la maggioranza del debito da ristrutturare e lo stato di avanzamento delle stesse; (ii) il parere favorevole dell’esperto e il risultato positivo del test pratico; (iii) l’assenza di iniziative esecutive o liquidatorie pendenti; (iv) la chiarezza, ragionevolezza e sostenibilità finanziaria del piano di risanamento; (v) la decisione di continuità aziendale verosimilmente non pregiudizievole per i diritti dei creditori o la presenza di manifestazioni di interesse all’acquisto dell’azienda in ipotesi di continuità indiretta; (vi) il sostegno finanziario dei soci e dei terzi investitori (Trib. Modena, 3 dicembre 2022, in Unijuris.it; Trib. Salerno, 13 febbraio 2023).

Sul fronte poi del periculum in mora, i presupposti per la sussistenza del requisito sono: (i) la correttezza e la buona fede dell’imprenditore nel corso delle trattative in essere; (ii) la funzionalità delle misure protettive richieste al raggiungimento di accordi positivi con i creditori; (iii) l’equilibrio dei contrapposti interessi della società debitrice e del ceto creditorio (Trib. Avellino, 16 maggio 2022 e 5 dicembre 2022 in Unijuris.it).

In caso di conferma delle misure, il tribunale stabilisce con ordinanza la loro durata, che per legge deve essere ricompresa tra un minimo di 30 e un massimo di 120 giorni. Il dies a quo decorre dal momento della pubblicazione nel registro delle imprese dell’accettazione dell’esperto.

Il tribunale, su richiesta delle parti e previo parere dell’esperto, può prorogare la durata delle misure protettive per il tempo necessario a garantire il buon esito delle trattative, ma la durata complessiva non può superare i 240 giorni.

Le misure protettive eventualmente concesse devono essere adeguatamente motivate e non devono risultare sproporzionate, evitando di pregiudicare ingiustamente i creditori.

Gli orientamenti giurisprudenziali contrari

Nel quadro della disciplina prevista dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, l’accesso e la permanenza alla procedura di composizione negoziata presuppongono che la crisi o l’insolvenza dell’impresa siano risanabili, e che, quindi, sussista una prospettiva ragionevole di superamento delle difficoltà mediante la prosecuzione dell’attività.

Ai fini della conferma delle misure protettive, tuttavia, non è richiesto fin dall’inizio un piano compiutamente definito, bensì è sufficiente la presenza di un piano di risanamento e di un piano finanziario per i successivi sei mesi, che consentano al tribunale una valutazione circa la non irragionevolezza della prosecuzione dell’attività e del risanamento.

Tale principio è stato di recente affermato con estrema chiarezza dal Tribunale di Forlì, con provvedimento del 31 ottobre 2024, laddove si afferma che: «L’accesso alla composizione negoziata presuppone la risanabilità della crisi o dell’insolvenza, condizione la cui sussistenza deve essere accertata dal tribunale. In particolare, è necessario che il risanamento dell’impresa appaia ragionevolmente perseguibile». Inoltre, il tribunale precisa che: «L’imprenditore è tenuto a produrre un piano di risanamento e un piano finanziario idoneo a consentire una valutazione circa la non irragionevolezza del risanamento e della possibilità di superare la crisi mediante la prosecuzione dell’attività aziendale. Non è invece richiesto, in questa fase, un piano dotato del grado di completezza (...)»(Trib. Forlì, 31 ottobre 2024, in Osservatorio della Giurisprudenza Fallimentare, unijuris.it). Siffatta interpretazione trova conferma anche in un’altra significativa pronuncia di merito, emessa il 29 ottobre 2024 dal Tribunale di Milano (n. 9768), che, valorizzando la complessità della struttura debitoria e del processo di risanamento, ha ritenuto sufficiente l’esistenza di una concreta, seppur iniziale, prospettiva di recupero. In particolare, si legge: «Il procedimento per la concessione delle misure protettive non ha in alcun modo ad oggetto l’accertamento di crediti, ma mira solo a stabilire, sul presupposto di una concreta prospettiva di risanamento, se, al fine di proseguire le trattative, sia necessaria l’adozione di misure protettive e cautelari» (Trib. Milano, sez. II, 29 ottobre 2024).

Entrambe le decisioni condividono l’idea che la valutazione giudiziale in sede di conferma delle misure protettive debba mantenersi funzionale, non potendosi richiedere, in questa fase iniziale, una piena verifica dell’effettiva sostenibilità del piano.

Dunque, anche a voler prendere in considerazione un’interpretazione che subordini l’adozione delle misure protettive a una verifica anticipata del piano nel merito, si rischierebbe di travisare la logica della composizione negoziata, che nasce proprio per consentire all’imprenditore - con l’ausilio dell’esperto - di costruire gradualmente una soluzione di superamento della crisi.

Gli orientamenti giurisprudenziali conformi

La conferma o revoca delle misure protettive in seno alla procedura di composizione negoziata della crisi rappresenta un profilo di particolare rilievo, affrontato da sempre più copiosa giurisprudenza di merito. Nello specifico, sono molteplici i provvedimenti nei quali i giudici si sono soffermati sull’analisi dei presupposti legittimanti la concessione di tali misure, nonché delle condizioni che possono giustificarne la revoca. Con particolare riferimento alla valutazione del requisito del fumus boni iuris, il Tribunale di Torre Annunziata (Trib. Torre Annunziata 24 gennaio 2024, in dirittodellacrisi.it) ha escluso la sussistenza di tale requisito, considerando centrale la solidità del contenuto del piano di risanamento. Difatti, il giudice ha ritenuto che, laddove il piano si presenti eccessivamente generico, non supportato da sufficienti elementi concreti, «assimilabile più a una mera dichiarazione di intenti che ad una concreta prospettiva di rilancio aziendale, e comunque inidoneo a rappresentare con sufficiente chiarezza le modalità immaginate dal ricorrente per il risanamento della sua impresa», esso non possa assolvere alla funzione di supporto delle misure protettive richieste. Il piano deve, infatti, esplicitare in maniera chiara, coerente e verificabile le modalità attraverso cui l’imprenditore intende pervenire al riequilibrio economico-finanziario. Inoltre, è parimenti necessario che il piano non si figuri come un progetto meramente liquidatorio, in quanto ciò risulterebbe in evidente contrasto con la ratio ispiratrice del procedimento di composizione negoziata, il cui scopo primario è il risanamento dell’impresa.

Il giudice ha inoltre sottolineato che, a fronte della carenza documentale, non sia possibile formulare un giudizio prognostico circa la concreta prospettiva di risanamento aziendale.

Nello stesso senso, si inserisce l’Ordinanza del Tribunale di Padova (Trib. Padova, sez. I civile, 16 dicembre 2024), secondo la quale il sacrificio richiesto ai creditori può essere giustificato esclusivamente in presenza di un serio piano di risanamento. Nella fattispecie affrontata, l’esperto aveva dato atto dell’esito negativo del test pratico – in quel caso, con indice pari a 5,78 – e della rilevante carenza documentale. Il giudice ha quindi rigettato l’istanza di conferma delle misure protettive, evidenziando che «non sussiste in sé un diritto assoluto alla trattativa, né più in generale alla composizione negoziata della crisi, nella misura in cui all’accesso a tale strumento non si accompagni un serio progetto di risanamento, nel caso di specie insussistente».

In termini analoghi, il Tribunale di Brescia (Trib. Brescia 30 settembre 2024, in Top24 Diritto) ha disposto la revoca delle misure protettive in un procedimento caratterizzato, tra gli altri profili critici, dall’assenza di concrete trattative con i creditori. Tale carenza era stata rilevata dall’esperto, il quale aveva evidenziato la mancata produzione documentale attestante l’avvio delle trattative. Pertanto, il Giudice di Brescia ha ribadito che il giudizio relativo alla concessione delle misure protettive presuppone che l’imprenditore adotti un comportamento improntato alla leale collaborazione, che si sostanzia con la trasmissione tempestiva e completa della documentazione, nonché in risposte puntuali ai rilievi sollevati dall’esperto. In assenza di tali presupposti, non si giustifica la conferma delle misure richieste e, al contrario, la loro richiesta si appalesa quale uso distorto dello strumento, volto non al risanamento dell’impresa, bensì a ostacolare le azioni esecutive dei creditori.

Osservazioni conclusive

In conclusione, dunque, nel solco dei principi richiamati dall’Ordinanza in commento, pare delinearsi un filone giurisprudenziale secondo cui, nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa, la conferma delle misure protettive ex artt. 18 e 19 c.c.i.i. richiede una più stringente valutazione da parte del Tribunale. In particolare, risulta necessario accertare la concreta perseguibilità del risanamento dell’impresa, considerando sia l’esito del test pratico che la reale rappresentazione dello squilibrio patrimoniale ed economico-finanziario. In assenza di un programma industriale strutturato e di trattative effettive con il ceto creditorio, l’istanza di conferma delle suddette misure protettive deve essere rigettata. Ciò rappresenta un’evoluzione rispetto al precedente orientamento, secondo cui la valutazione giudiziale in sede di conferma delle misure protettive doveva limitarsi a un controllo funzionale e non implicava una piena verifica della sostenibilità del piano, già nella sua fase iniziale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.