Datore di lavoro sottoposto a procedura fallimentare e mancato pagamento del TFR: il fondo di tesoreria vittima del suo peccato originale

25 Settembre 2025

L’Autore svolge alcune riflessioni a partire da una recente ordinanza della Corte di cassazione pronunciatasi in tema di fallimento del datore di lavoro e qualificazione delle quote di TFR maturate dal 1° gennaio 2007 in poi e non versate al Fondo di Tesoreria INPS come rediti retributivi del lavoratore, tutelati dal privilegio di cui all'art. 2751-bis, n. 1, c.c.

Premessa

La recente ordinanza Cass., sez. lav., 16 aprile 2025, n. 10082, chiamata a valutare un decreto del Tribunale di Reggio Calabria, ha offerto un nuovo contributo al copioso dibattito dottrinale, riflesso di un’imponente giurisprudenza, in merito alla qualificazione del trattamento di fine rapporto, in questo caso caratterizzato dall’accantonamento presso il Fondo di Tesoreria.

La pronuncia ha stimolato commenti concentratisi sul determinante approdo teso ad accreditare al TFR natura retributiva, fatto questo di rilevanza massima ma non certo innovativo, quando invece – a parere di chi scrive – gli aspetti fortemente innovativi dell’ordinanza, talvolta addirittura rivoluzionari, devono cogliersi all’interno delle motivazioni poste a corollario del principio guida.

La natura previdenziale del fondo di tesoreria

La natura, indubbiamente, previdenziale del rapporto tra azienda e fondo di tesoreria (Cass., sez. lav., 22 agosto 2023, n. 25035) è stata prevista per volontà del legislatore che, anche su spinta dell'ente previdenziale (così confermò in seguito l'INPS msg 413/2020: «…Il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione di natura previdenziale…»; critico sul punto E. Gragnoli, La natura dei versamenti del datore di lavoro al Fondo di tesoreria dello Stato, in dirittodellacrisi.it, 18 marzo 2024), nell'ormai lontano 2007, tramite la legge 29 dicembre 2006, n. 296, all'articolo 1, comma 756 per regolare il funzionamento dei conferimenti al fondo specificava:

«… Con effetto sui periodi di paga decorrenti dal 1° gennaio 2007, al fine del finanziamento del Fondo di cui al comma 755, al medesimo Fondo affluisce un contributo pari alla quota di cui all'articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all'articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, maturata a decorrere dalla predetta data e non destinata alle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252. Il predetto contributo è versato mensilmente dai datori di lavoro al Fondo di cui al comma 755, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757. Non sono tenuti al versamento del predetto contributo i datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze meno di 50 addetti. La liquidazione del trattamento di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata, sulla base di un'unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757, dal Fondo di cui al comma 755, limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro. Al contributo di cui al presente comma si applicano le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori, con esclusione di qualsiasi forma di agevolazione contributiva…» (enfasi aggiunta).

Questa soluzione ha offerto un'importante arma all'ente previdenziale, rappresentata dalla possibilità di esercitare il recupero coattivo innescabile tramite gli atti esecutivi di addebito, altrimenti precluso con quanto ne sarebbe conseguito in termini di tempi e costi dovuti per il ristoro del credito. A ben vedere tale soluzione ha rappresentato un congruo strumento per il perseguimento delle aziende morose (in bonis), tantopiù quando queste risultavano vincolate dal possesso del DURC.

Le crisi profonde di determinate aree della nostra economia, hanno però spostato il focus verso il recupero del dovuto nei casi di insolvenza, che spesso concentravano l'attenzione dell'ente sulla qualificazione del privilegio e non più su quella del semplice credito. Tradotto: il rilievo non era l'adesione alla teoria del credito retributivo o previdenziale, essendosi il Fondo di Tesoreria espressamente qualificato in quest'ultima fattura, bensì in che grado lo stesso credito potesse insinuarsi.

L'Inps decise di veicolare autonomamente la soluzione tramite successive note di prassi, tendenti a risolvere la questione mediante specifiche opzioni operative, con la speranza di guidare anche l'opera di insinuazione al passivo dei lavoratori, così che la stessa non intralciasse l'operatività del fondo.

Proprio perché figlia di un percorso di mera prassi – e non potrebbe essere altrimenti – pur con l'avvallo degli usi, formalizzati o meno, delle sezioni fallimentari insediate presso i tribunali, la procedura suggerita dall'Istituto non ha mai intaccato il pieno diritto del lavoratore a vedersi riconosciuto il proprio credito per TFR pieno ed incondizionato.

Di tal che alcuna obiezione, se non appunto di prassi, quindi inabile a scalfire il diritto all'insinuazione, si sarebbe potuta opporre al lavoratore che, insensibile all'obbligo verso il Fondo da parte del proprio datore di lavoro, avesse inteso insinuare l'intero credito per TFR al fallimento, senza scindere quanto di questo fosse maturato nel periodo di azione della tesoreria.

Eppure il tribunale di Reggio Calabria, confondendo le diverse posizioni che animano la triangolazione di cui diremo al paragrafo successivo, sembra voler mixare il tutto proponendo un tema in realtà mai in discussione, che assegnerebbe al diritto del lavoratore il rischio di essere qualificato in termini previdenziali.

Su questo punto si insinua il rischio connesso alla prescrizione. I crediti previdenziali, così come per converso i debiti, scontano un termine prescrizionale quinquennale, fatto che, se trasposto al fondo di tesoreria, veicola un limite all'azione di recupero dell'ente verso l'azienda qualora quest'ultima risultasse morosa. Tale aspetto, per contro, mai ha inteso intaccare il credito per TFR che il lavoratore vanta nei confronti dell'azienda. A tale approdo si arriva tanto qualificando come retributivo il credito del lavoratore, che mai potrà subire gli effetti di una relazione tossica tra azienda ed ente previdenziale, verso la quale è sicuramente terzo, quanto qualificandolo come contributivo, posto che la prescrizione dei crediti del lavoratore verso l'azienda (in bonis o meno che sia) decorre comunque dalla cessazione del rapporto, che nel caso del TFR fa coincidere il requisito di maturazione con il dies a quo per la richiesta, quantomeno per i crediti maturati post 2012 (L. 92/2012, INL 595/2020 e 1959/2022, Cass. 26246/2022)

Il rapporto trilaterale

Per illustrare un percorso di diluzione del decreto emesso dal tribunale di Reggio Calabria, la Cassazione ex professo riporta il piano della questione sull'immutabilità del credito maturato dal lavoratore, propendendo altresì per riconoscere comunque la natura previdenziale, confinata però al mero rapporto tra azienda e fondo.

La citazione chiave è al rapporto trilaterale già proposto in funzione nomofilattica da Cass 22131/2022 e 16928/2024, ove troviamo contemporaneamente presenti i rapporti:

  • previdenziale tra azienda e fondo di tesoreria;
  • retributivo tra azienda e lavoratore;
  • di garanzia tra fondo e lavoratore, nel rispetto dell'automaticità delle prestazioni ex art 2116, comma 1, c.c.

La simbiosi tra questi tre rapporti è presidiata dalla fonte primaria, mentre la patologia degli stessi, certificano i giudici della S. Corte, non muta il titolo di credito.

La soluzione di fatto era già scritta e, in nessun modo, l'argomento della prescrizione può intaccarne la valenza, poiché la stessa agisce sul piano del primo rapporto, quello esclusivamente previdenziale, non potendo estendersi agli ulteriori due, nemmeno in presenza di forme, anche croniche o comunque colpose, di inadempimento.

Aspetti controversi e adattamenti necessari

Alla luce di quanto fin qui sviscerato la sentenza in commento non propone un principio innovativo, piuttosto ricalca le linee già tracciate in precedenza vedendole, questo sì, da una nuova prospettiva.

Rileva però come le ineccepibili deduzioni risultino assistite da un percorso logico-giuridico animato da passaggi che rischiano di alimentare nuovi dubbi sulla turbolenta gestione del credito per TFR.

Vale la pena passare in rassegna questi passaggi, per comprendere se davvero si tratta di revisione di principi già fissati, oppure di meri richiami illustrativi, privi di alcuna ambizione interpretativa.

Il privilegio

Sul punto la Cassazione è inequivocabile nel ribadire l'assegnazione al credito per TFR del medesimo privilegio previsto per i crediti retributivi.

Controversa è però la deduzione successiva, ove per giustificare tale garanzia viene posta la seguente argomentazione a censura della tesi contraria: «…Lo stesso INPS che dovrebbe insinuarsi al fallimento al posto del lavoratore, subirebbe la falcidia della procedura concorsuale fruendo il credito dell'Istituto del minore privilegio di cui all'art. 2554 c.c. [trattasi di refuso in sede di redazione in quanto sicuramente la S.C. vuole far riferimento all'art 2754 c.c.] e non certo del privilegio di cui all'art 2751-bis, n 1 c.c. (che viene invece utilizzato in sede di surroga del Fondo di Garanzia)...».

I crediti previdenziali diversi dall'IVS, per espressa previsione dell'art 2778 del c.c., scontano il privilegio di cui al n° 8 del citato articolo «…i crediti per contributi dovuti a istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale indicati dall'articolo 2754, nonché gli accessori, limitatamente al cinquanta per cento del loro ammontare….». Considerata la cristallizzazione della natura previdenziale del fondo di tesoreria con riferimento al rapporto tra datore di lavoro e INPS, non si vede perché debba mutare la natura del credito, sconfessando la previsione civilistica, del resto proprio il rapporto trilaterale di cui si è detto garantisce che in caso di credito da parte del lavoratore, lo stesso potrà in insinuarsi al privilegio di cui al 2751. Per contro, qualora il creditore fosse il fondo, nei casi di avvenuta soddisfazione del creditore, non si vede perché il credito debba mutare la propria natura.

Incapienza

Nell'illustrazione delle motivazioni utili ad approdare alla condivisibile decisione, la S.C. evita di passare in rassegna il caso dell'incapienza. Eppure proprio la crisi d'impresa risulta destinataria degli strumenti operativi utili a gestire questa situazione.

L'incapienza, infatti, si verifica quanto il datore di lavoro, pur avendo versato scrupolosamente le quote di accantonamento, deve adempiere alla richiesta di liquidazione del trattamento di fine rapporto da parte del dipendente, ma si trova impossibilitato ad eseguire il successivo conguaglio utile al recupero di quanto anticipato, per assenza di debito contributivo. Tale condizione, che si verifica anche quando l'incapienza è solo parziale, vincola il fondo a pagare direttamente il lavoratore, a fronte di specifica dichiarazione da parte dell'azienda.

Sul punto, illumina la già citata Cass 25035/2023: «…l'importo di competenza del Fondo erogato dal datore di lavoro non può in ogni caso eccedere l'ammontare dei contributi dovuti al Fondo e agli enti previdenziali con la denuncia mensile contributiva, qualora si verifichi tale ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a comunicare immediatamente al Fondo tale incapienza complessiva e il fondo deve provvedere, entro trenta giorni, all'erogazione dell'importo delle prestazioni sulla quota parte di competenza del Fondo stesso…».

In caso di liquidazione giudiziale, invece, la soluzione operativa viene presa in prestito dal messaggio 2057/2012 originato dalla precedente Legge fallimentare e dalle successive evoluzioni che ne hanno mutato il disegno replicato dalla circolare 70/2023, sdoppiando le ipotesi di soddisfazione del credito:

  • La prima situazione tratta il caso in cui il datore di lavoro insolvente abbia recuperato a conguaglio le quote di TFR versate al Fondo di Tesoreria senza corrisponderle effettivamente al lavoratore, il quale, di conseguenza, ottiene l'ammissione del proprio TFR nello stato passivo. In siffatta ipotesi, in presenza di tutti i requisiti, la domanda di intervento del Fondo di garanzia sarà accoglibile. Del recupero a conguaglio di prestazioni non corrisposte dovrà essere informato il curatore per la valutazione della condotta del datore di lavoro ai fini della concessione del beneficio dell'esdebitazione.
  • La seconda situazione tratta il caso del datore di lavoro tenuto all'obbligo contributivo al Fondo di Tesoreria che non abbia esposto, in tutto o in parte, sul flusso Uniemens le relative quote e, pertanto, l'ammontare del TFR presente nel conto del Fondo di Tesoreria del dipendente risulti inferiore a quello accertato nello stato passivo esecutivo, la domanda di intervento del Fondo di garanzia di cui all'articolo 2 della legge n. 297/1982 può essere accolta per la parte di TFR non esposta nel conto del Fondo di tesoreria. La stessa soluzione dovrà essere adottata nell'ipotesi di flussi totalmente assenti sul conto Fondo di Tesoreria. In realtà tale precisazione pare estremamente contraddittoria, in quanto la circolare Inps n° 70/2007 esclude senza dubbio alcuno la possibile incapienza parziale : «…qualora l'importo totale delle prestazioni di competenza del Fondo che l'azienda è tenuta ad erogare nel mese siano esse a titolo di prestazione finale, ovvero di anticipazione ecceda l'ammontare di contributi complessivamente dovuti al Fondo e agli Enti previdenziali con la denuncia del mese di erogazione, il Fondo stesso è tenuto a pagare l'intera quota a suo carico delle prestazioni richieste…».

In entrami i casi il risultato risulta pedissequo: pagamento diretto da parte del Fondo, che potrà poi insinuarsi senza dubbio alcuno secondo i privilegi di cui al n. 8 del citato art 2778 c.c.

Tale posizione chiarisce che, nonostante l'ammissione in privilegio del TFR insinuato dal lavoratore, la concreta liquidazione dello stesso non potrà mai avvenire ad opera della Liquidazione Giudiziale, stante la chiara impossibilità ad esercitare il conguaglio, innescando, come d'obbligo, il pagamento diretto da parte del Fondo di Tesoreria, che potrà poi insinuarsi secondo i privilegi di cui al n°8 del citato art. 2778 cc., oppure a titolo di garanzia (qualora attivamente innescato dal creditore, ipotesi consigliata quantomeno per gli effetti temporali).

Nemmeno l'esercizio provvisorio potrà concorrere al pagamento diretto, in quanto il limite alla confusione tra crediti ante e post liquidazione giudiziale risulta chiaramente invalicabile.

Il richiamo ai fondi complementari

Altro aspetto controverso è il passaggio tramite il quale la Cassazione pare assimilare la questione del Fondo di Garanzia a quella dei fondi di previdenza complementare per mezzo di questo richiamo: «…le quote accantonate del TFR, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l'INPS ex art. 1, commi 755-757, legge 296/2006, ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l'esigibilità…».

Si assuma come il conferimento al fondo di previdenza rappresenti una libera scelta da parte del lavoratore che, originariamente, veniva considerata irrevocabile, mentre mutava la natura della prestazione da retributiva a previdenziale (integrativa appunto del primo pilastro). La Suprema Corte nel tempo ha prima considerato il diritto di credito assimilabile al credito retributivo (Cass 16116/2023), snaturandone quindi, ad avviso di scrive, il valore previdenziale insito nella ratio della norma, poi ha decretato la mutabilità della scelta del dipendente (Cass 11198/2024), affossando di fatto l'utilità del secondo pilastro previdenziale.

Al cospetto di questi passaggi la qualificazione del credito, sempre secondo insegnamento della S.C. 16116/2023, deve considerarsi parificata a quella retributiva, destinataria quindi del privilegio ex art 2751-bis, nel caso in cui l'obbligo di versamento alla previdenza derivi da specifica delegazione di pagamento, con piena volontà quindi da parte del datore di lavoro di vincolarsi, non altrettanto nei casi di mera cessione del credito.

Il fondo di tesoreria rappresenta invece una modalità di accantonamento obbligatoria, non viene minimamente lambito dal volere del dipendente e pertanto non può dirsi assimilato alla fattispecie trattata sopra.

Non si vede pertanto come si possa dedurre che l'aver assegnato natura retributiva al credito del lavoratore per TFR possa automaticamente generare il medesimo effetto nel credito per mancato conferimento al fondo. Del resto è la stessa Cassazione ad aver fissato la spaccatura tra caso di cessione e caso di delegazione determinando risultanze creditorie distinte. Ora pare tutto rimesso in discussione, e la partita sull'assegnazione del privilegio ai crediti per conferimento ai fondi di previdenza complementare nuovamente aperta.

Nuovi modelli INPS per fondo di Garanzia

A ben vedere in principio affermato dalla Cassazione, potrebbe influire sul metodo di redazione delle insinuazioni, che di fatto non intaccherebbero il peso del credito a favore del lavoratore, ma muterebbero necessariamente la prassi INPS. Le istanze, infatti, potrebbero concentrarsi unicamente nella richiesta del TFR totale, senza alcuna spaccatura, peraltro non vincolante nemmeno in precedenza e figlia unicamente della prassi INPS, ottenendo l'ammissione totale.

A questo punto, però, le Liquidazioni Giudiziali, in sede di riparto, si vedranno costrette ad erogare solamente la parte maturata fino al 31/12/2006, lasciando all'Istituto la regolazione del credito residuo per ovvia incapienza.

L'Inps dal canto suo dovrebbe sempre, nelle ipotesi descritte, intervenire con il Fondo di Garanzia operando solo successivamente una compensazione interna, ma su questo punto, di fatto, per il lavoratore poco cambierebbe, stante l'obiettivo finale che rimane sempre confinato alla soddisfazione totale.

Facile prevedere che lo scenario descritto determinerà una revisione globale dei format e delle procedure fissate dalla prassi dell'Istituto, che per molto tempo hanno dominato le procedure di liquidazione del TFR, ma proprio recentemente tramite il messaggio 2172/2025 hanno ottenuto un'azione di refresh.

Tutto infatti si può rivedere, ripulire, aggiornare; tutto salvo un peccato originale.

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