Il concorso dei sindaci nei reati di bancarotta

26 Settembre 2025

La Cassazione Penale torna ad occuparsi della responsabilità del sindaco quale soggetto attivo dei reati di bancarotta.

Massima

In tema di bancarotta fraudolenta, la responsabilità a titolo di concorso per omissione dei componenti del collegio sindacale non discende automaticamente dalla posizione di garanzia rivestita e dal mancato esercizio dei generali doveri di controllo, ma postula la verifica dell'esistenza di specifici poteri impeditivi da raffrontare con un determinato reato nella sua concreta dimensione fattuale, nonché dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato stesso.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della suprema Corte origina dal ricorso presentato dall'imputato avverso una sentenza della Corte di appello di Genova che ne aveva affermato la responsabilità, quale componente del collegio sindacale di due società a responsabilità limitata, entrambe fallite, per concorso omissivo nei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta da operazioni dolose.

Le censure mosse all'impugnata sentenza concernevano il tema della responsabilità per omissione e denunciavano l'assenza di motivazione sui presupposti fondanti tale responsabilità tra cui, in estrema sintesi, la valutazione circa l'esistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento -non essendo stato accertato se le condotte doverose asseritamente omesse, ove tenute, avrebbero potuto evitarlo- e la valutazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati contestati.

Tali censure erano ritenute fondate dalla Corte di Cassazione, la quale annullava con rinvio la sentenza impugnata.

La questione

Il tema in causa concerne dunque, in ragione della qualifica del ricorrente e dei motivi da questi dedotti, l'analisi della posizione del sindaco quale soggetto attivo dei reati di bancarotta.

Le soluzioni

La suprema Corte nella sentenza qui in commento, la cui massima ufficiale è quella riportata in apertura della presente nota, coglie l'occasione per analizzare nuovamente le questioni relative ai soggetti attivi dei reati di bancarotta ed alla natura attiva od omissiva delle condotte loro addebitabili.

I reati menzionati, ricorda la Corte, sono propri non esclusivi o a “soggettività ristretta”, richiedendo la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dagli artt. 223, comma 1 l. fall. e 329, comma 1 c.c.i.i. (cui devono aggiungersi, per ciò che concerne la bancarotta semplice, gli artt. 224 l. fall. e 330 c.c.i.i.), nel cui novero sono ricompresi i sindaci.

I soggetti rivestiti di quest'ultima carica possono dunque essere autori “uti singuli” dei reati in esame nella loro declinazione monosoggettiva (ipotesi difficilmente verificabile nel concreto) oppure possono concorrere con altri ai sensi dell'art. 110 c.p., ed il concorso può atteggiarsi come contributo morale o materiale all'azione degli amministratori (c.d. concorso attivo) ovvero può esprimersi nella forma del reato omissivo c.d. improprio.

Alla prima ipotesi appartengono i casi di collusione tra sindaco e amministratori che possono manifestarsi in un accordo pregresso di agevolazione, in rassicurazioni in itinere circa la futura valutazione delle scelte dell'organo amministrativo o, addirittura, in suggerimenti o consigli su come fortificare od occultare la frode.

La seconda ipotesi origina invece dalla clausola di equivalenza di cui all'art. 40 cpv. c.p., secondo cui non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire equivale a cagionarlo, ed alla combinazione di essa con la norma che disciplina la fattispecie incriminatrice commissiva. La figura del concorso omissivo nell'altrui reato commissivo deriva poi dall'ulteriore combinazione con l'art. 110 c.p., per cui l'evento indicato dall'art. 40 cpv. c.p. viene a coincidere col fatto criminoso di un terzo.

Poste queste premesse, la suprema Corte riassume allora, per poi specificarli in riferimento alla posizione del sindaco, gli elementi caratterizzanti il concorso omissivo nell'altrui reato commissivo, che sono:

  1. la sussistenza dell'obbligo giuridico di impedire l'altrui reato e la condotta di natura omissiva;
  2. il nesso causale tra contegno omissivo del garante e l'altrui condotta illecita, verificato tramite il criterio controfattuale della c.d. condotta alternativa lecita;
  3. il dolo di concorso.

1. La posizione di garanzia del sindaco, spiega la Corte richiamando il proprio consolidato orientamento, trova la propria fonte nei poteri-doveri di controllo attribuitigli dagli artt. 2403 c.c. e ss., i quali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell'interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.

Le norme citate attribuiscono al collegio sindacale:

-il “dovere” di vigilare sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento;

-il “potere” di procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo, di chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, di convocare l'assemblea qualora ravvisino fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere e di denunciare al tribunale gravi irregolarità nella gestione che possano arrecare danno alla società o a una o più società controllate, eventualmente commesse dagli amministratori in violazione dei loro doveri.

Quanto più propriamente ai “poteri impeditivi” dell'evento, i quali conseguono all'esercizio delle prerogative da ultimo indicate, assumono rilevanza non solo i poteri c.d. “direttamente impeditivi” -ossia implicanti interventi autonomamente risolutivi o, per così dire, di arresto potestativo del processo causale- ma anche quelli “indirettamente impeditivi” e cioè idonei ad avviare una sequenza procedimentale in cui la modifica diretta della realtà fattuale può determinarsi solamente in seguito al coinvolgimento, all'interno della procedura, di soggetti diversi ed ulteriori rispetto a coloro che ne sono titolari, i quali potranno compiere le necessarie attività di neutralizzazione delle altrui condotte delittuose.

E ciò in quanto, nell'ambito di sistemi di tutela articolati, occorre riconoscere capacità impeditiva anche a snodi di un percorso relazionale multifase idoneo, nel suo complesso, a prevenire l'evento. Si tratta, cioè, di leggere il potere di allerta come stimolo di una procedura nella quale altri soggetti sono investiti della decisione finale.

Nella menzionata indagine su fonti e ambiti della posizione di garanzia del sindaco la Corte, “per completezza”, ricorda anche come la l. 14 marzo 2025, n. 35, abbia novellato la disciplina della responsabilità civile dei sindaci, modificando l'art. 2407, 2° co. c.c. nei termini che seguono: “Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell'art. 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni...”.

Il tetto alla responsabilità patrimoniale ed alla risarcibilità del danno cagionato non opera dunque qualora la violazione dei doveri propri del sindaco derivi da dolo, sicché ha buon gioco la Corte nel ritenere come la disposizione in argomento non abbia capacità di incidere sul caso sottoposto alla sua attenzione.

2. Quanto poi alla causalità dell'omissione, continua la Corte, occorre tenere concettualmente distinta la costruzione della posizione di garanzia, mediante il riconoscimento di poteri astrattamente impeditivi, dall'accertamento di essa nel caso singolo.

Non si deve, cioè, cadere nell'equivoco di sovrapporre e confondere i due piani, riconnettendo automaticamente all'inerzia del garante la causazione dell'evento; occorre piuttosto accertare, secondo i consueti canoni, l'efficacia causale del comportamento omesso. Tale efficacia causale, specifica la Cassazione, presuppone una verifica diversa dal limitarsi (secondo le acquisizioni ormai sedimentate in tema di causalità omissiva) a sostituire la condotta violativa dell'obbligo di impedimento con quella doverosa, sì da potersi apprezzare se l'evento non si sarebbe verificato con certezza o con elevata probabilità logica, ma va accertato, trattandosi di causalità concorsuale, se la condotta omissiva del garante abbia concretamente agevolato la realizzazione dell'altrui illecito che, in ipotesi, si sarebbe comunque potuto verificare sebbene con diverse e più difficoltose modalità di realizzazione.

Il nesso di causalità andrà escluso tutte le volte in cui la condotta doverosa non avrebbe avuto alcuna capacità di incidere sulla commissione dell'altrui illecito.

Ciò implica, a carico del giudice, il compito di individuare: i caratteri del singolo fatto-reato nelle sue espressioni concrete e nelle sue specifiche modalità attuative; la fonte dell'obbligo di attivarsi a carico del sindaco; la sussistenza e la “forza” di un correlativo potere impeditivo riferito a quella tipologia di eventi; la configurabilità del nesso di causalità sulla scorta del giudizio controfattuale appena delineato.

3. Quanto infine all'elemento soggettivo dei reati contestati, premette la Corte come essi siano puniti (soltanto) a titolo di dolo per cui, nel richiamare e condividere i propri più recenti e condivisibili arresti, ricorda come non sia ammissibile un concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, la quale non è ravvisabile nell'art. 113 c.p. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo. Ne consegue che, nei delitti, la condotta colposa che accede al fatto principale doloso è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall'ordinamento (così, in tema di bancarotta, Cass., 5 ottobre 2018, n. 57006, Rv. 274626-02, in Cass. Pen., 2019, 3248, con nota di C. Pedullà, Non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso).

Ai fini della corresponsabilizzazione dei sindaci deve essere dimostrato, anche per via indiziaria, il dolo, il quale deve investire la “propria” condotta di omissione, ma che implica anche la consapevolezza dell'altrui fatto-reato con adesione alla sua attuazione.

È sufficiente anche il dolo eventuale, purché valutato, puntualizza la Corte, secondo le direttrici tracciate dalla pronuncia delle Sezioni Unite nel caso Thyssenkrupp (Cass., 24 aprile 2014, n. 38343, Rv. 261104-01) intervenuta anche sul tema dei rapporti tra dolo eventuale e colpa cosciente, rimarcando la centralità, nel primo, della sua dimensione volitiva.

Le Sezioni Unite hanno affermato che “se la previsione è elemento anche della colpa cosciente, è sul piano della volizione che va ricercata la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente”, laddove “la colpevolezza per accettazione del rischio non consentito corrisponde alla colpevolezza propria del reato colposo, non alla più grave colpevolezza che caratterizza il reato doloso”; ai fini della configurabilità del dolo eventuale, pertanto, non basta “la previsione del possibile verificarsi dell'evento ma è necessario anche -e soprattutto- che l'evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato”. Nel dolo eventuale, infatti, “oltre all'accettazione del rischio o del pericolo vi è l'accettazione, sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo di un risultato desiderato”.

Nella prospettiva tracciata dalla sentenza da ultimo citata, ai fini della configurabilità del dolo eventuale, è dirimente “un atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta”, sicché riveste decisivo rilievo che “si faccia riferimento ad un reale atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto, che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata, consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi”.

Muovendo dagli assunti fin qui evidenziati, la Corte conclude osservando come, nel caso al vaglio, l'affermazione della sussistenza di responsabilità cui giungeva la Corte di appello trovasse fondamento su una motivazione carente, non sciogliendo alcuno dei fondamentali nodi sopra indicati.

Quanto ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestati, il giudice di appello si limita a rilevare, con considerazioni generali e astratte, come la prima operazione di finanziamento asseritamente distrattiva contestata fosse stata posta in essere tra società delle quali l'imputato era sindaco sicché questi sarebbe stato “perfettamente in grado di conoscere e valutare la portata e le conseguenze” e come la mancata rilevazione/segnalazione da parte dei componenti del collegio sindacale di alcuni elementi di squilibrio e anomalie della seconda operazione di finanziamento contestata equivalesse “all'avallo” della stessa, “connotata dal punto di vista soggettivo” quantomeno dall'accettazione del fatto che essa avrebbe determinato la sottrazione di rilevanti risorse alla funzione di garanzia per i creditori sociali.

Tali valutazioni, peraltro, sono a maggior ragione risultate carenti in virtù del fatto che le condotte contestate erano avvenute senza che fosse stata fornita preventiva informazione al collegio sindacale, come evidenziato dalla curatela.

In riferimento infine al delitto di bancarotta da operazioni dolose, la suprema Corte neppure reputa di riportare il percorso argomentativo della Corte genovese, nella sostanza non rinvenendone alcuno.

Osservazioni

La sentenza in commento, di cui si apprezza la chiarezza espositiva, muove, nello studio della posizione del sindaco quale soggetto attivo dei reati di bancarotta, dal ricostruirne le possibili forme di responsabilità.

La premessa è costituita dal tratteggiarne la relativa posizione di garanzia e le relative fonti, tratte, come osservato in apertura del presente commento, dalla disciplina civilistica di cui agli artt. 2403 cc. e ss.

In realtà la posizione di controllo del collegio sindacale appare ulteriormente delineata, qui tra l'altro discutendosi proprio di reati di bancarotta, dal Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), il quale all'art. 25-octies, rubricato “Segnalazione dell'organo di controllo e del soggetto incaricato della revisione legale”, prevede a carico dei sindaci e dei revisori legali, nell'esercizio delle rispettive funzioni, l'obbligo di segnalare tempestivamente e per iscritto all'organo amministrativo l'esistenza dei presupposti per la presentazione dell'istanza di composizione della crisi. E' noto invero come la mancata tempestiva emersione della crisi d'impresa sia dannosa ed anche criminogena, per cui ai sindaci è fatto preciso obbligo di verificare, senza limitarsi a recepire passivamente quanto comunicato dagli amministratori, l'eventuale presenza di uno stato di crisi o di insolvenza al fine di scongiurare, per l'appunto, codesta mancata tempestiva emersione.

L'art. 25-octies c.c.i.i. appare significativo anche perché ribadisce come, in pendenza delle trattative conseguenti alla presentazione dell'istanza di composizione della crisi, resti fermo il dovere di vigilanza di cui all'art. 2403 c.c., il quale è espressamente esteso anche alle trattative stesse. Si precisa inoltre che la segnalazione è considerata tempestiva se interviene nel termine di 60 giorni dalla conoscenza dello stato di crisi e che, non a caso, codesta segnalazione e la vigilanza sull'andamento delle trattative sono valutate ai fini dell'attenuazione o esclusione della responsabilità prevista dall'art. 2407 c.c.

Né deve poi dimenticarsi come il collegio sindacale sia legittimato anche a presentare istanza di liquidazione giudiziale (cfr. art. 37, comma 2 c.c.i.i.), ben comprendendosi come tale potere costituisca diritto potestativo di particolare pregnanza “impeditiva”, determinando lo “spossessamento” dell'imprenditore, il sorgere degli effetti di cui agli artt. 142 c.c.i.i. e ss. ed ancora riducendo sensibilmente le possibilità di perfezionamento di non poche fattispecie delittuose tra cui la bancarotta semplice patrimoniale disciplinata dall'art. 323, comma 1 lett. d) c.c.i.i., il cui fatto tipico postula proprio l'aggravamento del dissesto dell'impresa a seguito della mancata richiesta della dichiarazione della sua liquidazione giudiziale.

Le norme da ultimo indicate dunque delineano ulteriormente, arricchendoli, i poteri del sindaco, risultandone rafforzato, complessivamente, il relativo obbligo di garanzia.

Quanto poi alle modalità della partecipazione dei sindaci ai reati di bancarotta, la suprema Corte distingue, sul piano sistematico, le seguenti ipotesi.

1. I sindaci possono porre in essere “uti singuli”, e quindi nella loro manifestazione monosoggettiva, i reati in argomento, precisandosi tuttavia, correttamente, come trattasi di ipotesi difficilmente verificabile nel concreto. In effetti al collegio sindacale non sono riconosciuti poteri di amministrazione, sicché l'ipotesi appare davvero di difficile, ancorchè non impossibile, realizzazione.

Una simile forma di responsabilità è stata infatti recentemente riconosciuta in un caso in cui il presidente del collegio sindacale di una società poi fallita non aveva versato all'erario le somme, destinate per l'appunto al pagamento dei tributi, che in più occasioni l'amministratore a tale scopo gli aveva consegnato (cfr. Cass., 18 gennaio 2023, n. 7222, Rv. 284046 - 01, in Ius Crisi d'Impresa, 2.6.2023).

Il principio costituito dalla mancanza da parte del sindaco di poteri di amministrazione e gestione del patrimonio sociale soffre peraltro di alcune eccezioni, per cui anche in queste ipotesi la responsabilità diretta nel reato da parte del sindaco, pur in assenza di concorso con l'organo amministrativo, potrebbe manifestarsi. Il riferimento è, com'è noto, alle ipotesi di cui all'art. 2386, comma 5 c.c., il quale dispone che “Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la nomina dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione”.

2.  I sindaci possono concorrere con altri nel reato ai sensi dell'art. 110 c.p., e tale concorso eventuale può sostanziarsi in un contributo morale o materiale all'azione degli amministratori o dei liquidatori. Tale forma di manifestazione del reato nella pratica giudiziaria non risulta, spesso, oggetto di particolare approfondimento e tendenzialmente finisce per sovrapporsi a quella di cui al seguente n. 3, ma rimane il fatto che trattasi di ipotesi in cui le condotte sono in primo luogo attive, non omissive.

Come correttamente esemplificato nella sentenza qui annotata, tali contributi possono manifestarsi in un accordo pregresso di agevolazione, in rassicurazioni in itinere circa la futura valutazione delle scelte dell'organo amministrativo o, addirittura, in suggerimenti o consigli su come fortificare od occultare la frode.

Resta sullo sfondo, peraltro, la difficoltà probatoria di simili condotte delittuose e non a caso la suprema Corte osserva come, nel caso al vaglio, affiorasse più volte una collusione, per l'appunto accennata ma non accertata, tra gli amministratori e l'imputato, definito “uomo di fiducia” dei primi.

3. La responsabilità del sindaco può infine esprimersi nella forma del reato omissivo c.d. improprio, secondo i principi di cui all'art. 40, comma 2 c.p. e cioè sotto il profilo della violazione dell'obbligo giuridico di garanzia che inerisce alla sua funzione, nella fattispecie inteso quale obbligo di impedimento del reato altrui.

In merito a tale obbligo di garanzia si è detto come la Cassazione abbia ricordato la recente modifica dell'art. 2407 c.c. il cui secondo comma, salve le ipotesi di dolo, àncora ora la responsabilità patrimoniale per i danni cagionati alla società, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi dal sindaco che “abbia violato” i propri doveri ad un limite di un multiplo, secondo determinati scaglioni, del compenso annuo percepito, non più menzionandosi la responsabilità solidale con l'amministratore per i fatti o le omissioni di questi.

La novella in argomento, la cui analisi approfondita esulerebbe dai limiti della presente nota, ha inteso porre un argine agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità ritenuti di particolare rigore nella valutazione della responsabilità dei sindaci, la quale finirebbe talvolta per diventare di “mera posizione” (cfr. relazione alla proposta di legge n. 1276 del 4 luglio 2023, in www.camera.it). Del resto, anche a fronte di ciò e di un corrispettivo generalmente modesto, il rischio di rispondere con l'intero proprio patrimonio per l'intero danno cagionato ha costituito disincentivo, per i migliori professionisti, all'accettazione dell'incarico, sicché ancor di più si comprendono le ragioni della riforma.

Indipendentemente dalle criticità comunque caratterizzanti le modalità con cui quest'ultima ha trovato attuazione e dalla circostanza costituita dal fatto se ancora effettivamente esista o meno una responsabilità solidale con l'amministratore, il nuovo testo dell'art. 2407, comma 2 c.c. non pare esplicare effetti nelle valutazioni in tema di responsabilità penale dei sindaci allorché siano loro contestati, come nel caso di specie, reati punibili soltanto a titolo di dolo, la sussistenza del quale, qualora si tratti di quello eventuale, devesi accertare secondo l'interpretazione, richiamata nel dettaglio dalla sentenza qui annotata, offerta dalle Sezioni Unite della suprema Corte nel noto caso Thyssenkrupp. Ove la condotta del sindaco sia caratterizzata da dolo, infatti, il legislatore ha ritenuto mancare qualsivoglia meritevolezza per fruire del beneficio costituito dalla limitazione quantitativa del danno risarcibile.   

Qualora invece si tratti di reati puniti anche a titolo di colpa (quali a titolo di esempio la bancarotta semplice documentale o quella per aggravamento del dissesto), si assiste ad un disallineamento normativo giacché all'inerzia del sindaco, anche se dovuta a colpa grave, segue civilisticamente l'indicata limitazione del quantum del danno risarcibile, ma nessuna conseguenza sembra potersene trarre in tema di valutazione della tipicità del fatto di reato, la quale, ove sussistente per l'appunto anche sul piano soggettivo, non potrà che determinare un'affermazione di responsabilità del sindaco. Non appare arbitrario tuttavia ipotizzare, ricorrendone le condizioni ed al fine di ridurre le distanze conseguenti al citato disallineamento, una valorizzazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p. 

Quanto alla struttura obiettiva del concorso omissivo improprio per “obbligo di impedimento” è noto come essa postuli un'inerzia del titolare dell'obbligo legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si deve impedire ed in proposito il riferimento è, tradizionalmente, alla causalità c.d. ipotetica o normativa, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio prossimo alla certezza o comunque di probabilità logica.

Anche sull'argomento la sentenza qui annotata appare di particolare interesse giacché in apertura del provvedimento si cita, ai fini della valutazione della sussistenza della causalità omissiva, la necessità di ricorrere al criterio controfattuale della c.d. condotta alternativa lecita, la cui natura era tra l'altro espressamente richiamata anche dell'originario art. 2407, comma 2 c.c., il quale disponeva come i sindaci fossero responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se i primi avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica.

Al fine di meglio delineare la natura del citato giudizio controfattuale, ricorda tuttavia la Corte come la causalità qui in rilievo debba essere calibrata alla stregua della tipica causalità concorsuale, sicché l'oggetto di codesto giudizio non tanto deve sostanziarsi nel verificare se l'evento sarebbe venuto meno, almeno con elevata probabilità logica, qualora l'azione omessa fosse stata tenuta, bensì nel verificare se l'inerzia abbia quantomeno “agevolato”, sia pur concretamente, la realizzazione dell'altrui reato che, in ipotesi, si sarebbe potuto verificare sebbene con diverse e più difficoltose modalità di realizzazione.

E' dunque la capacità dell'azione omessa di incidere sull'evento che deve essere apprezzata ed in effetti anche il concorso per omissione nel reato deve tradursi in un contributo al suo perfezionamento, con la conseguenza che i termini del relativo rapporto tra causa ed effetto debbono individuarsi nell'inerzia da una parte e nella contribuzione alla commissione del reato, almeno agevolandola, dall'altra.

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