Corte Europea e il riconoscimento del cambiamento di identità di genere: implicazioni per la libertà di circolazione e i diritti dei cittadini

26 Settembre 2025

Esiste l’obbligo per lo Stato membro d’origine di riconoscere e annotare nell’atto di nascita il cambiamento di identità di genere della persona che lo richiede, laddove da tale annotazione dipenda la modifica delle indicazioni contenute nel documento di identità?

La questione inedita sottoposta alla Corte Europea punta a stabilire come garantire l’effettività dell’esercizio di tale libertà qualora l’identità di genere vissuta da un cittadino dell’Unione differisca dall’identità di genere risultante dall’indicazione del suo sesso contenuta nel suo atto di nascita, riportata nella sua carta d’identità o nel suo passaporto.

Tale domanda si inserisce nell’ambito di una controversia tra un cittadino bulgaro e l’autorità bulgara competente in materia di iscrizione allo stato civile e non verte sul riconoscimento di un atto o di una decisione registrata in un altro Stato membro, giustificando così la competenza della Corte Europea.

Nel caso di specie, in concreto, la persona interessata abita in Italia e vive stabilmente con partner italiano, ha seguito un trattamento ormonale grazie al quale presenta lineamenti di donna e desidera sottoporsi ad un intervento chirurgico per cambiare sesso, il che comporterebbe un cambiamento di stato civile.

La discordanza tra il suo aspetto e il suo comportamento propri di una persona di sesso femminile, da un lato, e la titolarità di documenti di identità ufficiali propri di una persona di sesso maschile, dall’altro, le causano inconvenienti e problemi quotidiani, in particolare nella ricerca del lavoro.

Come sostenuto dinnanzi ai giudici nazionali bulgari, ella non dispone di documenti di identità che le consentano di circolare e di soggiornare, nonché di lavorare nel territorio degli Stati membri, senza dover fugare il dubbio suscitato dalla discordanza tra, da un lato, l’indicazione del suo sesso in tali documenti, conforme a quella contenuta nel suo atto di nascita e, dall’altro, la sua identità di genere vissuta.

Nel caso de quo, la questione pregiudiziale ha ad oggetto la normativa nazionale bulgara che esclude la registrazione nello stato civile della transidentità della persona che ne fa richiesta, mentre le altre questioni riguardano la giurisprudenza nazionale secondo la quale l’interpretazione di tale normativa non consente la modifica dello stato civile di una persona transgender.

E’ in tale contesto che il giudice del rinvio chiede, nella sostanza, se le disposizioni del diritto dell’Unione relative all’uguaglianza dei cittadini dell’Unione, alla loro libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati Membri, alla non discriminazione e a una tutela giurisdizionale effettiva, diritti stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino a che la normativa nazionale e l’interpretazione che ne è data dai giudici nazionali non consentano la “modificazione dell’identità di genere” del cittadino bulgaro richiedente ai fini dell’annotazione di quest’ultima nel suo atto di nascita e nei suoi documenti d’identità, anche senza trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.

Ad avviso dell’Avvocato Generale della persona che richiede tale riconoscimento, sarebbe sufficiente constatare che la fattispecie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

In quanto cittadino bulgaro, tale soggetto ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione e soggiorno in un altro Stato e aspira a che sia garantita la sua vita familiare con il suo partner italiano.

La Repubblica di Bulgaria è l’unica competente a rilasciare al soggetto una carta d’identità o un passaporto che ne indichi la cittadinanza.

Nel caso di specie, peraltro, vi è l’assenza di un cambiamento di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro, poiché il soggetto non ha ottenuto alcuna decisione giudiziaria o amministrativa in Italia, dove soggiorna.

Sul punto, la Corte ha dichiarato, da un lato, che il giudice nazionale, secondo il TFUE, debba eventualmente discostarsi dalle valutazioni di un organo giurisdizionale nazionale di grado superiore qualora esso ritenga che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione, disapplicando, all’occorrenza, la norma nazionale che gli impone di rispettare le decisioni di tale organo giurisdizionale di grado superiore.

Dall’altro lato, tale soluzione trova applicazione, in particolare, nel caso in cui un Giudice ordinario sia vincolato da una decisione di una corte costituzionale nazionale che esso ritenga in contrasto con il diritto dell’Unione.

Si pone, di conseguenza, la questione di determinare quale possa essere il fondamento nel diritto dell’Unione di un obbligo per gli Stati membri di riconoscere giuridicamente il cambiamento di identità di genere di uno dei loro cittadini nato nel loro territorio.

Sul punto, si è definitivamente pronunciata la Corte Suprema di Cassazione della Bulgaria affermando che gli articoli 20 e 21 del TFUE, nonché l’articolo 7 e l’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’articolo 4 della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri devono essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale, così come interpretata dai giudici nazionale, che non consenta che il cambiamento di identità di genere dei suoi cittadini, anche senza trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale, nonché il cambiamento del nome e del numero di identificazione personale di questi ultimi siano giuridicamente riconosciuti e annotati nel loro atto di nascita, laddove da tale annotazione dipende la modifica delle indicazioni contenute nei loro documenti d’identità.

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