Valutare il danno Biologico: un pò come dare un prezzo all’acqua calda

06 Ottobre 2025

Valutare il danno biologico può essere paragonato allo stabilire un “prezzo per l'acqua calda”, dove i parametri di riferimento sono il peso, che rappresenta l'invalidità, e la temperatura, simbolo della sofferenza correlata, cioè della reale gravità della lesione del bene salute.

Il “peso” dell'invalidità indica la limitazione funzionale, anatomica o psichica, subita da un individuo a seguito di lesione, mentre la “temperatura” riflette l'intensità della sofferenza connessa alla convivenza a quella determinata condizione menomativa che ne è derivata. Due persone con lo stesso grado di invalidità possono sperimentare – nella quotidianità – livelli di sofferenza menomazione -correlata molto diversi.

Questa analogia mette in evidenza l'importanza di una valutazione integrata del danno biologico, che consideri sia l'aspetto quantitativo dell'invalidità sia quello qualitativo della sofferenza. Solo combinando questi parametri si può arrivare a una quantificazione più accurata e sensibile per le reali esigenze risarcitorie del danneggiato: finalità che assume particolare rilievo soprattutto nel contesto del cosiddetto “danno differenziale”.

Lo spunto per la discussione

Per un adeguato inquadramento della problematica liquidativa possiamo prendere spunto dalla recente (Ordinanza della Terza Sezione della Cassazione  17 giugno 2025, n. 16328 ). La questione originava da un ricorso promosso dal danneggiato contro una decisione della Corte d'Appello di Firenze che aveva decurtato il risarcimento liquidato dal Tribunale di Siena a seguito di accertata  lesione iatrogena che – in concorso con una preesistente menomazione visiva di un occhio  -  aveva determinato la perdita della complessiva funzione visiva. La Cassazione, oltre a ristabilire una adeguata e, ormai consolidata, pressi liquidativa, ha introdotto un altro fondamentale principio che si fonda in sostanza sulla modulazione equitativa del danno in rapporto agli  oggettivi aspetti “qualitativi” della complessiva condizione menomativa realizzatasi – in caso di danno differenziale – a seguito del concorso della sopravvenuta concausa iatrogena.

Il punto sostanziale della sentenza si concentra in una “critica“ mossa ai Giudici Fiorentini nel "non aver colto l'evidente scostamento qualitativo che,  concettualmente (e tecnicamente sotto il profilo medico legale), separa il riscontro quantitativo di un esclusivo danno differenziale dalla provocazione di conseguenze qualitative (In termini di sofferenza menomazione correlata) che, da quel “dato differenziale quantitativo”, largamente si distaccano, ponendosi alla base di un'autentica trasfigurazione del concreto pregiudizio considerato, derivandone, quindi, in subordine, la necessità di un criterio liquidativo risarcitorio della componente “Soggettiva“ ben più “equilibrato“, non automatico rispetto  alla sola quota di danno differenziale e rapportabile agli effettivi aspetti “qualitativi“ della complessiva condizione menomativa  realizzatasi a seguito della sopravvenuta lesione iatrogena : cioè, nel caso in esame, la perdita della funzione visiva".

Il Ruolo del Medico Legale: Riflessioni e Implicazioni per la Valutazione del Danno

Nel contesto giuridico attuale, il contributo del medico legale risulta cruciale, soprattutto in riferimento alla sentenza recentemente citata. Questa pronuncia ribadisce i principi di valutazione relativi al cosiddetto "danno incrementativo”, applicabili anche a diversi ambiti di responsabilità extracontrattuale, portando alla luce errori tecnici significativi. In particolare, viene confutato uno dei principali, ma errati - presupposti contenuti nelle recenti Linee Guida Simla, che riguardano la valutazione dello Stato Anteriore. Tale chiarimento si rivela fondamentale per approfondire e analizzare le criticità associate al concetto di "danno biologico".

La stima di tale danno, come si evince dalla lettura approfondita della sentenza stessa, si fonda esclusivamente su variabili di natura "disfunzionale". Tuttavia, queste variabili non offrono alcuna spiegazione su come, dove, quando e quanto un determinato grado di invalidità permanente, accertato dal medico legale secondo parametri teorici e convenzionali di "danno anatomo-funzionale" (che sono correlati a fasce di invalidità stabilite in qualsiasi barema), si ripercuota nella vita quotidiana e sugli aspetti relazionali di un individuo danneggiato.

Il fatto che il parametro dell'invalidità permanente sia ancorato a variabili "preordinate" in relazione alle evidenze clinico-strumentali accertate implica che, in nessun caso, il medico legale avrà la facoltà di modificare l'entità di tale invalidità in base agli effetti previsti (ossia le conseguenze del danno biologico). Questo potrebbe portare a un evidente errore concettuale, traducendosi in una chiara "arbitrarietà" nella valutazione. In particolare, si fa riferimento all'ipotesi anomala e aleatoria proposta nelle Linee Guida Simla riguardo alla "sartorializzazione" dell'invalidità permanente, che appare poco coerente con la realtà clinica accertata, rispetto a variabili predefinite: quindi “non riproducibile”.

Per superare questa problematica, l'unica alternativa "logica" che si presenta, compatibile con le capacità interpretative del medico legale (l'unico professionista in grado di conoscere e valutare in modo approfondito la reale condizione clinica della menomazione), è rappresentata dal parametro "qualitativo". Questo approccio ha l'importante funzione di chiarire, a chi sarà incaricato di liquidare il danno, l'effettiva entità della lesione al bene salute verificatasi nel caso concreto, consentendo una valutazione più accurata.

La necessità di adottare un "doppio binario valutativo tecnico" emerge in modo ancora più evidente nel caso di "danno differenziale". In questo contesto, il disvalore del danno – come correttamente osservato dal Collegio nella sentenza – non risiede tanto nel "peso del disvalore disfunzionale" derivante dal calcolo matematico delle percentuali di invalidità, quanto piuttosto negli aspetti "qualitativi" legati al maggior danno realizzatosi in situazioni specifiche.

Questa distinzione risulta di fondamentale importanza, poiché, sebbene nel caso esaminato nella sentenza il "maggiore danno funzionale" abbia comportato la perdita della funzione visiva, con un impatto esistenziale "ben oltre la media", in altre circostanze il "maggiore danno" potrebbe presentare ripercussioni "esistenziali molto limitate": Ciò rende necessaria una modulazione "equitativa" del risarcimento rispetto al semplice gap disfunzionale quantificato, affinché la valutazione del danno sia proporzionata e giusta.

Prospettive applicative con la T.U.N.

In considerazione di tutti questi aspetti, sarà fondamentale tener conto delle implicazioni emerse in previsione dell'applicazione della TUN. In questo contesto, il medico legale avrà il compito di quantificare l'invalidità, ma dovrà anche definire l'ambito di effettiva "ricaduta sul bene salute". Questo approccio contribuirà a una modulazione più adeguata della variabile "danno morale", consentendo di affrontare con maggiore efficacia e giustizia le specifiche circostanze di ogni caso, indipendentemente da ulteriori autonome ipotesi di personalizzazione del danno non patrimoniale.

Riproponendo il caso affrontato dal Collegio in sentenza, con la TUN sarà quindi più agevole “… colmare lo scostamento qualitativo che, sul piano concettuale, separa la considerazione di un mero danno differenziale dalla provocazione di conseguenze che, da quel “dato differenziale quantitativo”, largamente si distaccano, ponendosi alla base di un'autentica trasfigurazione del concreto pregiudizio considerato ..”.

Infatti, mentre il computo del “maggior disvalore funzionale“ seguirà la procedura consolidata (cioè "….monetizzando il grado complessivo di invalidità permanente accertato in corpore; monetizzando il grado verosimile di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all'infortunio anche in assenza dell'errore medico; detraendo il secondo importo dal primo" ), la variabile connessa alle effettivo aggravamento della lesione del bene salute (rappresentata nel caso concreto dalla  la cecità) troverà autonoma definizione monetaria nella quota incrementativa prevista in caso di IP corrispondenti alla “perdita della funzione visiva” (cioè rispetto al danno complessivo  e non al solo “ maggior danno funzionale).

La gravità della lesione complessiva, realizzatasi a seguito della sopravvenuta lesione iatrogena, si inquadra in  un livello di  sofferenza menomazione correlata di grado “elevato” (secondo le prassi accertative tecniche medicolegali correnti), giustificando chiaramente un totale  sovvertimento delle preesistenti abitudini di vita quotidiana e  dei rapporti relazionali, nonché la percezione – per qualsiasi individuo - di una altrettanto grave cambiamento della preesistente identità ed integrità somatica: parametro indicatore “base” per la modulazione del danno morale.

In conclusione

La sintesi logica di quanto emerso dalla citata Sentenza consente di esprimere alcune considerazioni tecniche

L'impostazione della nuova Tabella Unica di liquidazione del danno non patrimoniale elimina, seppure parzialmente, l'automatismo delle precedenti Tabelle di Liquidazione del Tribunale di Milano che si fondavano sull'incremento dei valori di risarcimento del danno morale in rapporto all'incremento del grado di invalidità permanente accertata dal medico legale, in osservanza ai presupposti normativi della stessa art. 138 del CDA.

La stessa art. 138 del CDA, tuttavia, ha le sue radici nel concetto medico legale di danno biologico che non ha mai chiarito come debba essere inteso realmente il rapporto “causa” – “effetto “tra invalidità permanente biologica e conseguenze previste sul bene “salute”.

Non essendo ammissibile affermare tecnicamente che il rapporto “causa –effetto” biologico sia automatico, ne deriva che – in un qualsiasi Sistema tabellare - anche il rapporto tra Invalidità permanente e danno morale non può essere automatico e ciò comporta la necessità di un parametro “qualitativo “che consente di riequilibrare gli effetti risarcitori, ove calcolati rispetto al solo valore quantitativo della Invalidità permanente.

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